Papa Francesco: Urbi et Orbi, “non lasciamo che venti di guerra sempre più forti spirino sull’Europa e sul Mediterraneo” (SIR e altri 31.03.23)

“La guerra è sempre un’assurdità e una sconfitta! Non lasciamo che venti di guerra sempre più forti spirino sull’Europa e sul Mediterraneo. Non si ceda alla logica delle armi e del riarmo”. Lo chiede il Papa, nel messaggio “Urbi et Orbi” di Pasqua, in cui ribadisce che ”la pace non si costruisce mai con le armi, ma tendendo le mani e aprendo i cuori”. “Non dimentichiamoci della Siria, che da quattordici anni patisce le conseguenze di una guerra lunga e devastante”, l’appello del Papa: “Tantissimi  morti, persone scomparse, tanta povertà e distruzione aspettano risposte da parte di tutti, anche dalla comunità internazionale”. Poi lo sguardo del Papa va al Libano, “da tempo interessato da un blocco istituzionale e da una profonda crisi economica e sociale, aggravate ora dalle ostilità alla frontiera con Israele”: “Il Risorto conforti l’amato popolo libanese e sostenga tutto il Paese nella sua vocazione ad essere una terra di incontro, convivenza e pluralismo”. Un pensiero particolare, inoltre, alla Regione dei Balcani Occidentali, “dove si stanno compiendo passi significativi verso l’integrazione nel progetto europeo: le differenze etniche, culturali e confessionali non siano causa di divisione, ma diventino fonte di ricchezza per tutta l’Europa e per il mondo intero”. “Parimenti incoraggio i colloqui tra l’Armenia e l’Azerbaigian, perché, con il sostegno della comunità internazionale, possano proseguire il dialogo, soccorrere gli sfollati, rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose e arrivare al più presto ad un accordo di pace che sia definitivo”, prosegue Francesco, che invoca “una via di speranza alle persone che in altre parti del mondo patiscono violenze, conflitti, insicurezza alimentare, come pure gli effetti dei cambiamenti climatici. Doni conforto alle vittime di ogni forma di terrorismo. Preghiamo per quanti hanno perso la vita e imploriamo il pentimento e la conversione degli autori di tali crimini”. “Il Risorto assista il popolo haitiano, affinché cessino quanto prima le violenze che lacerano e insanguinano il Paese ed esso possa progredire nel cammino della democrazia e della fraternità”, l’altro appello del Papa: “Dia conforto ai Rohingya, afflitti da una grave crisi umanitaria, e apra la strada della riconciliazione in Myanmar lacerato da anni di conflitti interni, affinché si abbandoni definitivamente ogni logica di violenza. Apra vie di pace nel continente africano, specialmente per le popolazioni provate in Sudan e nell’intera regione del Sahel, nel Corno d’Africa, nella Regione del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo e nella Provincia di Capo Delgado in Mozambico, e faccia cessare la prolungata situazione di siccità che interessa vaste aree e provoca carestia e fame”.

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L’Armenia blocca gli spettacoli del conduttore televisivo pro-Cremlino per continue violazioni (Agenpress 29.03.24)

AgenPress – L’Armenia ha bloccato gli spettacoli del conduttore televisivo russo filo-Cremlino Vladimir Solovyov sul suo territorio per “continue violazioni”. Lo ha annunciato  l’autorità statale di regolamentazione delle trasmissioni televisive della nazione del Caucaso meridionale .

Gli spettacoli “Serata con Vladimir Solovyov” e “Domenica sera con Vladimir Solovyov” sono stati trasmessi in Armenia sulla base di un accordo di cooperazione di massa russo-armeno sulle telecomunicazioni.

L’autorità di regolamentazione, la Rete televisiva e radiofonica armena, ha affermato che le violazioni commesse dai programmi di Solovyov erano legate agli articoli 5 e 6 dell’accordo, ma non ha fornito ulteriori dettagli.

L’articolo 5 garantisce “l’esclusione di programmi con contenuti offensivi contro i popoli e i valori nazionali” e “l’esclusione di ingerenze nelle campagne elettorali e nella vita politica interna”.

Intanto l’articolo 6 stabilisce “il rispetto delle regole durante le festività e le commemorazioni nazionali” e “l’osservanza delle regole generali durante la legge marziale e gli stati di emergenza”.

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Ciambetti: “La Pasqua è la vittoria della vita sulla morte. La pace è vita: le uniche guerre che dobbiamo combattere sono quelle contro la fame, la povertà, le ingiustizie” (Padovanews 29.03.24)

(Arv) Venezia 29 mar. 2024 –     “Porgo a tutti i Veneti gli auguri per una Pasqua vissuta in serenità con i propri cari. La mia speranza è che queste Pasqua apra la strada a convinti negoziati di pace che restituiscano ai popoli e alle nazioni oggi martoriate dalla guerra quella quiete, sicurezza e tranquillità di cui in realtà tutti abbiamo bisogno per continuare nella strada verso la giustizia e il benessere, per poter affrontare assieme le uniche guerre che dobbiamo fare: combattere contro la fame, la povertà, le ingiustizie, difendere la salute e contrastare le malattie, affrontare il cambiamento climatico, tutelare l’ambiente e il diritto di tutti a vivere in una realtà sana, sicura, giusta”. Con queste parole inizia il messaggio di augurio del Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, in occasione della festività pasquali. “Un pensiero caro va in questo momento alla comunità Armena, che in Veneto ha una profonda e radicata storia – prosegue Ciambetti – l’Armenia è un’isola di cultura europea tra Caucaso e Medio Oriente e ha conosciuto l’esodo dal Nogorno-Karabakh consumato nell’indifferenza dell’opinione pubblica internazionale. Anche loro sono vittime di una guerra violenta: anche loro hanno diritto alla PAce. Le guerre guerreggiate oggi sottraggono risorse che sono invece indispensabili per l’intera comunità mondiale. Mai come oggi è necessario che tutte le parti in guerra “ricomincino a ricercare la pace, prima che gli oscuri poteri di distruzione scatenati dalla scienza fagocitino tutta l’umanità in una accidentale o pianificata auto-distruzione […] Non dobbiamo mai negoziare per paura, ma non dobbiamo mai aver paura di negoziare” disse il presidente statunitense John F. Kennedy nel suo discorso di insediamento nel 1961 e nonostante siano passati 63 anni quella affermazione fotografa benissimo la realtà attuale. Non abbiamo alternative: chiedere l’avvio di negoziati di pace non è un atto di viltà, ma una scelta di giustizia, non è uno schierarsi dall’una o dall’altra parte, ma è lo stare con chi soffre, con chi piange lutti, con chi oggi non ha la fortuna che abbiamo noi di festeggiare la Pasqua che nella nostra fede e cultura parla della Rinascita e della vittoria della vita sulla morte. La Pace è vita e rinascita: che la pace possa entrare in tutte le nostre famiglie”

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Una narrativa di pace riciclata nell’impasse tra Armenia e Azerbaigian (Globalvoices 28.03.24)

L’Azerbaigian e l’Armenia, due acerrimi rivali vicini, non hanno ancora raggiunto un accordo che potrebbe finalmente porre fine alla loro impasse durata tre decenni. Anche dopo due guerre [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], un’ operazione militare, ed una fiammata mortale, i due Paesi stanno ancora negoziando. Al centro dei negoziati c’è un accordo bilaterale proposto dall’Azerbaigian nel maggio 2022. L’accordo consiste in cinque principi, che includono il riconoscimento dell’integrità territoriale dell’altro, l’assenza di rivendicazioni territoriali, l’astensione dalle minacce, la demarcazione del confine e l’apertura dei collegamenti di trasporto.

Dalla seconda guerra del Karabakh, nel 2020, i due Paesi sono stati impegnati in negoziati e innumerevoli incontri mediati da interlocutori internazionali, incentrati sul raggiungimento di un accordo bilaterale definitivo e sulla risoluzione delle restanti divergenze tra i due Paesi.

Ma i progressi sostanziali sono stati pochi, nonostante le numerose dichiarazioni dichiarazioni ed espressioni di buona volontà. Oltre alla mancanza di fiducia e alle relazioni gelide tra i due Paesi, che sono profonde, c’è anche un’asimmetria nelle dinamiche di potere tra le due parti – la Baku ufficiale ha il sopravvento al tavolo dei negoziati e non esita a spingere la propria agenda o una narrativa aggressiva. Per questo motivo, l’attuale situazione di stallo lascia le prospettive di pace a questo punto – solo una prospettiva.

Nel frattempo, anche la geopolitica regionale sta cambiando. Sentendosi abbandonata abbandonata dalla Russia, l’Armenia si sta muovendo per valorizzare le sue relazioni con l’Occidente. L’Azerbaigian, invece, è impegnato nella ricerca di presunte reti di spionaggio sul suo territorio gestite da Paesi occidentali e si affida invece ai legami con Turchia e Russia.

Le ultime novità sul fronte dei negoziati

Il punto critico dei negoziati riguarda la demarcazione e la delimitazione dei confini. Nel contesto di Armenia e Azerbaigian, la demarcazione e la delimitazione dei confini sono state piuttosto problematiche. L’attuale confine tra Armenia e Azerbaigian è stato “delimitato in senso cartografico nelle mappe sovietiche. In quanto confine interno, la linea di confine non è mai stata fisicamente demarcata e in molte aree le linee di controllo effettivo non corrispondono al confine de jure. Negli ultimi 30 anni, le posizioni geografiche ottimali assunte da entrambe le parti sono state essenzialmente ‘confinate‘ attraverso la costruzione di infrastrutture difensive e fortificazioni”, ha spiegato Laurence Broers, Associate Fellow specializzato in Russia ed Eurasia presso Chatham House ed esperto regionale di lunga data.

Al centro della questione ci sono le richieste separate di ciascuna delle parti. L’Azerbaigian vuole gli otto villaggi e le enclave che sono sotto il controllo dell’Armenia dalla prima guerra del Karabakh, all’inizio degli anni Novanta. L’Armenia chiede all’Azerbaigian di ritirare le proprie truppe dai territori occupati tra il Maggio 2021 and Settembre 2022.

Nell’intervista rilasciata nel gennaio 2024 ai giornalisti azeri, il Presidente Ilham Aliyev ha dichiarato che:

I villaggi che non sono enclavi, i quattro villaggi, dovrebbero essere restituiti all’Azerbaigian senza alcuna precondizione. Per i villaggi che sono enclavi, si dovrebbe istituire un gruppo di esperti separato e discutere la questione. Riteniamo che tutte le enclavi debbano essere restituite. Le strade che portano a queste enclavi dovrebbero avere le condizioni necessarie e le persone che vi abitano dovrebbero essere ospitate in queste enclavi. Questa è la nostra posizione. Non riusciamo a capire la posizione dell’Armenia.

La delimitazione dei confini è oggetto di discussione tra le commissioni di delimitazione dei confini dei Paesi che si riuniscono dal 2022. A seguito di una riunione tenutasi nel marzo 2024, l’Azerbaigian ha nuovamente ribadito la richiesta all’Armenia di restituire quattro villaggi immediatamente e senza condizioni.

Lo stesso mese, il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha segnalato che ufficialmente Yerevan avrebbe accettato le richieste dell’Azerbaigian di restituire i quattro villaggi. Di recente, il 18 marzo, Pashinyan ha ribadito questa volontà, sostenendo che la restituzione dei quattro villaggi eviterebbe un’ altra guerra, soprattutto perché la parte azera ha più volte accennato a un intervento militare se l’Armenia non avesse consegnato i villaggi.

Maree mutevoli

Nel frattempo, l’Armenia si sta avvicinando alla sua aspirazione di allontanarsi dalla Russia e di approfondire i legami con l’UE.

Il 12 marzo, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione “Sui legami più stretti tra l’UE e l’Armenia e sulla necessità di un accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian”.

Con oltre 500 MeP a favore, 4 contrari e 32 astensioni, la risoluzione “riconosce e accoglie con favore” il “desiderio dell’Armenia di rafforzare e dare priorità alle relazioni con l’Unione Europea”, definendo il partenariato tra Armenia e UE un “passo logico nell’allineamento con la scelta dell’Armenia a favore della democrazia, dello Stato di diritto, della lotta alla corruzione e del rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole”.

La risoluzione fa seguito alle intenzioni esplicite espresse dall’Armenia di presentare domanda di candidatura all’UE e all’agenda di partenariato annunciata dall’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’UE, Josep Borrell, nel febbraio 2024.

L’Armenia ha deciso di congelare la sua adesione all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) a guida russa nel febbraio 2024 a seguito della micidiale rissa tra Armenia e Azerbaigian. Almeno quattro militari armeni sarebbero stati uccisi e uno ferito nel primo incidente stradale del 13 febbraio 2024, dopo l’offensiva militare del settembre 2023.

L’Azerbaigian, invece, si affida alla Turchia e alla Russia. Nel gennaio 2024, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha votato 76 voti a favore e 10 contro il rifiuto delle credenziali della delegazione azera all’Assemblea. Il 22 gennaio, all’apertura della sessione plenaria invernale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE), le credenziali della delegazione dell’Azerbaigian sono state messe in discussione perché il Paese non ha rispettato i “principali impegni” previsti dalla sua adesione al Consiglio d’Europa.

L’Azerbaigian insiste inoltre sul fatto che i negoziati per un accordo finale tra i due Paesi sono una questione che deve essere risolta tra e dall’Armenia e dall’Azerbaigian, senza il coinvolgimento di parti interessate occidentali. Il presidente Ilham Aliyev ha ribadito questa [az] posizione nel febbraio 2024, dopo aver ottenuto la vittoria [az] nelle elezioni presidenziali lampo del 7 febbraio. Nel suo discorso di vittoria, il Presidente Aliyev ha dichiarato: “Il processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbaigian deve essere eliminato dall’agenda internazionale. Perché tutti coloro che non hanno altro da fare vogliono essere coinvolti in questo problema. Perché non vanno a farsi gli affari loro?”.

L’Azerbaigian ha anche criticato[en] la missione dell’UE dispiegata lungo il confine armeno-azero per aver “creato una copertura militare e di intelligence per la parte armena”. La decisione di dispiegare la missione è arrivata un mese dopo  che l’Azerbaigian ha lanciato un’offensiva all’interno dell’Armenia nel 2022.

L’area del Nagorno-Karabakh è sotto il controllo della popolazione di etnia armena come Stato autodichiarato da una guerra combattuta all’inizio degli anni ’90, conclusasi con un cessate il fuoco e la vittoria militare armena nel 1994. All’indomani della prima guerra, fu istituita una nuova Repubblica del Nagorno-Karabakh de facto, non riconosciuta a livello internazionale. Sette regioni adiacenti furono occupate dalle forze armene. A seguito di quella guerra, “più di un milione di persone sono state costrette a lasciare le loro case: Gli azeri sono fuggiti dall’Armenia, dal Nagorno-Karabakh e dai territori adiacenti, mentre gli armeni hanno lasciato le loro case in Azerbaigian”, secondo l’International Crisis Group.

Le tensioni si sono protratte nei decenni successivi, culminando nella seconda guerra del Karabakh nel 2020 e nell’operazione militare del settembre 2023. Quest’ultima ha spianato la strada all’Azerbaigian per riprendere il pieno controllo del Karabakh. Tuttavia, nonostante le rassicurazioni che i diritti degli armeni del Karabakh sarebbero stati protetti e preservati, 104.000 armeni del Karabakh sono fuggiti dopo l’offensiva del settembre 2023, secondo i dati più recenti.

Nelle circostanze attuali, “lo scenario preoccupante è che un accordo di pace non sarà firmato finché l’Azerbaigian non otterrà ciò che vuole nel sud dell’Armenia”, secondo Tom de Waal, senior fellow di Carnegie Europe specializzato in Europa orientale e Caucaso. Resta da vedere se i due Paesi riusciranno a risolvere la complessa disputa sui confini e a spostare le dinamiche geopolitiche, data l’asimmetria delle loro relazioni.

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Lavrov, l’Armenia provoca il collasso delle relazioni con Mosca’ (Ansa 28.03.24)

Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha accusato oggi l’Armenia di provocare un “collasso delle relazioni con la Russia”.

La situazione attuale “non induce all’ottimismo”, ha aggiunto Lavrov in un’intervista al giornale Izvestia, ripreso dalla Tass, affermando tra l’altro che “la missione dell’Unione europea in Armenia si sta trasformando in una missione Nato”, con l’impiego di militari “dalla Norvegia, dal Canada e dagli Usa”.

Da tempo si assiste a un aumento delle tensioni tra Yerevan e Mosca, che finora erano stati stretti alleati.


 

Cusano Milanino, una mostra per ricordare il genocidio armeno (NordMilano 28.03.24)

“Se ne sa poco, ed è come se fosse stata operata una sorta di censura. Eppure il genocidio del popolo armeno è una delle pagine più importanti e drammatiche della nostra storia”. Marco Pace, dell’associazione Insieme per Cusano, è uno dei promotori della mostra fotografica, al via il 3 aprile presso il Comune di Cusano, che intende ricordare il genocidio del popolo armeno avvenuto nel 1915. L’iniziativa, insieme all’associazione Casa armena Hay Dun di Milano e al Comune di Cusano Milanino, “ha l’obiettivo di condividere il più possibile la conoscenza della storia soprattutto fra le giovani generazioni, affinché non si ripetano più in futuro episodi del genere”.
Sullo stesso argomento è proposta anche la conferenza “Armeni. Il primo genocidio“, nell’ambito del progetto “La storia censurata”, in programma per giovedì 4 aprile sempre presso il Municipio. Fra i relatori saranno presenti Aldo Ferrari, Professore ordinario di Lingua e letteratura armena, Storia del Caucaso e Storia della cultura russa, Università Ca’ Foscari di Venezia e Marina Mavian, Presidente Casa Armena Hay Dun – Milano.
Lo sterminio iniziò nel 1915 per mano dei Giovani Turchi che prelevarono dalle loro case migliaia di intellettuali, banchieri, sacerdoti, artisti, massacrati durante il tragitto verso l’interno dell’Anatolia. L’operazione turca iniziò la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 e proseguì nei giorni seguenti: durante i trasferimenti persero la vita 1 milione e 200 mila persone. La sottocommissione per i diritti umani delle Nazioni Unite nel 1973 riconobbe lo sterminio armeno come il primo genocidio del XX secolo, un crimine che non fu mai riconosciuto come tale dalla Turchia.

Cusano Milanino e la comunità armena

Cusano Milanino ha accolto fin dagli anni ’60 alcune famiglie sopravvissute al genocidio. L’Amministrazione Comunale ha offerto la propria solidarietà al popolo armeno nella sua lotta per il riconoscimento della verità storica e per la difesa dei suoi diritti inalienabili e con deliberazione del Consiglio Comunale n. 13 del 15 marzo 2021 si è impegnata a ricordare il genocidio armeno il 24 aprile di ogni anno:
“Perché la conoscenza del passato è consapevolezza del presente e rende più solide e fondate le previsioni per il nostro futuro”.
Con queste parole il 15 marzo 2021 l’Amministrazione Comunale di Cusano Milanino ha riconosciuto la tragedia del genocidio armeno del 1915.

La mostra, che si avvale del prezioso materiale fotografico di padre Vahan Ohanian, sarà aperta dal 3 al 26 aprile in Piazza Martiri di Tienanmen dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e giovedì e martedì anche dalle 15.30 alle 17.30.

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Fin dagli anni ’60, Cusano Milanino ha ospitato e ospita alcune famiglie armene discendenti dai sopravvissuti al Genocidio (Quindicinews)


 

Come procede l’integrazione europea di Armenia, Georgia e Moldavia (L’Inkiesta 26.03.24)

A inizio 2022 Vladimir Putin immaginava di raggiungere Kyjiv in poche settimane e sostituire Volodymyr Zelensky con un presidente fantoccio al servizio di Mosca. Il piano è fallito ma a distanza di più di due anni la guerra voluta dal Cremlino ha prodotto alcuni risultati che sembravano inimmaginabili solo poco tempo fa. Per iniziare, ha ricompattato la Nato: un organismo che nel 2019 veniva definito da Emmanuel Macron «in stato di morte celebrale» e che dopo l’invasione russa ha ritrovato un’identità e una coesione che non si vedevano dalla Guerra Fredda. L’Alleanza Atlantica negli ultimi due anni si è allargata in maniera significativa accogliendo due eserciti all’avanguardia come quelli di Svezia e Finlandia.

Putin è poi riuscito ad aumentare ulteriormente l’appeal dell’Unione europea agli occhi di quei Paesi fuori dal blocco dei ventisette che ora giustamente si sentono minacciati dalle mire imperialiste del dittatore russo. Al netto del percorso dei Balcani occidentali che, seppur lentamente, sta andando avanti già da tempo (qualche giorno fa è arrivato l’annuncio dell’avvio dei negoziati con la Bosnia), la spinta russa verso Bruxelles ha riguardato soprattutto quelle realtà da sempre legate al Cremlino per motivi economici o politici come la Georgia, la Moldavia e l’Armenia.

A seguito dei deliri imperialisti di Mosca, la percezione dell’opinione pubblica nei confronti della Russia è cambiata e questo ha fatto sì che negli ultimi due anni, in maniera più o meno decisa, siano stati fatti dei passi in avanti verso l’integrazione europea. La Georgia è da pochi mesi candidata ufficialmente ad entrare nell’Unione europea, con la Moldavia sono già stati avviati i negoziati, mentre l’Armenia sembra intenzionata ad avviare il percorso di adesione. Certo, Bruxelles richiede standard piuttosto alti ed è difficile che il processo si concluda in tempi brevi soprattutto per Yerevan e Tbilisi, mentre Chişinău sembra essere un po’ più avanti.

Sogno georgiano
A dicembre 2023 la Georgia ha guadagnato lo status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione, spinta anche dall’ampio sostegno tra i cittadini. La strada è lunga e mancano ancora molte delle riforme richieste dall’Ue, ma a preoccupare maggiormente Bruxelles è l’ambiguità che il partito di governo “Sogno georgiano” continua a mostrare nei rapporti con Mosca. Tbilisi non ha mai applicato le sanzioni per evitare un’escalation e con Putin i rapporti restano tutto sommato normali, nonostante il ruolo della Russia nei conflitti in corso sul territorio georgiano.

«La Georgia vive una situazione un po’ particolare − dice a Linkiesta Giorgio Comai ricercatore e analista presso l’Osservatorio Balcani Caucaso − perché al di là dei proclami europeisti Tbilisi mantiene una posizione aperta nei confronti di Mosca, anche se questo genera fastidio in una parte importante della popolazione che ha ben presente il ruolo russo nei conflitti in Abkhazia e Ossezia del sud. I problemi principali nel percorso di integrazione non riguardano però né la Russia né davvero i conflitti irrisolti, ma soprattutto questioni di politica interna: il governo continua a far leva su una retorica nazionalista, accompagnata da critica a società civile e limitazioni a diritti civili, che si ispira al modello di Viktor Orbán. È evidente che stando così le cose, pur avendo lo status di candidato ufficiale, non ci sono i presupposti perché il percorso di integrazione sia veloce».

Vicini all’Europa, lontani da Mosca
In Moldavia si è innescato un percorso di europeizzazione grazie alla nuova leadership di Maia Sandu che sta modernizzando il Paese attraverso delle riforme strutturali. Riforme che hanno permesso a Chişinău di arrivare alla quasi totale indipendenza da Mosca, sia dal punto di vista economico che energetico. «È indubbiamente il Paese più avanti in questo percorso − sottolinea Comai − si è staccata dalla Russia quasi definitivamente a livello energetico, economico e culturale. Alcuni settori dell’economia moldava sono in crescita e il Paese può contare su una leadership giovane e capace ma va registrata anche una certa fragilità politica e la continuità di questo Governo europeista non deve essere data per scontata. La Transnistria è trascurata in questa fase da Chişinău, che la considera questione secondaria rispetto all’avvicinamento all’Unione, ma se non gestita con la dovuta attenzione la regione potrebbe causare effettivi problemi al percorso di integrazione nel lungo periodo».

Inaffidabilità russa
Il caso dell’Armenia è quello più emblematico. Il Paese, anche per mancanza di alternative, ha accettato per anni la protezione di Putin. Nel momento del bisogno, però, Mosca si è girata dall’altra parte sia sull’invasione del Nagorno-Karabakh sia sulle continue violazioni dei confini da parte dell’Azerbaijan. L’Armenia si è sentita tradita ed è venuta meno la principale condizione che la teneva legata al Cremlino.

«Negli ultimi mesi − prosegue Comai − Yerevan ha iniziato a fare qualche passo più deciso verso Bruxelles e questo soprattutto a causa dell’inazione russa nei conflitti armati che hanno coinvolto gli armeni in questi ultimi anni. Mosca aveva un impegno formale di protezione dei confini armeni e avrebbe dovuto garantire quantomeno un corridoio umanitario in Nagorno-Karabakh.

Evidentemente in entrambi i casi gli impegni sono stati disattesi e l’Armenia si è resa conto di non potersi più fidare della Russia, ma allo stesso tempo sa che per la propria difesa non potrà contare sull’Europa. Il Paese si trova in un contesto geopolitico difficile e bisognerà valutare quanto questo avvicinamento all’Unione sia realistico. Credo sia difficile immaginare un percorso di integrazione effettivo nel brevissimo periodo».

La strada è quindi ancora lunga ma Georgia, Moldavia e Armenia hanno iniziato a percorrerla in maniera decisa e dopo che la Russia ha riportato la guerra in Europa i tre Paesi chiedono una maggiore integrazione europea. Bruxelles sembra voler ascoltare le richieste iniziando a guardare al vicinato orientale in modo diverso rispetto al passato. E dopo aver ricompattato la Nato, questo è a tutti gli effetti un altro risultato della criminale guerra di Putin.

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Progetto lettura della Biblioteca Comunale | Il Newton Pertini incontra Antonia Arslan (Padovanews 26.03.24)

Risale alla metà degli anni ’90 il rapporto speciale tra Antonia Arslan e Camposampiero. L’occasione fu la mostra fotografica  Il Genocidio degli Armeni. La testimonianza di Armin T. Wegner. In seguito questa relazione privilegiata si è alimentata grazie alle numerose presentazioni che la scrittrice padovana ha tenuto nella cittadina antoniana ed ha avuto la sua consacrazione nel 2010 quando è stata nominata presidente del Premio Camposampiero di poesia religiosa, carica che da allora  ricopre ininterrottamente da otto edizioni.

Nei giorni scorsi il vincolo d’amicizia è stato ulteriormente arricchito da un nuovo importante capitolo che ha visto coinvolte le classi prime, seconde e terze dell’Istituto Superiore Newton Pertini di Camposampiero (oltre 350 studenti hanno gremito il Teatro Ferrari) che hanno vissuto una mattinata intensa ed emozionante, brillantemente guidati da Alexia e Tommaso all’incontro con Antonia Arslan.

La scrittrice e docente di origine armena, una delle più amate narratrici italiane, tradotta in tutto il mondo, autrice del best seller La masseria delle allodole, ha dialogato con i ragazzi raccontando la drammatica esperienza della sua famiglia, deportata e barbaramente trucidata: un destino condiviso da un intero popolo.

Significativa la sottolineatura su cos’è un genocidio, una parola “nuova” coniata da Raphael Lemkin, giurista polacco di origine ebraica, studioso ed esperto del genocidio armeno, introdotta per la prima volta nel 1944. È importante conoscerne le specifiche caratteristiche, anche per evitare di usare a sproposito questo termine, così com’è fondamentale non dimenticare le tragedie causate dall’odio e dall’insensatezza che ancora insanguinano il mondo.

Arslan ha poi commosso ragazzi e insegnanti declamando i versi del poeta armeno Daniel Varujan, torturato e ucciso nel 1915.
La mattinata, aperta dal saluto e dal ringraziamento della dirigente del Newton Pertini, Chiara Tonello, si è conclusa con un lunghissimo applauso per una narratrice generosa, vivace, la cui voce schietta arriva diretta anche ai più giovani. L’incontro è stato promosso della biblioteca nell’ambito del progetto lettura per l’anno scolastico 2023-2024.

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Recensione: Jardin noir (Cineuropa 25.03.24)

Due ragazzi corrono in un paesaggio montano mentre la neve si scioglie sulle dolci colline. Si rincorrono giocosamente prima di lanciare un grido nell’aria. Questa scena accuratamente inquadrata, ambientata nel villaggio di Talish, nel Nagorno-Karabakh, apre il film The Black Garden [+] di Alexis Pazoumian. Il documentario diretto dal fotografo e regista franco-armeno è stato presentato in anteprima mondiale nel concorso internazionale del CPH:DOX di quest’anno.

Il film ci proietta all’inizio del 2020, quando la vita sta apparentemente tornando alla normalità a Talish, un villaggio al confine tra Armenia e Azerbaigian, con segni di devastazione che ricordano ancora l’aggressione azera durante la Guerra dei quattro giorni del 2016. Chi è tornato nel villaggio sta cercando di riprendere la propria vita da dove l’aveva lasciata. Avo e Samvel si dedicano a tutte le cose che fanno i bambini di dieci anni: salire sulle loro biciclette e pedalare per le strade, o condividere una battuta e una risata. Un giovane, Erik, sta svolgendo il servizio militare vicino al confine. Le sue giornate in caserma sembrano tranquille e, quando non è impegnato nell’addestramento al combattimento, si esercita in posizioni ginniche e parla di tornare all’università. Un boscaiolo e veterano di guerra, di nome Karen, ricorda il passato e come Talish fosse uno dei più grandi villaggi del Nagorno-Karabakh. “Con tutte le guerre, siamo dovuti fuggire tre volte”, dice.

“Come si esprime la vita quotidiana in un tempo irrisolto, perennemente sull’orlo della guerra?”, scrive Pazoumian nelle sue note in The Black Garden, alludendo al conflitto del Nagorno-Karabakh. Forse nel tentativo di trovare una risposta alla domanda che si è posto, il regista ha filmato una vita nel Nagorno-Karabakh bloccata in uno stato di attesa di una nuova guerra, con un’inquietante immobilità che incombe sui paesaggi devastati di Talish. Nel limbo della guerra, le canzoni patriottiche sembrano incessanti a Talish, e i bambini a scuola imparano le mosse di difesa e a usare le armi.

Utilizzando le intertitolazioni come chiari marcatori cronologici, il film ci colloca tra gli eventi in corso, tracciando le traiettorie delle storie dei protagonisti. Nel settembre 2020, l’Azerbaigian sferra un attacco che rappresenta un’importante escalation del conflitto irrisolto nella regione. Sulla scia delle nuove ostilità, le famiglie di Avo e Samvel fuggono nella capitale armena. Erik si sottopone a riabilitazione a Yerevan dopo aver perso una gamba a causa di una ferita da schegge. Anche Karen è sfollato e ora si trova a Stepanakert, nel Nagorno-Karabakh. Seguendo da vicino i protagonisti nell’arco di tre anni, il film dipinge un quadro desolante delle tensioni crescenti nella regione, tra cui il blocco dell’enclave nel 2022, l’offensiva su larga scala dell’Azerbaigian nel 2023 e il successivo esodo di massa dell’etnia armena dal Nagorno-Karabakh.

La guerra non è mai gloriosa, nemmeno quando viene resa in un’opera cinematografica o in un verso. Il film di Pazoumian evidenzia questo sentimento, pur rimanendo chiaramente fedele alla prospettiva del Nagorno-Karabakh e non uscendo da essa nel corso del film. Con molta sensibilità e un occhio alle sfumature visive, il regista intreccia il tema della perdita in gran parte del suo documentario, estendendo la metafora del dolore fantasma come modo per comprendere l’ambigua esperienza vissuta della perdita della propria terra. L’uso sapiente della luce da parte di Pazoumian conferisce una sfumatura malinconica alle immagini luminose e accuratamente composte, creando questo luogo senza tempo, un Nagorno-Karabakh che è per sempre catturato nelle canzoni e nell’immaginazione della gente.

The Black Garden è prodotto dalla francese Solent Productions, in coproduzione con la belga Naoko Films. Le vendite internazionali sono gestite da Syndicado Film Sales.

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Il Nagorno Karabakh, la regione contesa del Caucaso (Zetaluiss 25.03.24)

«L’Italia, come grande importatore di gas e petrolio azero, avrebbe voce per influire sulla questione del Nagorno Karabakh» sostiene Aldo Ferrari, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), rimarcando la dipendenza energetica del nostro paese dall’Azerbaigian, «uno dei paesi più repressivi a livello mondiale, tra gli ultimi posti delle classifiche di libertà e democrazia, governato da Ilham Aliyev, un presidente figlio del suo predecessore». La nazione caucasica non brilla per rispetto dei diritti civili e politici. Secondo Freedom House, Ong con sede a Washington, corruzione e persecuzione contro i partiti di opposizione sono problemi persistenti che delineano un volto autoritario, mostrato sull’altopiano armeno.

Il Nagorno Karabakh, o Repubblica di Artsakh, è sconosciuto ai più, non si studia nelle scuole italiane, non se ne parla nei programmi televisivi, è un nome complicato da scrivere o pronunciare, una terra che molti non saprebbero collocare sulla cartina geografica. In pochi sanno che il suo territorio montuoso è grande come metà della Sardegna. Situata nel Caucaso meridionale, l’enclave priva di sbocco sul mare è stata attribuita negli anni Venti, per ragioni politiche, dall’Unione sovietica all’Azerbaigian. È contesa tra Baku e Yerevan in un conflitto con radici antiche che impongono un excursus indietro nel tempo. Dopo la dissoluzione dell’Urss, la maggioranza armena, col supporto del paese d’origine, ha chiesto a gran voce l’indipendenza e la riunificazione alla madrepatria. Ciò non è avvenuto, e la tensione è sfociata in una guerra che, tra il 1992 e il 1994, ha portato alla proclamazione, da parte della comunità armena, della Repubblica di Artsakh, mai riconosciuta dalla comunità internazionale.

Dopo anni di stallo, il rafforzamento economico dell’Azerbaigian gli ha permesso di scatenare un violento attacco militare nel 2020, riuscendo in 44 giorni a prevalere. «Quasi certamente l’intervento non avrebbe avuto luogo se Mosca non avesse in qualche modo acconsentito». La mancata intromissione russa a sostegno dell’Armenia si spiega con la Rivoluzione di velluto del 2018, con cui è andato al potere un gruppo dirigente più proiettato verso l’Europea e l’Occidente. Parlando di democratizzazione e lotta alla corruzione, la nuova élite ha ottenuto grande sostegno nella popolazione, irritando non poco Vladimir Putin, che vedeva sino ad allora Yerevan come un fedele alleato. In questo periodo si consuma secondo Ferrari il definitivo sganciamento della Russia dall’amico storico, lasciato solo. L’offensiva ha chiuso ogni spiraglio per la pace, permettendo a Baku di occupare la parte meridionale del Nagorno Karabakh. I richiami delle Nazioni Unite e la mediazione russa hanno condotto ad una tregua e la creazione di una zona di pace al confine, sorvegliata dal Cremlino, insufficiente ad allontanare le armi.

Nel settembre 2023 le ostilità sono ricominciate con la vittoria dell’esercito azero, più attrezzato rispetto a quello avversario. La conseguenza è stata la resa della Repubblica di Artsakh e l’esodo di più di centomila armeni. Uomini, donne e bambini in lacrime sono stati costretti a scappare da casa e portare con sé i propri averi, i ricordi più cari – come album di foto – in centri di accoglienza. Tutto ciò è avvenuto dopo che i soldati di Baku avevano bloccato il corridoio di Lachin, attraverso cui le persone ricevevano materiale di prima necessità. Anche l’Unione europea ha parlato di un’inaccettabile “pulizia etnica”. Dal 1° gennaio 2024 la Repubblica di Artsakh non esiste più. La capitale Stepanakert ha cambiato nome in Khankendi. È iniziata l’operazione “Grande Ritorno”, ovvero il ripopolamento da parte dei cittadini azeri che l’avevano abbandonata o erano stati espulsi negli anni Novanta. «Non ci sono più armeni nel territorio in cui hanno vissuto, lavorato e creato arte per millenni. Per paura di esser uccisi hanno deciso di lasciare la loro terra. Vivono in Armenia in condizioni difficili» aggiunge Ferrari.

«In questi anni l’Azerbaigian non aveva dato nessuna garanzia di salvaguardia della vita e libertà a coloro che avevano servito nella burocrazia o nell’esercito del Nagorno Karabakh. La fuga, benché non imposta da Baku, è comprensibile» racconta l’analista, che non esita ad ammonire l’Europa: «La comunità internazionale non ha fatto nulla. Ci sono state proteste da parte della Francia e la Germania mentre l’Italia ha taciuto tranne la vergognosa intervista del viceministro degli Esteri che si rallegrava di quanto avvenuto dicendo che così il diritto internazionale era stato ripristinato». Secondo Ferrari, l’Europa può rafforzare la piccola missione disarmata inviata all’inizio dello scorso anno alla frontiera tra Baku e Yerevan, o elaborare una politica chiara e aperta. «Ci sono spazi di azione dell’Ue per proteggere un paese piccolo come l’Armenia, debole militarmente, che ha subito più di cento anni fa il genocidio dei turchi» continua.

Proteggere il paese e convincere l’Azerbaigian a non fare pressione politica e militare sull’Armenia sarebbe la soluzione, ma lo scetticismo traspare dalle parole dell’esperto. «Non ho la sensazione che l’Europa vada in questa direzione, anche se potrebbe intervenire con la diplomazia sulla presenza delle truppe azere al confine, che hanno conquistato alture, territori piccoli ma strategici. L’ipotesi è molto difficile, non è facile trattare con la situazione attuale tra l’Unione europea e il Cremlino».

Non stupisce l’influenza di Mosca data la presenza di basi russe in Armenia, il ruolo di security provider giocato a lungo dalla Federazione e i legami commerciali che la legano all’Azerbaigian.  Se da un lato Putin ha abbandonato Yerevan, concentrandosi sull’invasione dell’Ucraina, dall’altro è l’Armenia ad aver marcato la distanza. Il premier Nikol Pashinyan ha definito un “errore strategico” la dipendenza dal Cremlino, ritirandosi dalla Csto, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, un blocco a guida russa, composto da Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan. Risulta evidente come la scarsa incisività della diplomazia europea abbia gettato nell’incertezza il Nagorno Karabakh, la regione «giuridicamente azera, ma storicamente armena».

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