Di nuovo tensioni tra Baku e Erevan: si teme la ripresa del conflitto (Asianews 19.02.24)

A pochi giorni dalla rielezionie plebiscitaria di Aliev i soldati azeri hanno aperto il fuoco accusandoi gli armeni di “provocazione”. Pašinyan replica agli ultimatum, mentre si allontanano le prospettive di un accordo di pace. Le nuove rivendicazioni di Baku sull’enclave del Nakhičevan.

Erevan (AsiaNews) – Le trattative di pace tra Armenia e Azerbaigian sembrano rimanere ferme a un punto morto, nonostante promesse e annunci da entrambe le parti, e nuove tensioni creano la preoccupazione circa una possibile ripresa del conflitto, dopo la conquista del Nagorno Karabakh da parte di Baku lo scorso settembre. Il politologo russo Arkadij Dubnov, a lungo consulente dei servizi di intelligence di diversi Paesi, ha commentato la situazione per Novosti Armenia, cercando di individuare i punti nevralgici del contesto caucasico.

Egli osserva che “non è passata una settimana dalla rielezione plebiscitaria di Ilham Aliev a presidente dell’Azerbaigian, che si sono subito delineati i contorni della politica del nuovo-vecchio leader”, con la “operazione di risposta” dei soldati azeri di confine nei confronti di quella che è stata definita una “provocazione” degli armeni, iniziando una sparatoria che ha ucciso quattro armeni e ferito gravemente un azerbaigiano. A Erevan hanno cercato di prendere tempo per comprendere che cosa fosse effettivamente accaduto, ma da Baku “non hanno voluto aspettare, dando l’ordine di aprire il fuoco”. Secondo Dubnov non si tratta di un incidente isolato e casuale, ma di una “recrudescenza assolutamente seria del conflitto”, sullo sfondo dell’irrigidimento di Aliev circa le condizioni necessarie per la firma dell’accordo di pace.

Ora il presidente azero insiste sulla riscrittura della costituzione dell’Armenia, tema molto divisivo e molto dibattuto tra gli stessi armeni, pretendendo di escludere qualunque formula o accenno che possa essere riferito al Nagorno Karabakh. Nonostante da Erevan siano arrivati segnali di disponibilità al riguardo, tanto da eliminare il settore che si occupava dell’Artsakh al ministero degli esteri, da Baku continuano a giungere severi moniti e minacce di “usare la forza in caso di mancata esecuzione” delle richieste.

Nella tanto citata intervista di Nikol Pašinyan a The Telegraph di qualche giorno fa, il premier armeno ha ricordato gli ultimatum di Aliev, affermando che “egli ha detto che se vede un riarmo dell’Armenia inizierà un’operazione militare contro di noi, ha ripetuto le sue pretese di aprire un corridoio tra il territorio armeno e l’enclave azera del Nakhičevan, escludendo anche di ritirare le sue truppe dal nostro territorio, dislocate sulle alture strategiche, poiché a suo parere queste zone occupate sono necessarie per tenere sotto controllo le intenzioni degli armeni”.

Pašinyan ritiene dunque che “l’Azerbaigian stia compiendo diversi passi indietro rispetto a quanto già accordato precedentemente”, mentre l’Armenia intende rivendicare il “diritto sovrano di ogni Paese indipendente” ad avere un esercito forte ed efficiente. Aliev definisce questa aspirazione di Erevan come una “espressione di revanscismo”, e Dubnov è convinto che la pretesa di Baku per un disarmo totale armeno sia “semplicemente assurda: l’Armenia del dopoguerra non è la Germania hitleriana del dopoguerra, o il Giappone imperiale dopo la sconfitta, con le inevitabili limitazioni alla forza militare”.

Per questo “la possibilità di una nuova guerra nel Caucaso meridionale di nuovo appare ben di più che una possibilità teorica”, conclude l’esperto, “e diventa sempre più chiaro perché Aliev abbia voluto affrettarsi così tanto nel tenere le elezioni anticipate”. Secondo il ministero della difesa armeno, la sparatoria iniziata dagli azeri il 13 febbraio contro le postazioni armene del distretto di Nerkin Khanda nella regione di Siunyk è da considerare soltanto “l’inizio di una nuova campagna militare di Baku”, che non si sa fin dove potrebbe spingersi nei prossimi giorni.

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Sergei Babayan suona Bach a Milano: le Goldberg e l’incanto della musica: “Fonte inesauribile di meraviglia” (Il Giorno 18.02.24)

Milano, 18 febbraio 2024 – È il 1989 quando il pianista Sergei Babayan esce dall’Unione Sovietica per una tournée internazionale, un successo straordinario che cambierà non solo la sua vita ma anche la storia del pianismo. L’artista armeno, cittadino americano, maestro di Daiil Trifonov, si esibisce per Serate Musicali, lunedì Sala Verdi- Conservatorio, ore 20.40, in programma di Bach le “Variazioni Goldberg”.

Maestro, cosa significa per lei suonare a Milano?

«Da bambino ho imparato che ogni musicista ha due patrie, quella in cui è nato e l’Italia. Non ho parole per descrivere la sensazione che provo quando mi esibisco qui e incontro un pubblico speciale».

Perché dovremmo ascoltare le Variazioni Goldberg?

«Bach insegna a tutti noi a diventare migliori. La sua musica – le Variazioni nella forma più concentrata- è una fonte inesauribile di calore umano, gentilezza. Le Variazioni ci fanno a volte danzare, altre riflettere su noi stessi, sull’infinita bellezza del creato, ci danno l’armonia di un equilibrio trascendentale, ci aiutano a guarire e a rivolgerci gli uni agli altri con generosità».

Cosa significano per lei queste Variazioni?

«Per un musicista è normale innamorarsi di un’opera e poi, dopo qualche tempo, disinnamorarsene per dedicarsi a qualcos’altro. Le Goldberg sono l’unica opera d’arte che è sempre stata al centro della mia vita, fin da quando ho iniziato ad ascoltarle da ragazzo. Le ascoltavo ogni giorno, quando ho capito di conoscerle a fondo, le ho suonate, ogni giorno. Mi accompagnano da allora eppure, scopro sempre cose nuove con loro. Le Variazioni Goldberg sono la prova più bella dell’esistenza di Dio; l’immaginazione umana da sola non avrebbe potuto creare nulla di simile».

Cosa crede di avere ricevuto dall’Armenia?

«Sarei un artista diverso se fossi cresciuto in Europa. L’antica musica corale armena ha avuto una grande influenza su di me; la sua elaborata polifonia e la ricchezza di calore melodico e profondità spirituale hanno lasciato un segno profondo nella mia mente musicale».

E da altri paesi?

«I miei insegnanti armeni e russi erano discendenti delle più grandi scuole pianistiche della Russia e dell’Europa. La scuola russa deriva direttamente da quella europea. Heinrich Neuhaus, i cui allievi sono diventati i miei insegnanti a Mosca, ha studiato con Godowsky a Vienna. In America ho suonato per veri artisti, allievi di Arthur Schnabel. Mi piace pensare a tutti gli straordinari musicisti che ho incontrato nella mia vita, compresi quelli più giovani, come a fonti di grande apprendimento per me. Ho avuto la fortuna di suonare in duo con Martha Argerich, che considero la mia insegnante più importante».

C’è un luogo a Milano che ama particolarmente?

«Quando non studio, suono mi piace camminare per le strade, osservare la gente, sentire le persone parlare mi dà la sensazione di chi sono. Ogni città ha un suono unico, ogni persona ha un carattere diverso. È così affascinante ascoltare la città».

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I vent’anni de “La masseria delle allodole”: racconto il genocidio armeno (MessaggeroVeneto 18.02.24)

Vent’anni fa, esattamente nell’aprile 2004, la casa editrice Rizzoli pubblicava un libro che sarebbe diventato un clamoroso caso editoriale: “La masseria delle allodole”, opera prima di Antonia Arslan.

Opera prima perché Arslan, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova, a parte qualche saggio, fino ad allora non si era mai cimentata nella narrativa.

E alla prima prova fa bingo: il romanzo, che rivela al grande pubblico italiano la storia del genocidio del popolo armeno nel 1915 da parte del governo turco, supera largamente le aspettative sia dell’autrice sia dell’editore e inizia la sua strada che lo porta, anno dopo anno, alla 44esima edizione; a oltre 20 traduzioni nelle principali lingue del mondo, giapponese compreso; a una serie di riconoscimenti importanti come la Selezione Campiello e il premio Giuseppe Berto; a una trasposizione cinematografica d’autore firmata dai fratelli Taviani nel 2007.

Vent’anni dopo, e dopo altri dieci titoli – “La strada di Smirne” e “Il libro di Mush”, solo per citarne un paio – che raccontano ancora e ancora la tragica distruzione di un intero popolo, Antonia Arslan ripercorre con serena soddisfazione il cammino della “Masseria delle allodole”. Un romanzo che ha aspettato un lungo tempo per venire alla luce ma che, alla fine, ha voluto farsi scrivere a tutti i costi.

Fu il nonno paterno, Yerwant Arslanian (che nel 1923 fece italianizzare il cognome in Arslan), illustre otorino nella città del Santo, a riversare sulla piccola Antonia le vicende che gravavano nel suo cuore, i ricordi della natia Kharpert (oggi Harput) e della sua numerosa famiglia spazzata via dalla violenza turca.

Che ricordo le rimase della preziosa confessione di quel nonno così autorevole e amato?

«Avevo 9 anni e accettai il suo racconto come un segreto tra noi due. il nonno morì qualche mese dopo e le sue parole si sedimentarono nel profondo della mia coscienza, lavorando dentro di me come un basso continuo nel corso della mia gioventù. E trovando conferme e forza nelle frequentazioni con altri armeni, nei viaggi nei Paesi della sponda orientale del Mediterraneo, a riscoprire legami di parentela, storie, ma soprattutto la lingua armena. Una sorta di lento avvicinamento al cuore del Paese perduto, l’Armenia, che era un’inaccessibile Repubblica sovietica e che riuscii a visitare per la prima volta solo nel 1998. Ma io non pensavo ancora a scrivere».

La lingua armena, che lei non parla, è stato il grimaldello che ha aperto la strada per la scrittura della “Masseria”, non è così?

«La lingua mi stava evidentemente attraendo a sé fino a portarmi alla scoperta del poeta Daniel Varujan, uno dei primi martiri del genocidio del 1915. Grazie a due studenti di lingua madre riuscii a tradurre la sua raccolta “Il canto del pane”: fu un’impresa di cui ancora oggi non mi capacito».

La sua traduzione di Varujan le ottenne alcune, autorevoli recensioni, ma soprattutto la spinse sull’orlo della prima stesura del suo romanzo.

«Sì, era un pensiero fisso che proruppe poi in un fiume inarrestabile dopo che la mia amica americana Sharon mi fece capire che il libro io ce l’avevo già in testa: dovevo solo mettermi seduta a scrivere. E così ho fatto: dalla prima riga non mi sono più fermata. Non è un libro meditato, scrivevo di getto, a mano, e il giorno dopo rileggevo e correggevo quello che avevo scritto. In meno di due mesi il romanzo era finito».

Da qui alla pubblicazione passarono altri due anni.

«Inesperta com’ero di questioni editoriali, mi fidai dei consigli ricevuti e capitai con un agente letterario che si tenne il manoscritto, probabilmente senza leggerlo, per nove mesi. Ma io sono abbastanza passiva e non mi preoccupavo: aspettavo. Fu sempre la mia amica Sharon a prendere in mano la situazione e a scuotermi».

Come è cambiata la sua vita dopo il grande successo della “Masseria”?

«Diventare una scrittrice mi ha permesso di entrare in contatto con moltissime persone interessate alle storie che scrivo, desiderose di conoscere sempre di più del popolo armeno e del suo tragico destino».

Programmi per questo ventennale?

«Con l’editore stiamo pensando a un’edizione speciale della “Masseria”, ma intanto sarò a Sacile ai primi di giugno dove l’Ute territoriale mi vuole dedicare un’intera giornata. E io sono molto contenta che intorno a questo mio romanzo ci siano ancora tanto interesse e tanta partecipazione».

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Cooperazione internazionale: corso di formazione alla Polizia armena (Polizia di Stato 17.02.24)

Prosegue la cooperazione tra la Polizia di Stato e la Polizia della Repubblica dell’Armenia.

Si è concluso ieri il secondo corso di formazione dedicato a dieci funzionari della Polizia armena focalizzato sulla gestione dell’ordine pubblico e la gestione dei grandi eventi.

Per la Polizia di Stato hanno partecipato il dirigente superiore Eufemia Esposito, il vicario del Questore di Roma Francesco Rattà e Giampietro Moscatelli dell’Ufficio ordine pubblico della Segreteria del Dipartimento di pubblica sicurezza.

Cooperazione internazionale: corso di formazione alla Polizia armenaNel corso della visita presso le Sale operative della questura, i delegati armeni hanno potuto apprezzare il sofisticato sistema tecnologico a disposizione della Polizia di Stato per il pronto intervento e la gestione delle manifestazioni e dei grandi eventi.

L’iniziativa si è sviluppata in moduli di didattica frontale ma anche attraverso la condivisione di attività sul campo. I poliziotti armeni hanno, infatti, partecipato alla predisposizione dei servizi di ordine pubblico per l’incontro di calcio Lazio – Bayern Monaco e all’attuazione dei relativi controlli di sicurezza, con focus particolare alle tecniche messe in atto dal personale della Polizia di Stato. Nel corso della visita presso l’Istituto di Nettuno, hanno infine potuto approfondire gli aspetti formativi e tecnici della materia.

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Polizia di Stato: prosegue la cooperazione con la Repubblica dell’Armenia. Concluso il secondo corso di formazione dedicato a 10 alti funzionari su ordine pubblico e gestione di grandi eventi

Nuovi scontri fra Armenia e Azerbaigian, nonostante tutti cerchino, a parole, la pace (ScenariEconomici 17.02.24)

Giovedì 15 febbraio, il primo ministro armeno Nikol Pachinian ha accusato l’Azerbaigian di volere una “guerra totale” con l’Armenia, due giorni dopo nuovi scontri mortali al confine tra i due paesi del Caucaso.

” Le nostre analisi mostrano che l’Azerbaigian vuole lanciare azioni militari in alcune aree del confine con la prospettiva di un’escalation militare che si trasformerebbe in una guerra totale contro l’Armenia“, ha dichiarato Nikol Pachinian in occasione di una riunione del Consiglio dei Ministri, due giorni dopo nuovi scontri mortali al confine tra i due paesi del Caucaso. Martedì 13 febbraio, l’Armenia e l’Azerbaigian si sono accusati reciprocamente di aver sparato al confine tra i due paesi nei pressi di Nerkin Hand, nel sud-est dell’Armenia – un incidente in cui, secondo Yerevan, sono stati uccisi quattro soldati armeni.  Ecco l’area degli scontri

“L’Azerbaigian sta perseguendo una politica del tipo ‘datemi tutto quello che voglio attraverso i negoziati, altrimenti mi prenderò tutto con mezzi militari’”, ha denunciato Nikol Pachinian, accusando Baku di non volere “stabilità e sicurezza” nella regione. La tensione tra i due Paesi rimane alta. Erevan sospetta che l’Azerbaigian abbia nuove ambizioni territoriali da quando Baku ha riconquistato la regione separatista del Nagorno-Karabakh a settembre.

«Il ricatto gli costerà caro»

Nel suo discorso inaugurale dopo la rielezione a presidente all’inizio di febbraio, il presidente azero Ilham Aliev ha ribadito mercoledì che il suo paese non ha piani di espansione. “Non abbiamo rivendicazioni territoriali sull’Armenia. E loro devono rinunciare alle loro pretese. Ricattarli costerà loro caro”, ha dichiarato Ilham Aliev. E ha aggiunto: “Non ci sarà alcun accordo di pace finché l’Armenia non rinuncerà alle sue pretese sull’Azerbaigian”, nonostante i due Paesi abbiano una lunga storia di dispute territoriali. Inoltre l’Azerbaigian afferma che i morti armeni non sono altro che il risultato di una risposta a un attacco della controparte.

Il 62enne leader dell’Azerbaigian sta facendo tesoro della sua vittoria militare sui separatisti armeni del Nagorno-Karabakh, che ha posto fine a tre decenni di secessionismo segnati da due grandi guerre. Nel settembre 2023, con un’offensiva lampo, l’esercito azero ha preso il pieno controllo di questa enclave montuosa che gli era sfuggita dalla caduta dell’URSS, costringendo decine di migliaia di abitanti a fuggire in Armenia. Secondo Yerevan, l’Azerbaigian sta cercando di controllare la regione armena di Siounik per collegare l’enclave azera di Nakhichevan al resto dell’Azerbaigian e , non a caso, gli scontri si sono verificti proprio in questa area. In risposta a questo timore, alla fine di gennaio l’Armenia è entrata ufficialmente a far parte della Corte Penale Internazionale, che indaga e processa le persone accusate dei crimini più gravi che interessano l’intera comunità internazionale.

Tutti invocano la pace, ma intanto si prepara il conflitto

Almeno teoricamente tutti le parti in gioco cercano la pace: i ministri degli esteri delle due parti hanno ricevuto istruzioni di proseguire i colloqui per un accordo. Nel frattempo sia Washington sia Teheran hanno consigliato di proseguire nei colloqui, con l’Iran che si è perfino spinto a difendere l’integrità territoriale armena, una mossa inaspettata da un paese islamico.

La situazione in realtà è molto completta e questo conflitto è sono una piccola parte di un gioco caucasico e mediorientale molto più grande, che coinvolge anche Turchia, Georgia , Russia e USA. Non è ancora sicuro che questo conflitto si venga a spegnere.

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San Gregorio, il programma della festa patronale (CorriereSalentino 16.02.24)

Nuova costituzione per l’Armenia? L’opposizione dice no (Osservatorio Balcani e Caucaso 15.02.24)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha in mente di cambiare la costituzione del paese. Secondo alcuni la nuova costituzione è funzionale ad un potenziale accordo di pace con l’Azerbaijan. L’opposizione però fa muro e grida allo scandalo

15/02/2024 –  Onnik James Krikorian

Nelle ultime settimane, a Yerevan corrono voci secondo cui il primo ministro armeno Nikol Pashinyan starebbe puntando a importanti modifiche costituzionali in vista di un potenziale accordo per normalizzare le relazioni con l’Azerbaijan.

Sebbene la riforma costituzionale sia un leitmotiv di tutti i governi, il 19 gennaio, durante la visita al ministero della Giustizia, Pashinyan ha chiarito che i cambiamenti che ha in mente vanno ben oltre una riforma.

“[…] la Repubblica d’Armenia ha bisogno di una nuova Costituzione”, ha affermato. “Non emendamenti costituzionali, ma una nuova Costituzione”.

Il 23 gennaio, il ministero della Giustizia ha presentato un piano di riforma in cui raccomandava di trasformare l’attuale sistema di governo “stabile” o “maggioritario” in un modello minoritario per rendere meno probabile che un partito monopolizzi il potere. In particolare, però, la Costituzione “dovrebbe rendere il Paese più competitivo nel nuovo contesto geopolitico”.

L’opposizione armena ha reagito duramente, interpretando queste parole come una conferma che Yerevan è pronta a fare ulteriori concessioni a Baku per firmare il tanto atteso accordo di pace. In particolare, i critici ritengono che il governo intenda rimuovere un controverso preambolo della Costituzione attuale che fa riferimento alla Dichiarazione di Indipendenza del 1990.

La dichiarazione menziona una decisione congiunta del 1989 sulla “riunificazione della Repubblica socialista sovietica armena e della regione montuosa del Karabakh”. Nell’agosto dello scorso anno, Pashinyan aveva già alimentato tali speculazioni sottolineando che la dichiarazione conteneva una “narrazione conflittuale con l’ambiente regionale che ci ha tenuti in costante conflitto con i nostri vicini”.

Parlando il 24 gennaio scorso, il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan ha confermato che Baku aveva sollevato preoccupazioni riguardo al preambolo della costituzione e riguardo altre leggi. La discussione probabilmente farà parte dei colloqui, ha confessato, ma il primo febbraio il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha avvertito che il mancato cambiamento della costituzione potrebbe impedire qualsiasi accordo.

Yerevan si affretta a sottolineare che la riforma costituzionale è pianificata da tempo. Pashinyan ha ottenuto il potere nel 2018, quando Serzh Sargsyan aveva tentato di mantenerlo oltre i due mandati presidenziali, diventando primo ministro in base ad una costituzione riformata tre anni prima. Pashinyan ha tentato di riformare la costituzione nell’aprile 2020, ma la pandemia, la guerra dei 44 giorni e le successive elezioni anticipate gli hanno impedito di farlo.

Dall’anno scorso, però, l’opposizione accusa Pashinyan anche di voler inaugurare una “quarta repubblica” per prendere le distanze dalla terza, la repubblica post-sovietica dell’Armenia formatasi nel 1991. Il primo febbraio, in un’intervista ad Armenian Public Radio, non ha negato tali affermazioni. Secondo i critici, ciò potrebbe estendersi al cambiamento dei simboli di stato.

L’anno scorso, ad esempio, Pashinyan si è opposto ad alcuni dei simboli attuali presenti sullo stemma del paese, e in particolare alla raffigurazione del Monte Ararat, situato nella vicina Turchia. Quest’anno, anche il presidente dell’Assemblea nazionale Alen Simonyan ha suggerito di cambiare l’inno, cosa che sostiene dal 2019, quasi un anno dopo la Rivoluzione di velluto del 2018 di Pashinyan.

Nel 2004, la Georgia aveva cambiato i suoi simboli (bandiera, stemma e inno nazionale) di stato in seguito alla Rivoluzione delle Rose del 2003.

L’opposizione sostiene che l’elettorato rifiuterebbe tali cambiamenti, soprattutto se credesse che dietro di loro ci sia la pressione di Baku, e forse anche di Ankara. Ci sono anche altri potenziali ostacoli. Affinché un referendum passi, non solo dovrebbe essere d’accordo oltre il 50% degli elettori, e non dovrebbero essere inferiori al 25% dell’elettorato totale.

Anche se gli armeni accettassero i cambiamenti, data la bassa affluenza alle urne alle elezioni municipali di Yerevan dello scorso anno ciò potrebbe rivelarsi un’impresa ardua. Secondo altri, tra cui l’alleato di Pashinyan Aram Sargsyan (fratello del defunto primo ministro e ministro della Difesa assassinato nella sparatoria parlamentare del 27 ottobre 1999), indire un referendum in concomitanza con le elezioni anticipate potrebbe essere una possibile soluzione.

Ciò è in linea con altre voci che suggeriscono nuove elezioni parlamentari anticipate dato il calo del gradimento di Pashinyan. Sebbene l’opposizione non sia molto popolare, il sostegno del governo potrebbe scendere ancora entro il 2026, quando saranno previste le prossime elezioni.

“Per quanto ho capito […], il referendum si terrà al più tardi quest’autunno, e non ho dubbi che si terrà lo stesso giorno delle nuove elezioni parlamentari”, ha detto Sargsyan al Servizio Armenia di RFE/RL la settimana scorsa . “Penso che non dispiacerebbe […] farlo questa primavera [ma] organizzare un referendum costituzionale richiede molto tempo”.

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L’identità dell’Armenia ieri e oggi (Asianews 15.02.24)

ietro alle discussioni in corso a Erevan sull’opportunità di cambiare la costituzione, insieme al simbolo e all’inno nazionale, non c’è solo la questione del Nagorno Karabach. In gioco c’è soprattutto l’affermazione del “dovere di perseguire gli interessi di tutto il mondo armeno”, che rischia di guarda alla storia del passato più che agli interessi dei cittadini dell’Armenia di oggi. Il nodo delle relazioni con Mosca.

Erevan (AsiaNews) – Continuano in Armenia le discussioni sull’opportunità di cambiare la costituzione, insieme al simbolo e all’inno nazionale, dopo le proposte avanzate dal primo ministro Nikol Pašinyan. Il deputato del partito di maggioranza dell’Accordo Civile, Vaagn Aleksanyan, ha commentato in un’intervista a Ota le accuse dell’opposizione, secondo cui l’attuale dirigenza intende “stravolgere l’identità del popolo armeno”. A suo parere “in questo dibattito sono in gioco dimensioni molto profonde della nostra vita, che dobbiamo affrontare insieme, altrimenti non riusciremo ad andare avanti”.

Ci sono diversi elementi da chiarire, insiste Aleksanyan, sia nel testo della costituzione che negli stessi simbolismi inseriti nello stemma nazionale, con lo scudo tra l’aquila e il leone (la saggezza e l’orgoglio) che rappresenta il monte Ararat con l’arca di Noè sulla cima (la biblica montagna che oggi si trova in territorio turco) e il resto del territorio affonda tra le onde del sottostante lago Sevan. Il deputato osserva che “non è certo un’identità positiva quella di un popolo che vive sott’acqua in terra straniera”. I quadri ai lati del monte presentano con immagini di piante e animali i quattro regni della storia armena, i Bagratidi, gli Aršakidi, gli Artašesidi e i Rubenidi, dei quali l’attuale popolazione conosce ormai ben poco.

L’Armenia attuale è in effetti solo un resto periferico dell’antico regno, il primo Stato cristiano della storia, poi quasi completamente annientato dai turchi ottomani fino al genocidio di inizio ‘900, e salvatosi sostanzialmente grazie al sostegno dei russi sovietici. Aleksanyan è convinto che “dobbiamo comprendere la nostra identità di oggi, non è necessario né possibile farlo in pochi giorni, ma dobbiamo almeno iniziare a parlarne”. La perdita dell’Artsakh conquistato dagli azeri è uno dei fattori scatenanti di questa nuova presa di coscienza, insieme allo stesso conflitto tra Russia e Ucraina.

In questo senso è importante chiarire la proposta di eliminare dalla costituzione il rimando alla Dichiarazione di indipendenza, in cui si afferma in pratica che “la repubblica dell’Armenia come Stato ha il dovere di perseguire gli interessi di tutto il mondo armeno”, rendendo assai difficile definire quali siano gli interessi dei tanti armeni che vivono proprio in Russia e in Ucraina, per non parlare dei territori contesi con l’Azerbaigian. Il deputato è convinto che “la costituzione dell’Armenia deve riguardare gli interessi dei cittadini che vivono in Armenia”.

Uno degli aspetti più roventi del dibattito riguarda le pretese del presidente di Baku, Ilham Aliev, a cui si vorrebbe sottomettere il premier Pašinyan. Per Aleksanyan “è una strana affermazione, per cui prima Pašinyan dice di cambiare la costituzione, poi le opposizioni dicono che lo vuol fare per volere di Aliev, e solo alla fine Aliev dice: sì, voglio che cambiate la costituzione”. Non è chiaro infatti in che cosa consista il desiderio di Aliev, tranne i riferimenti al Nagorno Karabakh che non sono espliciti in nessuna parte del testo.

Secondo Pašinyan, l’Armenia deve diventare “un Paese concorrenziale e autonomo nelle nuove condizioni geopolitiche”, e anche il ministro degli esteri Ararat Mirzoyan ha definito “un’esagerazione” considerare il processo di regolazione dei rapporti armeno-azeri come l’unica causa della modifica alla legge fondamentale dello Stato. Oltre alle schermaglie retoriche con l’Azerbaigian, con cui le tensioni continuano a rimanere molto alte, con continui episodi di conflitti locali alle frontiere, la questione della “nuova identità” riguarda in modalità ancora più profonde il rapporto con la Russia.

Nella recente intervista di Pašinyan a The Telegraph, che pure sta alimentando discussioni e polemiche, il premier ha affermato che “le relazioni con Mosca non devono più essere di alleanza stabile, ma di semplice partenariato, come con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea”. Una presa di posizione ben più radicale delle questioni locali, che recide in modo molto radicale i ponti con il passato antico e recente dell’Armenia.

L’Armenia accusa l’Azerbaigian,vogliono una guerra totale (Ansa e altri 15.02.24)

Il primo ministro armeno, Nikol Pachinian, ha accusato l’Azerbaigian di volere una “guerra totale” con l’Armenia, due giorni dopo nuovi scontri mortali al confine tra i due Paesi del Caucaso.

“Le nostre analisi mostrano che l’Azerbaigian vuole lanciare azioni militari in alcune aree del confine con la prospettiva di un’escalation militare che si trasformerebbe in una guerra totale contro l’Armenia”, ha dichiarato Pachinian durante una riunione di gabinetto.


L’Armenia accusa l’Azerbaigian: «Vuole una guerra totale» (Lettera43)

 

Crisi tra Armenia e Azerbaigian: rischio di una guerra totale (Ultima voce)

Nagorno, al via il ritorno degli azeri: occupare le case dei cristiani (Avvennire 15.02.24)

Dopo le nuove tensioni, con 4 soldati armeni uccisi sul confine, l’Azerbaigian avvia la campagna per ripopolare la regione da cui ha provocato l’esodo di 130mila civili della minoranza armena.
Scene della battaglia con cui il 19 settembre 2023 l'Azerbaigian ha riconquistato il Nagorno-Karabakh

Scene della battaglia con cui il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian ha riconquistato il Nagorno-Karabakh – Immagine di repertorio

Il messaggio è arrivato il 7 febbraio. In vista della quinta elezione plebiscitaria, il presidente Aliyev e la moglie Mehriban Aliyev hanno votato a Khankendi (in armeno Stepanakert), principale città del Nagorno-Karabakh. Dalle urne Aliyev è uscito con il 92% di preferenze. E recandosi al voto nel riconquistato Nagorno, Aliyev avviava l’Operazione Ritorno: occupare le case degli armeni cristiani scacciati e consegnarle alle famiglie azere.

Due giorni fa l’Azerbaigian ha ucciso 4 soldati armeni dispiegati sul confine, come “atto di vendetta” per alcune raffiche sparate dall’esercito armeno, che non avevano provocato feriti. Dopo il pogrom di settembre contro la minoranza cristiana (oltre 200 i morti accertati ma l’Azerbaigian impedisce di compiere verifiche agli organismi internazionali) ora le mire di Baku vanno in due direzioni. Primo passo: il ripopolamento della regione. Secondo: l’apertura di un corridoio in territorio armeno che colleghi direttamente all’alleato forte, la Turchia di Erdogan.

Intanto sono partiti nuovi cantieri immobiliari, lavori per nuove autostrade e persino un aeroporto e la promessa di “villaggi smart”, ad alta attrazione tecnologica per giovani famiglie e nuove imprese. A Baku se ne parla come del «grande ritorno ai territori liberati dell’Azerbaigian», dopo la fuga di migliaia di azeri durante le guerre del 1988-1994. Il controesodo non c’è ancora stato, ma già si vedono le prime famiglie che prendono possesso di abitazioni appartenute alla comunità armena. Solo nel 2023 l’Azerbaigian ha stanziato 3,1 miliardi di dollari destinati al “reinsediamento” che ha la scopo di scoraggiare ogni speranza di un ritorno per la comunità cristiana.

Allo spostamento della popolazione azera verso ilNagorno, in perfetto stile sovietico, ne corrisponde uno inverso. Dallo scorso settembre, dopo la guerra lampo con cui Baku ha riconquistato il cuore della regione nel Caucaso Meridionale, 130mila persone di etnia armena, quasi l’intera popolazione di origine armena del Nagorno Karabakh, hanno lasciato l’enclave occupata dai separatisti sostenuti da Erevan nei primi anni Novanta. I pochi rimasti non hanno potuto neanche votare.

Che non vi sia più alcuna speranza per un reinsediamento degli armeni nella regione che a Erevan chiamano Artsakh, lo conferma anche lo stanziamento dell’Unione Europea per la loro definitiva sistemazione in Armenia. Da Bruxelles arriveranno altri 5,5 milioni di euro in aiuti umanitari.

Il negoziato di pace procede a strattoni. Baku chiede che le parti si incontrino «nella regione», rifiutando l’ipotesi di colloqui presso l’Unione Europea o negli Usa. Di recente i diplomatici dei due Paesi si sono scambiati alcune bozze. Dopo la lettura, l’Armenia ha accusato l’Azerbaijan di «regressione». Baku ha replicato sostenendo che Erevan vuole guadagnare tempo. Di certo l’Azerbaigian ha cambiato posizione sul ripristino di una via di collegamento ferroviario e stradale tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Nakhchivan, incastrata tra Armenia e Turchia. Dopo la riconquista del Nagorno le autorità di Baku avevano annunciato che avrebbe usato il territorio dell’Iran per aprire un corridoio diretto con il Nakhchivan, ma il mese scorso ha nuovamente chiesto di poter attraversare l’Armenia, come inizialmente previsto.

Il timore di diversi funzionari armeni è che dopo la riconquista del Karabakh, l’Azerbaijan possa voler tracciare la strada ricorrendo alla forza. Abbastanza perché Josep Borrell, commissario Ue agli Esteri, mettesse in guardia per le «gravi conseguenze» di un’eventuale incursione militare.

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