Genocidio armeno, la provocazione (e poi le scuse) di Starbucks. Corriere della Sera

Un poster con ragazza in costumi tradizionali che ballano tra simboli turchi fa infuriare la comunità armena statunitense: ritirato

di Antonio Ferrari

starbucks

Quest’anno si ricorda il centesimo anniversario del genocidio armeno, e il giorno dedicato alle celebrazioni ufficiali sarà il 24 aprile. Anche le ricorrenze, a volte, diventano occasione di business: ora squallido, ora provocato dall’ignoranza o dall’assenza di sensibilità. quasi sempre di dubbio gusto. Nell’emirato di Dubai il fantasioso e cinico gestore di una palestra, tempo fa attirava clienti con l’orrendo slogan «diventerete magri come ad Auschwitz». Ancor più cinica, se possibile, la trovata di un israeliano, che poco dopo promosse a Tel Aviv il concorso di «Miss Olocausto», aperto alle sopravvissute nei campi di sterminio nazisti. Purtroppo non ci sono limiti, come dimostra l’ultima provocazione, si presume ideata negli Stati Uniti dal marketing di Starbucks, impero delle caffetterie. Hanno preparato e diffuso un poster pubblicitario per ricordare lo storico anniversario, forse puntando sull’impatto-choc del messaggio, che comunque fa notizia. L’immagine: belle ragazze, che indossano i tipici costumi dell’Armenia, in un tripudio di colori, di bandiere e di palloncini rossi con gli inequivocabili simboli (mezzaluna e stella) della Repubblica turca.

Ankara e il rifiuto del genocidio

Ankara ha sempre rifiutato di riconoscere come genocidio il massacro sistematico di almeno un milione (ma c’è chi sostiene un milione e mezzo) di armeni. Sostiene infatti che tutto è accaduto, all’inizio della Grande Guerra del secolo scorso, con la decomposizione dell’impero ottomano, in coda a un feroce conflitto che vedeva alcuni combattenti armeni inseriti militarmente nell’esercito russo contro la Turchia. In realtà, negli ultimi tempi, lo storico contenzioso si è affievolito, dopo le imputazioni contro scrittori, tra cui Orhan Pamuk ed Elif Shafak, contro giornalisti e intellettuali, che direttamente o indirettamente hanno riconosciuto (comunque non hanno negato) che vi era stato il genocidio. Il clima si è stemperato fino all’avvio di relazioni diplomatiche – seppur molto fredde – tra Erevan e Ankara, grazie anche ad un atteggiamento meno duro da parte del partito di governo islamico moderato Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Le scuse di Starbucks

Ma il problema è ancora irrisolto, e la provocazione di Starbucks con le donne in costume armeno, all’interno e all’esterno di un locale di Los Angeles mentre bevono il caffè in una cornice di simboli turchi, ha irritato e offeso l’Armenian American Committee. Che ha chiesto le scuse, le ha ricevute, ma ha anche ottenuto il ritiro del poster, con il gigante delle consumazioni pronto a riconoscere il presunto «errore». La comunità armena è numerosa e assai influente, ed è quindi riuscita a bloccare la diffusione dell’immagine. Però, a ben vedere, c’è anche un risvolto positivo. Prima di tutto per Starbucks, che ha fatto parlare di se i mass media di tutto il mondo, e soprattutto l’arcipelago planetario dei social network, garantendosi una gratuita pubblicità. A ben vedere, o meglio a ben ascoltare, anche molti armeni non sono particolarmente turbati dalla vicenda. Perché del popolo armeno e del suo piccolo Stato, che ha ottenuto l’indipendenza dopo il crollo dell’impero sovietico, si parla sempre poco, o meglio poco più di una volta all’anno, e quasi sempre in occasione della ricorrenza del genocidio.

«Per il bene dell’Armenia è necessario parlarne»

Nel libro «Caucasus Chronicles», l’ambasciatore greco Leonida Crysanthopoulos, per dimostrare che l’Armenia viene spesso dimenticata, sostiene che ai tempi dell’elezione del presidente russo, all’inizio degli anni ‘90, vi fu uno sconcertante retroscena. L’avversario di Boris Eltsin, il ceceno Ruslan Khasbulatov, presidente della Duma, avrebbe infatti promesso segretamente alla Turchia, in caso di vittoria, che non si sarebbe opposto ad una guerra lampo contro l’Armenia. Che sia vero o meno è tutto da provare, anche perché alle elezioni si impose Eltsin. Tuttavia, questo dimostra che «per il bene dell’Armenia è necessario parlarne, a prescindere da ciò che si sostiene. Bisogna far sapere a tutti che esistiamo e che non vogliamo più essere dimenticati». È opinione del console generale dell’Armenia a Milano Pietro Kuciukian. Ed è saggio riflettere su queste parole, in un momento confuso e punteggiato da una dilagante percezione di insicurezza.

Iran e Armenia, sì a una nuova ferrovia. Mosca blocca lo scambio energetico. Asianews

di Armen Grigoryan
La costruzione della ferrovia risale al 2008. Il ministro iraniano degli Esteri spinge alla collaborazione con Yerevan, che cerca investitori per pagare il suo tratto. La Russia gestisce il transito ferroviario armeno ma non vuole cedere all’Iran la distribuzione del gas. L’adesione dell’Armenia all’Eurasian Economic Union ostacola le basi militari della NATO in Georgia.

Yerevan (AsiaNews) – Durante la conferenza stampa del 27 gennaio a Yerevan, il Ministro iraniano degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha sostenuto che diverse opportunità di cooperazione economica bilaterale tra Iran e Armenia “possono essere vantaggiose”, e che l’adesione dell’Armenia alla Eurasian Economic Union (EEU) “può rappresentare una di queste”. Egli ha fatto notare che le discussioni trilaterali (a quanto pare, con la partecipazione dei rappresentanti russi) sulla costruzione di un collegamento ferroviario tra l’Armenia e l’Iran hanno avuto successo, e che i negoziati sulla cooperazione in materia di energia e di forniture di gas possono rivelarsi produttivi. Il Ministro degli Esteri Zarif ha anche sottolineato la rapidità con cui l’Iran ha completato il progetto dell’impianto idroelettrico sul fiume Arax, mentre le questioni finanziarie legate ad altri progetti verranno risolte a breve dal governo armeno [Aravot.am, 27 gennaio].

La costruzione di un collegamento ferroviario tra l’Armenia e l’Iran è stata promessa per la prima volta dal presidente armeno Serzh Sargsyan nel discorso all’Assemblea Nazionale nell’ottobre 2008. Finanziare la costruzione, ad ogni modo, si è rivelato una questione problematica: mentre i funzionari iraniani confermano l’impegno a voler costruire una linea che connetta la rete ferroviaria iraniana esistente fino al confine armeno, un investimento notevole è comunque necessario per portare avanti la costruzione anche da parte armena. Secondo le stime, i costi di costruzione della sezione armena della ferrovia si aggirano intorno ai 3,2 miliardi di dollari, esclusi i costi per l’acquisto dei terreni e i dazi doganali sulle apparecchiature. Il costo totale del progetto è comparabile al bilancio annuale del Paese.

Il 7 agosto 2014 il governo dell’Armenia ha approvato il progetto iniziale. Un documento preparato dal Ministro degli Esteri riporta che la Export-Import Bank of China avrebbe fornito un prestito per il 60% dei costi di costruzione, con un tasso di interesse annuale del 3,5% [News.am, 8 agosto 2014]. In seguito, in ottobre, il primo ministro armeno  Hovik Abrahamyan, rispondendo ad un’inchiesta parlamentare, ha affermato che il governo sta ancora cercando investitori e che non è stata ancora presa nessuna decisione specifica [Tert.am, 22 ottobre 2014]. Il Ministro dei trasporti e delle comunicazioni Gagik Beglaryan ha poi indicato che sono in corso negoziati con qualche probabile investitore, sebbene finora senza risultati. Egli ha anche aggiunto che un accordo firmato durante la visita a Teheran del viceministro dei trasporti Arthur Arakelyan prevede un investimento di 400 milioni di dollari da parte dell’Iran per la costruzione di una linea ferroviaria fino al confine con l’Armenia [Azatutyun.am, 11 dicembre 2014]. Da parte sua, Victor Rebets, amministratore dell’impresa russa che gestisce le attuali ferrovie armene, ha dichiarato la ferma intenzione a gestire anche il collegamento Iran-Armenia, a partire dal 2022 quando si attende la fine del lavoro di costruzione [Arka.am, 22 dicembre 2014].

D’altra parte, sarà difficile realizzare il progetto armeno-iraniano di recente proposto dal Ministro Zarif sulla cooperazione in materia di fornitura di gas naturale, anche se i costi previsti sono molto inferiori rispetto a quelli per la ferrovia sopra citati.  Mentre l’Iran mostra un interesse costante nella possibilità di esportare gas in Europa attraverso l’Armenia e la Georgia, Mosca usa in maniera costante la sua influenza su Yerevan per impedire all’Iran di svilupparsi in quella direzione.

La sezione armena del gasdotto tra Armenia e Iran lanciato nel 2007 è larga 71 centimetri, invece che 142 come pianificato all’inizio, mentre la parte armena costruita apposta per questo collegamento è larga 142 centimetri. Il governo dell’Armenia ha deciso di ridurre il diametro della sua sezione di gasdotto sotto pressione russa e poi ha venduto la sua parte ad ArmRosgazprom – l’azienda che gestisce la distribuzione del gas armeno, con l’80% delle sue quote possedute dalla russa Gazprom. Nel dicembre 2013 la Russia ha convinto l’Armenia a cedere anche il restante 20% di quote, con un nuovo accordo bilaterale che assicura a Gazprom un monopolio per i prossimi 20 anni.

Si deve anche notare che mentre si discuteva l’accordo firmato nel dicembre 2013, l’ambasciatore iraniano in Armenia, Mohammad Reyisi, ha annunciato che l’Iran era pronto a fornire gas più economico rispetto alla Russia [Lragir.am, 6 dicembre 2013]. Comunque il governo armeno non ha considerato questa possibilità e ha scelto invece di soddisfare le richieste di Mosca.

La Russia ha ostacolato di continuo il transito del gas iraniano attraverso l’Armenia, considerandolo come una minaccia particolare agli interessi geopolitici russi. Dopo tutto, come Paese di transito, l’Armenia vorrebbe ottenere maggior potere di manovra e diventare meno dipendente dalla Russia. Al contrario, Mosca non si oppone alla ferrovia proposta tra Armenia e Iran, sebbene non sia chiaro se la Russia voglia investire in maniera diretta in questo progetto di trasporti. Rappresentanti russi hanno affermato che l’adesione dell’Armenia alla EEU fornirebbe una scusa ulteriore per convincere la Georgia a fornire corridoi di trasporto per collegare la Russia con l’Armenia, cosa che aumenterebbe il potenziale strategico della base militare russa in Armenia. Mosca vorrebbe anche prendere il controllo dell’assistenza  doganale sul confine armeno-iraniano, sostituendo gli ispettori doganali armeni con una assistenza doganale “eurasiatica”. Inoltre fonti russe indicano in modo esplicito che l’adesione dell’Armenia all’EEU, così come il recente accordo che la Russia ha stipulato con l’Abkhazia e quello pianificato con l’Ossetia meridionale, dovrebbe aiutare a impedire alla North Atlantic Treaty Organization (NATO) di stabilire infrastrutture militari in Georgia – per non parlare del blocco di una maggiore integrazione economica della Georgia con l’Unione Europea [vedi EDM, 11 dicembre 2014].

In conclusione, la possibile costruzione della ferroviaria Armenia-Iran è soprattutto una questione economica per l’Armenia, anche se i potenziali benefici saranno limitati senza un collegamento diretto con la Russia, fino a quando il confine senza sbocchi sul mare con la Turchia rimarrà chiuso. Allo stesso tempo, anche se la Russia è interessata ad un collegamento ferroviario con l’Iran, in alternativa può utilizzare il percorso attraverso l’Azerbaijan. Il possibile contributo russo alla costruzione della ferrovia tra Armenia e Iran è legato agli interessi geopolitici russi, come i piani di Mosca per rafforzare la sua stretta sul Caucaso meridionale.

(Per gentile concessione della Jamestown Foundation, traduzione in italiano a cura di AsiaNews)

Armenia. Il popolo dell’Arca Dal 06 marzo al 3 maggio. Openmag.it

ROMA Complesso del Vittoriano
ingresso gratuito

Con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico italiano e internazionale in una suggestiva esperienza di esplorazione della ricca cultura armena, la mostra “Armenia. Il popolo dell’Arca ” si svolgerà dal 6 marzo al 3 maggio nel Salone Centrale del Complesso del Vittoriano in occasione del Centenario della commemorazione del Genocidio armeno ed è promossa dal Ministero della Cultura armeno , dall’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia e dall’Ambasciata della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede e SMOM, in collaborazione con la Congregazione Armena Mechitarista.

L’esposizione, a cura dell’Unione degli Armeni d’Italia, vuole raccontare una delle più floride culture del mondo antico. L’Armenia ha una storia ricca di fascino che affonda le sue radici nella tradizione biblica del Diluvio Universale, emblema di rinascita e di nuova vita. E’ proprio alle pendici dell’Ararat, sulla cui cima si era arenata l’Arca di Noè, che nel VII sec. a.C. si formò il popolo armeno.

Ancora oggi il monte Ararat è un richiamo simbolico fondamentale per l’Armenia,che nel 301 d.C. fu il primo paese al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato. La mostra si articolerà in sette sezioni ricche di reperti archeologici, codici miniati, opere d’arte, illustrazioni e documenti, che racconteranno anche i rapporti tra l’Italia e l’Armenia e la ricchezza storica e artistica della presenza armena nel nostro paese.

Francesco dichiara S. Gregorio di Narek Dottore della Chiesa. Radiovaticana.it

Papa Francesco, ricevendo sabato scorso il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione della Cause dei Santi, ha confermato la sentenza affermativa della sessione plenaria dei cardinali e vescovi, membri del dicastero, circa il titolo di Dottore della Chiesa Universale che sarà prossimamente conferito a San Gregorio di Narek, sacerdote monaco, nato ad Andzevatsik – allora Armenia, ora Turchia – nel 950 circa e morto a Narek circa nel 1005. Gregorio fu un insigne teologo e uno dei più importanti poeti della letteratura armena. Fedele alla tradizione della sua Chiesa, è stato un grande devoto della Vergine, e secondo la tradizione Maria gli sarebbe anche apparsa. Egli la cantò con accenti ispirati.

Tra le sue composizioni sono degne di nota il “Discorso panegirico alla Beata Vergine Maria” e la Preghiera 80 intitolata “Dal fondo del cuore, colloquio con la Madre di Dio”. In questa ultima il Santo, sommerso da molti motivi di disperazione, espresse con amore ardente, la certezza di essere aiutato dalla Madre del Giudice. Gregorio di Narek morì nel 1005. La Chiesa Armena lo annovera già tra i Dottori. La Chiesa latina ne riconosce la santità definendolo “insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica”, come recita il Martirologio Romano ricordandolo al 27 febbraio.


 

Gregorio di Narek sarà dottore della Chiesa. La stampa 23.02.20215

Papa Francesco conferma la decisione della Congregazione dei santi. È nato nel 950 nel territorio dell’attuale Turchia

andrea tornielli (vatican insider)
Un santo armeno diventa dottore della Chiesa. Nell’udienza di sabato scorso con il cardinale Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, Papa Francesco ha approvato la decisione espressa dalla plenaria dei cardinali e vescovi del dicasteri e ha stabilito che venga conferito il titolo di «dottore della Chiesa universale» a Gregorio di Narek.

Sacerdote e monaco nato ad Andzevatsik (allora Armenia, ora Turchia) circa nel 950 e morto a Narek (allora Armenia, ora Turchia) circa nel 1005, Gregorio di Narek era nato in una famiglia di scrittori. Il padre, Khosrov, è stato arcivescovo. Dopo aver perso la madre in tenera età, Gregorio era stato educato dalla cugina, Anania di Narek, fondatrice della scuola e del villaggio. Il santo ha vissuto gran parte della sua vita nei monasteri di Narek (in quella che era chiamata la Grande Armenia), dove insegnava presso la scuola monastica. È considerato uno dei più importanti poeti della letteratura armena.

Il culto di san Gregorio di Narek è previsto nel martirologio romano il giorno 27 febbraio, dov’è definito «monaco, dottore degli Armeni, insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica».

La decisione papale arriva a poche settimane di distanza dalla celebrazione che il 12 aprile Francesco terrà in San Pietro per ricordare il centenario del massacro degli armeni (Medz Yeghern) avvenuto nel 1915.


San Gregorio Narek sarà dottore della Chiesa. Avvenire -23 febbraio 2015

San Gregorio Narek, nato ad Andzevatsik, che allora era in Armenia e oggi è in Turchia, intorno all’anno 950 e morto a Narek (allora Armenia, ora Turchia) circa nel 1005 diventa “dottore della Chiesa universale”. Lo ha deciso Papa Francesco he lo ha comunicato nel corso di un’udienza concessa sabato al cardinale Angelo Amato, prefetto della congregazione delle Cause dei santi.

Nel corso della udienza, informa oggi la sala stampa della Santa Sede, “il Santo Padre ha confermato la sentenza affermativa della sessione plenaria dei cardinali e vescovi, membri della cogregazione della causa dei santi, circa il titolo di Dottore della Chiesa universale che sarà prossimamente conferito a San Gregorio di Narek, sacerdote monaco.

Gregorio fu un insigne teologo e uno dei più importanti poeti della letteratura armena. Fedele alla tradizione della sua Chiesa, è stato un grande devoto della Vergine, e secondo la tradizione Maria gli sarebbe anche apparsa. Egli la cantò con accenti ispirati.

Tra le sue composizioni sono degne di nota il “Discorso panegirico alla Beata Vergine Maria” e la Preghiera 80 intitolata “Dal fondo del cuore, colloquio con la Madre di Dio”. In questa ultima il Santo, sommerso da molti motivi di disperazione, espresse con amore ardente, la certezza di essere aiutato dalla Madre del Giudice. Gregorio di Narek morì nel 1005. La Chiesa Armena lo annovera già tra i Dottori. La Chiesa latina ne riconosce la santità definendolo “insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica”, come recita il Martirologio Romano ricordandolo al 27 febbraio.

È stato anche reso noto che il 12 aprile Papa Francesco celebrerà, nella Basilica di San Pietro, la Messa in occasione del centenario del genocidio armeno.

Medici armeni in città per fare training in ospedale sul trattamento chirurgico delle patologie cardiovascolari. Gonews

Dal 16 febbraio scorso sono ospiti in Aoup due giovani medici armeni nell’ambito di un progetto di cooperazione sanitaria internazionale tra Regione Toscana (Centro Salute Globale) e il Ministero della Sanità dell’Armenia, con la collaborazione della Fondazione Arpa. Il progetto, dal titolo: “Sostegno al sistema sanitario armeno per il trattamento chirurgico delle patologie cardiovascolari” è cominciato nel 2014 e ha previsto diverse fasi, potendo contare sulla collaborazione dell’Ambasciata italiana in Yerevan. Innanzitutto sono stati valutati i fattori di rischio, anche in base alla risorse umane, strutturali e organizzative delle strutture ospedaliere “in loco”. E’ stata quindi effettuata una missione sanitaria in Armenia nell’ottobre 2014, che ha coinvolto i medici Carlo Barzaghi, Alessandro Morgantini, Maurizio Levantino e Rafik Margaryan. Sono stati visitati gli ospedali presenti sul territorio ed è stato formato personale medico e di supporto. L’attuale fase prevede appunto il soggiorno a Pisa di due medici armeni, Armen Okroyan e Vahe Sargasyan, che seguiranno un training intensivo di circa due mesi nelle Unità operative di Chirurgia vascolare diretta dal professor Mauro Ferrari e di Cardiologia 2 diretta dalla dottoressa Maria Grazia Bongiorni. Questa collaborazione è stata resa possibile grazie all’interessamento della dottoressa Mojgan Azadegan, responsabile della cooperazione sanitaria internazionale dell’Aoup e grazie alla Direzione aziendale. Un ringraziamento speciale va a Franco Mosca, professore emerito dell’Ateneo pisano nonché presidente della Fondazione Arpa, che si è fatta carico sia delle spese di viaggio aereo che del vitto e dell’alloggio dei due medici armeni per l’intera durata del soggiorno a Pisa. La Fondazione Arpa dedica il Progetto Armenia 2015 alla memoria dell’ingegner Piergiorgio Ballini, già amministratore delegato di Sat (società di gestione dell’aeroporto Galilei di Pisa). Fonte: Ufficio Stampa AOU

Ayaz Mutalibov- Khojaly: un tragico destino. 2duerighe.com

Tra poche ore ricorrerà l’anniversario di uno dei tanti massacri di innocenti che costellano la nostra Storia. A molti sconosciuto, il massacro di Khojaly, avvenuto il 25 Febbraio del 1992 in pieno svolgimento della guerra del Nagorny Kararbakh che vede ancora oggi coinvolti Armenia e Azerbaijan, non ha ancora messo fine a squallide discussioni che non permettono di sbloccare un conflitto ufficialmente congelato da 20 anni, ma che continua, inesorabilmente, a mietere vittime. Non abbiamo la presunzione di dare una soluzione e definire perentoriamente chi, tra le parti in causa, ha ragione o torto, ma esporre i fatti in modo da riportare la questione all’attenzione di chi, osservatore indipendente ed esperto, possa contribuire a ristabilire il dialogo riprendere la via della Pace.

Vogliamo partire da un intervista all’allora Presidente della neonata Repubblica dell’Azerbiajan, Ayaz Mutalibov, rilasciata a Paolo Valentino per il Corriere della Sera. Era il 12 Febbraio del 1992 (Paolo Valentino, Il Presidente azero Mutalibov: “nel Karabakh potremmo chiedere l’invio dei caschi blu”, Corriere della Sera, 12 febbraio 1992). Il Presidente Azero affermava che nel Karabakh si sarebbe potuto chiedere “l’invio di caschi blu”: Baku si diceva propensa a puntare su una soluzione pacifica del conflitto per l’enclave armena e offrire garanzie a Erevan… Il Presidente pensava già ad una forza di pace delle Nazioni Unite, senza dirlo apertamente,ma facendo ricadere la decisione sulla controparte con la speranza che di trovasse “un linguaggio comune”, fino a quel momento “assente”. Nell’enclave popolata da 180mila armeni, che aveva proclamato la sua indipendenza da Baku, il dramma era al suo apice. Gli attacchi reciproci portavano solo distruzione. Per Ayaz Mutalibov, diventato Presidente per aver saputo ben cavalcare l’onda del nazionalismo, il Nagorny Karabakh si stava trasformando da straordinario collante dell’unità nazionale in un “boomerang” che rischiava di corrodere il consenso sul quale aveva fondato il suo potere. Eletto nel Dicembre del 1991 con il 90% dei voti, Mutalibov era già sotto il fuoco incrociato dell’opposizione che lo accusava di gestire con troppa incertezza una situazione che gli sarebbe così sfuggita di mano. Mutalibov nell’intervista afferma più volte che “non c’era altra alternativa che quella pacifica alla soluzione del problema, la guerra non ha mai portato ad una vittoria definitiva. E se riusciamo a normalizzare la situazione del Nagorny Karabakh, potremo passare alla seconda tappa, quella di normalizzare i nostri rapporti con la Repubblica Armena (…) Anche se raggiungessimo una certa supremazia nel Karabakh, il prossimo passo sarebbe la collisione diretta con l’Armenia. E questo non serve a nessuno”. Era i 12 Febbraio, solo due settimane dopo arriva il massacro che lo costringe alle dimissioni ed è l’inizio di una storia fumosa e controversa, che vede la sua trasformazione da eroe nazionale a ricercato. Ma lui ancora non lo sapeva.

Odiato dagli armeni, disprezzato dagli azeri: al primo Presidente dell’Azerbaijan indipendente, dopo il 25 Febbraio 1992, per molto tempo è stato negato il titolo di “padre della Nazione”. Da salvatore della Patria è diventato scomodo testimone di una scomoda storia per la quale l’Azerbaijan ancora oggi cerca di scrollarsi di dosso le colpe, o corresponsabilità.

Mutalibov nasce a Baku nel 1938. Inizia la sua carriera politica all’interno del Partito Comunista dell’Azerbaijan nel 1977. Nel 1982 diventa presidente del Comitato di Pianificazione dello Stato e vice-presidente del Consiglio dei Ministri, poi Presidente del Consiglio fino alla sua elezione a Presidente della Repubblica Socialista Sovietica Azera nel Maggio del 1990. Nel Dicembre dello stesso anno il Consiglio Supremo rinomina il Paese Repubblica d’Azerbaijan, adottando la Dichiarazione d’Indipendenza. Il Dicembre del 1991 è un mese storico per il Paese: gli elettori azeri approvano tramite referendum la dichiarazione di indipendenza adottata dal Consiglio Supremo. L’Azerbaijan è ufficialmente uno Stato indipendente e Mutalibov ne è il primo Presidente.

Ma la sua presidenza nasce sotto una cattiva stella. Già all’inizio del 1990 il Paese viene scosso dal “Gennaio Nero”: a Baku gli azeri scatenano un pogrom contro la popolazione armena. Le truppe sovietiche decidono di intervenire per sedare la rivolta. Il 31 Gennaio del 1992 scoppia la guerra del Nagorny Karabakh. Il 25 Febbraio viene sterminata la cittadina di Khojaly, 613 le vittime civili. Numerosi i casi di violenze che portano gli azeri ad accusare gli armeni di aver compiuto un vero e proprio genocidio. L’intero Paese parla di “massacro premeditato” e Mutalibov diventa il principale capro espiatorio. E’ noto agli esperti del conflitto del Nagorny Karabakh, che il comune di Khojaly fosse un avanposto dei lanciarazzi Grad delle forze armate azere puntati contro la popolazione civile armena. Alcuni giorni prima del 25 Febbraio, il comando delle forze armene di autodifesa del Nagorny Karabakh informò via radio la popolazione civile azera dell’imminenza di un’azione militare e sulla presenza di un corridoio umanitario per l’evacuazione dei civili. Come riportato da fonti azere (Khojaly: chronicle of a genocide, Baku, 1993) numerosi sono i testimoni che provano questi fatti. Uno per tutti, Ramiz Fataliev, Presidente della Commissione di indagine sugli eventi di Khojaly: “Quattro giorni prima degli eventi di Khojaly, il 22 Febbraio 1992, alla presenza del presidente, del Primo Ministro, del capo del KGB e di altri, ebbe luogo una lunga sessione del Consiglio di Sicurezza Nazinale (dell’Azerbaijan, ndr) durante la quale venne presa la decisione di non evacuare i civili da Khojaly”. Da questa dichiarazione risulta più che evidente l’utilizzo dei civili come shield policy, in piena violazione del diritto umanitario internazionale (Protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali – Ginevra, giugno 1977).

Qui si riallaccia la sfortunata storia di Mutalibov. Accusato di non essere stato in grado di proteggere il suo Paese, messo sotto pressione dal Fronte Popolare dell’Azerbaijan, il Presidente è costretto a presentare le sue dimissioni. In una intervista rilasciata alla Nezavisimaya Gazeta il 2 Aprile del 1992, che farà molto rumore, denuncia un complotto mirato a destituirlo usando il massacro come pretesto per screditarlo e racconta la sua verità su Khojaly:” gli armeni avevano lasciato il corridoio per la fuga dei civili. Quindi perché avrebbero dovuto aprire il fuoco? Specialmente nell’area intorno ad Agdam, dove all’epoca c’erano abbastanza forze azere per aiutare i civili?”. Ricordiamo che nei dintorni di Agdam erano dislocate le forze paramilitari del Fronte Popolare Armeno. Dichiarazione affermata nuovamente nel 2001 alla Novoye Vremia: “era ovvio che qualcuno aveva organizzato il massacro per cambiare il potere in Azerbaijan”. Questa tesi può essere ulteriormente avvalorata dal fatto che pochi giorni dopo la prima intervista il Presidente deposto ritratta “indignato” e nel Maggio del 1992, gli vengono revocate le dimissioni e riassegnata la carica di Presidente. Ma le Forze armate del Fronte Popolare dell’Azerbaijan non ci stanno, prendono il controllo del Parlamento e degli uffici della radio e televisione di Stato. Mutalibov fugge a Mosca.

E qui comincia la saga della dinastia Aliyev, che con una forte campagna mediatica convince i cittadini nel riconoscere Heydar Alyiev come unico, vero fondatore del Paese e cerca di infangare la figura di Mutalibov per le scomode verità riguardanti i fatti di Khojaly (e probabilmente non solo): le affermazioni del vecchio Presidente potevano mettere a dura prova la credibilità del Paese agli occhi della comunità internazionale. Gli azeri, per affermare che il massacro fosse premeditato, ricordano che in quei giorni ricorreva l’anniversario del pogrom di Sumagait (27 Febbraio 1988), quando nei quartieri armeni della cittadina azera si scatenò una vera e propria caccia all’uomo che causò numerose vittime tra la popolazione armena. Il massacro di Khojaly sarebbe stato perpetrato dall’esercito armeno per vendicare le vittime di tutti i pogrom avvenuti fino a quel momento. E’ su questa difesa che Baku punta a denunciare a livello internazionale quello che per tutti nel Paese caucasico è “il genocidio degli azeri”. Una costruzione disarmante per la sua ingenuità. Uno, cento, un milione di morti causano lo stesso dolore, qualsiasi sia la loro origine e specularvi sopra è terribile. Ma alimentare una propaganda contro il popolo armeno, presentato come aggressore e incidentalmente come l’autore del genocidio contro gli azeri, alleati e cugini di quelli stessi turchi accusati del primo genocidio del XX secolo, contro gli armeni chiuderebbe il cerchio, o meglio lo farebbe “quadrare”: le vittime sono diventate carnefici, tutto fila…

Quella era, ed è, una zona di guerra, forse dopo tanta morte per un conflitto imposto da una certa parte del governo dell’Azerbaijan dell’epoca, che ha voluto tarpare le ali ad un Presidente troppo accondiscendete. Il Governo azero di oggi, dichiara essere filo-occidentale e non desidera che essere considerato alla pari nella comunità internazionale. Il Nagorny Karabakh è in guerra da troppo tempo, stretto tra due guerre più “famose”, Ucraina e Siria, la sua tragedia non è però meno importante. Basta sterili impuntature e prove di forza a suon di comunicai stampa aggressivi, il prestigio, la fiducia, l’affidabilità, la ricchezza di uno Stato vengono anche dal dialogo costruttivo, soprattutto in un Mondo fatto di tanti orrori. Questo è uno dei motivi per i quali l’Azerbaijan dovrebbe tornare alle dichiarazioni di Mutalibov rilasciate in quell’intervista del 12 Febbraio 1992 e pensare ad impegnarsi in un processo di Pace, magari mediato dall’OCSE ed appoggiato dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite. Inoltre l’Azerbaijan non può in eterno riversare sulla sua opinione pubblica l’odio verso il popolo armeno, è arrivato il momento per prepararlo a pensare in chiave di convivenza pacifica. Questo sarebbe tutt’altro che un segno di debolezza politica.

di Jacqueline Rastrelli

23 febbraio 2015

http://www.2duerighe.com/autori/23-02-2015-ayaz-mutalibov-khojaly-un-tragico-destino

Genocidio armeno. Conferenza a Roma, tra commemorazione e negazionismo. Notizie Geopolitiche

di Giuliano Bifolchi –

 

La John Cabot University, in collaborazione con l’Associazione della Comunità Armena di Roma e del Lazio, ha organizzato lo scorso giovedì 19 febbraio 2015, presso l’Aula Magna Regina dell’università stessa, l’evento “Remembering and Narrating the Genocide: Learning From ArmenianWomen and ChildrenSurvivors”, serata dedicata alla commemorazione del Genocidio Armeno con l’obiettivo di promuovere la conoscenza tra il pubblico italiano e gli studenti di una della pagine più cupe della storia del XX secolo.
I partecipanti hanno potuto ascoltare l’introduzione all’evento di Franco Pavoncello, Presidente della John Cabot University, e gli interventi di Zara Pogossian, professoressa presso la stessa università ospitante l’evento specializzata in Storia dell’Europa Mediavale e di Bisanzio e Storia della Chiese Cristiane Orientali, Ara Sarafian, storico britannico di origine armena e direttore del Gomidas Institute di Londra, e Sua Eccellenza Sargis Ghazaryan, Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia.
Per Genocidio Armeno, conosciuto anche con il nome di Medz Yeghern, il “Grande Male”, si intende il processo sistematico avviato dall’Impero Ottomano di eliminazione della componente etnica minoritaria armena all’interno del territorio attualmente facente parte della Turchia. Il Genocidio, la cui data di inizio viene convenzionalmente indicata con il 24 aprile 1915, ha causato la morte di un numero di vittime pari ad 1-1,5 milioni di persone, tra cui circa 250 intellettuali e leader della comunità armena di Costantinopoli.
L’intervento di Zara Pogossian, oltre a ripercorrere brevemente gli eventi ed i numeri che hanno caratterizzato questa pagina di storia di inizio XX secolo, ha posto l’attenzione sul termine “genocidio”, coniato nel 1943 da Raphael Lemkin,il cui significato indica lo sterminio premeditato e sistematico di un gruppo di persone sulla base della loro etnia, religione, credenze politiche, status sociale o altre particolarità. Prendendo in considerazione questa definizione è possibile quindi etichettare con il la parola genocidio gli eventi accaduti a partire dal 1915 all’interno dell’Impero Ottomano che hanno visto impegnate le autorità turche dell’epocain una attività diretta allo sterminiodella componente armena, motivo per cui Medz Yeghern può essere visto come uno dei primi genocidi moderni. L’intervento della Pogossian si è concluso con la citazione toccante del poeta turco naturalizzato polacco Nazim Hikmet il quale, in merito al Genocidio Armeno, scrisse:

“This Armenian citizen won’t forgive his father’s slaughter in the Kurdish mountains. But he likes you, because you also can’t forgive those who blackened the Turkish people’s name”

Ara Sarafian, storico britannico di origine armena, ha portato la propria esperienza di ricercatore all’interno dell’attuale Stato turco ed ha tenuto a sottolineare come la stessa Turchia stia cambiando al suo interno la propria politica e visione circa il Genocidio Armeno. Secondo Sarafian i turchi che negano il Genocidio perpetrano questa causa non sulla base di un odio nei confronti degli armeni ed il fenomeno del negazionismo sarebbe in fase di declino.
Studioso dell’Impero Ottomano e della storia dell’Armenia del XX, Sarafian ha posto l’attenzione sul termine Crypto-Armenians (in armeno ծպտյալհայեր “tsptyalhayer” ed in turco Kripto Ermeniler) descrivente quelle persone in Turchia le cui origini sono parzialmente o totalmente armene le quali generalmente nascondono la propria identità armena alla società turca. In molti dei casi tali persone sono discendenti degli armeni islamizzati sotto la minaccia dello sterminio fisico durante il Genocidio Armeno.
Il giornalista turco Erhan Basyurt aveva descritto i Crytpo-Armeni come quelle famiglie, ed in alcuni casi interi villaggi o vicinati, convertite all’Islam per scappare alla deportazione e alle “marce della morte” del 1915; tali famiglie continuano a vivere le proprie vite come armeni in segretezza, sposandosi fra di loro ed in alcuni casi professando la religione cristiana clandestinamente. Tra i membri della comunità Crypto-Armena è possibile annoverare personalità importanti come ad esempio Fethiye Çetin, avvocato, scrittore ed attivista per i diritti umani, Ahmet Abakay, giornalista,  Müslüm Gürses, cantante di musica araba popolare ed attore, e Yasar Kurt, cantate di musica rock.
Di carattere maggiormente politico ed istituzionale è stato l’intervento dell’Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia il quale ha voluto evidenziare che il fenomeno del negazionismo viene inteso come una minaccia da parte dell’Armenia: negando il Genocidio Armeno, attraverso la sua politica estera, il Governo della Turchia continua a rappresentare una minaccia per lo Stato armeno e palesa l’eventualità che un altro genocidio possa ripetersi nuovamente.
La sfida che deve affrontare Erevan attualmente, secondo quanto espresso da Ghazaryan, è data sia dal ricordare a livello internazionale una politica sistematica ottomana causante la morte di più di un milione di persone e sia dal regolare le proprie relazioni internazionali ed i propri rapporti con la Turchia, attore politico importante a livello regionale con il quale la disputa è accesa proprio in merito al Genocidio Armeno, e di conseguenza con lo stesso Azerbaigian, alleato di Ankara impegnato contro l’Armenia per quel che concerne la questione del Nagorno-Karabakh rappresentante a sua volta una minaccia per la sopravvivenza della nazione e del popolo armeno.
Al termine dell’incontro di grande interesse è stato il dibattito che si è acceso grazie anche all’intervento di Tahir Bora Atatanir, rappresentante dell’Ambasciata della Repubblica di Turchia in Italia, il quale ha tenuto a precisare le posizioni di Ankara in merito al Genocidio Armeno mettendo in discussione il termine genocidio applicato a tali eventi e la relativa mancanza di una posizione ufficiale internazionale, i numeri delle vittime armene fino a quel momento citati ed affermando inoltre che, negli episodi che caratterizzarono l’Impero Ottomano a partire dal 1915, entrambe le parti, quella armena e quella turca, registrarono delle vittime causate dallo scoppio di tensioni e contrasti
Occorre ricordare che alla fine gennaio il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan si espresse sul Genocidio Armeno dichiarando che la Turchia è pronta a “pagare il prezzo” per l’uccisione in massa degli armeni iniziata nel 1915 soltanto se una “commissione di storici imparziale”, dopo una scrupolosa ricerca, arriverà ad ammettere la colpevolezza dell’Impero Ottomano in merito a tale crimine.

Il genocidio del 1915 Starbucks, gaffe con gli armeni. E le scuse su Facebook. Avvenire

La catena di caffetterie Starbucks ha ritirato un manifesto che mostrava donne in costume armeno con in mano il bicchierone di caffè sorridenti sotto palloncini con la bandiera turca. Il poster, esposto in alcune caffetterie di Los Angeles, aveva suscitato la protesta degli armeni americani, a due mesi dal centenario del genocidio, che cade il prossimo 24 aprile.

La vicenda, raccontata dal quotidiano britannico The Guardian, si è consumata sui social media. Sono stati alcuni utenti californiani dei social, il 18 febbraio, a denunciare la presenza dei manifesti all’Armenian National Committee of America (Anca), che raggruppa gli armeni americani. “Perché Starbucks per vendere caffè usa un’immagine di donne vestite in costumi armeni che celebrano uno stato turco che le ha rese sistematicamente vittime durante il genocidio armeno, e che ancora nega questo crimine contro l’umanità?”, ha chiesto l’Anca sul suo profilo Facebook.

La risposta della Starbucks non si è fatta attendere. Non solo l’azienda si è scusata, rispondendo su Facebook all’Anca, ma ha promesso il massimo impegno nel ritirare tutti i manifesti incriminati. “Diventare punto di incontro della comunità è centrale nel nostro business – si legge nel comunicato – e noi puntiamo a essere localmente rilevanti in tutti i nostri punti vendita”. “Qui abbiamo sbagliato e ci scusiamo per avere offeso i nostri clienti e la comunità”. Nella zona di Los Angeles vivono 446 mila cittadini di origine armena.

Nel massacro perpetrato nel 1915 dall’esercito dei Giovani Turchi persero la vita almeno un milione e mezzo di armeni.

Siria, armeni senza pace: torna l’incubo genocidio. Lettera43

Decimati dalle bombe di Assad. Dagli spari dei ribelli. Dai raid di al Qaeda e Isis. Oltre 1.000 i morti. E il popolo, rifugiatosi in Siria nel 1915, deve fuggire di nuovo.

di Mauro Pompili

 

Un secolo dopo il genocidio del 1915, il popolo armeno torna a essere vittima di massacri, in quella Siria dove gli antenati avevano trovato rifugio, e i loro luoghi della memoria sono diventati oggetto di distruzione.
Come la Chiesa dei Martiri Armeni a Deir ez-Zor, nella Siria orientale, rasa al suolo dall’Isis.
Medz Yeghern (letteralmente «Il Grande Male» in armeno), è stato il primo genocidio del Novecento, perpetrato dal governo Ottomano e costato la vita a 1 milione e mezzo di persone. A Deir ez-Zor, l’Auschwitz degli Armeni, era stato costruito il memoriale delle vittime. Ma ora non esiste più, cancellato da una nuova ferocia.
MILLE VITTIME ARMENE. La cancellazione di un simbolo, però, è diventata essa stessa il simbolo della nuova tragedia, della diaspora che vive la comunità armena in Medio Oriente.
Prima della guerra civile gli armeni di Siria erano più di 150 mila, la maggior parte viveva ad Aleppo. La capitale economica del Paese ora è semidistrutta e la comunità armena ha pagato un prezzo elevatissimo al conflitto. Almeno 1.000 le vittime e la maggioranza dei sopravvissuti è fuggita.
«Come mio nonno da Sis (in Turchia, ndr) nel 1915, ho dovuto abbandonare tutto, chissà la mia casa e la mia bottega di orafo a Midam (quartiere armeno di Aleppo, ndr) che fine faranno?», dice Agop Demirjian, arrivato a Bourj Hammoud, alla periferia Sud di Beirut, da un paio di settimane e impegnato a organizzare la nuova vita da profughi della sua famiglia.
NEL MIRINO DEI CECCHINI. Aleppo dal luglio del 2012 è spaccata in due. La divide una frontiera invisibile di quasi 20 chilometri dove gli scontri sono quotidiani e regnano i cecchini. Separati da questo confine vivono famiglie e amici, che difficilmente riescono a incontrarsi e a comunicare. Due mondi lontani, dove i pochi civili rimasti sono uniti dalla paura dei colpi di fucile. Qui la vita quotidiana è fatta di corse veloci alla ricerca di acqua e cibo o per raggiungere la scuola e il lavoro.
Questa linea di morte attraversa proprio i vecchi quartieri armeni della città. «I miliziani», racconta Agop, «posizionano carcasse di automobili e blocchi di cemento di traverso sui marciapiedi. Così, mentre cammini sei costretto a uscire allo scoperto e i cecchini fanno festa».
«PRIMA DI MUOVERMI PREGO SEMPRE». Vasquen Zinidjian, uno degli armeni che vive ancora ad Aleppo, parla per telefono con Lettera43.it: racconta che per andare e tornare da casa, nel quartiere di al-Halabi Suleiman, doveva attraversare almeno cinque strade infestate dai cecchini: «Ogni volta prima di muovermi prego: ‘Dio se mi colpiscono fammi morire subito, non voglio restare ferito ad agonizzare sulla strada e che qualcuno rischi la vita per aiutarmi’».

«Cerchiamo di difenderci dai tiratori in tutti i modi», continua Vasquen, «nelle strade più grandi abbiamo messo degli autobus per farci da scudo, nei vicoli sistemiamo dei grossi tendoni per cercare di non essere visti».
Ma questi stratagemmi non sempre funzionano: «Ieri un uomo è stato ucciso proprio davanti a me mentre sollevava la tela per entrare nel suo portone».
A scandire la giornata ci sono poi le bombe sganciate dagli elicotteri del governo, i colpi di mortaio dei ribelli e costante il rischio delle mine e degli ordigni inesplosi. «La vita è impossibile. Un minuto tutto sembra tranquillo e poi d’improvviso si scatena l’inferno. Ogni mattina», continua Vasquen, «aspetto di vedere qualcuno per la strada prima di uscire, un modo stupido di vincere la paura».
LE BARBARIE DEL FRONTE AL NUSRA. Tragicamente sembrano essere i bambini quelli che si adattano meglio alla guerra. «Correvo sempre per andare a scuola», dice sorridendo il figlio 12enne di Agop, «percorrevo solo strade che conoscevo e lungo le quali sapevo dove nascondermi. In alcune vie passavamo uno per volta, correndo a zig-zag, per rendere la vita più difficile ai cecchini. Eppure, Ahmed il mio compagno di banco è stato colpito».
La tragedia armena non si limita ad Aleppo. Lo scorso anno la cittadina armena di Kesab fu occupata dai miliziani del Fronte al Nusra (vicino ad al Qaeda), transitati senza problemi dal vicino confine turco, che costrinsero la popolazione alla fuga. Al ritorno, dopo che l’esercito governativo l’aveva liberata, gli armeni trovarono la città semidistrutta e i luoghi di culto rasi al suolo.
LE AGGRESSIONI DEI RIBELLI ANTI-ASSAD. Nell’ultimo anno a Damasco una chiesa della comunità è stata colpita dai mortai dell’Esercito Libero Siriano, i ribelli “buoni” che combattono Bashar al-Assad finanziati e armati dagli americani e dagli arabi sunniti del Golfo.
I colpi hanno ucciso due bambini. A Raqqa i combattenti salafiti hanno distrutto la Chiesa dei Martiri, nella provincia di Damasco è stato colpito uno scuolabus e due scolari armeni sono morti.
E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
«I COMBATTENTI TURCHI VOGLIONO ANNIENTARCI». «Sono centinaia», confessa Agop, «i combattenti turchi, discendenti di quelli che hanno tentato di annientarci nel 1915 che si sono uniti ai miliziani di al Qaeda e Isis. Stiamo davvero rivivendo l’incubo dei nostri antenati».
Oggi gli eredi dei cristiani armeni, che trovarono scampo in Siria, sono costretti a fuggire in Libano, in Europa o in America. La chiesa dove le ossa degli assassinati avevano trovato riposo è stata distrutta. I terreni del massacro degli armeni, un secolo dopo, sono diventati i campi di nuove uccisioni di massa. E ancora una volta il mondo sembra restare immobile.

Turchia fa saltare il vertice Ue-Ankara Agccomunication

By Anna Lotti

TURCHIA – Ankara. 11/02/15. Ankara ha annullato la prossima riunione della commissione parlamentare mista UE-Turchia dove c’era all’ordine del giorno anche il genocidio armeno. Fonte Hurriyet.

L’incontro si doveva terne il 18 e 19 febbraio a Istanbul in Turchia. In precedenza, le autorità turche hanno avvertito l’Unione europea che Ankara si rifiutava di tenere la riunione del Comitato parlamentare mista UE-Turchia, se il suo programma includeva discussioni sul “genocidio armeno”. Il genocidio si riferisce agli accadimenti durante l’impero ottomano nei confronti degli armeni che vivevano in Anatolia nel 1915. La Turchia ha sempre negato che il “genocidio” abbia avuto luogo. Mentre rafforzare gli sforzi per promuovere il “genocidio” nel mondo, gli armeni hanno ottenuto il suo riconoscimento da parte dei parlamenti di alcuni paesi. Anche se la Turchia ha proposto più volte di creare una commissione indipendente per indagare gli eventi del 1915, l’Armenia continua a respingere questa proposta. Inoltre, in precedenza, le autorità turche hanno ripetutamente fatto gesti conciliatori verso Armenia. Il messaggio di Recep Tayyip Erdogan al popolo armeno, il 24 aprile 2014 uno di questi gesti recenti.
Erdogan ha detto in quel messaggio che gli eventi del 1915 sono stati un momento difficile, non solo per gli armeni, ma anche per gli arabi, curdi e rappresentanti di altre nazioni che vivono nel paese.