Il vandalismo azero non impedirà che la Croce di Cristo risplenderà sull’Artsakh per sempre (Korazym 29.02.24)

 A Stepanakert è stato abbattuto il busto in memoria di Charles Aznavour, uno dei massimi interpreti della musica mondiale. Il Consiglio di Stato per la Protezione del Patrimonio Culturale dell’Artsakh ha dato notizia attraverso la propria pagina Facebook, di questo atto vandalico degli Azeri: «Il regime azerbajgiano ha smantellato il monumento a Charles Aznavour, eretto in occasione del centenario del famoso cantante, situato accanto al Centro della Francofonia Paul Eluard a Stepanakert».

La cerimonia di inaugurazione del busto del leggendario cantante franco-armeno Charles Aznavour era tenuta il 22 maggio 2021 nel parco dell’amicizia armeno-francese, alla presenza dello scultore del busto, Yuri Hovhannisyan, e del direttore del Centro, Armen Hovsepyan, che nelle sue osservazioni ha molto apprezzato il ruolo e il contributo del leggendario cantante franco-armeno alla cultura globale e alla vita del popolo armeno. L’architetto Mamikon Farsiyan aveva sottolineato che era un giorno speciale per lui, poiché il suo sogno e quello di molti altri sono diventati realtà: Artsakh finalmente aveva il busto di Aznavour.

L’abbattimento del monumento, è un insulto alla musica e alla cultura mondiale, ha sottolineato il Consiglio per la Comunità Armena di Roma, denunciando con una nota questo ennesimo atto vandalico azero, frutto di odio contro gli Armeni, che purtroppo segue molti altri compiuti in questi mesi di occupazione azera dell’Artsakh armeno. Statue, katchkar (croci di pietra), chiese, tombe, iscrizioni di ogni genere vengono abbattuti in una furia alimentata dal regime autocratico di Ilham Aliyev, che ha il solo scopo di eliminare – in un vero e proprio genocidio culturale – ogni traccia della millenaria presenza armena nella regione. Il Consiglio invita i media, anche italiani, a denunciare con fermezza queste intolleranti azioni di demolizione che nulla hanno a che fare con le discussioni politiche ma esprimono solo odio, razzismo e inciviltà.

In questi giorni ricordiamo, che tutto la questione del Nagorno-Karabakh cominciò dal pogrom di Sumgait. Dal 27 al 29 febbraio 1988, nella città di Sumgait, in Azerbajgian, venne organizzato un massacro della popolazione armena, accompagnato da omicidi, stupri, pogrom e rapine. Poi l’ondata di pogrom armeni si diffuse su tutto il territorio dell’Azerbajgian. Manifestazioni su larga scala furono organizzate a Yerevan a sostegno delle giuste rivendicazioni della popolazione del Nagorno-Karabakh.
Nel marzo del 1988 venne fondata nel Nagorno-Karabakh l’organizzazione Krunk (Comitato per il governo rivoluzionario in Karabakh), che coordinava il movimento di liberazione degli Armeni dell’Artsakh.
Il 13 giugno 1988, la Presidenza del Consiglio Supremo della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian rifiutò categoricamente di soddisfare la richiesta degli Armeni del Nagorno-Karabakh di trasferire la regione dalla Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian alla Repubblica Socialista Sovietica di Armenia. Due giorni dopo, il Consiglio Supremo della RSS di Armenia diede il suo consenso “in relazione all’inclusione della Regione Autonoma del Nagorno Karabakh nella struttura della RSS di Armenia”.
Il 12 luglio 1988, l’ottava sessione del XX Consiglio di Convocazione dei Deputati del Popolo della Repubblica del Nagorno Karabakh annunciò il ritiro della Regione Autonoma del Nagorno Karabakh dalla RSS di Azerbajgian.
Nella situazione creata, la Presidenza del Consiglio Supremo dell’URSS con il decreto del 12 gennaio 1989, introdusse temporaneamente una speciale forma di governo nel Nagorno-Karabakh. Secondo tale decreto, i poteri del Consiglio dei deputati del popolo del Nagorno-Karabakh e del suo comitato esecutivo furono sospesi fino allo svolgimento delle elezioni dei nuovi membri del Consiglio. I suoi poteri furono completamente trasferiti al nuovo Comitato Speciale di Gestione del Nagorno-Karabakh, che era direttamente subordinato ai più alti organi del potere statale e dell’amministrazione dell’URSS. Arkady Volsky, che aveva assunto la guida del Comitato con la qualifica di “Rappresentante del Comitato Centrale e del Soviet Supremo” in Nagorno-Karabakh, suggerì di allentare la tensione attraverso lo sviluppo dell’economia del Nagorno-Karabakh, la creazione di forti legami economici e culturali tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia e la prevenzione della discriminazione contro la popolazione armena.
Il Comitato, che aveva sostituito gli organi governativi legalmente eletti del Nagorno-Karabakh e aveva ricevuto poteri amministrativi illimitati, fu però allo stesso tempo privato di ogni opportunità di gestire la vita economica della regione. I fondi stanziati per il Nagorno-Karabakh furono gestiti dalla leadership azera, che realizzò costruzioni su larga scala negli insediamenti azeri, creando luoghi di residenza e di lavoro per i coloni Azeri. Anche gli sforzi del Comitato Speciale di Gestione per eliminare o almeno allentare il blocco del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian furono vani.
La decisione di sciogliere le strutture regionali fu accolta negativamente nel Nagorno-Karabakh, poiché questo passo ostacolava le possibilità di un dialogo a pieno titolo. Tempo altri due anni e nel 1991, con l’uscita della RSS di Azerbajgian dall’URSS, il corso della storia porterà alla dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Nagorno-Karabakh e il conflitto che proseguiva per tre decenni, con aggressioni e guerre.

La furia anti-armena degli Azeri non terminò dopo l’occupazione completa dell’Artsakh con l’aggressione terroristica del 19-20 settembre 2023 e la successiva deportazione con la forza dell’intera popolazione armena autoctona. Il vandalismo statale azera non conosce limiti. Non trovando più Armeni da sterminare, l’Azerbajgian continua a perseguire una politica intollerante nei confronti del patrimonio culturale armeno a livello statale negli insediamenti occupati della Repubblica di Artsakh. Prosegue la politica di distruzione sistematica dei monumenti nell’Artsakh occupato, come l’Azerbajgian ha fatto sempre in ogni territorio finito sotto il suo controllo.

Lo scorso 21 febbraio, i media statali azeri hanno riferito, riprendendo evidentemente fonti governative dell’Azerbajgian: «Tutti i monumenti “illegali” armeni saranno smantellati in Karabakh». Considerando le testimonianze finora già raccolte, non esiste alcun dubbio che questa pulizia culturale stia procedendo e che presto non rimarrà più in piedi un solo monumento armeno nell’Artsakh occupato. Poco alla volta arrivano immagini, che documentano gli atti di vandalismo azero e la rimozione di pezzo dopo pezzo del patrimonio storico religioso culturale armeno. Questa politica è attuata a livello statale con l’obiettivo di distruggere completamente la traccia armena nell’Artsakh occupato.

«Registriamo quotidianamente molti fatti riguardanti il genocidio culturale compiuto dall’Azerbajgian a livello statale nell’Artsakh occupato», ha osservato Mkhitar Karapetyan, dell’Ufficio del Difensore Civico per la “cultura armena”. Ha avvertito ancora una volta che nei video girati dagli invasori Azeri della capitale della Repubblica di Artsakh, Stepanakert, si possono osservare le tracce del vandalismo azero. Per esempio, dall’analisi di un video girato il 13 febbraio 2024, si evince che le sculture poste sul viale Andranik sono state eliminate dagli occupanti azeri.

Il Consiglio di Stato per la Protezione del Patrimonio Culturale dell’Artsakh ha denunciato anche un altro atto di vandalismo da parte degli Azeri: «Il regime azerbajgiano ha distrutto il monumento ad Artsvi, che è stato costruito in epoca sovietica ed è un simbolo dell’infanzia di Stepanakert, nel Parco Superiore di Stepanakert». Si tratta di una piccola opera artistica; ma tanto è bastato ai vandali Azeri per distruggerla. Qualsiasi cosa abbia a che fare con la cultura (e che sia vagamente armeno) viene demolito.

Anche la statua del filantropo e figura nazionale Alek Manukyan, è stata abbattuta dalle forze di occupazione dell’Azerbajgian a Stepanakert.

Tra gli altri, anche i monumenti allo scrittore Hakob Hakobyan, al primo Presidente del Comitato Popolare della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia Alexander Myasnikyan, all’Ammiraglio Ivan Isakov, ai soldati sovietici Anatoly Zinevich, Kristafor Ivanyan e altri erano stati smantellati. I vandali Azeri hanno demolito anche il monumento al leader bolscevico del Caucaso, Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo di Baku, Stepan Shaumyan, che dà il nome alla Città di Stepanakert. Anche il monumento all’eroe dell’Artsakh, Ashot Ghulyan, è stato smantellato nel parco omonimo a Stepanakert.

«Dai materiali pubblicati su Internet apprendiamo anche che le tombe dei morti nella guerra di liberazione dell’Artsakh sono vandalizzato», ha affermato in una nota la municipalità in esilio di Stepanakert.

Anche il Museo di Martakert nell’Artsakh occupato è diventato vittima dei vandali Azeri, riferisce il canale Telegram Karabakh Records: «L’Azerbajgian continua a distruggere a livello statale il patrimonio culturale dell’Artsakh occupato. Questa volta, l’obiettivo dei vandali Azeri era il museo della Città di Martakert della Repubblica di Artsakh. Tutto ciò dimostra ancora una volta che l’Azerbajgian distrugge tutto il patrimonio culturale dell’Artsakh a livello statale».

Il giornalista dell’Artsakh, Marut Vanyan – come ricordiamo anche lui ora in esilio forzato in Armenia, molte volte ospite di questa rubrica durante il #ArtsakhBlockade, si domanda se anche il monumento alle vittime del terremoto in Armenia del 1988 sarà considerato “illegale” dal regime di Aliyev. Sicuramente verrà demolito, sempre che ciò non sia già accaduto, il memoriale ai caduti delle guerre di liberazione. Via statue, targhe, cippi e tutto quello che è stato inaugurato negli ultimi trent’anni. Un patrimonio culturale enorme, destinato alla distruzione.

Forse, ma per poco, si salverà il monumento simbolo dell’Artsakh Noi siamo le nostre montagne [QUI], ma solo perché è del 1965 e perché il suo abbattimento farebbe troppo rumore. Ma, non c’è dubbio che è una mera questione di tempo: prima o poi faranno fuori anche quello.

Per il resto, tutto l’Artsakh sarà disseminato di Pugni di ferro [QUI e QUI] , che è l’unica espressione artistica di cultura, che gli Azeri sono riusciti a concepire.

Ecco, perché è importante documentare ogni attentato alla cultura e al patrimonio armeno in Artsakh e continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo lì. L’oblio è infatti il miglior alleato di questi incivili occupanti.

Tra le tante chiese diventate vittime del vandalismo culturale azerbajgiano, citiamo la chiesa di San Sargis nel villaggio di Tsar, distretto di Karvachar dell’Artsakh occupato. I vandali azeri sono passati anche da queste parti e hanno rimossa la croce e una delle pietre con iscrizioni, mentre a terra non sono più presenti frammenti di khachkar della chiesa.

Infine, ricordiamo che anche la grande croce, che dall’alto di un colle illuminava la capitale della Repubblica di Artsakh, Stepanakert, sopravvissuta alla guerra del 2020. Era stata eretta in memoria dei militari morti per la liberazione e la difesa dell’Artsakh. Subito dopo l’occupazione in settembre 2023 è stata abbattuta dagli Azeri.

Ecco, la fine che ha fatto la croce dell’Artsakh, la seconda più grande d’Europa, su una delle colline vicino al villaggio di Dashushen, che domina la capitale Stepanakert.

Tutti i Paesi cristiani stanno semplicemente a guardare: non fanno nulla, non condannano questa politica genocida dell’Azerbajgian. E la croce di Stepanakert non c’è più. Ma la Croce di Cristo risplenderà per sempre sull’Artsakh.

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La missione UE in Armenia celebra il primo anniversario (Osservatorio Balcani e Caucaso 29.02.24)

Da un anno la missione dell’Unione europea in Armenia (EUMA) è dispiegata al confine con l’Azerbaijan, che pattuglia regolarmente: una misura considerata necessaria da Yerevan – che teme un nuovo conflitto -, ma vista con sospetto da Baku

29/02/2024 –  Onnik James Krikorian

La missione dell’Unione europea in Armenia (EUMA) ha celebrato la scorsa settimana il primo anniversario del suo dispiegamento al confine con l’Azerbaijan. Per celebrare l’occasione, in un hotel nel centro di Yerevan, si è tenuto un evento a cui hanno partecipato ambasciatori occidentali, funzionari governativi armeni, tra cui il segretario del Consiglio di sicurezza Armen Grigoryan, e alcuni membri della società civile locale.

Trenta osservatori civili disarmati della missione, che indossavano giubbotti blu, hanno ricevuto medaglie per il servizio reso alla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dal capo missione EUMA Markus Ritter. L’ex capo della polizia tedesca ha ribadito che l’obiettivo della missione è quello di contribuire alla normalizzazione delle relazioni tra i due paesi.

Dispiegata il 20 febbraio 2023, EUMA ha seguito la più breve missione “Capacità di monitoraggio dell’Unione europea (EUMCAP)”, che aveva monitorato per due mesi il confine tra Armenia e Azerbaijan a partire da ottobre 2022. Il numero del personale impiegato, inizialmente composto da “fino a 100” membri, è salito a 138 e raggiungerà i 209.

In occasione dell’anniversario, Ritter ha affermato che 48 persone dello staff attuale sono veri e propri osservatori che operano dalle basi di Goris, Ijevan, Jermuk, Kapan, Martuni e Yeghegnadzor, il quartier generale della missione. Ad oggi EUMA ha condotto oltre 1.720 pattugliamenti.

“Il rafforzamento della Missione e l’aumento del numero del personale ci consentono di condurre più pattugliamenti, contribuendo alla sicurezza e alla stabilità generale nella regione”, ha affermato Ritter. “Stiamo conducendo pattugliamenti giornalieri per osservare e segnalare la situazione sul terreno. In questo giorno speciale, desidero riconoscere il prezioso lavoro del personale della Missione e ringraziare i 23 Stati membri dell’UE che contribuiscono con il proprio personale alla missione”.

La missione, tuttavia, non è priva di controversie. Sebbene l’Azerbaijan abbia accettato con riluttanza lo spiegamento di EUMCAP sul lato armeno del confine, Baku sostiene che EUMA potrebbe essere utilizzata per ritardare i progressi nella normalizzazione delle relazioni tra i due paesi mentre tentano di elaborare un accordo per porre fine al conflitto trentennale.

Il governo azero non ha inoltre gradito l’annuncio dell’UE di novembre, secondo cui l’Armenia sarà inclusa nel Fondo europeo per la pace, un’iniziativa volta a rafforzare la capacità di difesa dei paesi beneficiari. Tuttavia, è improbabile che ciò possa cambiare gli equilibri di potere. Nel 2023, rispettivamente, la Georgia e la Moldova avrebbero ricevuto 40 e 36 milioni di Euro in 36 mesi per finanziare attrezzature, forniture e servizi non letali.

Anche Russia e Iran hanno espresso il loro disappunto per le attività EUMA in Armenia, considerandole un intervento internazionale nel Caucaso meridionale da parte di paesi che si spingono ben oltre i propri confini ed aree d’interesse. Tuttavia, altri sottolineano che un’altra missione PSDC, l’EUMM nella vicina Georgia, è già operativa dalla fine del 2008. Inoltre, sebbene EUMA possa ridurre il rischio di incidenti transfrontalieri, difficilmente può evitarli. Ciò dipende dalla volontà politica dei due governi, come dimostrato da un periodo di calma di due mesi tra il ritiro di EUMCAP e la sua sostituzione con EUMA, anche se si verificano incidenti isolati in gran parte dipendenti dal processo di normalizzazione stesso.

Il 12 febbraio scorso, presunti colpi di cecchino provenienti dal lato armeno del confine hanno ferito una guardia di frontiera azera a Kolluqışlaq, un villaggio nel distretto di confine di Zangelan. Il giorno successivo è avvenuto un attacco di ritorsione a Nerkin Hand, situato oltre il confine con l’Armenia, che ha portato alla morte di quattro membri di quella che è stata segnalata come “Yerkrapah”, una controversa formazione politico-militare armena.

L’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha definito “deplorevole” l’uccisione della guardia azera, ma ha descritto la risposta di Baku come “sproporzionata”. L’EUMA afferma inoltre di non pattugliare la zona.

“La nostra missione ha accesso all’intero territorio dell’Armenia, ad eccezione del territorio di Nerkin Hand, che è sotto la responsabilità delle guardie di frontiera russe”, ha affermato Ritter in commenti ribaditi anche da quelli del segretario del Consiglio di sicurezza armeno Grigoryan. “L’Armenia dovrebbe affrontare questo problema”, ha continuato il capo missione. “Non abbiamo contatti diretti con le forze russe di stanza in Armenia”.

Tuttavia, anche il rappresentante dell’Azerbaijan per gli incarichi speciali, Elchin Amirbayov, ha accusato EUMA di aver reso più probabili tali incidenti. Baku accusa da tempo EUMA di impegnarsi in quella che definisce “diplomazia del binocolo”, con diplomatici europei accompagnati al problematico confine per osservare “le posizioni dell’Azerbaijan attraverso un binocolo, scattare foto e poi distribuirle su diversi social media attribuendo all’UE il merito perché l’Azerbaijan non sta attaccando l’Armenia”. La settimana scorsa, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che una nuova guerra è “molto probabile”.

Nonostante le controversie, la presenza EUMA è considerata una misura di rafforzamento della fiducia molto necessaria in Armenia, soprattutto per le comunità situate al confine con l’Azerbaijan. “Sono sicuro che la missione di monitoraggio dell’UE stia apportando un contributo importante all’Armenia e alla regione, il che simboleggia il coinvolgimento dell’UE per la pace e la stabilità”, ha affermato il comandante PSDC Tomat all’evento dell’anniversario. “Sono pienamente consapevole dei limiti di ciò che possiamo realizzare in un ambiente così delicato e complesso”, ha osservato Ritter.

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Cappella Dzordzor: storia e architettura in un’armonia affascinante (Ilfarosulmondo 29.02.24)

La Cappella Dzordzor, conosciuta anche come Cappella della Santa Madre di Dio, è un gioiello che affascina i visitatori con il suo significato storico e la sua bellezza architettonica. Il monumento è situato dodici chilometri a nord-ovest del Monastero di San Taddeo, designato dall’Unesco, in prossimità del Villaggio Barone, a circa venti chilometri da Maku.

L’architettura della Cappella Dzordzor è una miscela di design ecclesiastico armeno e la bellezza naturale dei suoi dintorni. La secolare cappella presenta una facciata modesta ma attraente, realizzata in pietra con finestre lungo le pareti che conducono a volte a botte ogivali sostenute da false colonne. L’edificio, a forma di croce, è rettangolare e ha l’aspetto di una sala di preghiera.

Misurando sette metri di lunghezza, cinque metri di larghezza e alta dodici metri, la cappella presenta una cupola con sedici scanalature, quattro archi sottostanti e altri quattro che la circondano. Quattro soffitte adornano i lati delle pareti, completate da quattro stanze interne.

Il cancello d’ingresso, posizionato sul lato occidentale, è realizzato in metallo con motivi ornati a forma di croce. In particolare, le pietre sono disposte in modo complesso e intrecciate, nascondendo alla vista la malta tra di loro. Anche le forme della croce sono incise sulle pietre, aggiungendo un tocco unico all’estetica della cappella.

La Cappella prende il nome dal vescovo armeno Hovanes Yerznkatsi, noto anche come Tsortsoretsi, che fu una figura letteraria ed educatore.

Cappella Dzordzor sommersa nel 1988

La Cappella Dzordzor è stata sommersa nel 1988 a causa dell’operazione della diga Baron. Grazie agli sforzi di collaborazione tra la società armena e gli esperti dell’allora Organizzazione iraniana per i beni culturali, l’artigianato e il turismo, la Cappella è stata sottoposta a restauro e ricostruzione per riconquistare il suo antico splendore.

In accordo con la Chiesa Apostolica Armena, le autorità iraniane ricollocarono la struttura a 600 metri nel 1987-1988, in risposta alla decisione di costruire una diga sul fiume Zangmar.

Questa mossa strategica ha impedito che la Cappella venisse sommersa nel bacino della diga. Il lago risultante, formatosi dietro la diga Baron, non solo ha preservato la Cappella, ma ha anche contribuito a creare uno scenario mozzafiato, esaltando la bellezza complessiva di questo sito storico.

Complessi monastici armeni dell’Iran

I complessi monastici armeni dell’Iran, registrati dall’Unesco, nel nord-ovest del paese, sono costituiti da tre complessi monastici di fede cristiana armena: San Taddeo e San Stepanos e la Cappella di Dzordzor.

Questi edifici – il più antico dei quali, San Taddeo, risale al VII secolo – sono esempi di eccezionale valore universale della tradizione architettonica e decorativa armena.

Secondo l’organismo culturale dell’Onu, testimoniano scambi molto importanti con le altre culture regionali, in particolare quella bizantina, ortodossa e persiana. Situati all’estremità sud-orientale della zona principale dello spazio culturale armeno, i monasteri costituivano un importante centro per la diffusione di quella cultura nella regione.

Sono gli ultimi resti regionali di questa cultura che si trovano ancora in uno stato soddisfacente di integrità e autenticità. Inoltre, in quanto luoghi di pellegrinaggio, i complessi monastici sono testimoni viventi delle tradizioni religiose armene attraverso i secoli.

di Redazione

Premio Montale Fuori di Casa per la Narrativa 2024 a Antonia Arslan, cerimonia di premiazione (Mentelocale 29.02.24

Mercoledì 6 marzo 2024 alle ore 18.00 Casa Manzoni a Milano (via Gerolamo Morone 1) ospita la cerimonia di assegnazione a Antonia Arslan del Premio Montale Fuori di Casa per la Narrativa.

Nessun’altra sede avrebbe potuto meglio ospitare la premiazione di questa scrittrice se non la dimora dove visse Alessandro Manzoni, a cui si deve la nascita del romanzo storico. Anche Antonia Arslan ha scritto importanti romanzi che possiamo si possono definire storici per la serietà degli studi sul genocidio armeno che hanno preceduto la realizzazione delle sue opere, a partire da La Masseria delle allodole, di cui ricorrono i vent’anni dalla prima edizione.

A lei infatti il premio verrà assegnato, come si legge nella motivazione, «per aver fatto conoscere in Italia e nel mondo grazie ai suoi romanzi la verità sul primo e sistematico genocidio di un popolo: un milione e cinquecentomila armeni sterminati tra il 1915 e il 1923 a seguito dell’azione di pulizia etnica compiuta dalla furia dei Giovani Turchi. Il resto della popolazione fu islamizzato o riuscì a fuggire all’estero, come la famiglia di Antonia Arslan. Il genocidio è un fatto storico che la Turchia, ancora oggi, non vuole riconoscere».

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Premio Montale Fuori di Casa 2024 ad Antonia Arslan per la Sezione Narrativa (Gazzettadellaspezia)

 

Anche il grande Charles Aznavour vittima del vandalismo azero! (Politicamentecorretto 28.02.24)

Il busto dedicato al grande cantante franco-armeno Charles Aznavour è stato abbattuto dagli azeri a Stepanakert nel Nagorno Karabakh (Artsakh) finito sotto controllo dell’Azerbaigian dopo l’ennesimo attacco militare nel settembre scorso.
Il monumento era stato inaugurato nel 2021 e si trovava nei pressi del circolo francofono della città.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” denuncia questo ennesimo atto vandalico, frutto di odio contro gli armeni, che purtroppo segue molti altri compiuti in questi mesi di occupazione.
Statue, katchkar (croci di pietra), chiese, tombe, iscrizioni di ogni genere vengono abbattuti in una furia alimentata dal regime di Aliyev che ha il solo scopo di eliminare – in un vero e proprio genocidio culturale – ogni traccia della millenaria presenza armena nella regione.

L’abbattimento del monumento a Charles Aznavour (di cui il prossimo 22 maggio ricorre il centenario della nascita) è un insulto alla musica e alla cultura mondiale.

Il Consiglio invita i media, anche italiani, a denunciare con fermezza queste intolleranti azioni di demolizione che nulla hanno a che fare con le discussioni politiche ma esprimono solo odio, razzismo e inciviltà.

CONSIGLIO PER LA COMUNITÀ ARMENA DI ROMA

La Germania media per la pace tra Azerbaigian e Armenia (Euronews e Askanews 28.02.24)

Baerbock aveva effettuato una visita in Armenia e Azerbaigian a novembre del 2023. Al centro della mediazione i fragili equilibri dopo i conflitti per il controllo del Nagorno-Karabakh

La Germania sta mediando per far avanzare i negoziati di pace tra Armenia e Azerbaigian mercoledì.

A Berlino la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha ospitato i suoi omologhi, Ararat Mirzoyan dell’Armenia e Jeyhun Bayramov dell’Azerbaigian, in una villa governativa per quella che è stata annunciata come una due giorni di colloqui.

Il confronto fa seguito all’incontro del 17 febbraio tra il Cancelliere tedesco, OIaf Scholz, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev, a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Scholz ha sottolineato la volontà della Germania di contribuire alla conclusione dei colloqui di pace.

Dal canto suo, Baerbock, aveva effettuato una visita nei due Paesi del Caucaso a novembre del 2023. Come afferma il dicastero degli Esteri tedesco, la Germania si impegna affinché le “questioni aperte tra Armenia e Azerbaigian vengano risolte pacificamente e senza l’uso della forza”.

“Stiamo assistendo a passi coraggiosi da parte di entrambi i Paesi per lasciarsi il passato alle spalle e lavorare per una pace duratura per i loro popoli” ha dichiarato Baerbock.

Armenia e Azerbaigian,una lunga storia di dispute territoriali

L’ultimo scontro al confine ha causato la morte di almeno quattro soldati armeni a metà febbraio.

L’anno scorso l’Azerbaigian ha condotto una campagna militare lampo per reclamare la regione del Karabakh, che i separatisti armeni hanno governato per tre decenni.

Il territorio, notoa livello internazionale come Nagorno-Karabakh, e vaste aree circostanti sono passate sotto il pieno controllo delle forze di etnia armena al termine di una guerra separatista nel 1994.

L’Azerbaigian ha riconquistato parti del Karabakh in una guerra di sei settimane nel 2020, conclusasi con una tregua mediata dalla Russia.

Nel dicembre 2022, l’Azerbaigian ha iniziato a bloccare la strada che collega la regione all’Armenia, causando carenze di cibo e carburante. Nel settembre 2023 ha poi lanciato un blitz che ha sbaragliato le forze separatiste in un solo giorno, costringendole a deporre le armi. Più di 100.000 persone di etnia armena sono fuggite dalla regione, lasciandola quasi deserta.

L’Armenia e l’Azerbaigian si sono impegnati a lavorare per la firma di un trattato di pace, ma non sono stati compiuti progressi visibili e le tensioni continuano a montare.

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Armenia-Azerbaigian, a Berlino nuova iniziativa di pace (Askanews)

La Germania ospita i colloqui tra Armenia e Azerbaigian (Periodicodaily)

Il Papa: quanti conflitti e massacri inutili. Vicino a chi soffre nel Nagorno-Karabakh (VaticaNews e altri 28.02.24)

Francesco riceve i membri del Sinodo della Chiesa Patriarcale Armena di Cilicia e, a causa del raffreddore, fa leggere il discorso a un collaboratore. Il Pontefice rivolge un pensiero alle famiglie sfollate ed auspica che il grido della pace “tocchi anche i cuori insensibili alla sofferenza dei poveri”. Il testo tutto incentrato sulla figura dei vescovi: “Siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale”, non “arrivisti” o con il “fiuto degli affari” o “la valigia sempre in mano”
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Basta!”. Basta con le guerre e con i massacri che continuano ad avvicendarsi nel mondo sin dalla Prima Guerra mondiale: “Doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, ‘primizia’ delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili”. Francesco ancora una volta lancia un appello per la pace nell’udienza al Sinodo della Chiesa patriarcale armena di Cilicia, a Roma in pellegrinaggio presso la tomba degli Apostoli Pietro e Paolo, dopo la ricorrenza di San Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa. Ricevendo i membri nel Palazzo Apostolico, il Papa  che a causa del leggero stato influenzale dei giorni scorsi, fatica nella lettura e chiede al collaboratore monsignor Filippo Ciampanelli di leggere il testo – guarda alle sofferenze della popolazione nel Nagorno-Karabakh, a cui si dice vicino con le parole ma soprattutto “con la preghiera”.
Il grido della pace
In particolare il Francesco rivolge un pensiero “alle numerose famiglie sfollate che cercano rifugio!”. “Tante guerre, tante sofferenze”, sottolinea.
Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia…
Scegliere i vescovi con cura
Il discorso del Pontefice si concentra poi sulla figura dei vescovi, essendo una delle grandi responsabilità del Sinodo proprio quella di dare alla Chiesa i pastori di domani. “Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti”, raccomanda Papa Francesco.
Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno il ‘fiuto degli affari’ o a quelli che ‘hanno sempre la valigia in mano’, lasciando il popolo orfano.
“Adulterio pastorale”
Il Papa conia poi una nuova e forte espressione: “adulterio pastorale”. È quello che rischia di commettere il vescovo “che vede la sua Eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più ‘prestigiosa’ dimentica di essere sposato con la Chiesa”. Lo stesso accade quando “si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni”: “I vescovi – afferma il Pontefice – non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge”.
In un mondo pieno di solitudini e distanze, quanti ci sono affidati devono sentire da noi il calore del Buon Pastore, la nostra attenzione paterna, la bellezza della fraternità, la misericordia di Dio. I figli del vostro caro popolo hanno bisogno della vicinanza dei loro vescovi.
Carità pastorale
Francesco si dice consapevole del fatto che numerosi fedeli armeni sono “dispersi nel mondo” e talvolta in territori molto vasti, “dov’è difficile che siano visitati” dai vescovi. Ma, ribadisce, “la Chiesa è Madre amorevole e non può che cercare tutti i mezzi possibili per raggiungerli, perché ricevano l’amore di Dio nella loro propria tradizione ecclesiale”. Non è tanto questione di strutture, ma soprattutto di “carità pastorale” e della volontà di “cercare e promuovere il bene con sguardo e apertura evangelici”.
Irradiare la profezia cristiana in un mondo di odio e divisione
Per questo tempo di Quaresima esorta inoltre a “guardare la Croce” e “a costruire su Cristo, che guarisce le ferite con il perdono e con l’amore”. “Siamo tenuti a intercedere per tutti, con grandezza d’animo e di spirito”, afferma, ricordando la testimonianza del vescovo armeno San Gregorio l’Illuminatore, venerato come santo dalla Chiesa cattolica ma anche dalle Chiese copta e ortodossa. Egli “portò la luce di Cristo al popolo armeno ed esso è stato il primo, in quanto tale, ad accoglierla nella storia”. Perciò tutti i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e i fedeli della Chiesa armena essendo testimoni e “primogeniti” di questa luce, hanno “una grande responsabilità”:
Siete un’alba chiamata a irradiare la profezia cristiana in un mondo che spesso preferisce le tenebre dell’odio, della divisione, della violenza, della vendetta. Certo – potreste dirmi – la nostra Chiesa non è grande numericamente. Ma ricordiamo che Dio ama compiere meraviglie con chi è piccolo.
In questo senso invita a non trascurare “la cura nei riguardi dei piccoli e dei poveri, mostrando loro l’esempio di una vita evangelica, lontana dai fasti delle ricchezze e dall’arroganza del potere; accogliendo i rifugiati, sostenendo quanti sono nella diaspora come fratelli e sorelle, figli e figlie”.
Pregare molto ed essere vicini a seminaristi e sacerdoti
Prima di concludere, il Papa rileva un aspetto “prioritario”, quello della preghiera. “Pregare molto, anche per custodire quell’ordine interiore che permette di operare in armonia, discernendo le priorità del Vangelo, quelle care al Signore”, raccomanda. “I vostri Sinodi – aggiunge – siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico”.
Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte.
Da qui un ultimo pensiero a proposito della pastorale vocazionale, in linea con quanto affermato nel discorso: “In un mondo secolarizzato, i seminaristi e quanti si formano nella vita religiosa hanno bisogno, oggi più che mai, di essere ben radicati in una vita cristiana autentica, lontana da ogni psicologia principesca’”. Così pure ai sacerdoti, specialmente giovani, “occorre la vicinanza dei pastori, che favoriscano la comunione fraterna tra di loro”, perché “non si scoraggino davanti alle fatiche e giorno dopo giorno siano sempre più docili alla creatività dello Spirito Santo”. Il tutto “per servire il Popolo di Dio con la gioia della carità” e “non con la rigidità e la ripetitività sterile dei burocrati”.
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Papa Francesco: “I Vescovi di domani, siano dediti al gregge e mai arrivisti” (Acistampa)

Papa Francesco: “i vescovi non si acquistano al mercato”, attenzione agli “arrivisti”, a quelli che “hanno il fiuto degli affari” o che “hanno sempre la valigia in mano” (Agensir)

Francesco chiede pace per il Nagorno Karabach (Faro di Roma)

Papa Francesco: prega per l’Armenia e “per quanti fuggono dal Nagorno-Karabakh”, “tante guerre, tante sofferenze, tante volte ho supplicato ‘basta’” (Agensir)

Basta inutili conflitti e massacri! (Osservatore Romano)

Papa Francesco prega per gli Armeni (Korazym)

Papa: le mine-antiuomo continuano a uccidere (Asianews)

 

Qualche precisazione sull’Armenia. L’intervento dell’amb. Hambardzumyan (Formiche.it 28.02.24)

Riceviamo e pubblichiamo la lettera a Formiche.net dell’ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan

Gentile Direttrice,

Ho notato che la testata da Lei diretta ultimamente ha pubblicato alcuni articoli riguardo la situazione politica nel Caucaso Meridionale nei quali viene sovente riportato il punto di vista dell’Azerbaigian a discapito della posizione del mio Paese, la Repubblica di Armenia.

In particolare, mi ha colpito il titolo dell’ultimo articolo (“Attacco armeno contro soldati azeri. Così risale la tensione nel Garabagh”) che non trova alcuna corrispondenza con quanto effettivamente accaduto e fornisce dunque al lettore un’informazione assolutamente distorta e provocativa.

Lungi da me, ben inteso, suggerire o peggio imporre al direttore di un giornale cosa pubblicare e come: per fortuna, sono la rappresentante diplomatica di un Paese che nell’ultimo “World press freedom index 2023” di RSF si colloca (49°) quasi in linea con gli standard italiani (41° posto) a differenza, ad esempio, dell’Azerbaigian che occupa gli ultimi posti (151°) della classifica.

Tuttavia, ci tengo a precisare – proprio per verità di informazione – che quanto rappresentato nel pezzo in questione non rispecchia la realtà dei fatti. Il bombardamento da parte azera (che, sarebbe sempre doveroso sottolinearlo, occupa attualmente porzioni di territorio sovrano della Repubblica di Armenia) su una postazione difensiva del mio Paese ha rappresentato l’ennesimo atto di aggressione da parte dell’Azerbaigian e un evidente tentativo di sabotaggio del difficile e lungo processo di pace.

Anche perché, a fronte di un’accusa di una violazione del cessate-il-fuoco da parte di Baku (il riferito ferimento di un soldato) il mio governo ha tempestivamente rilasciato una nota nella quale informava dell’avvio immediato di un’indagine al fine di appurare se fossero stati contravvenuti gli ordini di non aprire il fuoco e, nella denegata ipotesi di tale circostanza, la determinazione a punire il responsabile. A fronte di tale sollecita disponibilità, la leadership dell’Azerbaigian ha risposto, in modo del tutto “sproporzionato” (espressione utilizzata da numerosi commentatori politici e autorità internazionali), dopo solo poche ore, con un’azione di guerra che ha provocato quattro vittime e il ferimento di un’altra persona. Tutto ciò accadeva – casualmente… – proprio mentre il ministro degli Affari esteri della Repubblica di Armenia, Ararat Mirzoyan, si incontrava a Bruxelles con l’Alto Commissario per gli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell.

Ecco perché quel titolo, e nel suo complesso l’intero pezzo, rischia di non fornire una corretta informazione ai vostri lettori. Tanto dovevo, anche per rispetto dei miei connazionali periti nella tragica circostanza. Infine, vorrei sottolineare che il termine Garabagh (invece di Nagorno-Karabakh) adottato anche da Formiche è un termine introdotto di recente dalla propaganda azera.

La prego di pubblicare questa mia lettera e accettare i miei migliori saluti.

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L’incontro con il nuovo Console Onorario d’Italia in Armenia (COMUNE.ARCO 27.02.24)

Il sindaco Alessandro Betta e la Giunta comunale al completo hanno incontrato nel primo pomeriggio di martedì 27 febbraio in municipio Massimiliano Floriani, arcense già assessore alla cultura, alle politiche sociali e giovanili, alla prima infanzia, all’ecologia e all’ambiente (dal 2010 al 2014) e consigliere comunale (dal 2014 al 2017), dallo scorso dicembre Console Onorario d’Italia a Gjumri, in Armenia.

Il sindaco ha consegnato al nuovo Console Onorario un omaggio, la piccola riproduzione in bronzo del castello di Arco realizzata dal noto scultore Renato Ischia, accompagnato a un biglietto, del quale ha dato lettura: «A nome dell’intera amministrazione del Comune di Arco -ha detto il sindaco- ci si congratula per la Sua nomina a Console Onorario d’Italia a Gjumri in Armenia dell’8 dicembre 2023. Il ruolo all’interno delle istituzioni e il valore di rappresentanza di una comunità che esso esprime è sempre di prestigio e richiede pertanto grande responsabilità nel saper affrontare le situazioni, nella loro complessità, con integrità ed equilibrio. Certi che la capacità di giudizio e il bene comune possano essere riferimenti fondamentali del Suo operato in questo percorso, l’occasione è questa per esprimere la totale disponibilità da parte dell’amministrazione del Comune di Arco e per farle giungere i migliori auguri di buon lavoro».

Massimiliano Floriani, che dal 2017 vive a Gyumri, seconda città dell’Armenia per numero di abitanti dopo la capitale Erevan, e dove gestisce un’attività ricettiva, ha raccontato quali sono i suoi impegni di Console Onorario, dall’adempimento dei generali doveri di difesa degli interessi nazionali e di protezione dei cittadini a una serie di incombenze burocratiche, fino alla più gradita: l’organizzazione di iniziative ed eventi culturali.

«Sono molto contento di questo riconoscimento -ha detto Floriani- del quale ringrazio l’amministrazione comunale. Ormai da diversi anni vivo in una terra lontana e molto diversa, ma porto sempre Arco nel cuore; e ricevere una simile attestazione di stima mi ha reso la mia città natale ancora più cara».

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Armeni e palestinesi, due popoli in lotta contro imperialismo e colonialismo (Pclavoratori 27.02.24)

Notizia passata sostanzialmente in sordina, come quasi tutte quelle che riguardano il Caucaso, ma il 13 febbraio sono stati assassinati dal fuoco azero quattro soldati armeni, stando alle accuse della repubblica armena.
Non è certo la prima violazione del cessate il fuoco in seguito alla pulizia etnica degli armeni del Nagorno-Karabakh nel 2023, costretti dall’avanzata dei militari del regime all’esodo di massa e al completo abbandono del loro intero paese, ma di certo è il più sanguinoso degli ultimi mesi. La repubblica azera, al solito, ha risposto rilanciando con l’accusa secondo cui i militari armeni avrebbero precedentemente ferito un soldato azero, accusa di dubbia credibilità visto che viene prontamente estratta dal cappello delle montature ogni qual volta avviene uno scontro tra i due paesi e che solitamente questi presunti attacchi armeni sono puntualmente smentiti.
Questo ennesimo crimine ci dà, in ogni caso, un buon pretesto per approfondire un minimo l’argomento.

AZERBAIGIAN

Parliamo di un regime, quello azero, tra i peggiori per ciò che concerne la libertà di parola: praticamente uno Stato che è nella pratica una satrapia di proprietà privata di una famiglia che si è spartita il meglio delle cariche, com’è stato ribadito dalle recenti elezioni del 7 febbraio, che hanno visto l’ennesima rielezione di Ilham Aliyev con il 92% dei voti. Risultato notevole, peccato che siano state contrassegnate dalle solite frodi elettorali, con votanti che si sono spostati di seggio in seggio per apporre più voti e dai metodi poco ortodossi e aggressivi contro osservatori e giornalisti non affiliati al regime, come hanno denunciato anche gli osservatori dell’OSCE (piccola eccezione tra una schermaglia di inviati ammansati, forse, dal caviale).

La farsa (peraltro anticipata rispetto alle elezioni previste in precedenza) è stata inscenata per annunciare una nuova era, visto che dopo trent’anni i nazionalisti azeri sono riusciti a occupare con i loro metodi genocidi l’intero territorio armeno del Nagorno-Karabakh, e a tenervi anche le elezioni (chi abbia votato, visto che quel territorio è stato completamente svuotato della sua popolazione, non è molto chiaro, anche se l’intera famiglia di Aliyev ha voluto apporre una criminale ciliegina sulla torta e recarsi alle urne nella capitale di quel territorio, Stepanakert). Per essere una nuova era, non è cambiato granché: le minoranze sono oppresse come prima, con l’eccezione di quelle funzionali al regime (qualche sporadica fanfaronata coinvolge alcuni esponenti del piccolo popolo degli udi, per esempio, così che il regime può mostrare il suo carattere “multiculturale”), le violenze e la repressione nei confronti di ricercatori e attivisti non affiliati al regime o contro la guerra proseguono e le finte opposizioni parlamentari invece di impegnarsi in campagne con l’obiettivo di vincere gli scontri elettorali si sperticano nell’esprimere sostegno e lodi al tiranno, che non ha neppure bisogno di presentarsi in televisione per presentare il proprio programma per “vincere”. Tra le vittime del sistema repressivo si trovano in particolare attivisti ecologisti, sindacalisti, lavoratori e giornalisti.

ALCUNI DEGLI AMICI DELL’AZERBAIGIAN IN ITALIA

La stampa internazionale e gli osservatori si sono dimostrati, anche nelle elezioni del 7 febbraio, in gran parte inutili e funzionali pennivendoli e si sono complimentati col regime (d’altronde, a detta degli inviati dell’Unione Europea, anche nel momento in cui avveniva la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh stava andando tutto bene).
Anche in Italia il despota ha il suo discreto fanclub, nientepopodimeno che all’interno di Fratelli d’Italia, cui appartiene anche Salvatore Caita (delegato italiano tra gli osservatori internazionali nel corso delle elezioni, insieme a Ettore Rosato di Italia Viva e Giulio Terzi di Sant’Agata, sempre FdI; anch’essi non sono parsi poi così preoccupati dall’andamento delle cose nel paese), partito che ha anche dato vita al Gruppo di Amicizia Italia-Azerbaigian presso l’Unione Interparlamentare.

D’altronde, già il ministro degli affari esteri Tajani, all’epoca della “pace” siglata tra Azerbaigian e Armenia seguita alla sconfitta della piccola repubblica dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, aveva espresso soddisfazione per l’intesa raggiunta: quale soddisfazione si può provare nel vedere un popolo oppresso obbligato a siglare la propria distruzione? Nel dubbio, governo italiano e Unione Europea non lesinano l’acquisto di gas russo attraverso il regime degli Aliyev e il mega gasdotto TAP – Trans Adriatic Pipeline (tanto che l’Azerbaigian è stato incluso nel “Piano Mattei” pur non essendo uno Stato africano) e nel gennaio dell’anno scorso, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, si è recato nella capitale azera con l’intenzione di rafforzare i rapporti tra i due Stati, annunciando che anche la presidente Meloni è d’accordo e che le forze armate del regime sono interessate all’industria militare italiana. Nel 2021, inoltre, Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, ha lodato a più riprese sui social l’Azerbaigian e ha annunciato i possibili interessi nella “ricostruzione” del Nagorno-Karabakh occupato, e che le ditte italiane sono tra le privilegiate nel processo di colonizzazione.
Non si può non annoverare in questa empia lista anche l’ex UDC Luca Volontè, condannato a quattro anni per aver ricevuto mezzo milione di euro da esponenti politici azeri, con il mandato di orientare il voto del proprio gruppo europarlamentare nella difesa dell’immagine dell’Azerbaigian dinanzi a un rapporto sulla condizione dei prigionieri politici del regime. Un altro molto attivo sulla questione è l’ex Cinque Stelle e ora leghista Stefano Lucidi, presidente del Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Azerbaigian, molto interessato a mostrare l’Azerbaigian come un “modello nella gestione della propria indipendenza”.

Da parte sua Giorgia Meloni è dal tempo della sua entrata a Palazzo Chigi che non spende parole per gli armeni (che in precedenza non mancava di strumentalizzare). Analogo il caso di Salvini, mentre non mancano le ambiguità del Vaticano (in un magico incontro con Aliyev, Papa Francesco, mentre riceveva in dono un prestigioso tappeto, vino e caviale, così si è espresso: “questo è il segno della vostra tolleranza”). E meno male che questi sono i difensori dei cristiani perseguitati nel mondo.

Ma non mancano gli amichetti anche nella presunta sinistra (nel rossobrunismo?), in particolare la Sandro Teti Editore, che ha pubblicato più di un volume apologetico nei confronti del regime, addirittura uno che mette insieme una storia d’amore tra un israeliano e un’azera, libraccio presentato anche dall’ambasciata dell’Azerbaigian in Italia. Il fatto che l’editore sia alla guida del “Centro internazionale per il multiculturalismo di Baku” dal 2016 (così riporta il loro sito) è significativo, probabilmente determinante.

ISRAELE-PALESTINA

Gli armeni sono oppressi anche nello Stato d’Israele. Negli ultimi mesi si sono susseguiti atti di violenza da parte dei coloni israeliani che hanno aggredito la comunità armena di Gerusalemme, lì presente da secoli, con l’intenzione dichiarata di cacciarli e rimandarli a “casa loro” (paradossale, visto che è una comunità ben più antica degli aggressori). Non sono una novità, i tafferugli scatenati da questi fascisti avvengono da anni, ma questa volta è ben più grave. In una di queste aggressioni hanno circondato il quartiere armeno, armati, e iniziato le demolizioni degli edifici presenti, inventandosi presunte aggressioni da parte armena.
La polizia, nel “fermare” gli scontri, non ha mancato di arrestare soltanto persone della parte offesa, tra cui un minore. La causa scatenante delle ultime aggressioni è il blocco della concessione da parte del patriarca armeno di una parte del quartiere, su cui doveva essere costruito un hotel di lusso. Proprio strano che i fascisti locali si siano particolarmente agitati dopo che un qualche riccone ha subito uno smacco. Un copione che non cambia con il passare degli e nei diversi paesi.

Questo è poco e quasi casuale rispetto a colpe del regime israeliano ben più gravi verso il popolo armeno. Non dimentichiamo infatti che nella recente atroce pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh Israele ha avuto un ruolo determinante, passando armi, finanziamenti ed intelligence avanzate al regime dell’Azerbaigian, regime che dei palestinesi se ne infischia grandemente. Vista la compartecipazione in quel crimine e il trattamento razzista che subiscono gli armeni, ci si sarebbe aspettato il completo o imbarazzato silenzio da parte israeliana su questo popolo. Invece no: il ministro degli esteri israeliano, Israel Katz, ha tentato di speculare sul passato di un altro regime discutibile come quello della Turchia, affermando che con una cosa come il genocidio degli armeni, il Medz Yeghern, sulle spalle, la Turchia non avrebbe dovuto osare sostenere il Sudafrica nella mozione in cui denunciava Israele per atti di genocidio. Considerando che lo Stato israeliano non riconosce il Medz Yeghern e che tutte le mozioni in tal senso non hanno ottenuto risultati diversi dalla bocciatura, è un po’ ridicolo che i suoi ministri si aspettino una benché minima credibilità quando si dilettano in queste speculazioni. Questa credibilità è ancora meno significativa, ripetiamo, in virtù del fatto che Israele ha venduto, senza remore e dilemmi etici, sofisticati sistemi bellici all’Azerbaigian per vincere la guerra contro l’Armenia, e che continua a farlo anche nel bel mezzo della strage genocida che sta compiendo in Palestina, atto che marchia con la peggiore delle infamie anche l’Azerbaigian, pronto a far uso della “solidarietà musulmana” soltanto per attirarsi simpatie internazionali in occasione dei suoi atti criminali.
Ovviamente tutto questo non ha messo in discussione i rispettivi rapporti commerciali: sia mai. E neppure l’amicizia con il regime degli Aliyev: entrambi hanno rifornito per settimane l’Azerbaigian prima dell’offensiva del settembre 2023 che ha determinato l’esodo di massa dei 150.000 armeni del Nagorno-Karabakh, così come entrambi continuano a essere tutt’oggi stretti collaboratori della tirannia caucasica, alla faccia dei vicendevoli rimproveri su genocidi passati e presenti.

ARMENI E PALESTINESI, DUE POPOLI IN LOTTA CONTRO LO STESSO NEMICO

Palestinesi e armeni hanno un passato di oppressione subita e di lotte che li accomuna, e che talvolta li ha visti anche fianco a fianco. Le avanguardie armene e palestinesi più avanzate del Medio Oriente e dell’Anatolia hanno infatti talvolta lottato insieme, in particolare tra gli anni Settanta e Ottanta. La storia di Monte Melkonian, rivoluzionario marxista e internazionalista, è un fulgido esempio di rivoluzionario che non ha mai lesinato il proprio sostegno alle cause degli altri popoli oppressi e che nel Libano si è trovato a fronteggiare i falangisti responsabili di orrendi crimini contro i palestinesi; eroe nazionale e protagonista della liberazione del Nagorno-Karabakh negli anni Novanta, è un esempio da seguire per il proletariato armeno, che non può confidare nell’attuale governo borghese per la propria emancipazione (governo che pedissequamente accetta le peggiori direttive del regime nemico e che ha consegnato nel 2021 due rivoluzionari curdi ai servizi segreti turchi, tanto per dirne una).

Curiosamente anche la figura di Stalin è presente nella storia di entrambi i popoli come un’ombra scura: è stata la pressione di Stalin a far cedere i territori armeni del Nakhchivan e del Nagorno-Karabakh, anche se in forma di regione autonoma, all’Azerbaigian, ed è stato allo stesso tempo un prestigioso sostenitore della nascita dello Stato d’Israele. La dimostrazione che la mancata risoluzione della questione nazionale e coloniale secondo il principio dell’autodeterminazione dei popoli non è altro che il prodromo di tragedie future. È sull’esempio del blocco israeliano contro Gaza che l’Azerbaigian ha bloccato per mesi ciò che restava della repubblica armena dell’Artsakh, affamando la popolazione. È la “lotta al terrorismo” e il “principio legale” a essere sempre stato uno dei pretesti chiave di entrambi i regimi.

È così che possiamo dichiarare che soltanto l’alleanza tra le nazionalità oppresse di questi territori (non soltanto armeni e palestinesi, ma anche curdi, talisci e assiri, per citarne alcuni) e le avanguardie rivoluzionarie e il proletariato delle nazionalità dominanti possono essere abbattuti questi regimi e i loro satrapi. È con l’internazionalismo proletario che verranno liberati il Medio Oriente, il Caucaso e l’Anatolia, e che le guerre che insanguinano queste terre avranno finalmente termine, e anche le masse europee possono e devono avere un ruolo in questo. Purtroppo, abbiamo visto in questi anni, il silenzio della sinistra, anche rivoluzionaria, sulla questione del Nagorno-Karabakh e della pulizia etnica lì avvenuta: è tardi, ma non è mai troppo tardi per cominciare la lotta.

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