L’Armenia dopo le elezioni americane (Osservatorio Balcani e Caucaso 20.11.24)

Nei rapporti Armenia e Stati Uniti non sono previsti nell’immediato sostanziali cambiamenti rispetto a quanto già avviato negli ultimi quattro anni, anche se Trump in campagna elettorale si è speso per gli armeni del Karabakh

20/11/2024 –  Marilisa Lorusso

La seconda guerra per il Nagorno Karabakh è esplosa mentre era in corso la prima presidenza di Donald Trump. Allora come adesso, gli Stati Uniti erano uno dei tre co-presidenti – insieme a Francia e Russia – del gruppo di Minsk, il cui obiettivo dichiarato era una risoluzione pacifica del conflitto.

Il peso del gruppo di Minsk era allora molto differente da oggi: dopo la svolta militare del conflitto, le fratture all’interno di questa triade per la guerra in Ucraina, e la denuncia della sua legittimità di esistere da parte dell’Azerbaijan, di fatto il gruppo esiste solo sulla carta.

Nel 2020 la situazione era differente: i triumviri lavoravano in stretta coordinazione, e il gruppo era strutturato con uno staff permanente che concordava le proprie mosse. All’esplosione della guerra la prima reazione era arrivata da Parigi, seguita da Washington e poi da Mosca, che in voce univoca avevano chiesto un immediato stop ai combattimenti.

Donald Trump aveva effettivamente negoziato un cessate il fuoco, poi però totalmente ignorato dai belligeranti, oltre a non essere stato comunicato agli stessi altri co-presidenti. La prima presidenza Trump, nel conflitto fra Armenia-Azerbaijan e l’allora secessionista Nagorno Karabakh, pareva essere al traino degli altri co-presidenti, con la Russia che era uscita dal conflitto con il ruolo protagonista di mediatore unico.

La presidenza Biden, nell’interludio fra Trump 1 e Trump 2, si è ritagliata un ruolo di sostanza nella mediazione del conflitto imprimendo un proprio marchio nell’approccio di risoluzione negoziata di un accordo di pace: essere facilitatori di incontri bilaterali.

Sotto l’auspicio dell’amministrazione statunitense uscente sono stati creati gli spazi per incontri bilaterali, senza un mediatore presente, fra le parti a differenza per esempio dell’approccio russo che vede il mediatore sempre presente e quanto concordato a triplice firma, con la Russia come garante.

Fermo restando il fatto dolente: nessuno dei tre co-presidenti è riuscito a impedire l’atto finale della guerra e l’esodo della popolazione armena del Karabakh.

I rapporti Armenia-USA (e UE)

La scelta armena di ri-strutturare la propria sicurezza nazionale con un approccio multilaterale e non esclusivo ha favorito un intensificarsi del dialogo con gli USA. Da parte statunitense c’è stata apertura in questo senso sia in via bilaterale, sia in coordinazione con i partner europei.

L’apice di questa cooperazione è stato il vertice USA-UE-Armenia del 5 aprile 2024, che ha suggellato e dato nuovo impulso ad un anno di intensi scambi diplomatici fra le parti. Per l’Armenia le istituzioni più coinvolte sono state il Primo ministro, il ministero degli Esteri e il consiglio di Sicurezza nella persona di Armen Grigoryan che ha incontrato spesso delegazioni americane e ha visitato gli States in più occasioni.

Sono stati vari i capitoli di cooperazione aperti, e di questo uno in particolare ha disturbato molto tanto la Russia quanto il suo alleato strategico (dal 2022), l’Azerbaijan: la cooperazione militare.

Da quest’anno un consigliere militare americano sarà presente in Armenia (un civile, dipendente del dipartimento di Stato, non della Difesa), come esperto incaricato di fornire consulenza nella riforma delle forze armate e del sistema di difesa. Si sono poi tenute diverse forme di esercitazioni e workshop su vari aspetti della messa in sicurezza del paese, fra le quali la Eagle Partner.

C’è poi il grosso capitolo della cooperazione e dell’assistenza economica americana. A giugno c’è stato il secondo incontro del Strategic Dialogue Capstone. Sia in via diretta, sia attraverso varie agenzie – fra cui USAID – l’amministrazione Biden ha notevolmente incrementato la disponibilità finanziaria di supporto all’Armenia. USAID, pesantemente attaccata sia a Tbilisi che a Baku ha trovato in Yerevan l’unico partner bendisposto verso i suoi rappresentanti ed interventi nel Caucaso del Sud.

Trump 2

Alcuni dei pacchetti finanziari approvati per l’Armenia si estendono per tutto il 2025, per cui è improbabile che nell’immediato ci sarà un netto cambiamento di quanto è stato avviato negli ultimi quattro anni. E la domanda ovviamente è se ci sarà un cambiamento, se si tornerà a una Washington meno pro-attiva con l’Armenia, se si continuerà nel seminato, o se si rafforzerà la cooperazione.

L’Armenia è ad oggi il paese nella regione più dichiaratamente interessato a intensificare e approfondire la collaborazione euro-atlantica. La Georgia sembra aver fatto una netta retromarcia, mentre l’Azerbaijan è interessato a incrementare la cooperazione economica, lasciando però fuori dal quadro i capitoli dei diritti umani e società civile.

L’Armenia vuole il riconoscimento delle proprie credenziali di paese che ha investito nello sviluppo democratico e del diritto, e vuole le tutele che ha scoperto – malamente – di non avere.

Il governo di Nikol Pashinyan ha un forte bisogno di ricompattare il consenso rispetto alle sue scelte, anche attraverso un sostanziale boom economico che allevi la drammatica povertà nel paese e aiuti a digerire una sconfitta militare di portata epocale.

Le congratulazioni del primo ministro armeno  a sono state tempestive e benauguranti: “Le mie più sentite congratulazioni a Donald Trump per la sua impressionante vittoria come 47° Presidente degli Stati Uniti. Presidente-eletto, non vedo l’ora di lavorare con lei per costruire relazioni bilaterali strategiche Armenia-USA basate sui nostri valori, priorità e interessi condivisi.”

In campagna elettorale Donald Trump si è fatto protettore dei cristiani e ha scritto sul social network Truth  : “Kamala Harris NON HA FATTO NULLA mentre 120.000 cristiani armeni venivano orribilmente perseguitati e sfollati con la forza in Artsakh [armeno per Nagorno-Karabakh]. I cristiani in tutto il mondo non saranno al sicuro se Kamala Harris sarà Presidente degli Stati Uniti. Quando sarò Presidente, proteggerò i cristiani perseguitati, lavorerò per fermare la violenza e la pulizia etnica e ripristineremo la PACE tra Armenia e Azerbaijan”.

In campagna elettorale, si sa, ogni voto conta, e solo il tempo mostrerà se questa appassionata dedizione alla causa dei karabakhi e alla pace con Baku serviva per ingraziarsi il voto armeno, o se Donald Trump è disposto veramente a portare avanti un braccio di ferro con la Russia per l’Armenia.

Il rapporto Mosca-Yerevan ha avuto a lungo caratteristiche di esclusività, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza militare. Ora che Yerevan è aperta a altre opzioni, Mosca mostra tutto il suo nervosismo, sia sull’acquisto di armi da paesi NATO che sulla collaborazione militare con Washington.

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L’istituto Grandis di Cuneo ai Giorni della Cucina Italiana in Armenia (La Guida 20.11.24)

Tra gli ospiti di quest’anno alle Giornate della Cucina Italiana a Yerevan in Armenia c’è anche l’istituto Grandis di Cuneo con il professor Prato e l’allieva Elomri Omaima. L’inauiguirazione dell’evento si è tenuta presso il bar italiano Martini Royal. All’evento erano presenti anche il Consigliere dell’Ambasciata d’Italia Andrea Peduto, Vice Capo Missione, e Alessandro Liberatori, Direttore dell’Ufficio di Rappresentanza a Mosca dell’ICE.
Oltre al Grandis ospiti dell’edizione ci sono l’Istituto superiore Minervini di Caluso col il prof. Meli Fausto e gli allievi Monaco Lorenzo, Echamouti Iman che hanno presentato autentici piatti italiani, hanno condiviso i segreti per preparare i tradizionali tagliolini, agnolotti e panna cotta, che hanno preparato e fatto assaggiare agli ospiti. “I tagliolini sono una pasta bolognese fatta con farina e uova. Non c’è acqua, solo uova. Questo piatto è fatto a mano, utilizzando solo ingredienti naturali. La panna cotta, servita per dessert, è dolce, ma non troppo. Questo è un dessert che è conosciuto in molti paesi del mondo. Lo prepariamo con caramello e fragole per evidenziarne il gusto delicato” hanno spiegato i componenti del Team Piemonte. E quando gli è stato chiesto qual è la base della cucina italiana, hanno risposto che la cosa principale è il messaggio: “Il cibo unisce le persone a tavola, crea i momenti migliori e regala ricordi caldi. Questo è ciò che vogliamo condividere con il mondo”.
Le Giornate della Cucina Italiana a Yerevan si svolgono nell’ambito dell’iniziativa internazionale Settimana della Cucina Italiana nel Mondo e sono organizzate con il supporto dell’Ambasciata d’Italia in Armenia, dell’Agenzia per il Commercio Estero ITA, dell’Accademia Italiana della Cucina e di numerosi altri sponsor della Provincia di Cuneo.

L’Unione Europea guarda al Caucaso: €10 mln all’Armenia per l’efficienza energetica (Energiaitalia 20.11.24)

A completamento di un precedente prestito da 25 mln di Euro della Banca europea per gli investimenti (BEI), l’Unione Europea garantirà all’Armenia altri 10 mln, per l’efficientamento energetico.

L’Unione Europea guarda al Caucaso

Le misurre volte efficientamento energetico dell’Armenia – nel settore edilizio – potranno contare sul sostegno dell’Unione Europea (UE), in virtù di un finanziamento da 10 mln di Euro.

La linea di credito completerà un precedente prestito da 25 mln che la Banca europea per gli investimenti (BEI) aveva concesso a Yerevan (la capitale armena) lo scorso anno. La municipalità di Yerevan utilizzerà il finanziamento per ristrutturare oltre 100.000 metri quadri (m²) di edifici, rivalorizzandoli.

Nello specifico, l’accento è stato posto sulla riduzione del consumo energetico e delle emissioni di anidride carbonica (CO₂). Secondo i piani iniziali, saranno ristrutturati sei policlinici e trentadue asili.

Il nuovo valore degli edifici

Le misure chiave del pacchetto di finanziamenti sosterranno il montaggio dei nuovi involucri degli edifici, la sostituzione delle finestre e l’installazione di caldaie più efficienti. Inoltre, si procederà all’assemblaggio di sistemi solari per l’acqua calda e l’illuminazione a risparmio energetico. Oltreché minimizzare gli sprechi, sarà garantita una migliore abitabilità degli edifici.

Al contempo, l’impegno delle istituzioni comunitarie nei confronti dello Stato asiatico, nel Caucaso meridionale, ha rimarcato la precisa volontà di rafforzare quelle direttrici geoeconomiche. La mole dei lavori che ha pianificato l’Armenia, per altro, potrebbe anche attrarre diversi investitori esteri.

La pluralità delle iniziative energetiche per l’Armenia

L’iniziativa è infatti allineata al Piano economico e di investimento dell’Unione Europea per il Partenariato orientale. Il tutto, in ossequio al contributo attivo nei confronti di ‘Green Yerevan‘ e alla transizione energetica nazionale. È inoltre del progetto Global Gateway della Commissione europea.

L’insieme di queste iniziative ha offerto un sostegno attivo alle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e alle misure di sviluppo sostenibile.

Lo ha ribadito anche il Ministro delle Finanze armeno Vahe Hovhannisyan che ha spiegato: “Il progetto sosterrà gli obiettivi ambientali ed economici a lungo termine dell’Armenia. Si favorirà il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di carbonio e il potenziamento delle infrastrutture pubbliche. Contestualmente si miglioreranno i servizi pubblici essenziali, come la sanità e l’istruzione”.

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Il risveglio del vino armeno: una rivoluzione tra storia e geopolitica (Gamberorosso.it 19.11.24)

Sarà che gli armeni sono un popolo che ha vissuto il peggio – il genocidio del 1915, la dittatura sovietica, la perdita del Nagorno Karabakh; una ferita recente – ma l’energia che emana dal mondo del vino cresce, sale, monta e non si arrende neanche davanti ai cortocircuiti della storia. In cinque anni il settore è letteralmente esploso: piantare una vigna, aprire una cantina, produrre vino, farlo degustare e accogliere i turisti è diventato un investimento remunerativo; oltre che figo, moderno, occidentale e di tendenza. Lo sanno bene nella capitale Yerevan dove spopolano i winebar come InVino, 600 etichette armene; il Decant WineShop&Bar, un localino più intimo su Moskovyan street, cuore della movida; e il Mov, ristorante di design con bella carta di etichette autoctone. 

Un patrimonio millenario tra rischi geopolitici

La matematica, si sa, non è un’opinione: in Armenia il numero di cantine è sestuplicato, erano 25 nel 2019 e già 150 a settembre 2024; sempre che nel frattempo non siano spuntati altri “funghetti”. Perché in larga parte sono piccoli produttori, a volte piccolissimi; vigneron da poche migliaia di bottiglie, a volte centinaia.
Ottimo! Se ci non fossero l’incertezza e l’incognita degli sviluppi geopolitici; nel caso dell’Armenia gli scomodi vicini e i conflitti internazionali. La piccola Repubblica – 2,7 milioni di persone, il primo Paese cristiano al mondo (301 d.C.) – è situata nel Caucaso meridionale.
A est c’è l’Azerbaijan, che nel 2023 ha conquistato l’ultimo lembo di Nagorno Karabakh, dopo due guerre seguite al crollo dell’URSS; di cui entrambe i Paesi facevano parte.
A ovest c’è la Turchia, relazioni gelide e confini chiusi dai tempi del genocidio “negato” di 1,5 milioni di armeni, sotto l’Impero Ottomano. A nord per fortuna c’è la Georgia, in sana competizione soltanto sul vino. A sud, però, c’è l’Iran, buoni rapporti commerciali e diplomatici, ma non certo il posto sicuro del momento. Da Teheran, tra l’altro, arriva gran parte del flusso turistico internazionale; tanti iraniani che qui possono bere “in libertà”. Aggiungi l’influenza e le interferenze della vicina Russia – primo importatore, l’80% dell’export di vino armeno – e capisci che essere artefici del proprio destino è una frase molto bella. 

“La guerra è una preoccupazione costante anche per la viticoltura, perché molti vigneti si trovano vicino ai confini e quindi è molto pericoloso anche soltanto prendersene cura, oltre all’incognita di non sapere con certezza se potremo mantenerli in futuro. Però siamo forti, manteniamo lo spirito giusto e continuiamo a fare il meglio. Siamo certi che i nostri progetti avranno successo”. 

A parlare è Zaruhi Muradyan, direttrice di Vine and Wine Foundation of Armenia (VWFA), a margine dell’ottava Conferenza Internazionale sul Turismo del Vino, organizzata dalle Nazioni Unite (UN Tourism), proprio in Armenia, lo scorso settembre, nel Paese dove l’enoturismo è il fenomeno emergente del post Covid. “Prima non esisteva”, sottolinea la Muradyan, che è anche produttrice con la piccola Zara Wines e figura di punta di un embrione di “donne del vino” armene. La VWFA è invece l’agenzia governativa nata nel 2016 per promuovere la rinascita enologica, innescata a inizio 2000 dagli investimenti dei ricchi armeni “figli” della diaspora (altri 8 milioni nel mondo). Su tutti l’imprenditore “argentino” Eduardo Eurnekian, proprietario di Karas (“anfora”), 400 ettari nella regione vinicola dell’Armavir, vista sul monte Ararat – la “montagna sacra”, da un secolo in territorio turco – e consulenza enologica di Michel Rolland.

Vini naturali e turismo: l’Armenia guarda al futuro

Degustazione Monte Dimats

Il settore vinicolo, con i suoi 16mila ettari e 14 milioni di litri (il doppio del 2014), è oggi controllato da una manciata di grandi cantine. Tra queste l’Armenia Wine Companyfondata nel 2006: con 12 milioni di bottiglie tra vino, cognac e brandy, la più grande e l’unica con un wine museum. Un’altra è Armas, della famiglia Aslanyan, 100 ettari di vigne tra 700 e 1.800 metri d’altezza, e consulenza dell’enologo italiano Emilio Del Medico. E ancora: Noa, dello svizzero Jakob Schuler, già azionista di maggioranza al Castello di Meleto, a Gaiole in Chianti, folgorato dai vini di uve areni sulle vie del Vayots Dzor, l’area più pregiata e soleggiata, un terroir ricco di argilla e pre-fillosserico, con altitudini tra i 1.200 e 1.800 slm. In questa regione nel 2007 fu scoperta tra l’altro dagli archeologi la cantina più antica del mondo: la grotta di Areni, con anfore e reperti del 4.100 a.C. 

Grotta Areni

Troviamo poi tante piccole e giovani aziende, mosse dalla voglia di fare e da un senso di riscatto e recupero di una tradizione millenaria, interrotta soltanto sotto il dominio sovietico (1921-1991), quando Stalin puntò sulla Georgia per il vino e sull’Armenia per il cognac e i distillati. Fu espiantato allora un ricco patrimonio di autoctoni per far posto alle uve bianche kangoun. Tra le varietà sopravvissute, in maggioranza uve da tavola, 31 oggi sono quelle vinificate: a parte la rossa areni e la bianca voskehat, tanti vitigni dai nomi difficili, haghtanakkhndoghnikhatoun kharji e altre fertili materie prime per cantine come Trinity, ex boutique winery nata nel 2016. Produce 100mila bottiglie – la metà per vigneron privi di macchinari – e qualche migliaio di ancestrali in anfora, senza lieviti aggiunti. L’enologo Artem Parseghyan “si diverte” a far ascoltare ai vini musica classica e spirituale in fase d’affinamento, rock e Pink Floyd in fermentazione.

Hrachya, Samvel e Aram Machanyan

Il filone degli autoctoni e dei naturali è cavalcato anche da Alluria Wines, dei fratelli Hrachya, Samvel e Aram Machanyan, tempo fa andati in Turchia orientale a cercare il vigneto del nonno, nella terra perduta con la pulizia etnica del 1915-16, e riportare a casa qualche barbatella. I tre facevano un altro mestiere e giocavano con il vino, poi nel 2017 la “svolta imprenditoriale” e la consulenza di enologi georgiani. Oggi fanno enoturismo e 42mila bottiglie, tra cui un rosso da uve del Nagorno Karabakh: il khndoghni (“che ci sia la gioia”), un paradosso etimologico a vedere come è andata con l’Azerbaijan. Partita chiusa: 120mila profughi a settembre 2023 scappati dall’ultimo lembo di terra contesa.
C’erano pure le vigne di Grigori Avetissyan, vignaiolo-combattente in prima linea, “ritiratosi” in Armenia con Kataro Wine. Gli islamici azeri gli hanno postato i video di sfregi e sversamenti di vasche e botti. Il vino è proprio una bevanda da cristiani. 

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ARMENIA: Trump e le relazioni con gli Stati Uniti (Eastjounal 19.11.24)

Di Denise Gislimberti

La recente elezione di Donald Trump negli Stati Uniti ha suscitato un’ampia attenzione a livello globale, soprattutto nello spazio post-sovietico, dove molti paesi seguono con interesse i possibili cambiamenti nella politica estera americana.

America e Armenia

In Armenia, l’opinione pubblica appare divisa, soprattutto a causa della presenza importante di propaganda russa nel paese. Da un lato, una parte ha visto in Kamala Harris un positivo continuum rispetto all’amministrazione Biden. D’altra parte, chi è più orientato verso la Russia vede una presidenza democratica come un pericoloso incentivo al distacco da Mosca e all’avvicinamento all’Occidente. Questa fetta preferisce quindi una presidenza repubblicana, ritenendo che Trump, con il suo pragmatismo, potrebbe allinearsi meglio agli interessi di Putin.

La domanda resta: in che modo i risultati delle elezioni americane influenzeranno l’ambiente geopolitico dell’Armenia, le sue relazioni con i principali alleati e le sue ambizioni nel Caucaso meridionale?

Le promesse elettorali di Trump

Durante la campagna elettorale, Donald Trump ha menzionato esplicitamente la questione armena e lodato la comunità armena americana, per accattivarsene il sostegno. Le sue promesse includevano l’impegno a “proteggere i cristiani perseguitati, fermare la violenza e la pulizia etnica e stabilire la pace tra Armenia e Azerbaigian”. Inoltre, il neoeletto Presidente ha cercato di manifestare il proprio sostegno anche in occasione di una telefonata con Sua Santità Aram I, il Catholicos della Grande Casa di Cilicia. Durante la conversazione, Trump ha ribadito il suo sostegno agli armeni di Artsakh (Nagorno-Karabakh), impegnandosi per la pace regionale. Aram I ha espresso gratitudine per il sostegno e ha sottolineato l’importanza vitale della leadership globale degli Stati Uniti in questo momento critico. Ha condiviso le sue aspettative per una maggiore attenzione alla questione dell’Artsakh sotto una nuova amministrazione, per quanto riguarda le garanzie internazionali per la sicurezza e lo status del Nagorno Karabakh, nonché la responsabilità azera per la ‘pulizia etnica’ avvenuta nell’ottobre 2023.

Tuttavia, in Armenia, queste dichiarazioni sono state accolte con cautela, specialmente alla luce dell’approccio passato dell’ex presidente alle questioni estere. Molti ricordano infatti il mancato supporto dell’amministrazione Trump ad un dialogo per la risoluzione pacifica a seguito della guerra del 2020 tra Armenia e Azerbaigian, conflitto che si concluse con una devastante sconfitta per i primi. Una buona fetta dell’opinione pubblica, dunque, dubita che la rielezione porterà un supporto concreto, ma che piuttosto rappresenti un rischio, poiché si teme ciò possa favorire la già solida posizione azera.

Il partenariato strategico tra Armenia e USA

Nel corso degli anni, gli Stati Uniti hanno supportato lo sviluppo democratico dell’Armenia, contribuito alla sua economia e affrontato questioni storiche delicate. Una delle mosse più significative è stata il riconoscimento ufficiale del genocidio armeno da parte dell’amministrazione Biden nel 2021, decisione che ha avuto una profonda risonanza in Armenia.

I due paesi hanno firmato vari accordi, che riflettono l’interesse dell’Armenia nel diversificare le sue partnership internazionali. Questa cooperazione ha portato a notevoli investimenti americani, rafforzando le potenzialità per futuri legami economici e diplomatici, anche grazie alla forte influenza della diaspora armena presente negli Stati Uniti. Negli ultimi anni, il governo armeno, guidato da Nikol Pashinyan e dal partito Contratto Civile, ha inoltre adottato una linea di politica estera volta ad ottenere una maggiore autonomia da Mosca. Tuttavia, dato l’atteggiamento complesso di Trump, l’Armenia potrebbe assistere ad un raffreddamento in specifiche aree di collaborazione. L’eventualità di un riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia è un altro fattore che può complicare ulteriormente la politica estera armena. Scenario che, infatti, potrebbe rallentare o persino ostacolare il processo di integrazione occidentale del paese, costringendo l’Armenia a rivedere il suo percorso di allontanamento dall’influenza russa. Se gli Stati Uniti consentissero a Mosca di rafforzare la sua posizione nello spazio post-sovietico, l’Armenia potrebbe trovarsi in una situazione precaria. Una Russia priva di contrappesi occidentali potrebbe rafforzare la sua influenza su quest’ultima, limitando la capacità del paese di perseguire politiche estere indipendenti.

Cosa ci riserva il futuro?

Mentre l’Armenia guarda al futuro, l’incertezza persiste. L’attuale contesto geopolitico suggerisce diversi scenari possibili, ma non è chiaro quale strada prevarrà. Per l’Armenia, questo è un momento di opportunità ma anche di rischio. Rafforzare le partnership sia con gli Stati Uniti sia con la Russia potrebbe offrire all’Armenia una maggiore leva, ma l’equilibrio delicato che deve mantenere potrebbe rapidamente inclinarsi di fronte a pressioni esterne. In mezzo a queste dinamiche globali e regionali, le priorità interne dell’Armenia restano chiare. In cima all’agenda vi è il desiderio di garantire una pace duratura con l’Azerbaigian e di formalizzare le relazioni diplomatiche con la Turchia. Questi obiettivi si allineano con la strategia più ampia dell’Armenia per stabilizzare la regione e migliorare la crescita economica. Il ministro dell’economia armeno ha sottolineato l’importanza di mantenere relazioni calorose con gli Stati Uniti. Ha rassicurato il pubblico che, indipendentemente dai cambiamenti nel panorama politico statunitense, le relazioni sono radicate in valori condivisi e interessi comuni, e che il partenariato strategico del paese con Washington è destinato a durare. Tuttavia, l’esito di questi sforzi dipenderà non solo dalle sue decisioni, ma anche dall’evoluzione delle politiche dei poteri globali come Stati Uniti e Russia.

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Anush Babajanyan Acque maltrattate vincitore del Premio Romano Cagnoni (photoluxfestival 18.11.24)

Luogo: Palazzo Guinigi, Via Guinigi, 29

Giorni e orari di apertura:
Lunedì – Giovedì dalle 15:00 alle 19:00
Venerdì – Domenica dalle 10:00 alle 19:00

La scarsità d’acqua in Asia Centrale è il punto di partenza del viaggio di Anush Babajanyan lungo le rive dei fiumi Syr-Darya e Amu-Darya, dalle loro foci nel Mar d’Aral alle loro sorgenti nel cuore delle montagne, attraversando i quattro Paesi dell’area indagata: Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan. Una situazione sconosciuta, che questo lavoro ha portato al centro dell’attenzione internazionale, con una lunga ricerca incentrata sulle conseguenze che la carenza di risorse idriche e l’assenza di politiche di gestione anti-spreco hanno sull’ambiente e sulla popolazione, cui si aggiunge l’impatto della crisi causata dai cambiamenti climatici. Nel corso degli anni, Anush è entrato in contatto diretto con le persone, testimoniandone i diversi aspetti della vita quotidiana e dell’aggregazione, con una rara capacità di ascolto, le preoccupazioni e le speranze per un futuro molto incerto e il dramma di possibili conflitti tra popoli che da sempre vivono in armonia. E con le persone, l’autore si sofferma a lungo, facendo emergere la loro capacità di adattamento e la loro volontà di trovare soluzioni per il cambiamento, per salvaguardare l’ecosistema e garantirne le prospettive future.
Battered Waters è stato riconosciuto dalla Giuria, presieduta da Patricia Franceschetti
Cagnoni, come: «Il progetto a lungo termine che ha interpretato con originalità e sensibilità il tema di questa edizione. Una serie fotografica che documenta la grave crisi idrica che colpisce quattro Paesi dell’Asia centrale, senza sbocchi sul mare e che soffrono di scarsità d’acqua, concentrandosi sulla questione ambientale – come questione cruciale del nostro tempo ed elemento essenziale per gli esseri viventi – e facendo emergere allo stesso tempo l’umanità e la resilienza delle persone che lottano per sopravvivere.
La dedizione e la perseveranza dell’autore trasmettono messaggi profondi attraverso le fotografie, capaci di renderci consapevoli».

BIOGRAFIA
La fotografa armena Anush Babajanyan è membro della VII Photo Agency e National Geographic Explorer. Anush concentra il suo lavoro su narrazioni sociali e storie personali. Oltre a lavorare ampiamente nel Caucaso meridionale, continua a fotografare in Asia centrale e in tutto il mondo. Anush Babajanyan ha recentemente pubblicato il suo libro sul Nagorno-Karabakh, intitolato A Troubled Home.
Anush è la vincitrice del Canon Female Photojournalist Grant 2019 e una vincitrice del Prix Photo Terre Solidaire. Ha vinto nella categoria Long Term Projects del World Press Photo 2023 Contest. Le sue fotografie sono state pubblicate su The New York Times, Washington Post, National Geographic, Foreign Policy Magazine e altre pubblicazioni internazionali.

Pasinyan e la nuova Armenia dal ‘volto pulito’ (Asianews 18.11.24)

Per la prima volta dalla “rivoluzione di velluto” del 2018 il premier armeno si è mostrato con il volto rasato dalla barba. Un gesto per ammiccare alla necessità di “riportare a zero” il Paese, un’espressione da lui usata sempre più spesso per invitare a “guardare all’Armenia reale e non al Paese dei sogni”.

Erevan (AsiaNews) – Il premier armeno Nikol Pašinyan ha compiuto il gesto simbolico di radersi la barba, per la prima volta dalla “rivoluzione di velluto” del 2018, diffondendo anche un video molto ad effetto in stile TikTok, con il trucco dell’asciugamano che si scopre sulla barba e quindi sul viso ripulito, per indicare la “necessità di ripartire da zero nella costruzione della statualità dell’Armenia”. Tutti sono rimasti piuttosto spiazzati, essendo l’immagine del “barbuto Pašinyan” molto legata al percorso che aveva compiuto per tutto il Paese, radunando i suoi sostenitori per riuscire infine a raggiungere il potere con il suo movimento dell’Accordo Civile, confermandolo poi nelle competizioni elettorali successive.

Qualcuno pensa che Pašinyan abbia anche voluto marcare la differenza con il volto attuale dell’opposizione nei suoi confronti, il vescovo Bagrat Galstanyan dalla caratteristica barba monastica, che dalla sua diocesi periferica di Tavowš, ai confini con l’ostile Azerbaigian, ha compiuto a sua volta un pellegrinaggio popolare fino a Erevan, per radunare i “patrioti” che chiedono le dimissioni del primo ministro. Come hanno commentato alcuni osservatori, il taglio della barba (con l’occhiolino finale) nelle consuetudini dei maschi armeni si fa dopo una forte perdita alle carte, oppure per essere stato superato in qualche altro tipo di competizione.

Non avendo aggiunto parole di spiegazione al video, Pašinyan ha inteso ammiccare alla necessità di “riportare a zero” l’Armenia, un’espressione da lui usata sempre più spesso per intendere che “bisogna guardare all’Armenia reale, non al Paese dei sogni che fuoriesce dai propri territori”. Il dibattito riguarda direttamente le relazioni con l’Azerbaigian e l’occupazione del Nagorno Karabakh, l’ultimo trauma vissuto in conseguenza di un conflitto trentennale, ma la visione di Pašinyan si rivolge all’intera coscienza storica armena, sempre troppo legata all’antico passato di un popolo che riempiva i territori dell’Asia romana, prima dell’arrivo dei turchi ottomani.

La mattina prima di radersi il viso, il premier aveva definito “una grande tragedia” la dichiarazione di indipendenza del 1990, in cui si elencano i territori che costituiscono l’integrità territoriale dell’Armenia ex-sovietica, comprendendo le parti contese con l’Azerbaigian, ciò che oggi costituisce il principale ostacolo alla conclusione delle trattative di pace con Baku. Ai tempi sovietici la repubblica dell’Armenia era separata dal “Distretto autonomo del Nagorno Karabakh”, ripreso con la forza nel 1992.

Per spiegare la sua posizione, Pašinyan aveva aggiunto nel discorso al parlamento di Erevan che “la nostra mentalità sociale collettiva, la nostra psicologia sociale, oggi è di fatto contraria a un’autentica concezione della statualità, inconsciamente ognuno di noi si pone contro lo Stato”. Il problema è che negli ultimi 600 anni, l’Armenia ha goduto dell’indipendenza soltanto negli ultimi 35, e la “mentalità antistatale” si è formata quando non c’era lo Stato ed “eravamo soltanto una colonia”, mentre oggi il 49enne leader del governo propone di “ripulirsi” non solo il volto, ma la coscienza stessa.

All’Armenia a suo parere serve una nuova Costituzione, non soltanto per togliere le espressioni sgradite agli azeri, ma rendere il Paese “realmente in grado di proporsi e di concorrere nelle nuove condizioni geopolitiche”. Oltre alla conclusione definitiva delle trattative con l’Azerbaigian, il governo armeno sta cercando infatti di stringere rapporti con tanti Paesi dell’Asia (a cominciare dall’India) e dell’Europa, con un rapporto privilegiato con la Francia, e soprattutto con la Turchia, superando le antiche ostilità e mettendo in secondo piano anche la storica diatriba sul genocidio degli armeni di oltre un secolo fa.

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Il Papa riceve il primo ministro dell’Armenia (Vaticanews 118.11.24)

Nikol Pashinyan oggi in udienza nel Palazzo Apostolico vaticano. Al Pontefice ha donato “Il libro delle Lamentazioni” di San Gregorio di Narek, Francesco ha ricambiato con una scultura dal titolo “Tenerezza e Amore” che ritrae San Francesco d’Assisi, simbolo di pace e rispetto per l’umanità e la natura, accanto ad un’immagine del mondo minacciato dall’inquinamento

Vatican News

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina, 18 novembre, in udienza nel Palazzo Apostolico vaticano il primo ministro di Armenia, Nikol Pashinyan, accompagnato dal seguito. Il colloquio riservato, nella Sala della Biblioteca, è durato mezz’ora, dalle 8.55 alle 9.25.

Al termine della conversazione è seguito il tradizionale scambio di doni. Pashinyan ha consegnato al Papa “Il libro delle Lamentazioni” di San Gregorio di Narek, monaco cristiano, teologo e mistico venerato come santo dalla Chiesa apostolica armena e dalla Chiesa cattolica. Il volume ha una copertina lavorata a mano in oro, opera di artigiani orafi armeni.

Il Papa e il premier armeno Pashinyan durante lo scambio dei doni
Il Papa e il premier armeno Pashinyan durante lo scambio dei doni

Francesco ha ricambiato con i volumi dei documenti papali e il Messaggio per la Pace del 2024, insieme ad un’opera in terracotta dal titolo “Tenerezza e amore”. Si tratta di una scultura che ritrae da una parte la figura di San Francesco d’Assisi, simbolo di pace e rispetto per l’umanità e la natura, e dall’altra accanto l’immagine di un mondo minacciato dall’inquinamento. È realizzata con la tecnica di ingobbio che dona alla terracotta una finitura liscia e levigata, simile al cuoio, esaltata da una patina a cera. L’opera d’arte esprime il messaggio di amore e custodia del creato, ispirato alle parole proprio del Papa nella sua omelia del 19 marzo 2013 per la Messa di inizio pontificato: “Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza!”.

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Gaza, l’arcivescovo armeno Barsamian sulle parole di Papa Francesco: «Ha ragione a parlare di genocidio» (Ilmessaggero 18.11.24)

«Ritengo che il Papa abbia fatto bene a sollevare il dubbio e a parlare di genocidio. Del resto ogni giorno leggiamo sui giornali di migliaia e migliaia di persone innocenti, donne e bambini, che muoiono a Gaza a causa dei bombardamenti a tappeto». A parlare è l’arcivescovo armeno Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa apostolica armena presso la Santa Sede all’inaugurazione di un importante convegno internazionale alla pontificia università Angelicum dedicato alla preservazione dei siti cristiani in Artsakh. Le parole del prelato arrivano il giorno dopo la riflessione di Papa Francesco sulla necessità, da parte della comunità internazionale, di fare luce e valutare se quello che sta accadendo nella Striscia possa effettivamente rientrare nella fattispecie genocidiaria. Una posizione che, proprio ieri, ha sollevato l’immediata reazione di protesta da parte della diplomazia di Israele («Il 7 ottobre 2023 c’è stato un massacro genocida di cittadini israeliani e da allora Israele ha esercitato il proprio diritto di autodifesa contro i tentativi provenienti da sette diversi fronti di uccidere i suoi cittadini. Qualsiasi tentativo di chiamare questa autodifesa con qualsiasi altro nome significa isolare lo Stato ebraico»).

Quindi anche per lei è in corso un genocidio…

«Anche se è una guerra contro il terrorismo i civili dovrebbero essere protetti.

Ed è proprio questo aspetto che ci porta a dire, visti i numeri ormai insopportabili, che potrebbe effettivamente esserci una sorta di genocidio in atto».

 

Lei intravede similitudini tra il genocidio del popolo armeno, accaduto oltre cento anni fa e costato la vita a quasi due milioni di persone, con quello che avviene oggi in Medio Oriente?

«E’ differente tuttavia c’è sempre gente innocente che muore. Allora fu la leadership ottomana a pianificare la distruzione della minoranza armena mentre oggi, da quello che si vede, Israele pur cercando di proteggere i suoi cittadini attacca civili, per esempio colpendo anche ospedali o altri luoghi dove ci sono dei bambini. Questo solleva ragionevoli dubbi».

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In questo convegno internazionale dedicato alla preservazione dei siti cristiani in Artsakh lei ha parlato di genocidio culturale. Perchè?

«A dire il vero ne ha parlato anche l’Onu con una Risoluzione. La distruzione dei simboli, in questo caso dei simboli cristiani, è qualcosa che non dovrebbe mai accadere. E’ terribile oggettivamente. Si tratta di chiese, monasteri e altri luoghi sacri. A questo si aggiunge il fatto che circa 120 mila persone sono dovute fuggire a causa della guerra e ora speriamo che possano davvero fare ritorno sulle terre dei loro antenati. La diplomazia sta lavorando in questo senso. Speriamo davvero, me lo auguro».

Quanto è importante la memoria per un popolo?

«La memoria è parte integrante di ognuno di noi. Ci determina. La memoria di un popolo, a maggior ragione, non può essere messa da parte o dimenticata. Il genocidio degli armeni, per esempio, è qualcosa che certamente ha radici lontane nel tempo, si parla di fatti accaduti più di cento anni fa, eppure resta qualcosa di strettamente legato ad ogni armeno nel mondo persino oggi, e le nuove generazioni hanno le memorie familiari di nonni o bisnonni sopravvissuti. Quindi si capisce che c’è sempre un legame, un filo che connette eventi apparentemente distanti, eppure integrati ancora nella vita di noi armeni con quello che è successo. Ricordare poi è un processo che unisce sia il popolo armeno, sia quello turco. Le nuove generazioni turche ovviamente non sono responsabili di quello che accadde nel 1915 ma si dovrebbe avere coraggio per riconoscere la storia. E ricordare rende sempre più forti e non più deboli. Realisticamente bisogna pure dire che tanti turchi non conoscono bene gli eventi passati perchè non vengono insegnati nelle scuole. Tuttavia il loro riconoscimento aiuterebbe certamente nelle relazioni tra i popoli. La repubblica di Armenia specialmente ultimamente sta cercando di creare relazioni con lo stato turco, ed è un processo in divenire, e speriamo che vada avanti. Si tratta di mettere sul tavolo tutte le questioni e affrontarle per risolverle. Ogni cosa è possibile e speriamo che un giorno accada».

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Le realtà contrastanti della Cop29 e i confini delle rivalità globali (Notiziegeopolitiche 18.11.24)

I passi falsi dell’occidente.
In un’era in cui le alleanze e le rivalità globali si spostano a velocità senza precedenti, l’occidente sembra aver perso di vista le vere minacce all’ordine internazionale, sempre che tale ordine sia veramente desiderabile o realizzabile. Invece di identificare e affrontare le crescenti coalizioni tra stati autoritari e antidemocratici, le potenze occidentali hanno spesso descritto erroneamente alcuni attori come partner o minimizzato i rischi che essi rappresentano. Tuttavia, mentre i regimi autocratici si uniscono, un preoccupante asse di influenza minaccia di rimodellare il tessuto politico entro e oltre l’Eurasia.
In prima linea in questo allineamento emergente ci sono nazioni come Russia e Bielorussia, i cui legami politici e militari con Turchia e Azerbaigian costituiscono una solida base per l’autoritarismo. Insieme questi stati si oppongono agli ideali democratici dell’Europa e per estensione ai valori democratici a livello mondiale. Senza controllo, mettono da parte i principi liberali a favore di un potere e di un’influenza consolidati. Anche lo stato di Israele ha dato il suo sostegno, criticato per azioni percepite come alimentanti politiche aggressive che indeboliscono le popolazioni autoctone nel perseguimento dei suoi obiettivi strategici.
Da nessuna parte questa dinamica è più evidente che nella relazione tra Israele e Azerbaigian. Gli stretti legami di Israele con Baku offrono al regime azerbaigiano supporto militare e conoscenza tattica, abilità che, secondo gli analisti, hanno incoraggiato Baku nella sua posizione contro l’Armenia, facendo eco alle tattiche viste nel conflitto israelo-palestinese. Con la Turchia che funge da sostenitore storico e ideologico dell’oppressione delle popolazioni autoctone locali, un’alleanza inequivocabile sembra favorire l’instabilità e erodere ogni speranza per un pacifico equilibrio regionale.

Un contrappunto complesso.
L’Iran nel frattempo costituisce un contrappunto notevole nella sua complessità a queste potenze emergenti. Nonostante la repressione interna e le continue sfide ai diritti umani all’interno dei suoi confini, l’Iran è emerso come un attore relativamente stabile per i suoi cittadini, se non necessariamente un alleato del liberalismo. Il suo isolamento politico e il conservatorismo religioso ne limitano l’attrattiva, ma man mano che le forze autocratiche guadagnano forza a nord e a ovest, il ruolo dell’Iran nell’equilibrio regionale merita un’attenta rivalutazione.
In questo intricato panorama geopolitico, è imperativo che l’occidente riesamini le sue alleanze e riconosca le minacce più gravi all’ordine democratico. Con una più profonda consapevolezza di queste dinamiche mutevoli, la comunità internazionale può fare passi avanti verso un quadro globale più equilibrato e giusto.

L’allarmante alleanza: sostegno ai dittatori nella campagna contro gli armeni.
In una svolta preoccupante l’Italia ha scelto di allinearsi con i regimi autoritari in una massiccia campagna contro gli armeni, in seguito alla devastante pulizia etnica di 120mila armeni dell’Artsakh, il Nagorno-Karabakh, nel settembre 2023. In un momento in cui la vera democrazia si riflette nella protesta globale delle iniziative civiche e nel sostegno ecumenico delle chiese cristiane agli armeni, ancora una volta privati di una parte della loro patria storica, questa posizione è non solo scoraggiante, ma pericolosa e grave.
L’Azerbaigian rappresenta uno dei “punti più bui” del mondo per i diritti umani, un “buco nero” in cui il vero attivismo civico è praticamente inesistente. Per crudele ironia, le uniche manifestazioni pubbliche sono state orchestrate dai servizi speciali di Baku, in particolare il blocco totale nel dicembre 2022 del Corridoio di Lachin, che collegava direttamente la popolazione dell’exclave dell’Artsakh al territorio della Repubblica d’Armenia. Questa messinscena è stata progettata per isolare e terrorizzare la popolazione armena dell’Artsakh nel periodo precedente all’assalto finale dell’Azerbaigian, culminato nell’esodo forzato degli armeni dalla loro terra ancestrale.

Eventi contrastanti in simultaneità.
Come anticipato, l’Azerbaigian ha sfruttato ancora una volta la COP29 come piattaforma per la propaganda anti-armena, portando avanti programmi di estrazione di combustibili fossili che sono in diretta opposizione a ogni principio ambientale. La dittatura si è assicurata il diritto di ospitare l’evento internazionale, in parte grazie alla decisione dell’Armenia di rinunciare alla propria candidatura di ospitarlo. Eppure, invece di esprimere gratitudine, il leader del regime autocratico si è vantato della pulizia etnica dell’Artsakh, per poi rivolgere una serie di accuse infondate contro l’Armenia.
Il rappresentante del ministro degli Esteri dell’Azerbaijan Hajizada, capo del dipartimento del servizio stampa, è arrivato addirittura ad accusare l’Armenia di inquinare il Mar Caspio attraverso piccoli corsi d’acqua che sfociano nel fiume Arax, nonostante questi corsi d’acqua provengano da centinaia di chilometri di distanza. Neppure una volta però ha menzionato i decenni di inquinamento sistematico provocato dall’industria estrattiva del petrolio in Azerbaigian, che continua a devastare il bacino del Caspio.
Chiaramente, la COP29 è diventata una presa in giro dell’ambientalismo, poiché la nazione ospitante ha uno dei peggiori record al mondo in materia di diritti umani.
In netto contrasto, voci di spicco e veri attivisti ambientali come Greta Thunberg in questi giorni sono in visita in Armenia. Durante una conferenza internazionale tenutasi all’Università Americana dell’Armenia, Thunberg ha denunciato la COP29 attualmente in corso a Baku, come nient’altro che “greenwashing”, evidenziando l’assurdità di ospitare una conferenza ambientale in uno Stato autoritario che non solo è complice della distruzione del pianeta, ma anche responsabile della pulizia etnica contro gli armeni.
Gli ambientalisti hanno manifestato davanti alla rappresentanza dell’Onu a Yerevan e si sono recati anche nella città in prima linea di Jermuk, gran parte della quale è sotto l’occupazione illegale delle forze turche-azere.
Ricordiamoci che quattro anni dopo la seconda guerra del Karabakh, dozzine di prigionieri di guerra armeni rimangono illegalmente detenuti in Azerbaigian. Queste detenzioni sfidano ogni principio del diritto internazionale e ignorano palesemente l’accordo trilaterale del 9 novembre, che ha “provvisoriamente” posto fine al conflitto armato.
Dunque, la COP29 di quest’anno è maggiormente uno spettacolo di “greenwashing”, che funge da ulteriore strumento di branding e propaganda esercitato da una dittatura ereditaria. È una realtà inquietante che le piattaforme climatiche globali, apparentemente destinate ad affrontare le crisi ambientali, stiano invece sostenendo i combustibili fossili e altre “soluzioni” ecologicamente dannose. Inoltre, scegliendo la capitale di questa dittatura neo-ottomana come ospite, la piattaforma rischia di diventare complice della propaganda razzista, mettendo a tacere i diritti umani e dando un nuovo marchio ad un regime dittatoriale che, solo un anno fa, ha espulso la popolazione autoctona armena dell’Artsakh dalla propria patria impiegando strategie palesemente genocide e usando armi vietate come bombe a grappolo e fosforo bianco forniti anche dall’Ucraina.

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