Il Patriarca Twal: basta col negazionismo sul Genocidio armeno. Agenzia Fides

Gerusalemme (Agenzia Fides) – Una delegazione di Vescovi e sacerdoti appartenenti a diverse Chiese di Gerusalemme si è recata oggi in visita alla sede del Patriarcato armeno della Città Santa per presentare al Patriarca Narhoun Manoogian gli auguri per il Natale e l’inizio del 2015, anno nel quale si commemora il centenario del Genocidio armeno. A Gerusalemme gli armeni celebrano il Natale e il battesimo di Cristo il 19 gennaio. 
Nel suo breve indirizzo di saluto, diffuso dai media ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme, il Patriarca di Gerusalemme dei Latini Fouad Twal – che guidava la delegazione ecumenica – ha sottolineato l’importanza della ricorrenza che gli armeni si apprestano a commemorare in tutto il mondo. “La Turchia – ha detto tra l’altro il Patriarca Twal – considera il Genocidio armeno come puro frutto di immaginazione. Alcune nazioni hanno avuto il coraggio e la convinzione di riconoscere e condannare il Genocidio. In ogni modo, questa enorme negazione dura da troppo tempo. Essa deve essere vinta dalla verità”. (GV) (Agenzia Fides 21/1/2015).

Premier Turchia chiede “nuovo inizio” in rapporti con Armenia. Askanews.it

Divise da valutazione su massacri della prima guerra mondiale

Roma, 20 gen. (askanews) – Il primo ministro turco Ahmet Davutoglu ha invocato oggi un “nuovo inizio” nelle relazioni tra Turchia e Armenia, divise dalla valutazione storica dei massacri avvenuti durante la prima guerra mondiale per mano ottomana, che Erevan considera un genocidio diversamente da Ankara.

“Io faccio appello a tutti gli armeni, e invito tutti coloro che credono nell’amicizia turco-armena a contribuire a un nuuovo inizio” ha detto Davutoglu in un comunicato emesso nell’ottavo anniversario della morte del giornalista turco-armeno Hrant Dink, che operava per la riconciliazione.

L’Armenia accusa l’Impero ottomano, di cui la Turchia si considera erede storico, di aver effettuato un genocidio, massacrando qualcosa come un milione e mezzo di armeni. Ankara risponde che vi furono massacri da entrambe le parti che is combattevono per il controllo dell’Anatolia.

Lo scorso anno il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha presentato delle condoglianze senza precedenti storici per il massacro degli armeni. Ma questo mese, sempre Erdogan, ha detto che intende contrastare “attivamente” la campagna sulla Turchia per il riconoscimento del genocidio armeno.

Armenia, Turchia e la contesa per una data: 25 Aprile 1915. 2duerighe.com

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan avrebbe invitato il suo omologo armeno, Serzh Sarkisian, ad una cerimonia il giorno delle commemorazioni del genocidio del 1915. La provocazione non può passare inosservata.

Cerchiamo di capire cosa sia successo. Venerdì scorso il presidente turco ha innescato una antipatica polemica invitando il suo omologo armeno alla cerimonia che celebra i 100 anni della battaglia di Gallipoli, manifestazione prevista lo stesso giorno in cui l’Armenia commemora i massacri del 1915. Una fonte ufficiale turca ha reso noto che Erdogan avrebbe ufficialmente spedito in questi giorni un centinaio di inviti ad altrettanti capi di Stato e di Governo del Mondo intero, per le celebrazioni, il prossimo 24 Aprile, del famoso episodio orientale della Prima Guerra Mondiale. In testa a questa lunga lista spicca il nome del Presidente americano Barack Obama, e poco più giù quello di Serzh Sarkissian, Presidente dell’Armenia, in conflitto con la Turchia per la questione delle centinaia di migliaia di armeni uccisi dall’Impero Ottomano a partire dal 1915 e che Ankara rifiuta di considerare come un genocidio.

L’invito di Erdogan ha raccolto un secco rifiuto da parte di Erevan, che ha denunciato una manipolazione della Storia. Questa nuova controversia tra le due capitali, che non hanno relazioni diplomatiche, nasce da un strana coincidenza della Storia. La battaglia di Gallipoli è iniziata il 25 Aprile 1915, quando un contingente di truppe inglesi, neozelandesi, australiane e francesi sbarca sulle coste di questa penisola posta nel Nord-Est dell’attuale Turchia per riaprire lo stretto dei Dardanelli e portare la guerra nel cuore dell’Impero Ottomano, alleato della Germania. Alla fine di nove mesi di aspri combattimenti, gli Alleate sono costretti a battere in ritirata lasciando dietro a loro 180mila morti. Questa battaglia, alla quale ha attivamente partecipato Mustafa Kemal e che proclamerà nel 1923 la nascita della Repubblica turca moderna sorta dalla caduta dell’Impero ottomano, viene tradizionalmente celebrata dai turchi il 25 Aprile, il giorno dopo da migliaia di visitatori che arrivano dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, dove il 25 Aprile è festa Nazionale (ANZAC Day).

Coincidenza, questo 24 Aprile segna anche l’inizio, nel 1915, degli arresti e dei massacri degli armeni da parte dell’Impero Ottomano. Ogni anno, l’Armenia e gli armeni della diaspora onorano le loro vittime. I portavoce del Presidente Sarkissian hanno affermato che Erdogan abbia deliberatamente approfittato di questo conflitto di date per distogliere l’attenzione del Mondo dalle celebrazioni che segnano il centenario del genocidio, denunciando nuovamente la politica negazionista di Ankara. Il Capo di Stato armeno ha precisato che aveva lui stesso invitato Erdogan a recarsi nel suo Paese ad Aprile e ha sottolineato che non era sua abitudine andare a trovare un invitato che non ha risposto ad un suo proprio invito. Viene solo da pensare che quella di Erdogan sia una contromisura diplomatica, per non dire boicottaggio, destinata a neutralizzare la presenza, prevista quel giorno a Erevan, di Capi di Stato stranieri: il Presidente della Repubblica francese Hollande e il Presidente della Repubblica Federale, Joachim Gauck, hanno già inviato la loro conferma di partecipazione al Presidente della Repubblica d’Armenia, e molti altri seguiranno.

La Turchia si è sempre rifiutata di ammettere qualsiasi eliminazione pianificata, riconoscendo la morte di 500mila armeni (contro il milione e mezzo di morti, dimostrati dalla cronache e dalla storia). Nell’aprile del 2014, il Presidente Erdogan, allora primo Ministro aveva, timidamente, porto le sue condoglianze a tutti i caduti della prima guerra mondiale: avevo espresso il suo rammarico, evocando un dolore comune, ma forse era anche riuscito a mettere sullo stesso piano vittime e carnefici. Non era riuscito ad affermare, con la determinazione necessaria, che una voluta pianificazione delle morti armene era stata posta in essere dai suoi predecessori: morti nelle marce forzate e gli assassinati fra quelli che erano sopravvissuti alle marce E la scorsa settimana ha fatto un’ulteriore e pesante marcia in dietro, scartando formalmente qualsiasi possibilità di riconoscere il genocidio. Secondo un sondaggio apparso questa settimana, meno del 10% dei turchi desiderano che il loro Governo riconosca il genocidio armeno (anche se sulla spontaneità delle risposte abbiamo di certo più di un dubbio). La Turchia e l’Armenia hanno firmato nel 2009 dei protocolli, chiamati “di Zurigo”, che avrebbero dovuto normalizzare le loro relazioni. Cinque anni dopo, questi testi non sono ancora stati ratificati.. Una cosa è il negazionismo perpetrato da qualche sedicente studioso revisionista, altra cosa è il negazionismo di Stato: in questo caso, il negazionismo è un atto che rende ancora più è perfetto il crimine, lo compie due volte. Un genocidio non è un conflitto aperto a mediazioni diplomatiche, ma è un crimine contro l’umanità che, se non riconosciuto, aumenta non solo il dolore, ma annienta il pur presente desiderio di riconciliazione dei sopravvissuti. E’ da qui che bisogna ripartire.

di Jacqueline Rastrelli

Turchia, in migliaia manifestano in ricordo giornalista Dink Askanews.it

Ricorre ottavo anniversario del suo assassinio

Istanbul, 19 gen. (askanews) – Migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Istanbul in ricordo del celebre giornalista turco, di origini armene, Hrant Dink, nell’ottavo anniversario del suo assassinio che resta ancora attorniato da diverse zone d’ombra.

I manifestanti hanno marciato da piazza Taksim fino alla sede del quotidiano bilingue turco-armeno Agos che dirigeva, dietro uno striscione nero su cui era scritto “Prendiamo coscienza del genocidio con Hrant Dink” ed equipaggiati di cartelli dove era scritto “Noi siamo tutti Hrant Dink, noi siamo tutti armeni”.

Il 19 gennaio 2007 Hrant Dink, 52 anni, figura celebre della piccola comunità armena di Turchia, fu ucciso con due colpi alla testa davanti alla redazione di Agos.

Il giornalista si batteva per la riconciliazione tra turchi e armeni ma era inviso ai nazionalisti turchi, che non gli perdonavano di aver definito genocidio i massacri dei quali gli armeni furono vittime durante la Prima guerra mondiale. Ankara rifiuta categoricamente di riconoscere ogni eliminazione pianificata degli armeni da parte dell’Impero ottomano.


Internazionale.it 19.01.2015

La commemorazione per il giornalista Hrant Dink in Turchia

Diverse migliaia di persone hanno partecipato a un corteo nelle strade di Istanbul in memoria del giornalista turco di origine armena Hrant Dink, nell’ottavo anniversario del suo omicidio rimasto irrisolto.

I manifestanti hanno sfilato da piazza Taksim fino alla sede del giornale bilingue turco-armeno Agos di cui Dink era il direttore. Il 19 gennaio del 2007 Hrant Dink, 52 anni, una figura rinomata nella comunità armena della Turchia, è stato ucciso con due proiettili davanti alla sede di Agos. Il giornalista era impegnato a favore della riconciliazione tra turchi e armeni, ma era odiato dai nazionalisti turchi per aver definito genocidio il massacro di cui gli armeni furono vittime durante la prima guerra mondiale. Afp

Per gli armeni l’invito di Erdogan al Presidente Sarkysian per i 100 anni dalla battaglia di Gallipoli è una provocazione. Agenzia Fides

Istanbul (Agenzia Fides) – I cristiani armeni che vivono in Turchia considerano una provocazione mirata l’invito rivolto dal Presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Presidente armeno Serzh Sarkysian a partecipare, il prossimo 24 aprile, alle celebrazioni che si terranno in Turchia per celebrare la battaglia di Gallipoli. Lo riferiscono fonti locali riportate dal giornale Agos, settimanale armeno bilingue pubblicato a Istanbul, che definisce l’invito di Erdogan come “il passo disonesto di una persona maleducata”. Secondo i giudizi e i commenti pubblicati dalla rivista, l’intenzione provocatoria del governo turco si esprime nella scelta di collocare la celebrazione nello stesso giorno in cui gli armeni si preparano a far memoria del centesimo anniversario del Genocidio armeno. 
La cosiddetta “campagna di Gallipoli”, lanciata contro l’Impero Ottomano nella primavera del 1915, rappresentò uno dei disastri militari più eclatanti degli eserciti alleati durante la Prima Guerra mondiale. Il Presidente turco Erdogan, artefice di una linea politica che molti analisti definiscono “neo-ottomana”, ha invitato decine di capi di Stato – compreso quello armeno – a partecipare il 24 aprile alle cerimonie per il centenario di quella vicenda bellica. Nei giorni scorsi, la stampa armena ha diffuso la lettera di risposta inviata da Sarkysian a Erdogan in cui il Presidente armeno, respingendo l’invito, tra le altre cose accusa la Turchia di perpetuare la sua politica negazionista riguardo al Genocidio armeno attraverso il perfezionamento delle strumentalizzazioni miranti a distorcere la storia. La campagna di Gallipoli iniziò nel marzo 1915 e si concluse nel gennaio 1916. Quindi – conclude Sarkysian – la scelta della data per la celebrazione rappresenta un tentativo spudorato del governo turco di “distrarre l’attenzione del mondo dal centesimo anniversario del Genocidio armeno”. (GV) (Agenzia Fides 19/1/2015).

Armenia: famiglia massacrata; morto anche bimbo 6 mesi. Swiss info

Sale a sette il numero delle vittime del massacro di una famiglia a Ghiumri, in Armenia, di cui è accusato un militare russo, Valeri Permiakov. È infatti morto un bambino di sei mesi ferito a coltellate, che era l’unico sopravvissuto alla strage.

Il presunto soldato-killer avrebbe ucciso a colpi di kalashnikov gli altri sei membri della famiglia nella loro abitazione e si trova ora in stato di fermo nella base militare russa N102 a Ghiumri, dove prestava servizio.

La settimana scorsa migliaia di persone hanno manifestato sia a Ghiumri che nella capitale Ierevan chiedendo l’affidamento del militare alla giustizia locale. Permiakov è stato arrestato nella notte tra il 12 e il 13 gennaio mentre tentava di attraversare il confine tra l’Armenia e la Turchia.

Tra Turchia e Armenia la guerra degli anniversari. Asknanews.it

Scambio di inviti e rifiuti tra Erdogan e collega armano Sarkisian

 

Roma, 17 gen. (askanews) – Ha declinato l’invito di Recep Tayyip Erdogan, come d’altronde previsto. Ma il presidente armeno Serzh Sarkisian ha anche colto l’occasione per puntualizzare e polemizzare sulla richiesta turca di presenziare alle celebrazioni del centenario della battaglia di Gallipoli, accusando il collega turco di strumentalizzare l’evento e cercare di deviare l’attenzione da quello che esattamente cento anni fa accadeva in Turchia, parallelamente alla battaglia con l’Intesa: i massacri di armeni, che per Erevan rappresentano un genocidio vero e proprio, mentre Ankara li tratta come eventi di guerra. Insomma: sullo sfondo di tensioni mai sopite, in occasione del doppio anniversario “tondo”, tra i due Paesi è scoppiata la guerra degli “inviti”, fermo restando che, chiaramente, il capo dello Stato armeno non andrà in Turchia per le celebrazioni del 23-24 aprile, come pure Erdogan non sarà a Erevan in quei giorni per le commemorazioni delle vittime armene sotto l’impero Ottomano durante la prima guerra mondiale.

In una lettera indirizzata al presidente turco, riferisce oggi il quotidiano Hurriyet, Sarkisian fa notare di non avere mai ricevuto risposta all’invito inviato a Erdogan per il giorno della memoria degli armeni massacrati nel 1915. “Sua Eccellenza, alcuni mesi fa l’ho invitata a visitare Erevan – scrive il presidente armeno – e non è nostra tradizione fare una visita senza aver avuto risposta a un nostro invito”.

Sarkisian ha criticato quella che definisce “la tradizionale politica della negazione” da parte turca: la Battaglia di Gallipoli, argomenta, iniziò il 18 marzo 1915 e terminò a gennaio 1916, mentre le operazioni degli Alleati cominciarono il 25 aprile. “Qual è dunque l’obiettivo, se non quello di deviare l’attenzione mondiale dagli eventi del centenario del genocidio armeno?”, chiede il presidente del Paese caucasico, contestando la scelta turca di organizzare grandi celebrazioni proprio in quella data.

L’invito di Erdogan è stato inoltrato a 110 capi di Stato. Le celebrazioni turche per la battaglia di Gallipoli si terranno il 23 e 24 aprile. Strategica sulla sponda europea dello stretto dei Dardanelli, la penisola di Gallipoli fu teatro durante la Prima guerra mondiale di una delle più cruente battaglie del conflitto, che si concluse con la ritirata delle truppe dell’Intesa e pesantissime perdite subìte nel tentativo di occupare le trincee turche: 180mila morti per gli alleati e 66.000 per i turchi.

Il 24 aprile del 1925 centinaia di armeni furono arrestati a Costantinopoli, oggi Istanbul, segnando l’inizio di una strage di dimensioni enormi e per cui l’Armenia reclama il riconoscimento di genocidio. La Turchia nega, ammette la morte di circa 500mila armeni (contro gli almeno 1,5 milioni di vittime secondo Erevan) dovuta, secondo le autorità di Ankara, alla carestia e al conflitto in corso che vedeva gli armeni schierati con la Russia.

L’anno scorso, ancora da premier, Erdogan ha presentato all’Armenia le proprie condoglianze, gesto senza precedenti nelle complicate relazioni tra i due Paesi. Ma il leader turco, oggi capo dello Stato, ha di recente messo in chiaro che non ci sarà il riconoscimento del genocidio. Già nel 2014 Sarkissian aveva formalmente invitato Erdogan alle commemorazioni del genocidio.

Centenario del genocidio armeno, sondaggio: solo il 9 per cento dei turchi ci crede. «Non chiediamo scusa». Tempi.it

Leone Grotti

Un altro 12 per cento ha affermato che il governo dovrebbe esprimere rincrescimento ma senza chiedere scusa. Per il 21 per cento, infine, la Turchia non dovrebbe fare nulla

Secondo un sondaggio pubblicato lunedì in Turchia meno del 10 per cento dei turchi crede che il governo debba riconoscere il genocidio armeno. Quest’anno si celebra il centenario dell’uccisione, a partire dal 1915, di almeno un milione e mezzo di armeni per mano dei turchi ottomani.

SOLO IL 9 PER CENTO. Solo per il 9,1 per cento della popolazione si è trattato di genocidio e solo un altro 9,1 per cento di turchi crede che il governo debba chiedere scusa, pur senza ammettere il genocidio. L’anno scorso, per la prima volta, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha espresso le sue condoglianze per i massacri, ma non ha parlato di genocidio, che in Turchia viene ancora negato.

NON CHIEDERE SCUSA. Il sondaggio del Centro per gli studi economici e di politica estera, con base a Istanbul, è stato realizzato tra novembre e dicembre intervistando 1.508 persone. Il 23 per cento ha dichiarato che non tutte le vittime erano armene e che quindi il governo dovrebbe dispiacersi per tutti i cittadini ottomani, non appena gli armeni. Un altro 12 per cento ha affermato che il governo dovrebbe esprimere rincrescimento ma senza chiedere scusa. Per il 21 per cento, infine, la Turchia non dovrebbe fare nulla.

MARTIRI E SANTI. In occasione del centenario, il patriarca armeno-ortodosso Karekin II ha scritto in unalettera enciclica che «il 23 aprile 2015, durante la Divina Liturgia, la nostra Santa Chiesa offrirà un servizio speciale per canonizzare i suoi figli e figlie che hanno accettato il martirio come santi “per la fede e per la patria”, e proclamerà il 24 aprile come Giornata del ricordo dei Santi Martiri del Genocidio».

Armenia, i confini inquieti del gigante russo. Un soldato russo ha ucciso sei membri di una famiglia armena, scatenando giorni di protesta. Linkiesta

Giovanni Zagni

 

Giovedì 15 gennaio, per il terzo giorno consecutivo, migliaia di persone hanno partecipato a proteste in Armenia, chiedendo che la Russia consegni alle autorità del Paese un soldato accusato di aver ucciso sei membri della stessa famiglia. Le manifestazioni mettono alla prova gli stretti rapporti tra il Paese caucasico e l’ingombrante vicino russo, mentre la classe politica locale invita a non strumentalizzare l’omicidio.

Negli scontri di giovedì nella città di Gyumri, la seconda città dell’Armenia, almeno quattordici persone tra poliziotti e manifestanti sono state ferite. In mattinata, centinaia di persone avevano partecipato a Gyumri ai funerali della famiglia, il cui unico sopravvissuto all’attacco, un bambino di sei mesi, è ancora in ospedale.

 

Gli scontri si sono verificati alcune ore dopo, mentre una folla stimata da AP in circa duemila persone si stava dirigendo verso il consolato russo. Altre migliaia di persone si sono radunate davanti all’ambasciata russa nella capitale, Yerevan.

Secondo le prime ricostruzioni, nelle prime ore di lunedì 12 gennaio il soldato semplice Valerij Permyakov, originario della città siberiana di Čita, ha lasciato senza permesso la base russa numero 102 – dove era in servizio da meno di due mesi – portando con sé un’arma automatica e due caricatori. Arrivato a Gyumri, ha ucciso nella loro casa sei membri della famiglia Avetisyan: due nonni, il loro figlio e la moglie, la loro figlia e la nipote Hasmik di due anni. Un bambino di sei mesi, Seryozha, è l’unico sopravvissuto, ricoverato in gravi condizioni dopo aver subito ferite da taglio.

Il soldato sarebbe poi stato arrestato da guardie di confine russe mentre provava a raggiungere la Turchia e riportato alla base di Gyumri, dove si trova tuttora. Gli stivali di Permyakov sarebbero stati trovati sulla scena e l’uomo avrebbe confessato. Non sono chiare le motivazioni del suo gesto: la polizia armena ha detto che Permyakov è entrato in casa Avetisyan – che dista circa due chilometri dalla base – «per caso» e che molto probabilmente non la conosceva, mentre Russia Today chiama gli omicidi «un delitto passionale», e fonti ufficiali armene hanno parlato di problemi mentali del soldato.

Giovedì il procuratore generale armeno Gevorg Kostanian ha promesso che il soldato sarà processato in Armenia e ha chiesto alla Russia di consegnare il militare, ma si sta delineando una disputa su chi abbia la giurisdizione sul caso.

Il vicino ingombrante

L’elemento alla base delle proteste di questi giorni è il fatto che l’autore del crimine non sia un cittadino ma un soldato russo. L’influsso della vicina Federazione Russa è particolarmente forte in Armenia, che continua a ospitarne basi militari – unico tra i paesi caucasici, dopo l’abbandono di quelle in Georgia (2006) e di una stazione radar in Azerbaigian (2013), e uno dei soli quattro rimasti insieme a Bielorussia, Tagikistan e Kyrgyzistan.

Il piccolo Paese caucasico, dopo la fine dell’Unione Sovietica, ha portato avanti una precaria strategia di equilibrio tra le grandi potenze geopolitiche, l’Unione Europea, la Russia e gli Stati Uniti. Dopo negoziati durati tre anni – e subito dopo una visita del presidente armeno a Mosca – a fine 2013 l’Armenia si è tirata indietro da un accordo con l’Unione Europea per scegliere invece, con un repentino cambiamento, l’adesione all’Unione Doganale Eurasiatica.

L’Unione Doganale è un organismo sovranazionale dominato dalla Russia (ne fanno parte anche Kazakistan, Bielorussia e Kyrgyzistan) e rafforzato negli ultimi anni. La decisione è una prova della capacità di ingerenza di Mosca nella politica del paese, dove secondo studi recenti il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà e la ricchezza è concentrata nelle mani di pochissime famiglie. Allo stesso tempo, l’Armenia dipende dalla Russia per questioni energetiche ed economiche, e molti armeni vivono delle rimesse della comunità espatriata nel vicino russo. L’allineamento con la Russia è messa apertamente in discussione solo da poche formazioni politiche di orientamento liberale e filo-occidentale, tra cui il partito Heritage-Zharangutyun, con soli quattro seggi all’Assemblea nazionale.

La base 102, stabilita nel 1995 e non lontano dal confine turco, ospita circa cinquemila soldati delle forze di terra e dell’aviazione. Nel 2010, Armenia e Russia hanno firmato un accordo che prolunga i permessi per la base militare fino al 2044: l’opposizione alla presenza militare russa appare molto ridotta nell’establishment politico armeno e esponenti di tutti i partiti si sono affrettati a buttare acqua sul fuoco dopo l’omicidio di lunedì, dicendo che il crimine deve essere condannato senza strumentalizzazioni e senza tener conto di questioni di politica internazionale. Il sito di informazione in lingua inglese ArmeniaNow ha scritto che «le richieste di un ritiro della base trovano voce solo a livello dei social media».

Storicamente, la Russia è la forza regionale che ha svolto un ruolo di “protettore” dell’Armenia, circondata da Paesi spesso ostili. L’Armenia, ad esempio, non ha rapporti diplomatici con il vicino occidentale, la Turchia, che accusa di continuare a negare i massacri della popolazione armena perpetrati dall’Impero Ottomano durante la Prima guerra mondiale. I rapporti sono pessimi anche con l’Azerbaigian, ai confini orientali.

La questione che maggiormente divise i due paesi è quella del Nagorno-Karabakh, una zona contesa e oggi di fatto indipendente in cui si è combattuta una guerra tra Azerbaigian e Armenia fino al 1994. Il fragile cessate il fuoco è messo a rischio da sporadici combattimenti: a novembre scorso è avvenuto l’episodio più grave da anni, l’abbattimento di un elicottero militare coinvolto in esercitazioni armeno-karabakhe.

A riprova della costante tensione tra i paesi vicini, martedì 12 gennaio il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev si è lasciato andare a una serie di tweet anti-armeni dal suo profilo ufficiale, tra cui un secco: «L’Armenia è un paese povero e impotente».

 

I confini armeni sono protetti dalla Russia in base agli accordi militari tra i due Paesi. L’Armenia si affida alle armi di Mosca per garantire la sua sicurezza in una delle regioni più instabili del mondo – ma gli episodi come quello di Gyumri ricordano che quella protezione ha i suoi costi.

La Settimana di Preghiera per l’Unità dei cristiani torna ad animare la Diocesi di Senigallia. Viveresenigalia.it

L’appuntamento con la Settimana di Preghiera per l’Unità dei cristiani torna ad animare anche la diocesi di Senigallia. Il tema di quest’anno è tratto dal Vangelo di Giovanni “Dammi un po’ d’acqua da bere” (Gv 4, 7).

Nei giorni dal 18 al 25 gennaio 2015, in ogni parte del mondo, cattolici, protestanti, anglicani, ortodossi pregheranno e si confronteranno sull’impegnativo tema dell’unità tra tutti i credenti in Cristo, specialmente in tempi di grandi paure e sfide per le tante confessioni cristiane.

 

A Senigallia, in questa occasione, verrà data attenzione particolare a due realtà cristiane poco note: la Chiesa ortodossa rumena che vive nel nostro Paese e la Chiesa apostolica armena, una delle più antiche della cristianità e duramente provata da terribili vicende storiche. Ci sarà spazio anche per la cultura grazie alla proiezione del film sul genocidio degli Armeni (di cui ricordiamo quest’anno il centenario) ‘La masseria delle allodole’, dei fratelli Taviani.

 

 

Sabato 17 gennaio – ore 18.15 – Chiesa del Porto
Testimonianze da una piccola, antica chiesa: la chiesa apostolica armena
Incontro con  Vahè Vahunì, armeno, a 100 anni dal Genocidio degli Armeni

 

Giovedì 22 gennaio – ore 21.15 – Chiesa del Porto
PREGHIERA ECUMENICA
con il Vescovo Giuseppe e padre Constantin Cornis, parroco della Chiesa Ortodossa Rumena di Pesaro.
Alle ore 19.00 di giovedì 22 gennaio nella chiesa del Porto (e in diretta su radio Duomo Senigallia inBlu)
incontro – intervista con padre Constantin su ‘La Chiesa ortodossa rumena in Italia’

 

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Al Cinema ‘Gabbiano’ di Senigallia, un film dedicato all’Armenia
Mercoledì 28 gennaio alle ore 21 verrà proiettato il film:
La masseria delle allodole, di Paolo e Vittorio Taviani (2007), basato sul romanzo omonimo di Antonia Arslan  e che ricorda il genocidio degli Armeni.
Ingresso gratuito.

 

Dalla Diocesi di Senigallia