Aliyev è peggio di Putin (altro che “partner affidabile dell’Ue”) (Tempi.it e altri 08.02.24)

Almeno Vladimir Putin un vero sfidante alle elezioni in Russia, il cui esito è comunque scontato, potrebbe averlo (Boris Nadezhdin sembra fare sul serio). Il “partner affidabile dell’Ue” (copyright Ursula von der Leyen) Ilham Aliyev invece neanche quello. Al plebiscito andato in scena ieri in Azerbaigian, che non ha nulla a che fare con la democrazia, i due principali partiti di opposizione non hanno neanche partecipato. Il trionfo era scontato per il dittatore al potere da più di 20 anni, dopo i dieci del padre Heydar, ex presidente del Kgb e primo segretario del Comitato centrale del Partito comunista dell’Azerbaigian sovietico.

«Le elezioni sono un insulto alla democrazia»

Il leader del partito Musavat, Arif Hajili, ha spiegato così all’Associated Press la decisione di non partecipare alla corsa elettorale: «Molti giornalisti e attivisti politici sono in carcere. Ci sono più di 200 prigionieri politici. Ci sono gravi problemi con la legge elettorale e le commissioni elettorali sono sostanzialmente sotto l’influenza delle autorità».

Anche Ali Karimli, a capo del Fronte del popolo dell’Azerbaigian, ha definito inutile la partecipazione alla glorificazione del dittatore Aliyev: che senso ha partecipare a un voto anticipato senza dibattiti pubblici? «Queste elezioni sono un insulto alla democrazia».

L’umiliazione degli armeni come programma

Il voto si sarebbe dovute svolgere nel 2025, ma nello scorso dicembre Aliyev ha deciso di anticiparlo al 7 febbraio, lasciando poco più di un mese di tempo per la campagna elettorale. L’obiettivo del dittatore è ottenere percentuali bulgare alle urne, capitalizzando il sostegno della popolazione galvanizzata dalla recente invasione del Nagorno-Karabakh, che ha obbligato 120 mila armeni a scappare dalle proprie case e ad abbandonare la propria terra. A ben vedere, l’umiliazione degli armeni è il suo unico programma elettorale.

Aliyev non ha nulla da temere: nessuno gli rinfaccerà i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti a danno degli armeni, dal momento che i quattro sfidanti non fingono neanche di offrire un’alternativa politica, ma sono talmente spudorati da fare apertamente campagna elettorale per lui.

Aliyev fa arrestare tutti gli oppositori

Nonostante sia senza sfidanti, poiché la paranoia è il marchio di fabbrica dei dittatori, Aliyev ha aumentato la repressione di ogni tipo di dissenso negli ultimi mesi. Da novembre, sottolinea Amnesty International, le autorità di Baku hanno arrestato 13 dissidenti, tra i quali giornalisti, oppositori politici e un difensore dei diritti umani. Undici di loro sono tuttora in carcere sulla base di false accuse. Altri, soprattutto giornalisti, sono scampati all’arresto autoesiliandosi all’estero.

In particolare sono stati arrestati otto giornalisti, e perseguitati i loro parenti, del portale indipendente Absaz, uno dei pochissimi che ancora realizza inchieste sulla corruzione dei politici al potere. Uno dei casi più eclatanti è quello di Ofelya Maharramova (madre del direttore del giornale, Sevinj Vagifgizi, attualmente in carcere), alla quale le autorità hanno bloccato i conti bancari, congelandole la pensione e impendendole di pagare le cure mediche di cui ha urgente bisogno.

Aliyev calpesta la bandiera armena del Nagorno-Karabakh dopo l'invasione dell'Artsakh
Aliyev calpesta la bandiera armena del Nagorno-Karabakh dopo l’invasione dell’Artsakh (Ansa)

L’Azerbaigian perseguita i giornalisti

I giornalisti che osano criticare il regime e sono costretti a scappare dall’Azerbaigian, dove la libertà di espressione e di stampa sono state azzerate, non sono al sicuro nemmeno all’estero. Come riportato da Rferl, i tanti reporter fuggiti in Georgia dopo essere stati minacciati, picchiati, torturati e in alcuni casi arrestati, vengono presi di mira da criminali «che parlano con l’accento azero» anche a Tbilisi.

In base alla classifica World Press Freedom Index, l’Azerbaigian si trova tra i 30 paesi che più perseguitano i giornalisti. Nel sultanato di Aliyev «non esistono più programmi televisivi o radiofonici indipendenti e tutti i giornali cartacei che criticano il governo sono stati chiusi».

Anche la popolazione è ridotta al silenzio quando osa criticare il regime.  Elmaddin Shamilzade, uno dei tanti reporter scappati in Georgia, è fuggito l’anno scorso dopo aver cercato di dare voce alla protesta dei residenti di Soyudlu, un piccolo villaggio dell’Azerbaigian occidentale che si è rivoltato contro le autorità dopo l’ennesimo disastro ambientale. I cittadini sono stati messi a tacere con la forza, Shamilzade è stato arrestato e torturato.

Aliyev non è diverso da Putin

Quando si parla di repressione dei diritti umani, crimini di guerra e calpestamento del diritto dei popoli all’autodeterminazione, insomma, Aliyev non si distingue affatto da Putin. Ma l’Ue, Italia in testa, ha deciso ugualmente di gettarsi tra le sue braccia per rifornirsi di quel gas che dopo l’invasione dell’Ucraina non può più acquistare da Mosca.

Aliyev sa di essere indispensabile a Bruxelles e non nasconde la sua arroganza: dopo l’invasione del Nagorno-Karabakh minaccia apertamente l’Armenia nella consueta indifferenza della comunità internazionale, che continua a vezzeggiarlo nei modi più svariati.

Dopo l’imbarazzante fallimento della Cop28 a Dubai, ad esempio, l’Onu ha regalato al petroliere Aliyev, che di crimini ambientali se ne intende come pochi, l’organizzazione della Cop29, nonostante l’Azerbaigian ricavi dal gas e dal petrolio i due terzi delle sue entrate (più dei tanto criticati Emirati arabi uniti).

Il “partner affidabile dell’Ue”

Il “partner affidabile dell’Ue” si appresta a governare per un quinto mandato grazie alle modifiche alla Costituzione fatte approvare nel 2009, con le quali ha abolito il limite dei mandati presidenziali, come Xi Jinping in Cina. Citare la percentuale di voti ottenuta dal dittatore alle elezioni di ieri è totalmente inutile e un aneddoto risalente a dieci anni fa capire bene perché.

Nel 2013 la Commissione elettorale centrale dichiarò sulla sua app Aliyev vincitore delle elezioni con il 72,76% dei voti. La popolazione è abituata alle percentuali bulgare ottenute dal dittatore, quella volta però i risultati fecero clamore dal momento che furono pubblicati il giorno precedente all’apertura dei seggi. Le goffe scuse della Commissione per l’errore «tecnico» non convinsero nessuno. Il trionfo di Aliyev fu annunciato ufficialmente il giorno successivo, in serata, con l’84,5% delle preferenze.

@LeoneGrotti

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Azerbaijan, rieletto Aliyev: presidente col 92% dei voti (TgSky24)


Elezioni in Azerbaijan, Aliyev si conferma presidente con il 92 per cento dei consensi (Repubblica)


Il presidente azero Ilham Aliyev rieletto per un quinto mandato (Internazionale)

“Visibili/invisibili, storie di popoli e persone”: lo sguardo del fotogiornalismo oltre le apparenze (LaStampa 08.02.24)

VARESE. Dall’11 febbraio al 3 marzo 2024, Villa Pomini a Castellanza (Varese) ospita tre mostre dedicate al fotoreportage, evento apripista della 12esima edizione del Festival Fotografico Europeo curato da Claudio Argentiero.

Le esposizioni – con le immagini di Roberto TravanGiovanni MereghettiReza Khatir e Ugo Panella – sono state organizzate dall’Archivio Fotografico Italiano con il patrocinio del Comune di Castellanza, nell’ambito di Filosofarti – Festival di Filosofia. I temi affrontati anticipano quelli del prossimo Festival Fotografico Europeo (dal 16 marzo al 25 aprile) con l’obiettivo di «affondare lo sguardo oltre le apparenze per dare evidenza all’invisibile – dal punto di vista ecosistemico, sociale, culturale, etico e teologico, attraverso diverse forma di analisi e di espressione artistica – e costruire a livello comunitario forme di vita, di relazioni generative e antropiche», spiega il curatore.

Nagorno Karabakh, la pace tradita
È il progetto a lungo termine iniziato nel 2016 da Roberto Travan nella piccola enclave stretta fra Armenia e Azerbaijan, nel Caucaso del Sud. La storia di un popolo costretto a difendere le sue radici e la sua stessa esistenza dall’aggressione dell’Azerbaijan: la Guerra per l’Indipendenza nel 1992, quella dei Quattro giorni nel 2016, la Guerra dei Quarantaquattro giorni nel 2020. Infine il drammatico epilogo, nel 2023: oltre 100.000 persone, il 90% della popolazione, sono costrette ad abbandonare il Nagorno Karabakh per sempre stremate da quasi un anno di totale isolamento, private di cibo e generi di prima necessità a causa del blocco azero dell’unico valico di frontiera, il corridoio di Lachin. «Un’autentica operazione di pulizia etnica costata in trent’anni quarantamila morti, un milione di sfollati e immense distruzioni. Una guerra purtroppo dimenticata, invisibile: l’ennesima, non l’ultima» afferma l’autore.

Iran, oltre il velo. «Se gli occhi, come sostengono in molti, sono lo specchio dell’anima, attraverso la sottile fessura del niqab ci viene offerta un’opportunità. Quella di imparare a leggerli», sostiene Giovanni Mereghetti, autore della ricerca fotografica realizzata con l’iraniano Reza Khatir.

 

Foto Reza Khatir

 

Nel mondo sono quasi cento milioni le donne che indossano il velo. «Con l’eleganza e la dolcezza che contraddistingue il gentil sesso – dal Maghreb al Medio Oriente, ma anche più a est – queste figure prive di un’identità apparente, si muovono nella vita di tutti i giorni in una società che per tradizione e religione le vuole così: nascoste agli occhi dello sconosciuto» racconta Khatir. Nei loro scatti si libera la verità invisibile e misteriosa di una umanità velata.

 

Foto Giovanni Mereghetti

 

Ucraina, dalla parte dei bambini
«Mancano gli antidolorifici, la sala operatoria non ha sempre a disposizione la strumentazione per le operazioni più complicate, i medici proteggono le finestre con strisce di nastro isolante per evitare che lo spostamento d’aria delle granate trasformino in proiettili le schegge di vetro».

 

Foto Ugo Panella

 

Descrive con queste parole Ugo Panella il fotoreportage che ha realizzato nell’ospedale oncologico nazionale di Kiev, in Ucraina. Un viaggio nel dolore e nella speranza dei piccoli ricoverati e dei loro genitori, piegati dalla malattia e dal terrore della guerra scatenata dalla Russia che non esita a bombardare scuole, abitazioni, ospedali. Immagini che rendono visibile «pesi psicologici e pratici difficilmente immaginabili da chi è lontano, per sua fortuna, dalle conseguenze di una guerra».

 

Dove: Villa Pomini, via Don Luigi Testori 14, Castellanza (Varese)
Quando: Dall’11 febbraio al 3 marzo
Orari: sabato 15-18.30; domenica 10-12 e 15-18.30
Ingresso libero

Per informazioni: afi.fotoarchivio@gmail.com

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Chi è Henrikh Mkhitaryan? Il profilo, valore di mercato e dove ha giocato prima dell’Inter (Dazn.com 07.02.24)

l centrocampista armeno, arrivato a zero dalla Roma, è il più esperto della mediana nerazzurra. Caratteristiche tecniche e squadre in cui ha giocato.

Tra i centrocampisti a disposizione dell’Inter che sta guidando la  Serie A TIM  c’è anche  Henrikh Mkhitaryan  il giocatore in mediana con la maggior esperienza internazionale e a dirlo non è solo l’età, ma anche il Palmarès dell’armeno.

Ma chi è Henrikh Mkhitaryan? Andiamo a scoprire tutto quello che c’è da sapere sul centrocampista armeno.

Henrikh Mkhitaryan, la carriera

Mkhitaryan con la maglia dello ShakhtarGetty

Le esperienze in Armenia e Ucraina e il Dortmund

Mkhitaryan diventa subito protagonista in Armenia: con il Pyunik realizza 35 gol in 89 partite vincendo quattro titoli consecutivi. Ben presto si dimostra un giocatore di caratura superiore e si trasferisce in un campionato più prestigioso: quello ucraino.

Prima al Metalurh , poi allo Shakhtar , Mkhitaryan si afferma come uno dei migliori calciatori del campionato (ne vince tre), tanto da attirare una squadra da sempre attenta ai giovani all’estero: il Borussia Dortmund reduce dalla finale di Champions League.

In Bundesliga , i gialloneri non riescono ad interrompere il dominio del Bayern , ma riescono comunque a vincere due Supercoppe di Germania. Poi, nel 2016, la grande occasione: arriva la chiamata dalla Premier League  e dal Manchester United.

Mkhitaryan esulta dopo il gol in finale di Europa LeagueGetty

La Premier League: lo United e l’Arsenal

Agli ordini di José Mourinho, Mkhitaryan diventa uno dei principali artefici dell’ultimo titolo europeo ottenuto dai Red Devils: l’Europa League 2016/2017 e con tanto di gol in finale contro l’Ajax.  Arrivano poi anche Community Shield e Carabao Cup : sarà tuttavia la migliore stagione per lui e lo United, che poi non sarà mai in lotta per la Premier.

Così, nel 2018/2019 , si trasferisce all’Arsenal ma, anche in quel caso, non riuscirà a contendere la Premier alle big: il City e il Liverpool . Così, nel 2019, saluta l’Inghilterra per approdare in Serie A TIM: alla Roma.

Henrikh Mkhitaryan, Roma, Serie A 2021-2022, DAZN Italia

La Serie A: la Roma e il passaggio a zero all’Inter

In giallorosso, Mkhitaryan gioca per ben tre stagioni, contribuendo a far tornare la Roma ad alti livelli in Italia e in Europa. Nel 2021/2022, ultima stagione nella Capitale, vince ancora insieme a José Mourinho la sua seconda coppa europea: la Conference League vinta contro il Feyenoord.

Infine, a parametro zero, si libera dai giallorossi e passa all’Inter, dove vince nel 2022/2023 la Supercoppa Italiana (poi sollevata anche nel 2024 a Riyadh), la Coppa Italia e raggiunge la finale di Champions League persa contro il City .

Nel 2023/2024, gioca una delle migliori partite in nerazzurro: il Derby vinto 5-1 contro il Milan, match nel quale l’armeno realizza una doppietta .

Fiorentina Inter MkhitaryanGetty

La carriera nell’Armenia

Mkhitaryan è uno dei membri fissi dell’Armenia oltre che uno dei giocatori più rappresentativi. Dalla prima convocazione nel lontano 2007 , il centrocampista ha totalizzato 95 presenze e messo a segno 32 reti , risultando il miglior marcatore della storia della Nazionale e il secondo per partite disputate. La sua Armenia, però, non prende parte né ai Mondiali né agli Europei.

I numeri della carriera di Henrikh Mkhitaryan e le squadre in cui ha giocato

Squadra Stagioni Presenze Gol
Pyunik 2006-2009 89 35
Metalurh Donetsk 2009-2010 45 17
Shakhtar Donetsk 2010-2013 106 44
Borussia Dortmund 2013-2016 140 41
Manchester United 2016-gennaio 2018 63 13
Arsenal gennaio 2018-agosto 2019 59 9
Roma agosto 2019-2022 117 29
Inter 2022-in corso 79 7
Armenia 2007-in corso 95 32

Il valore di mercato di Henrikh Mkhitaryan

Secondo i dati di Transfermarkt, la valutazione di Henrikh Mkhitaryan si aggira sui 6  milioni di euro.

Le caratteristiche tecniche

Mkhitaryan è un centrocampista che, nel corso della sua lunga carriera, è però riuscito anche a ricoprire diversi ruoli: da quello di ala al trequartista, dimostrandosi un vero e proprio jolly in mediana.

L’armeno è in grado tanto di inserirsi quanto di far circolare la palla, proponendosi come un’ottima mezzala nell’Inter di Inzaghi.

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Nell’Azerbaijan alle urne: il regno degli Aliyev cavalca la pace in Karabakh (Repubblica e altri 07.02.24)

BAKU — «Voterò per Ilham Aliyev, per chi se no?». Shain Hamidov, il volto coriaceo segnato dalle rughe a dispetto dei suoi 52 anni, sorride alla retorica domanda sulle presidenziali anticipate indette oggi in Azerbaijan. Dopo la sconfitta dei separatisti armeni del Karabakh nella guerra di 44 giorni del 2020 e nella fulminea offensiva di 24 ore dello scorso settembre, nessuno dubita che “Aliyev il Vittorioso” — come lo ha soprannominato la stampa locale — conquisterà un quinto mandato. «Anche mio figlio ha combattuto per liberare i territori occupati. Aliyev ci ha restituito le nostre terre. Ha riportato la pace dopo trent’anni di conflitto», continua il venditore di tappeti e souvenir mentre spazzola una papakha, il tradizionale copricapo caucasico di pelle di pecora, sull’uscio del suo negozio nella Città Vecchia fortificata.

Alle sue spalle, oltre alle antiche mura color miele, svettano le sinuose Torri di Fiamma, i tre iconici grattacieli della capitale azera affacciata sul Mar Caspio, simbolo delle ricchezze naturali valse al Paese il soprannome di Terra del fuoco. Tutta Baku è un innesto. Tra Vecchio e Nuovo Mondo. Tra Asia ed Europa. Una stratificazione di antiche vestigia persiane, facciate neoclassiche, palazzoni sovietici e architetture avveniristiche innaffiate dai petrodollari.

Nel centro cittadino non c’è vetrina dove non sia affisso un grande poster che ricorda che «il 7 febbraio è il giorno delle presidenziali». Non ci sono nomi. Non serve. Da oltre mezzo secolo c’è una sola famiglia al potere: gli Aliyev. Nel 1969 l’allora capo del Kgb locale Heydar prese il potere in quella che era ancora una Repubblica sovietica. E alla sua morte nel 2003 subentrò il figlio Ilham, oggi 62enne, rieletto l’ultima volta nel 2018 con l’86% delle preferenze (sotto al record dell’89% del 2008).

Il voto di oggi, avverte però Anar Mammadli, 45 anni, a capo del Centro di studio per il monitoraggio elettorale e la democrazia (Emds), è «il meno competitivo nella storia dell’Azerbaijan», anche perché è stato indetto con 40 mesi di anticipo. «L’opposizione reale lo boicotta perché non era realistico preparare una campagna elettorale in due mesi. I sei rivali non hanno fatto che tessere le lodi di Aliyev o persino invitare a votare per lui. Decine di giornalisti indipendenti e attivisti sono stati arrestati. Le libertà non sono garantite», spiega Mammadli, egli stesso un ex prigioniero politico insignito del Premio Václav Havel per i diritti umani.

A partire dal 2014 «lo spazio per la discussione politica si è progressivamente ridotto», conferma Zohrab Ismayil, capo e fondatore delle Ong “Open Azerbaijan” e “Associazione pubblica di assistenza alla libera economia”. «Il governo controlla tutto: la politica, la magistratura, i media, l’economia. Ma non vuole correre rischi». Da qui gli stratagemmi per promuovere l’affluenza. «Dal 24 gennaio non c’è giorno in cui non abbia ricevuto un sms della Commissione elettorale con inviti a “usare il diritto di voto”», si lamenta il 31enne Cavanshir Mammadov che però non andrà alle urne. «La politica non mi interessa. Tanto non c’è speranza che cambi qualcosa».

Finora l’unica sorpresa delle presidenziali è che siano state indette. Il voto era programmato nel 2025, ma lo scorso dicembre Aliyev ha annunciato che sarebbe stato anticipato e il 10 gennaio in un’intervista ha spiegato perché: coronare con il voto, il primo nel Karabakh, l’inizio di una «nuova era» e il «ripristino dell’integrità territoriale» del Paese e celebrare così i suoi 20 anni al potere. L’obiettivo, secondo molti analisti, è proprio capitalizzare la vittoria dello scorso autunno, spalleggiata da Turchia e Russia, che ha portato la sua popolarità al culmine, anche tra i più giovani.

Il consenso è genuino. Dai ventenni Elmir Jafarov e Tenzar Amirova al loro primo voto che gironzolano tra i vivaci café della Piazza delle Fontane alla madre trentenne Aidan Abdullaeva che spinge un passeggino sul Bulvar fronte Caspio, nessuno ha dubbi: «Voterò Aliyev. Ha portato la pace». Soltanto una cinquantenne protesta dietro anonimato: «Non c’è libertà di parola. Non conta il merito, conta avere soldi. E i governanti li tengono per sé». Il rischio, sostiene Farid Mehralizada, economista 29enne, cofondatore del think tank Agora Analitik Kollektiv, è proprio questo: che l’euforia della vittoria nel Karabakh non distragga a lungo dall’economia stagnante. «Il Pil è aumentato soltanto dell’1,1% nel 2023, sotto le previsioni statali del 2.7%», spiega. «E benché quest’anno ospiteremo la Conferenza Onu sul Clima, oltre la metà di questo Pil dipende ancora dagli idrocarburi. Ma la produzione petrolifera è diminuita del 30% in dieci anni, tendenza che continuerà».

Finora, coi petrodollari, Aliyev è riuscito a lustrare l’immagine del Paese con gli European Games 2015, gli Europei di calcio 2020, i Gran Premi di F1, ma soprattutto a tessere preziose partnership energetiche con la Ue, come il gasdotto Tap che porta all’Italia. «E ora che la Russia è sanzionata a causa del conflitto in Ucraina, punta a raddoppiare le esportazioni di petrolio verso l’Europa». Secondo Ismayil, il legame con la Ue è una garanzia per la società civile. «Non diventeremo il Turkmenistan. Ma è anche vero che l’Occidente spesso chiude gli occhi perché teme di spingere il Paese nella sfera d’influenza di Russia o Turchia. Ma se Mosca perdesse in Ucraina, forse c’è speranza che qualcosa cambi».

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Elezioni presidenziali in Azerbaijan, verso riconferma per la “dinastia” degli Aliyev (Skytg24)


Azerbaigian al voto, vittoria scontata del presidente Aliyev (Euronews)


Elezioni presidenziali Azerbaigian: agli exit poll Aliyev stravince con oltre il 90% (Euronews)


Azerbaigian: urne aperte per le elezioni presidenziali, Aliyev vota nel Nagorno Karabakh (Rainews)


Il paradosso delle elezioni in Azerbaijan (Liberioltreleillusioni)


Elezioni presidenziali anticipate in Azerbaigian (Rsi)

Giochi pericolosi: l’Armenia e l’Ue (di Mattia Bagnoli) (Ansa 06.02.24)

>>La cenerentola del Caucaso cerca la pace con l’Azerbaigian, guarda a Occidente e si smarca da Mosca.

Memorandum Armenia e Ungheria di cooperazione nel campo della cultura, istruzione e scienza (Agenpress 06 02.24)

AgenPress – Nell’ambito della visita ufficiale del Presidente della Repubblica armena Vahagn Khachaturyan in Ungheria è stato firmato un memorandum sulla cooperazione tra i due paesi nei settori della cultura, dell’istruzione e della scienza.

Secondo il servizio stampa del Ministero dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Armenia, il memorandum è stato firmato dal Vice Ministro armeno dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport Artur Martirosyan e dal Segretario di Stato ungherese per l’Innovazione e l’Istruzione Superiore Balázs Hankó.

Secondo la fonte, alla cerimonia della firma del memorandum era presente anche il presidente ungherese Katalin Novák.

Secondo il memorandum, le parti coopereranno nel quadro dei programmi finanziati dalle organizzazioni internazionali (UNESCO, OCSE, Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa e Cooperazione Economica del Mar Nero (BSEC)) e dall’Unione Europea per promuovere attività culturali, educative e cooperazione nella ricerca tra Armenia e Ungheria.

Ciò include l’attuazione di programmi culturali, educativi e di ricerca congiunti attraverso la creazione di nuove piattaforme per lo scambio di esperienze.

NAGORNO KARABAKH. L’ASCIA DEL DITTATORE AFFILATA DALLA TURCHIA E ISRAELE (Notizie Geopolitiche 06.02.24)

di Grigor Ghazaryan –

Qualche giorno fa il presidente azero Ilham Aliyev ha ricevuto un’ascia da Hulusi Akar, presidente della Commissione di Difesa nazionale del Parlamento ed ex ministro della Turchia. Nel contesto delle nuove minacce all’Armenia da parte dei due stati neo-ottomanisti, questo oggetto appare come simbolo guerrafondaio che chiama alla “decapitazione” della democrazia armena dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), realizzata tra l’altro mediante uccisioni (in molti casi extra-giudiziarie) di armeni durante la guerra del 2020; allo stesso tempo, quel simbolo fa ritornare ai capitoli precedenti della storia turca-ottomana fatti di terrore antiarmeno, di aggressioni e conquiste delle terre dell’Armenia storica, a partire dagli anni del primo genocidio del 20mp e fino alla legalizzazione e glorificazione dei crimini contro gli armeni già nel 21mo secolo. Quest’ultimo capitolo è stato ufficialmente inaugurato in Azerbaijan con il caso del militare Ramil Safarov, il quale, avendo assassinato con un’ascia il pari grado armeno Gurgen Margaryan durante un corso del programma “Partenariato per la pace” della Nato nel 2004, venne condannato a Budapest, e in seguito all’estradizione ricevette in patria diverse onorificenze e venne proclamato perfino “eroe nazionale dell’Azerbaigian”.
Chi sta dietro all’imminente “rielezione”?
Nel paese autocratico, il quale si è guadagnato il titolo di “partner affidabile” dell’Ue amministrando il transito del gas russo verso i paesi europei, si attende ora la ri-elezione di Aliyev. Lo sostengono anche gli altri “candidati” dedicando le risorse della loro campagna alla glorificazione unanime del presidente in carica: uno spettacolo rarissimo nella storia delle elezioni presidenziali. Nel frattempo il regime del dittatore petrolifero fa scomparire qualsiasi oppositore. Così è scomparso recentemente l’attivista e blogger Arzu Sayadoğlu, in seguito all’arresto di Aziz Orujov, caporedattore di Kanal 13 Television, e di un attivista religioso, Murad Abdullayev.
Va ricordato qui uno degli ultimi post sulla pagina FB di Sayadoğlu, pubblicato pochi giorni prima della sua scomparsa, nel quale il rappresentante del “Movimento di Servizio al Popolo” porge le condoglianze alle famiglie iraniane in lutto a seguito del “sanguinoso terrorismo commesso nella Repubblica Islamica dell’Iran” che lasciò 211 morti; condanna l’atto atroce contro persone innocenti e ogni forma di terrorismo, chiede all’opposizione e al governo dell’Azerbaigian “di rivelare il loro rapporto con il sanguinoso atto di terrorismo commesso e di esprimere una posizione libera” e, tra l’altro, esprime un forte “rifiuto del sionismo” che egli definisce come “assassino dell’umanità”.
È nota la collaborazione strategica tra Israele ed Azerbaijan, i quali condividono una linea geopolitica contro l’Iran. Al presente Baku sostiene l’offensiva militare israeliana e le conseguenti brutalità commesse a Gaza, ripagando “moralmente” il massiccio sostegno tecnologico-militare ottenuto da Israele per l’attacco alla popolazione armena dell’Artsakh. Secondo l’opinione degli esperti, citata da Armen Gevorgyan, membro della delegazione RA presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE), “la decisione di Ilham Aliyev di risolvere le divergenze con l’Armenia non diplomaticamente ma mediante la guerra è stata determinata dal fatto che le aziende israeliane avevano accettato di vendergli le ultime tecnologie militari. Secondo fonti aperte, nel 2016-2020, poco prima dell’inizio della guerra dei 44 giorni nel Nagorno Karabakh, Israele fornisce quasi il 70% delle “armi principali” dell’Azerbaigian”.

Verso una nuova guerra?
La settimana scorsa l’Azerbaigian è stato espulso dall’APCE per la sua incapacità di condurre elezioni libere ed eque, la mancanza di separazione dei poteri, la debolezza del suo corpo legislativo rispetto all’esecutivo, la mancanza d’indipendenza della magistratura e di rispetto dei diritti umani, e per “non avere riconosciuto le gravi conseguenze sul piano umanitario e sui diritti umani derivanti dalla mancanza di un accesso libero e sicuro attraverso il corridoio di Lachin”, per cui l’Assemblea ha ricordato la sua “condanna dell’operazione militare del settembre 2023 che ha portato alla fuga dell’intera popolazione armena del Nagorno-Karabakh all’Armenia e alle accuse di “pulizia etnica””.

Sempre nuove minacce.
Nel frattempo Baku ha respinto le proposte del primo ministro armeno Pashinyan di istituire un meccanismo di controllo reciproco degli armamenti e un patto di non aggressione. E’ naturale che dopo l’occupazione dell’Artsakh, gli aggressori neo-ottomanisti stiano cercando una nuova scusa per riaprire le pagine delle violenze e strappare nuovi territori mediante un’altra guerra contro l’Armenia. Tanto l’uso della forza è ormai il metodo instaurato da diversi aggressori del mondo moderno e basta seguire le vicende tra Israele e Palestina e utilizzare l’“antiterrorismo” come etichetta/pretesto per legittimare la nuova aggressione, come hanno fatto prima della pulizia etnica del Nagorno Karabakh (Artsakh), attaccando lo stato autoproclamato e strappando tutto il territorio alla sua popolazione autoctona.
È così che viene estesa la copertura geopolitica della Turchia: attraverso l’Azerbaijan, giovane dittatura dei tartari del Caspio che ha già inghiottito l’Artsakh armeno e ora pone nuove richieste minacciose: “che l’Armenia cambi la propria costituzione”, cercando così di dettare le regole allo stato democratico dell’Armenia. Nello specifico chiede all’Armenia di cancellare da tutti i documenti ufficiali la menzione dell’Artsakh e dei diritti del rimpatrio degli sfollati armeni. Allo stesso tempo le autorità azere hanno avviato una massiccia campagna sulle piattaforme social presentando tutto il territorio e il patrimonio culturale dell’Armenia come “non armeno”, un revisionismo che attribuisce l’intero patrimonio storico-ulturale armeno ad altri popoli.

Continua il genocidio culturale e damnatio memoriae.
Non considerando il dolore degli armeni per la perdita dell’Armenia storica, che a seguito del genocidio del 1915 è stata denominata “Armenia occidentale”, ora gli azeri, si sono inventati in modo speculare il termine “Azerbaigian occidentale” pretendendo che l’intero territorio e il patrimonio culturale dell’Armenia siano turco-azere e siano appartenute ad un immaginario “Azerbaijan” identificabile con Aghwank o Aluank (Albania), il quale però era un paese confinante, i territori del quale non si estendevano a quelli dell’Artsakh e dell’Armenia.
Allo stesso tempo Baku blocca l’accesso delle organizzazioni internazionali al territorio occupato dell’Artsakh, mentre il Ministero della cultura ha ricevuto l’ordine di cancellare ogni testimonianza della presenza millenaria degli armeni sul territorio del Karabakh. La lingua armena ne è un segno vivo e onnipresente, ecco perché nella situazione attuale sono in grave pericolo, prima di tutto le antiche iscrizioni armene presenti su oltre 4mila monumenti nell’Artsakh.

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A Castellanza il fotoreportage “Storie di popoli e persone” (Varesenews 05.02.24)

Domenica 11 febbraio 2024 alle ore 17 ci sarà l’inaugurazione delle mostre fotografiche “Storie di popoli e persone” nelle sale espositive Villa Pomini di Castellanza. Sarà un’esposizione fotografica con lo scopo di approfondire temi di attualità attraverso varie forme di espressione artistica. L’iniziativa si terrà dall’11 febbraio al 3 marzo 2024. Durante l’inaugurazione sarà possibile incontrare gli autori e partecipare ad una visita guidata. Si potrà ricevere in omaggio un libro fotografico della collana Afi dopo essersi registrati.

Le mostre:

Roberto Travan – Nagorno Karabakh, la pace tradita
Progetto di Roberto Travan, giornalista professionista, iniziato nel 2016 nel quale racconta la storia di Nagorno Karabakh, paese nel Caucaso meridionale, in constante conflitto.

Reza Kathir e Giovanni Mereghetti – Iran, oltre il velo
Kathir e Mereghetti, autori e fotografi, si concentrano sulla figura della donna musulmana e la sua relazione con la religione attraverso l’utilizzo del velo.

Ugo Panella – Ucraina, dalla parte dei bambini
Ugo Panella, fotogiornalista, parla delle vite dei bambini che vivono in Ucraina durante il conflitto, in particolare i bambini che hanno bisogno di attenzioni mediche ma che fanno fatica a riceverle.

Camilla Albertini – Donne e motori. Gioie e basta
Camilla Albertini, fotografa e videomaker, parla degli stereotipi sulle donne, in particolare quelli che le collegano al mondo delle automobili in modo da poter superare questa cultura discriminatoria.

INFORMAZIONI E CONTATTI

Luogo: Villa Pomini – Via Don Luigi Testori, 14 – Castellanza (VA)
Periodo espositivo: 11 febbraio – 3 marzo 2024
Inaugurazione e visita guidata alle mostre: domenica 11/02/24 ore 17
Orari visita: sabato 15-18,30 / domenica 10-12 – 15-18,30
Ingresso Libero
Organizzazione: Archivio Fotografico Italiano
Curatore: Claudio Argentiero /Afi
Contatti e informazioni: e-mail afi.fotoarchivio@gmail.com
sms 3475902640 – Whatsapp 333 3718539

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Siria: «La situazione è intollerabile» (ACS 05.02.24)

Magar Ashkarian, vescovo armeno ortodosso di Aleppo, Siria, ha invocato la fine delle sanzioni imposte alla nazione, affermando che «la maggior parte delle persone sta lasciando il Paese in risposta alle sanzioni, che pongono – soprattutto alle minoranze come i cristiani – le sfide più grandi». Tra le maggiori preoccupazioni, ha elencato l’attuale carenza di energia elettrica e gas e il gran numero di persone senza lavoro. «Il futuro è cupo, non sappiamo cosa faremo», ha affermato il vescovo in un colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre. Attualmente la comunità armena ortodossa sta cercando di trovare alloggi a costi  accessibili per le giovani coppie e assicurare loro sostegno finanziario per incoraggiarle a restare.

Il vescovo è a capo della comunità armeno-ortodossa di Aleppo dal 2022, e precedentemente ha prestato servizio, tra gli altri Paesi, in Libano e Iran. Ha lanciato un appello alla comunità internazionale «affinché compia ogni sforzo, morale e finanziario, per contribuire a rafforzare la presenza dei cristiani in Medio Oriente, e in Siria in particolare», definendo la situazione «intollerabile». Il terremoto del 6 febbraio 2023, che ha colpito sia la Turchia sia alcune parti della Siria, ha peggiorato la situazione umanitaria.

Il prelato ritiene che la continua migrazione dei cristiani porrà alla regione ulteriori problemi. «Per proteggere i valori cristiani, i fedeli devono rimanere qui in Medio Oriente, dove tali valori sono più profondamente apprezzati. Nel mondo occidentale, con il suo secolarismo e la sua globalizzazione, la corrente sta spazzando via tutto». Il vescovo ha ringraziato organizzazioni come ACS per aver lasciato «finestre e porte aperte» per aiutare il popolo siriano. Ashkarian ha affermato che la guerra civile iniziata nel 2011 e la successiva, continua crisi hanno riavvicinato le confessioni cristiane precedentemente spesso distanti: «Viviamo insieme in un rapporto molto stretto e cerchiamo di aiutare senza alcuna discriminazione». Secondo il vescovo, solo ad Aleppo vivono undici confessioni cristiane, i cui rappresentanti si sono riuniti per coordinare le misure di aiuto: «La guerra, e il terremoto in particolare, ci hanno avvicinati gli uni agli altri. Le organizzazioni, inclusa ACS, hanno svolto un ruolo determinante in questo contesto». Ad Aleppo, ha aggiunto, di ecumenismo non si parla, «qui lo mettiamo in pratica».

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Aleppo, un anno dopo il sisma la vera sfida è costruire speranza (Avvenire)

Armenia-Azerbaijan, negoziati al rallentatore (Osservatorio Balcani e Caucaso 05.02.24)

Continuano in modo anemico e controverso i tentativi di Armenia ed Azerbaijan di normalizzare i propri rapporti bilaterali dopo la conquista azera del Nagorno Karabakh. Un processo che potrebbe portare Yerevan a cambiare la propria costituzione

05/02/2024 –  Onnik James Krikorian

Se da un lato ancora non si intravede alcun accordo sulla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaijan che, come annunciato in precedenza, avrebbe dovuto essere raggiunto entro la fine dello scorso anno, dall’altro i colloqui tra Yerevan e Baku sono ripresi a fine gennaio con un nuovo incontro delle rispettive commissioni di frontiera.

L’ultimo incontro si era tenuto a fine novembre 2023 al confine tra i due paesi. Tuttavia, a differenza dei precedenti incontri delle due commissioni, le dichiarazioni rilasciate a seguito dei colloqui dello scorso novembre non hanno fornito dettagli sulle questioni discusse, né tanto meno hanno accennato ad una data in cui le commissioni si sarebbero nuovamente incontrate.

Al momento, la demarcazione dei confini e lo sblocco dei collegamenti economici e di trasporto sono considerati il principale ostacolo al raggiungimento di un accordo. Se una delle poche dichiarazioni congiunte, recentemente rilasciata da Armenia e Azerbaijan, ha aperto uno spiraglio di speranza, i due ministri degli Esteri devono ancora incontrarsi, visto che Baku aveva annullato i colloqui che si sarebbero dovuti tenere a Washington lo scorso 20 novembre. L’Armenia è ancora favorevole ai negoziati ospitati dagli Stati Uniti o dall’Unione europea, mentre l’Azerbaijan ritiene che gli incontri, rigorosamente bilaterali, debbano svolgersi nella regione.

Nel frattempo, in occasione dello scambio di bozze di un accordo tra le parti, l’Armenia ha accusato l’Azerbaijan di “regressione”. Baku ha replicato accusando Yerevan di rallentare il processo negoziale e di temporeggiare. Intanto, Baku ha cambiato la sua posizione sul ripristino di una via di collegamento ferroviario e stradale tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Nakhchivan.

Nell’ottobre dello scorso anno le autorità di Baku avevano annunciato che la rotta poteva passare attraverso l’Iran, poi però all’inizio di gennaio hanno chiesto nuovamente che attraversasse l’Armenia, come inizialmente previsto.

Alcuni funzionari armeni continuano ad accusare l’Azerbaijan di voler tracciare la strada ricorrendo alla forza se la questione non dovesse essere risolta attraverso i negoziati. Accuse che sono bastate a spingere Josep Borrell, Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a mettere in guardia sulle “gravi conseguenze” di un’eventuale incursione militare.

Borrell ha anche sollecitato l’Azerbaijan a sedersi nuovamente al tavolo dei negoziati facilitati dall’UE, ai quali Baku aveva rifiutato di partecipare nell’ottobre dello scorso anno. Allo stesso tempo, la Russia ha invitato Yerevan a riprendere i negoziati mediati da Mosca.

Se alcuni ministri del governo di Yerevan sembrano pessimisti riguardo alla possibilità di raggiungere un accordo di pace duraturo con l’Azerbaijan, il premier armeno Nikol Pashinyan lo scorso 17 gennaio ha affermato di essere ancora ottimista al riguardo. Poi però, lo scorso 28 gennaio, in occasione della Giornata dell’Esercito armeno, Pashinyan ha annunciato che, nel caso in cui la firma di un accordo di pace definitivo dovesse essere ulteriormente rimandata, l’Armenia sarebbe disposta a siglare con l’Azerbaijan un patto di non aggressione e di controllo degli armamenti.

Una proposta prontamente respinta dal presidente azerbaijano Ilham Aliyev, il quale lo scorso primo febbraio ha dichiarato che c’è “già una pace di fatto tra Azerbaijan e Armenia e da diversi mesi ormai le condizioni pacifiche prevalgono al confine tra i due paesi”. Aliyev ha poi aggiunto che “per poter portare questo processo ad una sua logica conclusione, è necessario firmare un trattato di pace e porre fine alle pretese territoriali dell’Armenia contro l’Azerbaijan”.

C’è chi, in Armenia, nelle affermazioni di Aliyev vede il motivo per cui Pashinyan ha dichiarato che l’Armenia ha bisogno di una nuova Costituzione. Baku infatti con sempre maggiore insistenza chiede garanzie che Yerevan non avrà più alcuna pretesa territoriale, considerando il controverso preambolo dell’attuale Costituzione armena in cui si fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del 1990. In quest’ultima si parla delle rivendicazioni territoriali sul Karabakh e persino sulla Turchia, questione su cui Pashinyan si è soffermato in una sua dichiarazione dello scorso agosto.

“Una narrativa aggressiva [ha] relegato l’Armenia ad una situazione di conflitto con i suoi vicini”, ha dichiarato Pashinyan, sollevando anche la questione della simbologia dello stemma nazionale armeno che include il monte Ararat, diventato un simbolo armeno, seppur situato nella vicina Turchia.

Il governo di Yerevan ha respinto le speculazioni secondo cui il discorso su una possibile modifica della Costituzione sarebbe conseguenza delle pressioni esercitate dall’Azerbaijan e forse anche dalla Turchia. I funzionari armeni però non negano che sia stata Baku a sollevare la questione della Costituzione armena, una questione che probabilmente dovrà essere affrontata. Alcune modifiche costituzionali erano già previste dopo l’ascesa di Pashinyan al potere con le proteste di piazza del 2018, poi però sono state rinviate a causa della pandemia di coronavirus nel 2020.

Costretto a fare i conti con un costante calo di popolarità dopo la guerra con l’Azerbaijan del 2020, recentemente Pashinyan ha affermato che una nuova Costituzione dovrebbe permettere di formare governi di minoranza. Affermazione che ha spinto alcuni ad ipotizzare che un referendum possa consentire a Pashinyan di mantenere la carica di primo ministro anche dopo le elezioni previste per il 2026. Secondo alcuni analisti, il magro risultato ottenuto dal suo movimento Civil Contract alle amministrative a Yerevan dello scorso anno ha scosso la fiducia di Pashinyan nella possibilità di conquistare una vittoria assoluta.

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