Binario 7, il Sorrentino di Giuseppe Scoditti e la musica armena in programma (MonzaNews 21.03.24)

I prossimi appuntamenti il 22 e il 23 marzo al teatro monzese

L’altro Binario venerdì 22 marzo arriva in sala Picasso Giuseppe Scoditti: Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa, produzione Teatri di Bari, è il tentativo disperato di un uomo disposto a tutto pur di incontrare il suo mito.

Sabato 23 ci si sposta invece in sala Chaplin per un nuovo appuntamento della stagione musicale Terra, dedicato alla (ri)scoperta della musica armena.

…….

Musiche di Bagdarassian, Komitas e Khachaturian 
per il prossimo appuntamento di Terra
Il ricco retaggio culturale della musica popolare armena ha generato un influsso importante sulla tradizione classica che si è andata creando nel ventesimo secolo, grazie all’impulso instancabile di Padre Komitas, il “padre” della musica classica armena, che ha avuto straordinari eredi come Bagdasarian e Khachaturian. In arrivo per Terra la scoperta (meglio: la riscoperta) di una cultura affascinante capace di offrire emozioni profonde.

Il programma

Komitas, È primavera, nel mio cuore nevica

Babagianian, Melodia

Babagianian, Improvviso

Babagianian, Elegia
Bagdassarian, Preludio
Hovhannissian, Preludio

Harutiunian, Quattro stati d’animo 

Khaciaturian, Ninna nanna
Khaciaturian, Toccata

 

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Komitas, Krunk

Eduard Bagdassarian, Nocturne

Khaciaturian, Danza delle ragazze (dal balletto Gayané)

Khaciaturian, Valse (dal balletto Gayané)

Khaciaturian, Adagio (dal balletto Spartacus)

Khaciaturian, Valse (dal balletto Masquerade)

Scopri gli ultimi appuntamenti di Terra 2023/24

TEATRO BINARIO 7
LA MUSICA ARMENAcon
Ani Martirosyan, pianoforte
Nobuko Murakoshi, violino

data concerto
sabato 23 marzo 2024 alle 21

sala Chaplin

biglietti disponibili online
intero 15 euro | ridotto 12 euro |under 18 6 euro

biglietti disponibili con prenotazione
allievi Binario 7 10 euro

Per info e prenotazioni:

Teatro Binario 7

via Filippo Turati 8, Monza

039 2027002 | biglietteria@binario7.org

 

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48 ore in Armenia, la Pasqua in una culla del Cristianesimo (La Stampa 21.03.24)

L’Armenia è una destinazione ideale per Pasqua perché in quest’isola di cultura europea nel Caucaso nel 303 fu fondata la prima Chiesa nazionale cristiana. L’Apostolica Armena, detta anche Gregoriana in onore del suo fondatore San Gregorio Illuminatore (240-332), una chiesa autonoma con riti cantati, croci scolpite nella pietra, occasionali sacrifici di animali sugli altari e simboli zoroastrici (antica fede persiana) nei templi. Sacerdoti armeni sono tra i custodi del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

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Bistrattata dalla storia, oggi è un piccolo Paese: grande come Piemonte e Liguria con meno di 3 milioni di abitanti. L’Armenia fu però una culla della civiltà occidentale. Nell’antichità andava dal Caspio al Mediterraneo su un territorio undici volte maggiore dell’attuale che comprendeva Caucaso, Anatolia orientale, Libano e Siria settentrionali. Il suo principale interlocutore era la Grecia classica.

Gli armeni condividono molti caratteri con i greci: dalla cucina all’avversione per i turchi, dal calore umano al cristianesimo in una regione dominata dall’islam. Atene fu la prima capitale a riconoscere l’Armenia indipendente nel 1991 (era una repubblica dell’Unione Sovietica). Povero ma dignitoso con forte carattere nazionale – ha lingua e alfabeto propri – il Paese è rinato dalla crisi seguita alla fine dell’Unione Sovietica, anche grazie alla diaspora armena che investì a Yerevan e creò un fondo per il recupero del patrimonio artistico. Tra Europa e Stati Uniti sono 7 milioni i cittadini di origine armena.

PRIMO GIORNO
Il fulcro di Yerevan è piazza della Repubblica, ellittica e circondata da monumentali edifici in tufo e basalto rosa in cui si mescolano gli stili architettonici armeno e Soviet Empire, il neoclassico staliniano. Qui c’è la Galleria Nazionale di Arte con molte tele che raffigurano Venezia. Nasi importanti su volti familiari, gli armeni erano mercanti sulla Via della Seta, trafficavano tra Venezia e India, tra Baltico e Africa orientale. Fabbricano ancora preziosi tappeti: li si acquista nei negozi di Abovyan, la via dello shopping. Il volto più orientale di Yerevan è lo Shuka, il mercato alimentare con banchi di miele, spezie e frutta secca: noci, albicocche, fichi, pere e pesche sono interpreti di colorate creazioni gastronomiche. Il fulcro dell’identità è il Museo del Genocidio, eretto nel 1967 per non dimenticare il primo olocausto del Novecento. L’Armenia venne annessa dagli Ottomani nel 1502. Ai desideri d’indipendenza, seguiti alla crisi dell’Impero, i nazionalisti turchi risposero nel 1909 con massacri in Cilicia. All’entrata in guerra della Turchia, nel 1915, un milione di uomini furono uccisi e mezzo milione di donne e bambini deportati a morire di stenti nel deserto siriano.

Il suo cuore antico è invece al Matenadaran, il Museo dei Manoscritti di Yerevan: custode di 17.500 opere autografe tra cui i primi Vangeli illustrati del V secolo. A 22 km dalla capitale si trova

Echmiadzin, il centro spirituale del Paese con frotte di seminaristi che sfilano davanti alla più antica cattedrale del mondo. Qui San Gregorio fondò la prima chiesa cristiana, motivo per il quale in Armenia cristianesimo fa rima con identità. A 20 km da Yerevan, a Garni, si trova invece un intatto tempio ellenistico del I secolo d.C.

CENA, VINI E LIQUORI
Il brandy Ararat, distillato dal 1887, era il liquore più pregiato nell’Unione Sovietica. Stalin lo offrì a Truman e Churchill al meeting di Yalta che segnò la fine della Seconda Guerra Mondiale. Da allora fu sempre presente nel bar del premier inglese. La distilleria Ararat di Yerevan (2 Isakov Poghots) è aperta al pubblico per la degustazione: si sorseggiano brandy a 42 gradi di 3 anni, 10 anni e 20 anni. Si produce anche vino rosso, ma di qualità inferiore ai nettari della vicina Georgia. Ben più infuocata la vodka (70 gradi), erede del lungo rapporto con i russi. A tavola, brandy e vodka innaffiano mezzé (stuzzichini) in stile mediorientale: foglie di vite farcite con riso, insalate, melanzane alla griglia, peperoni, olive, salse allo yogurt, sfoglie al formaggio. Segue una zuppa di verdura: la più comune è la vellutata di zucca. E carne – ovina, suina, bovina e pollame – allo spiedo con erbe aromatiche. I pasti terminano con frutta fresca, soprattutto i melograni.

Tra i migliori ristoranti di Yerevan. Ayas-Kilikia (Hanrapetutyan 78): cucina tradizionale innaffiata da vini locali e accompagnata da band di musica tipica. The Club in Tumanyan 40: cucina armena rivisitata in chiave moderna.

SECONDO GIORNO
La meraviglia dell’Armenia sono il centinaio di chiese romaniche in tufo sparse per il Paese. Viaggiando tra rilievi, laghi e altopiani del Caucaso, in un paesaggio corrugato, tra montagne brulle, su strade tortuose che attraversano valli e canyon si scoprono magnifici monasteri in pietra. Tatev dell’XI secolo affacciato sulla Gola del Vorotan: spettacolare la strada che lo raggiunge al confine con l’Iran. Geghard, il ‘monastero della lancia’ in riferimento all’arma che ferì Gesù sulla croce, con la cappella principale costruita nel 1215 nel luogo dove San Gregorio fondò nel IV secolo il monastero in una grotta con una sorgente sacra. Noravank del XIII secolo con la chiesa a due piani di Santa Astvatsatsin (Madonna in armeno), importante centro religioso fino al Cinquecento: si sale al secondo piano su una stretta scala di pietre sporgenti dalla facciata. Haghartsin, significa ‘danza delle aquile’, costruito nel XII secolo con due chiese: quella di San Gregorio ha meridiane sui muri e nel refettorio un incrocio di travi arcuate in pietra.

E soprattutto Khor Virap, legato alle vicende di San Gregorio: è ciò che resta di Artashad, capitale armena fino al II secolo d.C. Il campanile di Khor Virap si staglia contro i 5165 metri del monte Ararat: simbolo dell’Armenia ma in Turchia. Per la Bibbia sulla sua vetta s’incagliò l’arca di Noè, mentre ai suoi piedi sorgeva il Giardino dell’Eden. I vigneti sul versante armeno richiamano le sacre scritture e Noè che qui piantò le prime viti dopo il Diluvio universale.

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L’Armenia spolpata. Restituisce quattro villaggi all’Azerbaigian, per evitare la guerra (Huffigntonpost 20.03.24)

Il paese, non più sostenuto dai russi, torna ai confini dell’era sovietica. Baku non concede nulla in cambio, forte del sostegno turco. Il premier Pashinyan: “Non vogliamo un conflitto, so come finirebbe”. Il sogno, anche per motivi di sicurezza, resta l’adesione europea

Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha annunciato la restituzione di quattro villaggi di frontiera all’Azerbaigian come parte di un incentivo per arrivare ad una pace tra i due Stati. L’alternativa, secondo quanto affermato da Pashinyan, sarebbe una nuova serie di combattimenti nel Caucaso meridionale. L’occasione era una visita avvenuta nella giornata di lunedì presso le aree di confine nella regione del Tavush, situata nella parte settentrionale dell’Armenia e vicina ad una serie di villaggi azeri abbandonati che Erevan controlla dall’inizio degli anni Novanta. L’Armenia ritornerebbe quindi ai confini risalenti all’era sovietica. “La nostra politica è volta a prevenire una guerra, non dobbiamo permettere che inizi”, ha avvertito il primo ministro, sostenendo come l’Armenia potrebbe subire un attacco “entro la fine della settimana” se si rifiutasse di cedere i villaggi. “So come finirebbe una guerra del genere“, ha aggiunto Pashinyan, secondo quanto riportato dall’agenzia di stato russa Tass.

Avvisaglie di una possibile escalation si erano già registrate in seguito agli ultimi scontri del 12 e 13 febbraio scorso avvenuti al confine tra i due Paesi, esasperati dalla morte di quattro soldati armeni. Riferendosi al rifiuto da parte dell’Azerbaigian delle ultime proposte inoltrate dall’Armenia su una nuova demarcazione dei confini, e il conseguente raggiungimento di una pace, Pashinyan aveva giustificato tale scelta con l’intenzione “di lanciare operazioni militari in alcune aree del confine per trasformarle in una guerra su larga scala contro la Repubblica di Armenia”.

All’inizio del mese di marzo, il capo della squadra dei negoziatori dell’Azerbaigian aveva esplicitato la richiesta di restituzione “immediata” dei quattro villaggi, inabitati da trent’anni eppure di valore strategico per l’Armenia in quanto a cavallo tra la strada principale che collega Erevan con il confine georgiano. Nelle intenzioni armene, tale cessione sarebbe dovuta essere corredata da un parallelo ritiro delle truppe azere dai circa 215 chilometri quadrati di territorio armeno conquistati durante una breve invasione avvenuta a settembre 2022. Secondo Pashinyan, tale proposta è stata rifiutata.

L’evento a cui si fa riferimento riguarda gli scontri al confine tra i due Stati coincisi con la morte di quasi 300 persone, iniziata, secondo varie organizzazioni per i diritti umani e governi, incluso il Parlamento europeo e gli Stati Uniti, dall’Azerbaigian attraverso attacchi ad insediamenti ed infrastrutture civili armene. Baku aveva giustificato l’intervento additando “atti sovversivi su larga scala” da parte degli armeni al confine, consistenti nel posizionamento di mine antiuomo. Tali affermazioni non avevano però trovato riscontri. I combattimenti erano terminati con la presa, da parte delle truppe azere, dei territori sopra citati, che portarono allo sfollamento di circa 7.600 civili. L’Armenia aveva richiesto l’intervento a suo sostegno da parte del Collective Security Treaty Organization (Csto), un’alleanza militare facente capo a Mosca, la quale, tuttavia, non si era mobilitata a sostegno di Erevan.

Un preludio di ciò che era accaduto lo scorso settembre, quando l’Azerbaigian aveva lanciato una nuova offensiva volta a riconquistare la regione separatista del Nagorno-Karabakh – ufficialmente riconosciuta come facente capo da Baku, ma con una popolazione, al tempo, prevalentemente di etnia armena e un governo locale dagli stretti legami con Erevan – e il contingente di pace russo schierato, storicamente alleato dell’Armenia, si era tenuto in disparte, non interferendo nella contesa. Tale scelta era stata interpretata come una sorta di ripicca di Mosca per la volontà esplicitata dallo stesso primo ministro Pashinyan in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, di smarcarsi dall’influenza del Cremlino ambendo ad una possibile richiesta di adesione all’Unione Europea. Non a caso, in una dichiarazione pubblicata martedì sull’applicazione Telegram, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha suggerito come i legami sempre più stretti di Erevan con l’Occidente sarebbero la ragione per cui l’Armenia ha dovuto fare concessioni all’Azerbaigian.

Il Cremlino non avrà poi visto di buon occhio l’incontro, avvenuto alla fine dello scorso febbraio, tra il ministro delle Forze armate francese Sébastien Lecornu con il suo omologo armeno Suren Papikyan, tenutosi ad Erevan per discutere una più stretta collaborazione tra i due Paesi in termini di difesa militare. L’aereo di Lecornu trasportava visori notturni da consegnare all’esercito armeno e l’incontro ha portato alla firma di un contratto per l’acquisto di fucili d’assalto da parte di Erevan dall’azienda francese Pgm.  L’Armenia è alla ricerca di rinnovate intese per modernizzare il suo esercito ancora eccessivamente dipendente dalle tecnologie sovietiche al fine di “ristabilire l’equilibrio militare” con l’Azerbaigian, secondo quanto dichiarato da Tigran Grigoryan, direttore del Centro regionale per la democrazia e la sicurezza di Erevan. “Questa cooperazione, che dura ormai da un anno e mezzo, è di grande importanza per l’Armenia. Abbiamo fatto progressi, il che significa che possiamo guardare alla pianificazione a lungo termine nei prossimi anni”, ha dichiarato al termine dell’incontro diplomatico Papikyan. A tali affermazioni aveva fatto eco il ministro transalpino, definendo una “priorità assoluta” il sostegno all’Armenia.

Ad esplicitare, nel caso ce ne fosse bisogno, la volontà di Erevan di raffreddare i rapporti con Mosca è stata anche la decisione, comunicata venerdì, di sospendere l’adesione al già citato Csto. In un’intervista rilasciata a Politico, il Pashinyan aveva rimproverato alla Russia proprio l’incapacità di agire come un “poliziotto” nel Caucaso. Un distacco da Mosca che rappresenta un importante punto di svolta per il Paese, che dal crollo dell’Unione sovietica ha delegato a Mosca gran parte del controllo delle sue ferrovie, del suo settore energetico, e dei suoi confini.

Il primo dispiegamento delle truppe russe nella contesa si registrò nel 2020, in quella che viene definita la seconda guerra del Nagorno-Karabakh, la quale causò più di 6,000 morti. Fu proprio la Russia a mediare il cessate il fuoco e a disporre circa 1,960 soldati all’interno della regione, anche nei pressi del Corridoio di Lachin, l’unica infrastruttura che connette il Nagorno-Karabakh con l’Armenia. Gli scontri durarono 44 giorni, con le forze azere che potevano godere anche del sostegno della Turchia. “A seguito degli eventi in Ucraina, le capacità della Russia sono cambiate”, aveva dichiarato ancora a Politico Pashinyan, riconoscendo come Mosca stesse già all’epoca cercando di evitare di alienarsi l’Azerbaigian e, di conseguenza, proprio la Turchia, essendo entrambi i Paesi divenuti di importanza strategica per il Cremlino dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

Sono quindi, ad oggi, numerosi gli attori in gioco nelle trattative di pace, inauguratesi in seguito alla riconquista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, avvenuta lo scorso settembre. L’intenzione di stabilizzare la situazione, seppur biunivoca, è stata finora rallentata ed oscurata proprio dai dubbi sulla demarcazione del confine, lungo circa 1.000 chilometri, e in questo senso rientra l’ultima concessione di Erevan, che già aveva espresso la possibilità di deviare la propria rete stradale per evitare il territorio azero. Tuttavia, qualcosa sembra muoversi, e le concessioni dell’Armenia potrebbero essere la chiave per sbloccare le trattative. Potrebbe non essere un caso che nella giornata di domenica, il presidente Ilham Aliyev ha dichiarato come la pace sia “più vicina che mai” in seguito ad un colloquio con il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, avvenuto a Baku.

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Dimenticare l’Artsakh, dimenticare la storia (Rasi 20.03.24)

Sei mesi fa l’esercito dell’Azerbaijan, complice l’immobilismo russo nella regione, attaccò l’Artsakh-Nagorno Karabakh, l’enclave di etnia armena in territorio azero. In pochi giorni la quasi totalità della popolazione lasciò le proprie case, i monumenti, i cimiteri, la storia per cercare rifugio in Armenia.

Finiva così una disputa territoriale che dal 1991 – dal momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica – aveva portato a tensioni gravissime e conflitti tra Armenia e Azerbaijan. Ma se la popolazione ha abbandonato quel territorio, che fare ora dei monumenti e delle tracce millenarie che ricordano senza ombra di dubbio la presenza armena nella regione? Le ruspe hanno abbattuto in diretta televisiva il parlamento dell’autoproclamata repubblica dell’Artsakh (mai riconosciuta da nessun governo) ma secondo storici, archeologi e ricercatori è già cominciata la cancellazione della cultura armena in territorio azero.

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Storie di donne, letteratura di genere/ 530 – Di Luciana Grillo (Ladigetto 20.03.24)

Sara Maino, «Quaderno armeno – Hotel Praha, Yerevan» – Un diario-racconto di straordinaria efficacia descrittiva e insieme capace di andare in profondità

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Titolo: Quaderno armeno. Hotel Praha, Yerevan
Autrice: Sara Maino

Editore: Nous Editrice, 2023
Genere: Letteratura di viaggio

Pagine: 168, Brossura
Prezzo di copertina € 16

La prefazione del Console onorario della Repubblica di Armenia, Pietro Kuciukian, ci introduce nel mondo armeno, presentato secondo punti di vista diversi: il Console ha incontrato armeni in ogni continente, ha vissuto «la devastazione del terremoto, la conquista della libertà e insieme le ferite della guerra…», mentre Sara parte spinta dall’interesse per i canti liturgici nelle chiese armene, dalla sensazione che «la musica armena sembra portarmi indietro nel tempo… è una sensazione che mi fa sentire autentica».

Dopo un lungo viaggio aereo, Sara atterra a Yerevan ed è accolta da Oxana, una signora armena conosciuta in Italia.
La giovane viaggiatrice sapeva che Oxana si sarebbe presa cura di lei, forse l’avrebbe ospitata a casa sua, ma in taxi, mentre vanno verso la città, le spiega confusamente che la casa è in subbuglio e dunque che non può ospitarla.
L’accompagna all’Hotel Praha, un vecchio desolato albergo, dove tutto odora di unto e di sporco.

È qui che Sara incontra un gruppo di giovani prevalentemente donne tra cui Violet, che parla un ottimo inglese e diventa la sua «guida», una sorta di angelo custode, in un ambiente che le sembra losco e dove si sente a disagio.
In realtà, l’hotel è un albergo di rifugiati provenienti da Hadrut, città del Nagorno-Karabakh, e da Baku, capitale azera, sistemati qui dallo Stato armeno.
Violet, che ha studiato giornalismo e parla varie lingue, non trova lavoro perché gli armeni considerano «meno armeni» coloro che provengono dal Karabakh.

Conoscendo i familiari di Violet, Sara sente di essere «entrata in modo diretto, imprevedibile, in un mondo a me totalmente estraneo… i rifugiati hanno creato un microcosmo di solidarietà e di reciproca assistenza».
Forse Violet risulta un po’ invadente, vuole decidere dove accompagnare Sara, le fa capire che la musica che piace a Sara per gli armeni è troppo malinconica, perché «hanno voglia di voltare pagina».

Eppure insieme attraversano la città, vanno al Parco della Vittoria, scoprono da lontano il profilo del gigante bianco, il monte Ararat, e finalmente Violet confessa a Sara che il suo nome armeno è Manushak, «un nome armeno dal suono bellissimo… un canto».
Poi, per Manushak c’è la scoperta di internet, e «la posta elettronica è una rivelazione» che la lascia senza parole.
Sara vorrebbe essere più libera, eppure comprende l’espansività di Manushak, «mi commuove la sua vivacità, così spontanea, brillante, la freschezza dei suoi ricordi, il sorriso che li immortala, la tenerezza con cui parla delle pere e delle albicocche» e la semplicità con cui le racconta che vorrebbe un uomo al suo fianco.

Sara è invitata a cena dalla famiglia di Manushak, che traduce i suoi racconti, le esperienze di viaggio in luoghi lontani… e si emoziona quando Diana e Sarkis, fratello di Manushak, le chiedono di essere la loro testimone di nozze.
Passano i giorni, Sara deve fare i conti con il tempo che ha a disposizione, con il nervosismo di Manushak, i rinvii di Oxana che avrebbe dovuto ospitarla… forse c’è un accordo tra queste due donne? Forse Manushak ha il compito di controllarla? potrebbe darsi che le chieda del denaro alla fine del «servizio»?

L’ospitalità dei karabakiani è quasi soffocante, sembra celare «degli interessi mascherati da presunte preoccupazioni».
L’incontro con Padre Hagop un po’ la rasserena, sa che potrà registrare i canti liturgici in breve tempo ma in qualche modo è «avvertita» da questo Padre che sentenzia: «L’altro lato dell’ospitalità è la prigionia…».
Sara riesce ad abbandonare l’hotel Praha e i suoi abitanti, trova una camera in un albergo normale, eppure – riassaporata la libertà – ha nostalgia di tutti quegli sventurati costretti a vivere in un luogo sordido, controllati da un custode sgarbato, obbligati ad uscire scendendo lungo le scale di sicurezza per evitare controlli.

Per loro compra gli ingredienti per preparare, nella polvere dell’hotel, una vera pasta al pomodoro, «con un unico fornello da campo…sessanta occhi su di me e sul soffritto che sfrigola».
E Diana le fa sapere che se avrà una bimba, la chiamerà Sara!
«…in quella miseria ho trovato un’accoglienza autentica, una dimensione umana vera».
Per Sara, il giro delle chiese continua, raggiunge Echmiadzin, ascolta i racconti dolorosi di Manu, un bimbo perduto e un padre violento, segue l’ordinazione di quattro sacerdoti, «il rito stupisce, affascina anche un occidentale, non lascia mai indifferenti…».

Sara ascolta e registra, anche Manushak che canta in un tempio antichissimo alcune melodie del Nagorno-Karabak, «con un’innocenza bambina».
E parla con Fratello Bohdan di cerimonie religiose, di canti e strumenti e con la professoressa Anahit di intonazione del canto e di accordatura dell’orecchio.
Ma per compiere ancora una visita fuori città, invita Manushak, Sarkis e Diana e va a prenderli con un’auto a noleggio davanti all’hotel Praha e poi registra anche il canto di Manu e Diana, felici, libere.

Altro giorno, l’ultimo per Sara in Armenia, una gita con Manu e via, verso casa, carica di ricordi e di suoni, ma indebolita e stanca.
Qualche tempo dopo, Manu le partecipa la nascita della piccola Sara.

Una storia armena nel “Trattato di demonologia, Summa verborum, numeri, temporis et spatii” di Filippo Biagioli (Faiinformazioni 20.03.24)

Questa primavera, è il periodo scelto da Filippo Biagioli per presentare il suo ultimo libro fatto a mano, trattante l’argomento demonologico. L’opera è stata scritta sia in italiano che in inglese, per questo il libro è conosciuto anche come “Trattato di Demonologia”, “Tractatus de Demonologia” o “Essay of Demonology”. L’autore affronta l’argomento sia in maniera testuale descrittiva, ma anche si affida a tutta una simbologia fatta di disegni, segni e parole.

Nella fattispecie, in quella che Filippo Biagioli chiama “Sezione Operativa” c’è una tavola disegnata dedicata all’Armenia. Interrogato, Filippo ci racconta che quel disegno realizzato a china su carta è un Sigillo:

“Si, ho realizzato un Sigillo, per la difesa della persona dall’attività demoniaca. Come, nel libro ce ne sono altri, sia Cristiani, che Islamici. Questo in particolare l’ho dedicato all’Armenia. Quando ho scolpito la Spada di Maria e la Sua Corona, per il museo di Kapan, ho letto molto sulla religiosità armena, ed ho trovato molti spunti interessanti. Questo particolare disegno è dedicata a ciò ed è stato realizzato sommando la simbologia di San Giorgio con quella dell’Arcangelo Michele.Tutto inizia quando ho scoperto che la prima raffigurazione di San Giorgio è presente sulle mura della chiesa della Santa Croce di Aghtamar, nel lago di Val, in Turchia (un tempo territorio dell’Armenia Storica). Ed è in questo momento che mi è nata l’idea di dedicare un sigillo anche all’Armenia, mentre ero affascinato da questa storia piena di curiosità. La chiesa è stata costruita da un architetto armeno. I bassorilievi presenti, sono evocativi. Madonna con bambino, scene del Vecchio Testamento, Santi martiri armeni sono d’ispirazione per chiunque abbia Fede. La raffigurazione di San Giorgio però, non sembra uccidere un drago (al contrario della leggenda), ma una forma animale non definita. Questo oggi lo possiamo ammirare grazie a Yashar Kemal, scrittore in lingua turcacurdo di origine, che salvò la chiesa dalla distruzione. E sempre di distruzione si parla, pensando alla chiesa, sempre in Armenia, di San Michele Arcangelo a Gyumri.La torre-chiesa dell’orologio che porta il suo nome è stata realizzata in pietra nera ed è sopravvissuta al terremoto del 1988. Perciò ho pensato che niente è più protettivo dell’Arcangelo Michele che difese la Fede in Dio contro le Armate di Satana. Dunque il disegno nasce dalla storia di queste due chiese. La raffigurazione è San Giorgio, che tiene in mano le Sacre Scritture e una Croce, anziché una spada. Egli sovrasta un mare di serpenti simboleggianti le orde di Satana. Possiede anche un paio d’ali a ricordare la sua santità (e Michele) e tutta la scena si svolge sotto gli archi di una chiesa. Corredano il Sigillo, le parole armene “Luce di Dio” (necessaria per illuminare il cammino al proprio popolo), “Benedizione” (ciò che ci protegge in ogni momento), “Fede” (ciò che porgiamo a Dio per la Sua Gloria) e infine “Fuoco” (colui che distrugge i Male e fa rinascere lo Spirito purificato).”

L’opera è stata realizzata solo 24 copie per tutto il mondo, e ha trovato casa presso:

Biblioteca Museo Centro de Arte Reina Sofia a Madrid, Biblioteca Accademia di Belle Arti di Firenze, Archivio Ufficio diritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, Biblioteca dipartimento immagini del British Museum a Londra, Collezione Paolo Fabiani a Montecatini Terme, Biblioteca della Fondazione Musei Torino, Archivio Museo del Prado a Madrid, Biblioteca del Museo Palazzo Nazionale di Taipei, Biblioteca della Tate Gallery a Londra, Biblioteca Cum Venio a Larciano, Biblioteca Museo di Arte Sperimentale MUSPAC a L’Aquila, Biblioteca Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, Collezione Federica Belmonte, Biblioteca del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi a Firenze, e nelle città di VeneziaParigiNew YorkWellingtonOsakaSerravalle PistoieseSeul.

Armenia premiata come migliore destinazione storica (Viaggiare 20.03.24)

L’Armenia ha ricevuto il premio internazionale come migliore destinazione nella categoria “Storia”  durante un’imponente cerimonia di premiazione all’ITB di Berlino, la più grande fiera di viaggi del mondo, nella quale la Pacific Area Travel Writers Association (PATWA) ha annunciato i vincitori degli ambiti PATWA International Travel Awards 2024 alla presenza di ministri del turismo, governatori, ambasciatori e i vertici di catene alberghiere, compagnie aeree, tour operator e media internazionali. Susanna Hakobyan, vicedirettrice del Tourism Committee of Armenia ha dichiarato: “Siamo onorati di aver ricevuto il prestigioso premio Destinazione dell’anno nella categoria storia da PATWA agli International Travel Awards 2024. Questo riconoscimento evidenzia il patrimonio culturale e il significato storico dell’Armenia. Estendiamo la nostra gratitudine a PATWA per questo stimato riconoscimento e restiamo impegnati a condividere la nostra ricca storia con viaggiatori provenienti da tutto il mondo.”

L’Armenia ha una storia di quasi tre millenni che si è preservata fino ad oggi attraverso un ricco patrimonio storico e culturale, che hanno forgiato l’identità dei suoi abitanti. Primo stato al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di stato nel 301, l’Armenia conserva siti archeologici, monumenti e monasteri medievali che testimoniano il suo importante passato. Alcuni dei principali luoghi storici sono parte dei tre siti patrimonio UNESCO: i due monasteri di Haghpat e Sanahin, il monastero di Geghard e l’Alta Valle dell’Azat, e la cattedrale e le chiese di Etchmiatzin insieme al sito archeologico di Zvartnots.

I premi di viaggio internazionali PATWA sono stati istituiti in modo indipendente e sono giunti alla loro 24° edizione. Hanno un rigoroso processo di selezione e nomina, e si sono guadagnati la reputazione di essere i primi e più importanti premi nel settore dei viaggi, del turismo, dell’aviazione e dell’ospitalità. I premi riconoscono governi, organizzazioni, brand, ministri e individui che si sono distinti nella promozione del turismo. Il segretario generale della PATWA, Yatan Ahluwalia, ha affermato: “Quest’anno l’attenzione della giuria si è concentrata sulla regione del Mediterraneo e del Sud America, oltre all’India. La sostenibilità è stata un fattore chiave per la nostra selezione. Oltre a riconoscere organizzazioni e individui, la nostra eccellenza nella categoria governance includeva premi per otto ministri del turismo di tutto il mondo che hanno avuto un impatto con le loro politiche e visione”.

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Armenia migliore destinazione “storica” ai Patwa Awards 2024 (Lagenziaviaggimag.it)

 

l Comitato europeo dei diritti sociali pubblica le sue conclusioni e constatazioni 2023 su minori, famiglia e migranti (20.03.24)

Il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) ha pubblicato le sue Conclusioni 2023 riguardanti gli articoli della Carta sociale europea relativi a minori, famiglia e migranti. Nel quadro della procedura di rapporto, il CEDS ha adottato 799 conclusioni: 415 conclusioni di conformità alla Carta e 384 conclusioni di non conformità relative ai paesi seguenti: AndorraArmeniaAustriaAzerbaigianBosnia-ErzegovinaCroaziaCiproRepubblica ceca,DanimarcaEstoniaGeorgiaGermaniaUngheriaLettoniaLituaniaLussemburgoMaltaRepubblica di MoldovaMontenegroPaesi BassiAruba (Paesi Bassi)Curaçao (Paesi Bassi)Macedonia del NordNorvegiaRomaniaSerbiaRepubblica slovaccaSloveniaSpagnaSveziaTürkiye e Regno Unito.

Il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) ha inoltre adottato le sue Constatazioni 2023 riguardanti otto Stati (Belgio, Bulgaria, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia e Portogallo) che hanno accettato la procedura di reclami collettivi.

Il CEDS ha constatato che, sebbene vi siano stati progressi in alcune aree e sforzi per raggiungere la conformità, alcune questioni, quali la disparità di retribuzione tra i generi, l’alloggio per i Rom, la discriminazione nell’assistenza sanitaria e l’istruzione inclusiva per i minori con disabilità intellettive, rimangono problemi persistenti per i quali occorrono progressi misurabili al fine di rendere la situazione di questi paesi conforme alla Carta.

Il CEDS sottolinea l’importanza di sforzi continui per allinearsi appieno alle disposizioni della Carta sociale europea, assicurando la protezione e il progresso dei diritti sociali di tutti i cittadini.

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Armenia-Azerbaigian, Pashinyan: “Una nuova guerra potrebbe scoppiare nel fine settimana” (AgenziaNova 19.03.24)

Se l’Armenia non scenderà a compromessi con l’Azerbaigian in relazione ad alcuni villaggi di confine una nuova guerra fra i due Paesi potrebbe scoppiare alla fine della settimana. Lo ha detto il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, in un incontro con gli abitanti dei villaggi di confine nella regione di Tavush. L’ufficio stampa del governo ha distribuito una registrazione video dell’incontro con i residenti locali.

“Ora possiamo andarcene da qui, andare a dire (all’Azerbaigian) che no, non faremo nulla. Questo significa che alla fine della settimana inizierà una guerra”, ha detto Pashinyan. “So cosa succederà alla fine di questa guerra”, ha aggiunto il premier armeno, spiegando che dopo il conflitto armato, la gente del posto gli chiederà perché, pur avendo informazioni sulla minaccia dell’inizio delle ostilità, non li ha avvertiti in anticipo.

Secondo il primo ministro armeno “Erevan deve tracciare un confine più preciso con l’Azerbaigian nella provincia di Tavush per evitare la guerra”. “La nostra politica è prevenire la guerra, non permettere che scoppi. Pertanto, abbiamo deciso di concordare di tracciare una linea di confine più precisa in queste aree. Lo stiamo facendo non solo nell’interesse della Repubblica d’Armenia, ma anche per i villaggi di Voskepar e Kirants, per garantire la sicurezza” di queste aree, ha detto Pashinyan, citato dalla televisione pubblica armena, in un incontro con gli abitanti della provincia di confine.

ESCLUSIVA: Il trailer di The Black Garden, selezionato a CPH:DOX (Cinemaeuropa.org 19.03.24)

Questo articolo è disponibile in inglese.

The Black Garden [+] by Alexis Pazoumian, a French-Armenian photographer-director based in Paris, is world-premiering in the international competition of this year’s CPH:DOX, which runs from 13-24 March.

The film centres on children Samvel and Avo, young soldier Erik, and lumberjack and war veteran Karen, who reside in the Armenian community of Talish in Nagorno-Karabakh. Following a large-scale attack by Azerbaijan and renewed hostilities in the region in 2020, the protagonists are trying to come to terms with a new reality. Erik is wounded. Karen flees to Stepanakert in Armenian-controlled Nagorno-Karabakh. Samvel and Avo’s families seek refuge in Yerevan.

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“A large part of the film takes place in Armenia, since most of my characters are exiled today, but I also made their homeland exist by going back to Nagorno-Karabakh: [we see] what is left of it, the desolate and disfigured landscapes, and its lost souls like that of Karen, who is a refugee in Stepanakert,” Pazoumian notes. He adds: “This territory represents an open wound for the characters. It’s their dark and beloved land – their black garden.”

The Black Garden was produced by Clara Vuillermoz, of France’s Solent Productions, in co-production with Vincent Metzinger, of Belgium’s Naoko Films. The international sales rights are being handled by Toronto-based Syndicado Film Sales.

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