Perché sia l’America sia la Russia coccolano il dittatore Aliyev? (Tempi 04.03.24)

Che gioco stanno facendo le due grandi potenze che guardano il Caucaso? Perché sia l’America sia la Russia coccolano l’Azerbaigian?

1) Cop29, il grande concistoro mondiale sul clima, si terrà a Baku il prossimo novembre. Informa Lindsey Snell che il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato, con enorme soddisfazione del dittatore azero Ilham Aliyev, che «gli Stati Uniti “supportano con forza” l’Azerbaigian che ospita la Cop29. Blinken ha sostenuto di continuare gli aiuti militari statunitensi intrapresi durante il suo brutale blocco del Nagorno-Karabakh (anche se l’Azerbaigian non sembra avere problemi a procurarsi da sé miliardi di dollari in armi da Israele)». Il monito dei mesi scorsi all’Azerbaigian dov’è finito?

2) Kamil Zeynalli, famoso fitness trainer azero, è stato arrestato il 21 febbraio a Mosca su mandato di cattura internazionale. È stato filmato mentre taglia la testa a un vecchietto armeno inerme. Ha organizzato bande di azeri che danno la caccia ad armeni in Russia. È bastata la protesta del governo di Baku, poche ore di mobilitazione dei media, e l’uomo è stato trasferito subito in patria dove è stato accolto come un eroe. Intanto l’Azerbaigian ha riscosso nuove forniture di gas dalla Russia. Cedutegli a basso prezzo e rivendute con enorme lucro all’Europa.

Se fossi un rapper a Sanremo

Che dire? Quel vecchietto conta meno di una bombola di gas? Per l’Italia e il nostro governo senz’altro, come per la Russia. In che cosa siamo diversi? E Biden, perché vellica il tiranno anticristiano? Ha scelto l’asse con la Turchia?

Oggi mi trovate un po’ arido. La disillusione in me, e in noi molokani, è in lotta perenne con la visione dei volti di giovani incantevoli e vecchie rugose che esprimono desiderio assoluto di pace inondando di bellezza il mondo, persino più forti e più durevoli (sto bestemmiando?) del genocidio, cioè dell’azzeramento totale della popolazione legata da comune identità, che è stato conseguito tramite deportazione con semina di svariati morti dall’Artsakh (il Nagorno-Karabakh del linguaggio ufficiale). Il male assoluto credo sia sconfitto dal crepuscolo della Pasqua che getta i raggi luminosi del Risorto sui vivi e sui morti armeni. L’Ultimo Giorno? Sì, ma i suoi baluginii di dolorosa gloria esistono già ora.

I turchi ottomani nel 1915 non erano riusciti a purificare questo territorio caucasico dal cristianesimo armeno, hanno dovuto accontentarsi di masticare con le loro mandibole di cannibali un milione e mezzo di miei fratelli dell’Anatolia, dal monte Ararat fin quasi ad Aleppo in Siria. Con l’Artsakh ci sono riusciti i turcomanni di Aliyev. E hanno potuto farlo, non mi stanco di ripeterlo, con il concorso occidentale. Non ho il diritto di interrompere il toc toc toc. E ancora toc. Questa goccia mi batte in testa, me la buca. Come vorrei che incidesse sul cranio dei governanti e dei popoli.

Ah, se fossi un rapper o un trapper buono per Sanremo scatenerei una mitragliatrice di parole in rime metropolitane, alzando un’onda di verità, restituendo voce ai tanti martiri e ai sopravvissuti, perché possano rientrare in possesso di quell’inizio di paradiso che un giorno abitarono. Sono 101 mila i profughi d’Artsakh ora sparsi nella Repubblica armena.

Le elezioni farsa

Interessano a qualcuno i risultati delle elezioni in Azerbaigian? A me. Non che credessi al miracolo di un ribaltamento che abbattesse il dittatore e la sua dinastia inossidabile. Speravo però che per una volta uscisse un numero che permettesse di giocarmelo al lotto. Niente da fare: 92 per cento. Aliyev ha battuto se stesso. Fantastico. È al quinto mandato.

C’erano sei candidati alle elezioni, in rappresentanza di 23 partiti. Tutti hanno dichiarato di desiderare la vittoria di Aliyev, il quale ha indetto elezioni anticipate per consacrare la nuova era. Quella inaugurata dalla conquista dell’Artsakh-Nagorno-Karabakh.

Oggi, e giustamente, tutti dicono parole tremende su Putin per l’assassinio in gulag dell’oppositore Navalny. Invece baci e abbracci per Aliyev che tiene in carcere non solo 55 prigionieri politici armeni, ma centinaia di azeri coraggiosi nemici del tiranno. Fino a quando?

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Chi era Paolo Taviani: dagli armeni ai carcerati, fu la coscienza della sinistra (L’Unità 03.03.24)

Paolo Taviani, che se n’è andato nei giorni scorsi novantunenne, ha rappresentato insieme al fratello Vittorio certamente la coppia più esemplare del cinema d’autore del nostro dopoguerra. Toscani di San Miniato, i due fratelli, i-Taviani.

Nominalmente indistinguibili l’uno dall’altro. Quale Vittorio? Quale Paolo? A loro si deve dapprima un cinema “civile” e insieme, diciamo pure, “di poesia”, problematico, colmo di citazioni antiche, e ancora intriso, intarsiato, intessuto di “realismo magico”. Talvolta anche didattico, letterario, dichiaratamente calco di un arazzo romanzesco.

Ai miei occhi, occorre dire che Paolo Taviani, diversamente dal fratello residente giù a valle, a Trastevere, aveva il volto del vicino di casa, Monteverde Vecchio, il Gianicolo, l’edicola di via Giacinto Carini, non lontano dall’abitazione già appartenuta a Pier Paolo Pasolini, lì si aveva modo di incontrarlo al mattino, diligente nell’acquisto dei quotidiani, preghiera laica consacrata da Hegel.

Se, iconicamente, Vittorio c’era modo di associarlo per antonomasia visiva a un berretto da “teppista” majakovskiano, Paolo, meno esile del maggiore, rispondeva sempre visivamente agli occhiali, la montatura ampia, a coprire quasi per intero lo sguardo, punteggiatura d’arredo somatico.

Se, come detto, si faceva fatica a distinguere il nome di battesimo dell’uno dal nome dell’altro, il loro cinema non ha mai dato sensazione di possibili conflitti dialettici tra loro, anzi, suggeriva un’armonia estetica e formale perfetta; poche le obiezioni anche in sede di sceneggiatura, quasi che i-Taviani, “fratelli”, aderissero allo stesso intento narrativo come sfere al cuscinetto.

Ripensandone gli esordi torna in mente un’opera singolare e formalmente frastagliata, allegoricamente “politica”, cioè I sovversivi del 1967 dedicato agli “astratti furori” rivoluzionari, girato nei giorni dei funerali di Togliatti, il lavoro includeva frammenti di pellicola originali delle esequie del leader comunista; realizzate in prima battuta per il Partito comunista italiano.

Nel film compare, giovanissimo, Lucio Dalla, studente, ora a bordo di una Fiat 1500 a leggere palindromi, ora a utilizzare i biglietti da visita del diploma appena conseguito per comporre bizzarre lettere anonime: il pensiero e il sentimento della rivoluzione attesa o forse mancata a illuminare lo straordinario bianco e nero fotografico proprio di una soglia, il passaggio a un mondo non ancora in quadricromia, l’Italia al mattino del centrosinistra.

Nel cinema di Paolo (e Vittorio) c’era modo di rintracciare echi brechtiani e poi le prevedibili sirene della Nouvelle Vague di Godard, e ancora interesse drammaturgico per il racconto dell’epopea risorgimentale, nell’attesa delle prime bandiere rosse che Pisacane avrebbe sollevato insieme alla sua sciabola di nobile “traditore” della propria classe sociale.

Oppure il racconto della resistenza nel paesaggio pittorico di una Toscana trasfigurata a sua volta in se stessa, con echi da “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello e perfino da Termopili trasfigurate, così nella scena cruenta del fascista trafitto da una pioggia di lance.

Certo, talvolta era possibile anche rintracciare una certa discontinuità nella loro mano, almeno ripensando a Good morning Babilonia del 1987, dove venivano tuttavia omaggiate le maestranze del cinema giunte dalla Toscana fino a Hollywood, quasi che gli scalpellini delle chiese romaniche si fossero poi trasformati in scenografi per la Cleopatra di Theda Bara

Ecco, notate, è difficile parlandone disgiungere la memoria di un fratello rispetto all’altro, era infatti come se avessero avuto un unico sguardo, punto di osservazione, lo stesso occhio-grandangolo. Gli dobbiamo, con Kaos, d’avere finalmente concesso una bella prova d’autore a Franchi e Ingrassia; ricordo con i miei occhi quanto il primo, Franco, il “comico” della coppia, fosse grato all’altra coppia, a i-Taviani.

Nella lunga sua avventura di regista, Paolo ha vinto 5 David di Donatello. Sessanta anni nel corso dei quali ha diretto, tra gli altri, La masseria delle allodole, Una questione privata, La notte di San Lorenzo. Nel 2012 il premio come miglior regia al David di Donatello per il film Cesare deve morire.

Da Sotto il segno dello Scorpione (1969) a San Michele aveva un gallo (1971) ad Allonsanfàn (1974); poi Fiorile (1993); Le affinità elettive (1996), Tu ridi (1998). Nella filmografia spicca però Padre padrone (1977), tratto dal libro dello scrittore sardo Gavino Ledda, vincitore della Palma d’Oro e del Premio della Critica al Festival di Cannes. Del 2007 è La masseria delle allodole, tratto invece dal romanzo di Antonia Arslan, il racconto del genocidio del popolo armeno da parte dei Turchi nel 1915.

Allonsanfàn (1974), facendo macchina indietro rispetto ai giorni dell’addio corale a Togliatti, racconta, restituisce i giorni della Restaurazione, le illusioni perdute e insieme tradite dell’impeto rivoluzionario ancora una volta, il tema della coscienza politica davanti al macigno, alle frane della storia, il tormento degli insorti sconfitti, esiliati, la tradimento della classe proletaria: tutto riassunto nel volto di Marcello Mastroianni, accanto a lui Laura Betti, Lea Massari, Giulio Brogi e Renato Scarpa.

Sarà però con Padre padrone, dalla testimonianza autobiografica di Gavino Ledda, un ex pastore sardo diventato scrittore e filologo, che, era il 1977, i-Taviani troveranno interesse e fama internazionale, ottenendo la Palma d’Oro e al Premio della Critica al Festival di Cannes. Verrà poi l’Orso d’Oro a Berlino 2012 con Cesare deve morire.

La tragedia di William Shakespeare fatta propria dagli attori- detenuti del carcere di Rebibbia. Ancora una volta ai fratelli verrà riconosciuta la cifra dell’impegno sociale e nella qualità cinematografica, ottenendo anche il David di Donatello per il miglior film e il David di Donatello per il miglior regista. Nel 2017 sono tornati al cinema, per l’ultima volta in coppia, con il film Una questione privata, tratto dal romanzo di Beppe Fenoglio, presentato in anteprima al Festival del Cinema di Roma.

Paolo Taviani è morto a Roma dopo una breve malattia, a stargli vicino la moglie Lina Nerli Taviani e i figli Ermanno e Valentina. Lunedì 4 marzo la cerimonia laica funebre alla Promototeca del Campidoglio dalle 10 alle 13. Con Paolo Taviani se ne va un’epoca, lo sbalzo di un cinema che non indietreggiava di fronte alla complessità dell’epica letteraria e neppure davanti al peso della storia.

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La posizione scomoda della Russia nel conflitto tra Armenia e Azerbaigian. Zatulin: “meglio non seminare i denti del Drago se si vuole la pace” (Faro di Roma 03.03.24

Nella crisi del Caucaso la Russia “ha cercato di svolgere il suo ruolo di pacificatore, con successo o no lo dirà la storia. Non abbiamo potuto, con mio profondo rammarico, sostenere la ricerca della pace nel conflitto del Nagorno-Karabakh. In questa vicenda, da parte del governo armeno guidato da Pashinyan, è stato compiuto, come minimo, un banale tradimento degli interessi della popolazione armena del Nagorno-Karabakh e , secondo me, degli armeni in generale”. Lo afferma Konstantin Zatulin, parlamentare russo, nel suo intervento al simposio “Regno Unito – UE – Russia – Grande Medio Oriente: sfide e prospettive” che si è svolto a Bratislava (Slovacchia) per iniziativa
del Centro paneuropeo per l’analisi politica, economica e le previsioni (PANAP).
All’incontro hanno partecipato molti esperti dei paesi europei come Gran Bretagna, Germania, Russia, Spagna, Austria, Italia, Slovacchia. Le attività del PANAP mirano a sostenere la ricerca interdisciplinare fondamentale – economica, giuridica e politica, con un’enfasi sullo spazio geopolitico paneuropeo e sulla sua esistenza nel contesto globale. Una delle direzioni principali è condurre analisi di sistema e modellizzazione dei processi politici ed economici nel contesto internazionale.

“Non posso fare a meno di dire queste parole – ha confidato Zatulin nel suo intervento – soprattutto considerando il dolore e l’ansia che il nostro presidente e molti, molti dei suoi compatrioti in tutto il mondo stanno sperimentando in relazione a ciò che sta accadendo nel Caucaso, a causa del fatto che dopo il 2020 abbiamo assistito alla successiva fase di deportazione della popolazione armena, in questo caso dal territorio del Nagorno-Karabakh, a seguito, credo, di uno scontro intermedio e non definitivo tra Armenia e Azerbaigian. Ciò che mi sorprende a questo proposito è l’attuale governo dell’Armenia, che sta cercando un contatto con l’Occidente e, su questa base, recidendo i legami con la Russia, con una campagna all’interno della stessa Armenia, che vuole riformattare la coscienza del popolo armeno – i suoi elettori –. Una campagna anti-russa, promossa sostenendo che tutto ciò che è accaduto al Karabakh e all’Armenia nel 2020 e nel 2023, ovviamente, è colpa della Russia”.

“Non assolvo la Russia dalla responsabilità per alcuni errori e difficoltà. Ma la Russia è un paese che oggi è purtroppo coinvolto in un confronto globale. E sullo sfondo di questo confronto, la Russia, non interessata ad aprire alcun fronte, durante questo episodio cruciale, ma sostengo – spiega Zatulin – che il Primo Ministro armeno non solo ha tradito i suoi compatrioti, ma li ha venduti. E questa, tra l’altro, è già stata espressa una teoria della cospirazione, e questa cifra si chiama – 5 miliardi di dollari. È stato dichiarato e proposto quasi pubblicamente nel periodo precedente la ripresa delle ostilità. E per il signor Pashinyan, per il quale gli abitanti del Nagorno-Karabakh sono sempre stati oppositori politici, un elemento inaffidabile, e il clan Karabakh era il principale ostacolo al potere nel campo politico dell’Armenia, è diventato chiaro che avrebbe potuto semplicemente firmare qualsiasi accordo con l’Azerbaigian, ad esempio, sulla restituzione delle zone di confine intorno al Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian, di cui si è sempre discusso”.

Il parlamentare russo ha poi osservato che ci sono “persone che si innamorano di questa propaganda e cercano i colpevoli nel posto sbagliato, invece che dove dovrebbero essere cercati, per quello che è successo al popolo armeno”. “Sono sicuro – ha poi scandito – che la leadership dell’Azerbaigian si sta comportando in modo molto miope e sta ‘seminando i denti del drago’ continuando l’assalto e le richieste di concessioni unilaterali. Il signor Aliyev ha appena affermato che l’Armenia deve accettare tutte le richieste dell’Azerbaigian, altrimenti non accadrà nulla di buono. Noi diciamo: ‘Se l’artiglio è bloccato, l’intero uccello è perduto’. Se hai tradito i tuoi compatrioti, non ci sono ulteriori ostacoli su questo percorso. E questo mi preoccupa profondamente. Ma se pensiamo alla pace, a qualche nuova fase nelle relazioni tra armeni e azeri, allora in questo caso, ovviamente, le infinite celebrazioni per la vittoria sugli armeni, che si svolgono oggi a Baku e in Turchia, non fanno bene al futuro che arriverà. È come nell’antico mito greco: ‘seminare i denti del drago’ farà sorgere nuovi conflitti”.

Irina Sokolova

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Sara Maino al Bistrot de Venise con il suo “Quaderno armeno” (Veneziatoday 02.03.24)

QUANDO Dal 07/03/2024 al 07/03/2024 SOLO OGGI 17:00

Per Dialoghi con l’Autrice Sara Maino presenta “Quaderno Armeno” giovedì 7 marzo ore 17:00 al Bar del Bistrot de Venise. Rassegna a cura di Lucia Guidorizzi e Anna Lombardo. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Ma perché si chiama Hotel Praha? Non si chiama più così. Una volta si chiamava Hotel Praha. Adesso è l’Hotel Arabkir. Ah. E perché? Perché una volta era un ristorante. E allora perché continuate a chiamarlo Praha? È così. È l’Armenia

A Yerevan, la capitale dell’Armenia indipendente, non è il mondo armeno diasporico occidentale accogliente, pacificato, plurilingue, caratterizzato da un cristianesimo aperto e universale che viene incontro a Sara. Per una serie di disavventure verrà fagocitata da un clan di rifugiati ospiti in un albergo fatiscente, dove il degrado risulta insopportabile, dove non ci sono turisti o armeni locali ma profughi della guerra del Nagorno Karabakh; un rifugio dove una umanità dolente tenta di cancellare un vissuto che non ha futuro. Un diario-racconto di straordinaria efficacia descrittiva e insieme capace di andare in profondità, di scavare nel proprio mondo e nel mondo dell’altro senza timore di far emergere la verità scomoda della difficoltà di potersi accettare nella propria diversità.

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Che accade nella Diocesi del Papa? Una commemorazione ed una Messa per gli azeri musulmani che ora stanno sterminando i cristiani in Nagorno (ll Messalino 02.03.24)

Il 26 febbraio scorso la Parrocchia romana di S. Maria della Mercede ha ospitato una commemorazione organizzata dall’Ambasciata dell’Azeirbaigian presso la S. Sede (QUI il testo completo della comunicazione ufficiale dell’ambasciata). 

Tutto questo mentre chiese cristiane vengono distrutte dai governanti azeri, e cristiani vengono perseguitati e uccisi.

Pubblichiamo la lettera di protesta della comunità armena al parroco: “Ci sorprende, ci amareggiae indigna anche altre comunità cristiane, che codesta parrocchia abbia ritenuto opportuno ospitare un evento fondamentalmente politico, patrocinato da uno Stato che proprio ora sta abbattendo tutti i simboli religiosi cristiani nel Nagorno Karabakh (Artsakh) occupato dagli azeri lo scorso settembre e da cui tutta la popolazione cristiana armena è stata costretta a fuggire, per la quale anche Papa Francesco ha lanciato diversi appelli“.

Il Vicariato non ha nulla da dire?

Grazie ad una nostra cara amica per la segnalazione.

Luigi C.

LETTERA ALLA PARROCCHIA SANTA MARIA DELLA MERCEDE

Alla c.a. di P. Giuseppe Celano, parroco di Santa Maria della Mercede e sant’Adriano

Reverendo padre Celano,

abbiamo appreso, con stupore, da organi di stampa e da segnalazioni di amici italiani, che la Sua parrocchia ha ospitato un evento organizzato dalle ambasciate dell’Azerbaigian in Italia e presso la Santa Sede per commemorare le “vittime del genocidio di Khojaly”.

Ora, in quanto cristiani, siamo ben consci che la pietas per i caduti (tutti, senza alcuna distinzione) sia un valore superiore che deve superare ogni steccato e divisione.

Tuttavia, è d’obbligo sottolineare come il governo dell’Azerbaigian utilizzi queste “commemorazioni” unicamente come forma di propaganda e di odio contro gli armeni.

In verità la morte di un numero imprecisato di civili azeri, è avvenuto in circostanze molto controverse e presumibilmente addebitabile alle stesse forze armate azere con motivazioni di rivalità politica all’interno dell’Azerbaigian. Per approfondimenti consigliamo questa pagina dedicata: https://www.karabakh.it/la-verita-su-khojali/

 

Ma il punto non è ovviamente la ricostruzione storica e propagandistica del regime azero (peraltro agli ultimissimi posti nei report mondiali su libertà di informazione e tutela dei diritti civili e politici).

Ci sorprende, ci amareggiae indigna anche altre comunità cristiane, che codesta parrocchia abbia ritenuto opportuno ospitare un evento fondamentalmente politico, patrocinato da uno Stato che proprio ora sta abbattendo tutti i simboli religiosi cristiani nel Nagorno Karabakh (Artsakh) occupato dagli azeri lo scorso settembre e da cui tutta la popolazione cristiana armena è stata costretta a fuggire, per la quale anche Papa Francesco ha lanciato diversi appelli.

Notizie di abbattimenti di croci, di “restauri” di chiese trasformate in moschee, di atti vandalici nei cimiteri sono purtroppo all’ordine del giorno, per i quali alleghiamo qualche foto testimoniale.

Il governo dell’Azerbaigian, che si definisce “tollerante e multiculturale”, continua a professare odio verso gli armeni, minaccia l’esistenza della stessa Armenia (prima nazione a riconoscere il Cristianesimo nel 301!); Aliyev qualche anno fa proclamò che “la spada scintillante di Allah ruoterà sopra Erevan” (la capitale armena).

Siamo convinti che l’autorizzazione alla cerimonia sia stata concessa in totale buona fede ma temiamo che l’evento sia stato strumentalizzato a fini propagandistici e politici di cui è vittima anche la Sua comunità parrocchiale.

Grazie per l’attenzione e in attesa di Suo gradito riscontro porgiamo i nostri migliori saluti.

Consiglio per la comunità armena di Roma

www.comunitaarmena.it

 

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Inverno dello spirito (Girodivite 02.03.24)

Nel nostro presente si susseguono genocidi e stragi (il genocidio a Gaza, la cacciata degli armeni dal Nagorno Karabakh, i bombardamenti sui curdi […]), ma nulla sembra accadere o quasi…

di Salvatore A. Bravo – sabato 2 marzo 2024 – 113 letture

 

Inverno dello spirito

Il capitalismo nella sua fase totalitaria è penetrante come una tossina, con la sua azione continua di condizionamento e rideterminazione sul soggetto ambisce a ridisegnarlo razionalmente ed emotivamente. La razionalità umana è logos, pertanto è capacità di misurare i giusti bisogni, perché ascolta e sente la presenza dell’altro. Il logos non è calcolo ma totalità vivente dell’essere umano con il quale si ascolta la presenza dell’altro nella sua carnale presenza che ci invoca eticamente a contenere i desideri, affinché la relazione vi possa essere e possa fiorire la natura dialogica e comunitaria dell’essere umano.

Il capitalismo deve deformare e inibire la natura umana per renderla “orcio bucato”, espressione platonica, dai desideri illimitati coltivati in solitudine. Tutto è mezzo per la razionalità calcolante e lasca del capitalismo. Il desiderio è tattica per il solo godimento in tale quadro la razionalità diventa l’impianto artificiale (Gestell) che disorienta la corrente calda della natura umana per riorientarla sverso l’individualismo strumentale.

Nel nostro presente si susseguono genocidi e stragi (il genocidio a Gaza, la cacciata degli armeni dal Nagorno Karabakh, i bombardamenti sui curdi come concessione alla Turchia per il placet all’ingresso della Svezia nella NATO e gli accordi decennali per rifornire Kiev di armi), ma nulla sembra accadere o quasi. La ragione di tale indifferenza sostanziale non è da ricercare solo nell’informazione mutila della verità, ma essa ha la sua fonte prima nell’individualismo edonistico e proprietario con cui il capitalismo addestra i popoli. L’emotività appiattita sull’indifferenza e sul calcolo godereccio diseduca al logos, il quale è pensiero della prassi, per orientare fortemente verso una emotività-razionalità “diabolica” nel senso etimologico della parola.

L’indifferenza proprietaria curvata all’illimitato coltiva divisioni e solitudini incapaci di sentire la tragedia che si approssima a noi e i vertici di dolore causato da un sistema socialmente ed economicamente ingiusto. L’indignazione etica connaturata all’essere umano è neutralizzata mediante il calcolo che diseduca al giudizio etico. La valutazione onto-assiologica dalla semplice descrizione prospettica per inanellare le operazioni tattiche per soddisfare le voglie quotidiane. Uscire fuori da sé e porsi verso l’alterità prossima o lontana è socialmente condannato; la pressione sociale è fortissima in tal senso.

Senza scandalo emotivo dinanzi alle tragedie della storia non vi è la motivazione razionale a ricercare la verità storica dei fatti e a giudicarli eticamente. Senza tale passaggio dialettico la corrente fredda regna sovrana e congela l’anima e le mente in un inverno dello spirito pianificato che pare intramontabile. Abbiamo bisogno nel nostro tempo di filosofia per riattivare la natura etica e razionale della natura umana. Capire in profondità significa sfidare il nuovo e guardare nel volto meduseo il capitalismo, ma tale agire etico e archeologico necessita di categorie razionali. Ci sono testi che ci vengono incontro, se siamo disponibili ad ascoltare e a ricercare la verità per l’esodo dal “politicamente corretto e dalle perfidie dell’illimitato”. Si tratta di rientrare in noi e ritrovare con le parole dei testi la realtà nella sua verità umana. Molte resistenze, pressioni e depressioni bisogna vincere per disporsi a vivere le parole che ci vengono donate come possibilità per rinascere a nuova vita e guardare noi stessi nel mondo storico con sguardo nuovo. Ringiovanire il mondo significa ripensarlo, il gesto è tremendo e trasgressivo, per questo il sistema lo inibisce con la “malvagità del bene”. Inganna con parole buone per inchiodarci alla rupe dell’illimitato che ci derealizza e ci rende corresponsabili del male. L’inverno dello spirito necessita di “parole di realtà” con cui incamminarci sul sentiero del “bene”. Il logos è potenzialità ce per essere ridisposta nel quotidiano e rifondare le comunità democratiche necessita delle analisi olistiche, razionali ed etiche della filosofia.

Costanzo Preve in Capitalismo senza classi e società neofeudale ci dona le categorie concettuali con le quali possiamo comprendere, pensare il presente e orientarci verso il futuro. Il capitalismo divora con l’ambiente il senso della temporalità, poiché l’individualismo proprietarie è irrigidito nella volontà di potenza del desiderio, vuole sempre e unicamente il medesimo in forme differenti, poiché vive l’eterna diaspora dello spirito. Nell’indignazione etica è la radice prima del filosofare.

Indignazione etica

La filosofia, se conserva l’indignazione, è radicale e profonda come nessun’altra disciplina. Necessitiamo di pensieri e concetti che ci guidino verso l’uscita dalle “passioni tristi”. Il totalitarismo del capitale non consente il filtraggio critico delle parole e dei linguaggi, l’appiattimento emotivo è speculare all’omologazione concettuale. Il totalitarismo del capitale offusca la realtà sociale e storica con la feticizzazione delle merci: le relazioni fondate sul plusvalore vorrebbero eliminare dalla natura umana il fondamento comunitario ed assiologico. Il condizionamento tecnocratico per quanto invasivo e capillare non può eliminare l’indignazione dinanzi alla violenza della negazione della natura e al dominio quale paradigma in cui includere ogni attività umana. La natura comunitaria e critica può irrompere anche nella cappa plumbea della condizione storica attuale. La filosofia è “amica degli esseri umani”, essa ha la capacità di rompere automatismi e strutture ossificate nell’abitudine con l’indignazione.

All’origine della filosofia vi è un sentimento etico, lo scandalo è all’origine del pensiero, l’indignazione-scandalo è già uscita dalla caverna del fatalismo, un altro mondo è pensabile, se si riattivano le potenzialità etiche assopite in ciascun essere umano. La filosofia conserva l’ottimismo della categoria della possibilità, malgrado la lucida consapevolezza del travaglio storico in cui si trova ad operare. L’indignazione emerge spontanea o come conseguenza non meccanica di un processo di formazione, ma senza di essa la filosofia non avrebbe senso, sarebbe solo una disciplina addomesticata all’ordine delle oligarchie. Essa non emerge dalla meraviglia, ma dall’indignazione che pone domande ed elabora risposte, è attività politica, in cui l’anabasi e la catabasi sono la condizione per costruire sistemi in cui la teoria vive in una proficua relazione con la prassi. L’osmosi tra teoria e prassi trasforma l’indignazione in agire collaborativo e comunitaria per riformare le condizioni che offendono la condizione umana [1]:

“Al principio di tutto c’è l’indignazione. In generale l’indignazione è preceduta da una vaga irritazione, ma quando l’irritazione si cristallizza in indignazione allora si ha la genesi delle rivelazioni religiose e delle coerentizzazioni filosofiche. L’indignazione è stata all’origine della filosofia greca detta presocratica (erroneamente, perché in un certo senso lo stesso Socrate è stato l’ultimo dei presocratici, e cioè di coloro che filosofavano al servizio diretto ideale della polis democratica), nella forma della indignazione razionalizzata di fronte all’irruzione sconvolgente della schiavitù per debiti”.

Capitalismo senza classi

L’indignazione non è confinata nello spazio e nel tempo delle origini, essa è con noi ogniqualvolta non si accetta passivamente la versione ufficiale, indignarsi significa defatalizzare il presente e guardarlo con gli occhi ardenti e profondi della mente. Significa, quindi, non limitarsi a percepire e registrare il mondo con i suoi dati ed avvenimenti, ma ricostruirli nella loro verità genetica per giungere all’autocoscienza con cui discernere la verità dalla menzogna. Ogni essere umano può mettere in atto il filtraggio, ma solo i filosofi lo trasformano in vita e scopo della buona vita. L’indignazione ci induce a guardare ciò che ci appare nella sua agghiacciante normalità nella sua verità. Il capitalismo senza classi è nel nostro quotidiano, omologa ed offende ogni vita inchiodandola alle direttive del mercato, in apparenza si è tutti eguali “in nome del mercato”, in realtà non solo i soggetti sono privati della loro natura universale e della loro indole, ma dietro la cortina dell’egualitarismo omologante, la realtà sociale è rigidamente divisa tra dominati e dominatori. Questi ultimi colonizzano la mente, la lingua e l’immaginario dei dominati fino a trasformarli in plebe orante che recita il ruolo assegnato dalle oligarchie [2]:

“Il capitalismo senza classi è anzi molto più vergognosamente diseguale e barbarico di quello tradizionale, prima da me definito “dialettico” in linguaggio hegeliano. Il fatto che la forma merce, assolutizzata e totalitaria, si impadronisca di tutti gli ambiti della riproduzione sociale, infrangendo persino i vecchi confini mobili delle identità storiche delle due classi fondamentali, porta ad una nuova polarità fra l’oligarchizzazione, da un lato, e la plebeizzazione dall’altro. Ma l’oligarchia non è più borghesia, e la plebe non è più proletariato, così come i ceti medi declassati e resi “flessibili”, la cui fidelizzazione al sistema è soltanto più passiva ed ideologica, non sono più “piccola borghesia”.

Senza indignazione filosofica non vi è popolo, ma plebe il cui destino è deciso dai dominatori. Le plebi sono il riflesso dei dominatori, subiscono la loro condizione storica e materiale, dismettono la possibilità di progettare il presente ed un futuro differente. Le plebi sono massa in perenne attesa del Demiurgo che soffi in loro parole e pensieri, si nega, così, la natura umana, la quale è pensante e comunitaria.

Teorie di media portata

L’indignazione ci deve condurre a sospettare delle teorie di media portata, esse contribuiscono a sostenere il sistema, poiché la loro critica è limitata come le riforme che propongono. Tali teorie spesso sono il sostegno più organico al sistema, poiché consentono allo stesso di presentarsi come plurale e democratico e, quindi, di conservarlo. L’indignazione filosofica acuisce l’ingegno, permette di scorgere gli aspetti in ombra e il “non detto” che si cela dietro le critiche organiche all’ordine sociale [3]:

“Ma cosa significa esattamente teorie di media portata? Significa che prendono certamente atto dell’insufficienza descrittiva delle teorie tradizionali, ma non osano andare fino in fondo, si fermano per opportunismo a mezza strada, e così ritardano per decenni quelle che il grande epistemologo americano Kuhn ha correttamente definito “rivoluzioni scientifiche”.

Per ricondurre la filosofia alla sua verità radicale e profonda bisogna uscire dalla visione da salotto della filosofia. I filosofi del mainstream spesso sostituiscono la radicalità dell’indignazione con il pessimismo paralizzante. Criticano, anche duramente, il sistema capitale, ma alla fine sostengono che non c’è alternativa. Dobbiamo imparare a distinguere la vera indignazione filosofica con la sua radicalità critica che si manifesta nella prassi, dall’indignazione di facciata, dalla critica barocca dietro la quale vi è una tacita alleanza con i poteri forti.

L’indignazione filosofica Costanzo Preve l’ha vissuta con autenticità, non a caso il suo pensiero è stato oggetto di ostracismo e censure dirette ed indirette, per cui nel presente dobbiamo avere il coraggio dell’indignazione, solo in tal maniera la storia potrà riprendere il suo cammino. La storia è multilineare, nessuno la possiede o può prevederne gli esiti, ma solo l’indignazione ha la possibilità di ribaltare il fatalismo nel quale l’Occidente è caduto e che ci trascina in una decadenza senza fine che non si vuole né guardare e né capire. L’inizio del crollo del capitalismo comincerà con l’indignazione comunitaria che in questo momento sembra mancare, ma che dobbiamo preparare [4]:

“La “dimostrazione” del crollo del capitalismo per ragioni esclusivamente economiche mi ha sempre irresistibilmente ricordato la dimostrazione teologica dell’esistenza di Dio per via puramente teologica. Ma così come la dimostrazione logica dell’esistenza di Dio, pur essendo spesso impeccabile logicamente, non riesce egualmente a far credere in Dio lo scettico e l’ateo, nello stesso modo (ed anzi in modo molto più ridicolo) la dimostrazione logica del crollo del capitalismo, pur essendo impeccabile, non riesce a far crollare il capitalismo”.

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Una lettera a Papa Francesco, e una proposta di “incroci di pace” dall’Armenia (AciStampa 01.03.24)

È ancora critica la situazione in Nagorno Karabakh, in armeno Artsakh, territorio contesto tra Armenia e Azerbaijan: i primi ne mettono in luce la maggioranza etnica e la volontà popolare di essere stato cristiano, con la sua eredità culturale cristiana; i secondi sottolineano che il territorio ha una lunga tradizione azerbaijana, albaniana, lamentano che la maggioranza armena ha distrutto le prove dell’antica popolazione non armena sul territorio. È una guerra ibrida, che tocca la popolazione ma che riguarda anche la riscrittura della storia di un territorio laddove i cristiani sono presenti da millenni.

Così, il conflitto tra Armenia e Azerbaijan di quattro anni fa, conclusosi con una accordo doloroso per l’Armenia che ha perso il controllo di alcuni luoghi cristiani, ha lasciato ferite ancora aperte. Come quella dei prigionieri di guerra, ancora detenuti in Azerbaijan, nonostante l’accordo siglato tra Armenia e Azerbaijan preveda che tutti i prigionieri di guerra siano restituiti e nessuno venga arrestato dopo che l’accordo è entrato in vigore.

Tra i prigionieri di guerra, c’è un prigioniero di guerra cattolico, Gevorg Sujyan, presidente fondatore della “New Armenia Homeland – Diaspora Charitable NGO”, arrestato delle forze azerbaijane dopo l’accordo di cessate il fuoco del novembre 2020 insieme a Davit Davtyan, anche lui operatore umanitario.

Entrambi portavano aiuti umanitari vicino alla regione di Shushi. Sono stati processati nel 2021 e condannati a 15 anni di prigione in un centro di detenzione di Baku, con l’accusa di spionaggio. In una lettera aperta a Papa Francesco, Sujyan offre al Papa “l’amara tristezza e il tragico peso del suo cuore”, si pente dei suoi peccati e ricorda di “non essere un omicida, di non aver tradito, e tuttavia sono condannato come criminale. Sono incompreso. Sono lasciato senza speranza di sopravvivenza, sono intrappolato in una disperazione senza fine”.

Sujyan chiede al Papa di intercedere per la sua non meritata salvezza e libertà”, di “toglierlo dal profondo abisso”, perché “ho una famiglia, un figlio che attende il mio ritorno, piangendo lacrime senza fine”. E conclude: “Per favore aiutami, sii il mediatore che salverà la mia anima”.

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La lettera è stata diffusa recentemente, causando enorme commozione in una opinione pubblica armena già profondamente colpita, perché molti rapporti, tra cui quello dello University Network for Human Rights, parla di torture ai danni dei prigionieri. Lo stesso titolo del rapporto, “Come tre anni di atrocità contro l’etnia Armenia ha portato alla pulizia etnica” è indicativo.

In questa situazione, la Repubblica di Armenia ha lanciato il progetto “Crossorads of peace”, incroci di pace, un modo di collegare i Paesi della regione e, in qualche modo, liberare l’Armenia dall’isolamento.

Il progetto ha come principio cardinale che tutte le infrastrutture, comprese le strade, le ferrovie, le vie aree, gli oleodotti, i cavi e le linee elettriche, operano sotto la sovranità e la giurisdizione dei Paesi attraverso i quali passano. Ogni Paese, dunque, attraverso le proprie istituzioni statali, è chiamato a garantire sul proprio territorio il controllo delle frontiere e delle dogane e la sicurezza di tutte le infrastrutture, compreso il passaggio attraverso il suo territorio di veicoli, merci e persone.

Le infrastrutture possono essere utilizzate sia per il trasporto internazionale che per quello nazionale, e i Paesi utilizzano tutte le infrastrutture su base di reciprocità e uguaglianza.

Il progetto si lega anche all’accordo di cessate il fuoco del 10 novembre, in cui si sottolineava che “tutti i legami economici e di trasporto della regione saranno sbloccati”, e che l’Armenia avrebbe garantito la sicurezza delle comunicazioni trasportate tra le regioni est dell’Azerbaijan e il Nakhichevan.

L’Azerbaijan, da parte sua, ha chiesto lo stabilimento di un corridoio extra territoriale via l’Armenia in quello che è chiamato il corridoio Zangezur, collegato al progetto di Corridoio Medio, che prevede i trasporti di beni dalla Cina all’Europa attraverso il Kazakhstan, il Mar Caspio, il Caucaso del Sud e la Turchia, aggirando Russia e Iran. Un corridoio che ha avuto un rinnovato interesse con lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022, perché diventava più complicato per la Cina inviare beni attraverso Kazakhstan, Russia e Bielorussia.

Ma allo stesso tempo l’Azerbaijan chiedeva il corridoio Zangezur sottolineando l’esistenza del corridoio di Lachin, perché sottolineava che, come gli armeni potevano entrare in Artasakh senza passaporto e controlli alla frontiera, allo stesso modo gli azerbaijani avrebbero dovuto avere la possibilità di entrare a Nakichevan attraverso l’Armenia senza controlli. Ovviamente, la ratio del ragionamento ha fortemente vacillato quando il corridoio di Lachin è stato bloccato, e nell’aprile 2023 l’Azerbaijan ha posto un checkpoint a Lachin.

Nasce in questo contesto il progetto “Crossroads”. Il governo armeno ha infatti rifiutato ogni possibilità di fornire un corridoio extra territoriale e sottolinea che tutte le comunicazioni debbano essere sotto la sovranità e il controllo degli Stati in cui queste comunicazioni passano.

E così il progetto aprirebbe il collegamento dell’Azerbaijan con Nakhichevan, ma anche quello dell’Azerbaijan con la Turchia, l’Iran e la Georgia.

Basterà, questo, a creare una via di pace in Armenia? Questo sarà il grande tema. Finora, c’è stata una denuncia costante della perdita del patrimonio cristiano nella regione, tema per cui anche il Catholicos di Armenia ha stabilito un ufficio sul patrimonio cristiano perduto. Il progetto dovrebbe testare la reale volontà degli Stati nella regione di arrivare ad un accordo di pace, o se invece davvero c’è una volontà di mettere in crisi l’Armenia e la sua identità cristiana.

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ARMENIA: SI RAGGIUNGE CON VOLI DIRETTI DA 3 AEROPORTI ITALIANI. (Masterviaggi 01.03.24)

La  piccola repubblica del Caucaso meridionale, è conosciuta per il ricco patrimonio culturale e gli ambienti naturali di grande fascino.

L’ente del turismo dell’Armenia investe sull’Italia con nuove attività di comunicazione e promozione per rilanciare la destinazione e affida a Mark PR di Nadia Pasqual, profonda conoscitrice della destinazione.

L’ente del turismo armeno comunica che nel 2023 gli arrivi dall’Italia sono stati 14.273, segnando un incremento del 214,.9% sul 2022 e del 22,6% sul 2019, anno di riferimento prima del Covid, quando i visitatori italiani avevano toccato quota 11.639.
Il mercato italiano riserva, quindi, un grande potenziale di crescita, grazie ai voli diretti da Milano Malpensa (Wizzair e Flyone Armenia), Roma Fiumicino e Venezia Marco Polo (Wizzair), che si aggiungono ai collegamenti con scalo negli hub europei delle maggiori compagnie aeree.

Sisian Boghossian, direttrice del Tourism Committee of Armenia, annuncia: “Con entusiasmo, stiamo aumentando i nostri sforzi per presentare l’Armenia al vivace mercato italiano e siamo entusiasti della prospettiva di creare legami più stretti”.

L’ARMENIA, UN PICCOLO PAESE UNA GRANDE CIVILTÀ
L’Armenia, piccola repubblica del Caucaso meridionale, è conosciuta per il ricco patrimonio culturale e gli ambienti naturali di grande fascino, con altopiani e vallate che si aprono tra montagne che arrivano a superare i 4.000 m slm. Una civiltà, quella armena, che vanta tremila anni di storia, una lingua unica e un alfabeto originale.
L’offerta turistica dell’Armenia è diversificata intorno a quattro grandi temi: cultura, enogastronomia, natura e avventura,  senza dimenticare gli eventi di richiamo internazionale.

PATRIMONIO CULTURALE
Primo paese al mondo a adottare il Cristianesimo come religione di stato nel 301, l’Armenia è uno scrigno di storia, arte e spiritualità che si dischiude visitando possenti monasteri medievali arroccati su maestose montagne, aree archeologiche, monumenti e musei.

ENOGASTRONOMIA
La ricca tradizione enogastronomica dell’Armenia affonda le radici nella tradizione e comprende il tipico pane lavash, Patrimonio Culturale Immateriale Unesco, i tolma, involtini di foglie di vite, dolci come il gata , tanto semplice quanto squisito.
Nella caverna Areni-1, è stato ritrovato il sistema per la produzione di vino più antico del mondo, risalente a oltre seimila anni fa.
“Yerevan Wine Days” è il grande evento in programma nel centro della capitale dal 7 al 9 giugno.
L’enoturismo è un attrattore importante, infatti l’Armenia nel 2024 ospiterà l’ottava Conferenza mondiale sul turismo del vino UNWTO.

NATURA E AVVENTURA
A chi ama la natura e le attività all’aria aperta, questo piccolo paese offre una miriade di possibilità, dall’escursionismo al trekking, basta scaricare l’app HikeArmenia per orientarsi su tutti i sentieri del paese.
Per i più avventurosi non mancano occasioni per fare rafting sul fiume Debed, SUP nel lago artificiale di Azat, diving nel Lago Sevan, lanciarsi con una zipline, fare paragliding, arrampicare e fare canyoning in luoghi spettacolari.
Per chi ama correre, l’appuntamento è con la Yerevan Marathon domenica 28 aprile, che si svolge tra le vie della capitale.

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Romania: Sinodo Chiesa ortodossa istituisce nuove eparchie in Europa. Colletta per gli armeni del Nagorno Karabakh (SIR 01.03.24)

Oltre un milione di romeni ortodossi vivono in Gran Bretagna e il Sinodo della Chiesa ortodossa romena ha deciso di istituire, per loro, un’eparchia con sede a Londra. Il Sinodo si è riunito ieri, nel palazzo patriarcale di Bucarest, in seduta ordinaria. Oltre all’eparchia della Gran Bretagna, il Sinodo ha deciso di istituire un’eparchia anche per l’Irlanda e Islanda, con sede a Dublino, e di organizzare gli ortodossi romeni che vivono sul territorio ucraino, con lo statuto giuridico di Chiesa ortodossa romena dell’Ucraina. Inoltre, rispondendo alla richiesta della Chiesa ortodossa armena in Romania, è stata decisa l’organizzazione, tra 1° e 31 marzo, in tutto il Patriarcato, di una colletta per gli armeni rifugiati a Nagorno Karabakh. Nell’apertura dei lavori del Sinodo, la mattina del 29 febbraio, il patriarca Daniel ha presentato un rapporto sull’attività della Chiesa ortodossa romena nel 2023, sul piano ecclesiale, pastorale, culturale e sociale. Il capo della Chiesa ortodossa romena ha informato che in diaspora ci sono sette volte più battesimi che funerali e che le famiglie degli immigrati romeni sono sempre più numerose. “In Romania la situazione è esattamente a rovescio”, ha detto, notando che “nascono più bambini romeni all’estero che in patria”. Parlando dell’attività filantropica, il patriarca Daniel ha informato che la Chiesa ortodossa romena ha speso l’anno scorso complessivamente circa 60,5 milioni di euro, di cui oltre un milione di euro a favore dei rifugiati ucraini.

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Spazio Kor, venerdì debutta “Anahit” di Giorgia Ohanesian Nardin (LaNuovaProvincia 29.02.24)

Lo spettacolo sarà preceduto dal secondo appuntamento con i “Dialoghi in levare” – Intitolato “Scrivere e parlare di musica”, vedrà come ospite la giornalista Giulia Cavaliere

Venerdì 1° marzo, alle 21 allo Spazio Kor di Asti, debutterà “Anahit”, spettacolo ideato da Giorgia Ohanesian Nardin.
Nella tradizione armena pagana “Anahit” è la divinità posta a guardia e custodia dell’acqua e di tutto ciò che è fluido.
In scena, oltre all’ideatrice, Max Simonetto e F. De Isabella.
Giorgia Ohanesian Nardin è artista, ricercatrice indipendente e agitatrice queer di discendenza armena. E’ impegnata nei contesti della danza e della performance dal vivo. Nello specifico, il suo lavoro tratta della relazione tra movimento, divinazione e scrittura.
Lo spettacolo rientra nell’ambito di “Music non stop”, la stagione dello Spazio Kor condotta dalla direzione artistica di Chiara Bersani e Giulia Traversi, con un cartellone di performance di respiro europeo, linguaggi differenti e una particolare attenzione all’accessibilità.
A questo proposito va ricordato che per lo spettacolo sarà possibile richiedere un dispositivo per l’ascolto dell’audiodescrizione poetica, curata da Camilla Guarino e Giuseppe Comuniello con la supervisione di Elia Covolan. Lo spettacolo è accessibile anche a persone ipovedenti o con disabilità motoria.
Biglietti: 10 euro; ridotto 8 euro (tesserati Kor Card, abbonati Teatro Alfieri, tesserati Biblioteca Astense, under 25, over 60); ridotto gruppi 5 euro (gruppi da 10 persone).
Prevendite online su www.webtic.it e alla biglietteria dello Spazio Kor. Per prenotazioni e informazioni: info@spaziokor.it, 327/8447473 (WhatsApp), www.allive.it.

Si parla di musica con Giulia Cavaliere

Lo spettacolo sarà preceduto, alle 18 presso EO Arte (via XX settembre 112), dal secondo appuntamento con i “Dialoghi in levare” curati da Viola Lo Moro. Intitolato “Scrivere e parlare di musica”, avrà come protagonista Giulia Cavaliere: giornalista, critica musicale e autrice, collabora stabilmente con “Domani”, “Rolling Stone” ed “Esquire”. E’ stata eletta da Artribune, nel 2022, “giornalista culturale dell’anno”.
«Parleremo insieme di musica – anticipa Viola Lo Moro – e di come la si può raccontare attraverso le parole, lo storytelling dei podcast, gli articoli e i libri. Insieme guarderemo alla musica leggera, al cantautorato italiano, alle diverse composizioni delle parole e alla società intorno. Ci interrogheremo sull’industria musicale e su come le “minoranze” siano o no protagoniste e come vengono raccontate (donne, persone LGBTIQ+, disabili, persone non bianche)».
L’incontro è promosso in collaborazione con la libreria Alberi d’Acqua. Ingresso libero.

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