Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni? Huffingtonpost.it

Il primo gesto del nuovo presidente della Repubblica appena eletto è stato quello di recarsi al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, per rendere omaggio alla vittime della feroce barbarie nazifascista, a Roma.

D’altra parte solo qualche giorno fa, il 27 Gennaio, è stata celebrata la Giornata della Memoria per ricordare la liberazione dei campi di concentramento, e più in generale per condividere una memoria “storica” della strage operata dai nazisti contro il popolo ebraico. La Shoah. Il genocidio.

È risaputo che la descrizione del reato di genocidio sancita dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin è fondata sulle dinamiche stesse del genocidio armeno.

“Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni?”, chiese Hitler ai suoi ufficiali per spingerli alla soluzione finale della questione ebraica.
C’è una grande ignoranza in effetti riguardo allo sterminio del popolo armeno, di cui, quest’anno, si celebra il centenario. 1915-2015.
Il 24 Aprile è il giorno stabilito per la celebrazione, in ricordo della strage della intellighenzia armena, avvenuta proprio il 24 Aprile del 1915. Strage ad opera delle milizie paramilitari, sotto la diretta responsabilità dei Giovani Turchi.
“Medz Yeghern”, in armeno. Il Grande Male.
Genocidio.
“…singolare composizione di un etimo greco con uno latino. Si sarebbe dovuto dire “genicidio”, ma la parola era efficace e fu adottata”, leggo da uno stralcio della relazione del professor Vassalli, tenuta a Palazzo Valentini, a Roma il 3 maggio 2000 in occasione della tavola rotonda XX secolo: genocidio e genocidi.

Della questione armena e della Armenia si sa poco. I confini stabiliti nel 1991: a Ovest con la Turchia, a Est con l’Azerbaijan, a Sud una piccola striscia di confine con l’Iran.
Un punto nevralgico della politica medio-orientale attuale.
Dell’Armenia studiamo poco.
Forse più per assonanza che per vera consapevolezza, penso alla via degli artigiani napoletani dei presepi. Oppure alla bella chiesa armena di San Nicola da Tolentino, nel centro di Roma, proprio tra via XX settembre e piazza Barberini.

Tempo fa alla presentazione di un bel libro di fotografie Hotel Rebibbia, scatti realizzati all’interno della casa di reclusione da un amico fotografo, ho conosciuto un armeno.
Il primo, credo.
È un signore sulla sessantina, ben curato, capelli brizzolati, naso adunco, le mani forti nella stretta. Educato.
Mi raccontò di essere un ex detenuto. Aveva scontato una lunga condanna per reati legati perlopiù alla sua attività politica. È stato un militante dell’Asala, Armata segreta armena per la liberazione dell’Armenia. Anarchici e socialisti, si sono battuti, sanguinosamente anche, per il riconoscimento del genocidio degli Armeni e il conseguente risarcimento per le vittime delle stragi e della confisca dei beni.
Questa rivendicazione ora si sposta su un piano giuridico, al fine di tentare di ottenere il risarcimento da parte della Turchia e della Comunità europea.
Ci scambiammo i rispettivi contatti, con la promessa di risentirci e approfondire l’argomento.

Quando gli ho telefonato, è stato cordiale e contento di scambiare opinioni su un tema per lui così sentito.
L’appuntamento è in centro, davanti ad una delle più grandi librerie della città.
È un po’ in ritardo, ma quando esce dalla libreria mi mostra con un certo orgoglio il libro della sua relatrice di laurea, la professoressa Donatella Di Cesare, Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo.
Si è laureato in filosofia, con una tesi in filosofia del linguaggio.
In realtà nei lunghi anni di detenzione si è laureato in Architettura, e solo dopo si è laureato anche in Filosofia.
Ha avuto molto tempo a disposizione e tanta volontà.
Discutiamo un po’ di Heidegger, da punti di vista divergenti, dopo esserci salutati, mentre attraversiamo il ghetto ebraico diretti alla terrazza del Campidoglio.
C’è un bel sole ad illuminare i pochi tavoli sulla grande terrazza che si apre sul ghetto.
Dopo un paio di caffè, dopo aver saggiato la mia ignoranza riguardo alla questione armena, tira fuori dalla borsa che si porta dietro del materiale cartaceo che sospettava potesse servirmi.
Trascorriamo due ore a leggere le carte per avere intanto una idea, e quando ci salutiamo la promessa è di rivederci presto, con più coscienza e conoscenza della questione del primo genocidio del ‘900.

A casa, cerco un documentario a cui ha accennato I figli dell’Ararat, realizzato da Piero Marrazzo, giornalista Rai.
Scopro che Aznavour è armeno. Il nome originario è Aznavourian.
È intervistato anche il mio amico, qualche anno fa, più giovane più sveglio. Ma anche rinchiuso tra le mura gli odori i rumori del carcere di Rebibbia.
È stato giudicato per i suoi reati ed ha scontato la sua condanna. Io non lo giudico.
Cerco semplicemente di ascoltare ciò che ha da dire. Anche solo per imparare ciò che non so: le sue ragioni.

C’è un testo molto chiaro e semplice della professoressa Maria Immacolata Macioti Il genocidio armeno nella storia e nella memoria. È una prima lettura necessaria.
Sfogliando i documenti che mi ha fornito, ciò che per primo risulta è il parallelismo tra il genocidio ebraico e quello armeno. Entrambi possono essere definiti “modelli di genocidio” dell’epoca moderna, del secolo breve. Nonostante questo, però, è necessario anche scorgere le caratteristiche proprie di ognuno.
Innanzitutto gli Ebrei a differenza degli Armeni, in quanto accusati di deicidio, hanno patito, già prima dello sterminio, una più marcata esclusione sociale.

Altra sostanziale differenza, che è messa in luce, è che gli Ebrei vivevano in territori diversi in Germania e nel resto d’Europa, mentre gli Armeni popolavano la loro terra tra la Cilicia e l’Anatolia.
Pertanto se si è tentato di sterminare gli Ebrei a livello mondiale, gli Armeni sono stati sterminati “solo” sulle loro terre di origine.

Terre che dopo la scomparsa quasi totale del popolo che le coltivava, sono state confiscate.
Queste nuove conoscenze fanno barcollare un certo “tono” tutto occidentale di certezza e di sapere.
Quando rivedo il mio “amico”, mi racconta pezzi della sua storia a sprazzi. Armeno di terza generazione. In Armenia ancora non c’è mai stato. I suoi nonni sono riusciti a sfuggire allo sterminio e a fuggire in Libia dove lui è nato. Si è poi trasferito in Italia con una parte della sua famiglia.

La condizione di esilio e spesso di povertà che subisce una popolazione costretta alla diaspora verso altri paesi (gli armeni verso Usa, Medio-Oriente e Russia, Europa) è solo uno dei crimini contro l’umanità che rivendica la giusta attenzione al fine di rompere quel silenzio “complice”.

“Il silenzio, ‘in quanto negazione’ è l’ultimo atto di un genocidio”, c’è scritto negli atti della Commissione parlamentare della Camera dei deputati.
“(…) in altri termini è quell’atto (il silenzio) che rende il crimine del genocidio, un crimine perfetto”.

La Turchia ha sempre posto in atto questa strategia del silenzio, negazionista. Nel corso degli anni ha tentato non solo di negare ogni responsabilità diretta o indiretta del genocidio, ma ha anche ostacolato il riconoscimento del genocidio da parte dell’Onu.
Ha negato l’apertura degli archivi affinché non potessero emergere le responsabilità relative al genocidio e alla sua pianificazione da parte del Comitato unione e progresso, Ittihad Ve Terraki.

A questo proposito, le dichiarazioni del premier Erdogan dello scorso aprile sono sembrate una reale svolta ai fini della riparazione del danno compiuto dalle unità paramilitari.
Erdogan, ed era la prima volta da parte di un primo ministro turco, ha presentato le condoglianze della Turchia ai discendenti degli Armeni sterminati intorno al 1915.
L’Italia e altri venti paesi oltre al Parlamento europeo, il Consiglio d’Europa e la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, definisce “genocidio” la strage perpetuata contro il popolo armeno.

Il prossimo 24 aprile pertanto può essere anche l’occasione per tentare di trasmettere ancora alle giovani generazioni il ripudio dell’odio razziale e la ricchezza dei rapporti tra popoli, civiltà e culture differenti.

In Italia, con una risoluzione della VII Commissione, dello scorso Luglio, si è impegnato il Governo “ad avvivarsi per far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado durante l’anno scolastico 2014/2015 si promuova la conoscenza e lo studio del genocidio del popolo armeno, attraverso testimonianze e lezioni (…) favorendo la diffusione della cultura della pace e della concordia tra i popoli, nel rispetto delle differenti identità religiose e culturali”.

EUROPA/ARMENIA – Le vittime del Genocidio saranno proclamate sante dalla Chiesa armena apostolica il 23 aprile. Agenzia Fides

Erevan (Agenzia Fides) – La Chiesa armena apostolica si appresta a riconoscere la santità delle vittime del Genocidio armeno con una liturgia solenne, in programma il prossimo 23 aprile presso la Sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin, retto dal Patriarca Karekin II. Lo ha annunciato, a nome del Patriarca, il Vescovo Bagrat Galstanyan, in una conferenza stampa svoltasi il 3 febbraio presso la Sede patriarcale. “La Chiesa armena – ha sottolineato il Patriarca Karekin in una dichiarazione diffusa per l’occasione e pervenuta all’Agenzia Fides – non santifica. Essa riconosce la santità dei santi che è già riconosciuta dal popolo, e che è stata attestata con evidenza. La Chiesa riconosce solo quello che è accaduto, riconosce il Genocidio”.
La decisione di riconoscere come Santi le vittime del Genocidio era già stata presa dalla Chiesa armena apostolica nel settembre 2013, nell’incontro presso la sede patriarcale di Echmiadzin, a cui per la prima volta dopo sei secoli avevano preso parte tutti i Vescovi armeni apostolici, sia quelli che fanno capo direttamente al Catholicosato di Echmiadzin, sia quelli legati al Catolichosato della grande Casa di Cilicia (retto dal Catholicos Aram I, con sede in Libano). Nella liturgia del prossimo 23 aprile il salmo “martiri di Aprile”, composto dal defunto Vescovo Zareh Aznavourian, verrà utilizzato come salmo per la canonizzazione. Alla celebrazione parteciperanno i capi delle Chiese sorelle orientali e le delegazioni di altre Chiese. La liturgia inizierà alle 16 per concludersi simbolicamente alle 19,15 in punto, nel minuto in cui sugli orologi digitali compare la successione di numeri corrispondente all’anno in cui fu perpetrato il Genocidio armeno. (GV) (Agenzia Fides 4/2/2015)


Il 23 aprile Sante per la Chiesa armena le vittime del Genocidio. Avvenire 4 febbraio 2015

La Chiesa armena apostolica si appresta a riconoscere la santità delle vittime del Genocidio armeno con una liturgia solenne, in programma il prossimo 23 aprile presso la Sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin, retto dal Patriarca Karekin II.

Lo ha annunciato, a nome del Patriarca, il Vescovo Bagrat Galstanyan, in una conferenza stampa svoltasi il 3 febbraio presso la Sede patriarcale. “La Chiesa armena – ha sottolineato il Patriarca Karekin in una dichiarazione diffusa per l’occasione e pervenuta all’Agenzia Fides – non santifica. Essa riconosce la santità dei santi che è già riconosciuta dal popolo, e che è stata attestata con evidenza. La Chiesa riconosce solo quello che è accaduto, riconosce il Genocidio”.

La decisione di riconoscere come Santi le vittime del Genocidio era già stata presa dalla Chiesa armena apostolica nel settembre 2013, nell’incontro presso la sede patriarcale di Echmiadzin, a cui per la prima volta dopo sei secoli avevano preso parte tutti i Vescovi armeni apostolici, sia quelli che fanno capo direttamente al Catholicosato di Echmiadzin, sia quelli legati al Catolichosato della grande Casa di Cilicia (retto dal Catholicos Aram I, con sede in Libano).

Nella liturgia del prossimo 23 aprile il salmo “martiri di Aprile”, composto dal defunto vescovo Zareh Aznavourian, verrà utilizzato come salmo per la canonizzazione. Alla celebrazione parteciperanno i capi delle Chiese sorelle orientali e le delegazioni di altre Chiese. La liturgia inizierà alle 16 per concludersi simbolicamente alle 19,15 in punto, nel minuto in cui sugli orologi digitali compare la successione di numeri corrispondente all’anno in cui fu perpetrato il Genocidio armeno.


Armenia, la Chiesa apostolica: saranno sante le vittime del genocidio

Lo riferisce la Fides. La canonizzazione è stata fissata al 23 aprile

redazione (vatican insider)
La Chiesa armena apostolica si appresta a riconoscere la santità delle vittime del genocidio armeno con una liturgia solenne, in programma il prossimo 23 aprile presso la sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin, retto dal patriarca Karekin II. Lo ha annunciato, a nome del Patriarca, il vescovo Bagrat Galstanyan, in una conferenza stampa svoltasi presso la Sede patriarcale. Lo riferisce l’agenzia vaticana Fides.

«La Chiesa armena – ha sottolineato il patriarca Karekin in una dichiarazione diffusa per l’occasione – non santifica. Essa riconosce la santità dei santi che è già riconosciuta dal popolo, e che è stata attestata con evidenza. La Chiesa riconosce solo quello che è accaduto, riconosce il genocidio».

La decisione di riconoscere come santi le vittime del genocidio, di cui quest’anno ricorre il centenario, era già stata presa dalla Chiesa armena apostolica nel settembre 2013, nell’incontro presso la sede patriarcale di Echmiadzin, a cui per la prima volta dopo sei secoli avevano preso parte tutti i vescovi armeni apostolici, sia quelli che fanno capo direttamente al Catholicosato di Echmiadzin, sia quelli legati al Catolichosato della grande Casa di Cilicia  (retto dal catholicos Aram I, con sede in Libano).

Nella liturgia del prossimo 23 aprile il salmo «martiri di Aprile», composto dal defunto vescovo Zareh Aznavourian, verrà utilizzato come salmo per la canonizzazione. Alla celebrazione parteciperanno i capi delle Chiese sorelle orientali e le delegazioni di altre Chiese. La liturgia inizierà alle 16 per concludersi simbolicamente alle 19,15 in punto, nel minuto in cui sugli orologi digitali compare la successione di numeri corrispondente all’anno in cui fu perpetrato il genocidio armeno.

Aprirà alla Biennale di Venezia un padiglione dedicato all’evento ”Armenity. Artisti contemporanei della diaspora armena” , tra arte, ethos e memoria. Lbreriamo.it e altri

http://www.libreriamo.it/a/10654/aprira-alla-biennale-di-venezia-un-padiglione-dedicato-allevento-armenity-artisti-contemporanei-della-diaspora-armena–tra-arte-ethos-e-memoria.aspx

 

Verrà inaugurata mercoledì 6 maggio la mostra “Armenity. Artisti contemporanei della diaspora armena” curata da Adelina von Furstenberg nel Padiglione Armeno alla prossima Biennale di Venezia.
MILANO – In quest’anno simbolico, 2015, il Ministero della Cultura della Repubblica dell’Armenia dedica il suo Padiglione partecipante alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia agli artisti della diaspora armena, collocato per l’occasione al Monastero Mekhitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni e servito da vaporetti pomeridiani con partenza dai Giardini. L’evento è organizzato sotto la supervisione di Adelina Cüberyan v. Fürstenberg, curatrice indipendente svizzera d’origine armena, di fama internazionale, esperta nel campo dell’arte contemporanea e nota come una pioniere dell’approfondimento dell’approccio multiculturale dell’arte contemporanea.

 

L’EVENTO – Il concetto curatoriale di ‘’Armenity’’ (dalla parola francese Arménité, potrebbe essere considerata una specificità dei nipoti dei sopravvissuti del genocidio armeno, un senso moderno e spesso soggettivo dell’”esser-ci” heideggeriano, in un flusso continuo, con una grande diversità nell’auto-definizione), rafforza la nozione di dislocamento e di territorio, di giustizia e di riconciliazione, di ethos e di resilienza cosi, indipendentemente dal loro luogo di nascita, ciascuno degli artisti parte di questo progetto porta con sé la memoria, l’identità e la verità delle sue origini.

 

GLI ARTISTI – Un’adunata “transnazionale” sotto l’insegna di un’identità frammentata e dispersa, ricostruita e rinnovata con il talento di questi artisti, nipoti di coloro che sono sfuggiti al Genocidio Armeno nel 1915, il primo del XX secolo. Il loro radicato interesse nei confronti dell’identità e della memoria si sovrappone sapientemente alle nozioni di territorio, confine e geografia. Che siano nati a Beirut, Lione, Los Angeles o al Cairo e ovunque essi vivano, questi cittadini globali mettono costantemente in discussione e reinventano la loro armenità. Tra loro Haig Aivazian, Nigol Bezjian, Anna Boghiguian, Hera Büyüktaşçıyan, Silvina Der-Meguerditchian, Rene Gabri & Ayreen Anastas, Mekhitar Garabedian, Aikaterini Gegisian, Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, Aram Jibilian, Nina Katchadourian, Melik Ohanian, Mikayel Ohanjanyan, Rosana Palazyan, Sarkis e Hrair Sarkissian.

 

IL LUOGO – ‘’Armenity’’si terrà sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni, situata tra San Marco e il Lido, di fronte ai Giardini della Biennale. L’isola è il luogo dove il monaco armeno Mekhitar nel 1717 stabilì la sede della Congregazione Mechitarista e dove, in seguito, Lord Byron studiò la lingua armena. L’emblematico monastero di San Lazzaro, con i suoi giardini, l’antica tipografia, il chiostro e la preziosa biblioteca di manoscritti, ha contribuito a preservare uno dei patrimoni più importanti della cultura armena, gran parte del quale altrimenti sarebbe andato perduto.

 

IL CATALOGO – Pubblicato da Skira, il catalogo presenterà riproduzioni a colori e testi in inglese e armeno. Prefazioni, introduzione e testo curatoriale saranno seguiti da pagine dedicate a ciascuno degli artisti, con testi degli artisti stessi, o saggi di critici d’arte e autori (Ruben Arevshatyan, Cecile Bourne, Ginevra Bria, Adam Budak, David Kazanjian, Berthold Reiss, Gabi Scardi, Hrag Vartanian) e altre pagine con le immagini, disegni e collages delle opere. La terza parte del catalogo conterrà saggi della storica d’arte e curatrice indipendente con base a New York, Neery Melkonian, e di Stephanie Bailey, scrittrice d’arte e editor di Ibraaz di Londra. In calce al volume vi sarà una sezione contenente le traduzioni in armeno di tutti i testi.
Oltre al catalogo, sarà pubblicato un libro di poesie composto di una selezione di poemi di 12 poeti armeni nati dopo il genocidio armeno e la rivoluzione russa e tradotto in francese dal poeta svizzero-armeno Vahé Godel. Il libro comprenderà un saggio dell’autore e una selezione di traduzioni armene delle poesie.

 

Nel contesto di Armenity, verrano presentati all’Anfiteatro dell’Arsenale dal 5 all’11 settembre una serie di performance, dibattiti e video proiezioni di artisti, poeti e registi indipendenti originari dell’Asia Minore.

 


 

http://www.artslife.com/2015/02/02/armenity-il-padiglione-armeno-alla-56-biennale-di-venezia/

 

Armenity, il padiglione armeno alla 56^ Biennale di Venezia

Armenity, Biennale di Venezia 2015. Il Ministero della Cultura della Repubblica dell’Armenia dedica il suo Padiglione partecipante alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia agli artisti della diaspora armena e lo colloca per l’occasione al Monastero Mekhitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni e servito da vaporetti pomeridiani con partenza dai Giardini.

 

Il concetto curatoriale di Armenity  rafforza la nozione di dislocamento e di territorio, di giustizia e di riconciliazione, indipendentemente dal loro luogo di nascita, ciascuno degli artisti parte di questo progetto porta con sé la memoria, l’identità e la verità delle sue origini. Un’adunata “transnazionale” sotto l’insegna di un’identità frammentata e dispersa, ricostruita e rinnovata con il talento di questi artisti, nipoti di coloro che sono sfuggiti al Genocidio Armeno nel 1915,  il primo del XX secolo. Il loro radicato interesse nei confronti dell’identità e della memoria si sovrappone sapientemente alle nozioni di territorio, confine e geografia. Che siano nati a Beirut, Lione, Los Angeles o al Cairo e ovunque essi vivano, questi cittadini globali mettono costantemente in discussione e reinventano la loro armenità.

 

Armenity si terrà sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni, situata tra San Marco e il Lido, di fronte ai Giardini della Biennale. L’isola è il luogo dove il monaco armeno Mekhitar nel 1717 stabilì la sede della Congregazione Mechitarista e dove, in seguito, Lord Byron studiò la lingua armena. L’emblematico monastero di San Lazzaro, con i suoi giardini, l’antica tipografia, il chiostro e la preziosa biblioteca di manoscritti, ha contribuito a preservare uno dei patrimoni più importanti della cultura armena, gran parte del quale altrimenti sarebbe andato perduto.

Il catalogo pubblicato da Skira presenterà riproduzioni a colori e testi in inglese e armeno. Prefazioni, introduzione e testo curatorialesaranno seguiti da pagine dedicate a ciascuno degli artisti, con testi degli artisti stessi, o saggi di critici d’arte e autori (Ruben Arevshatyan, Cecile Bourne, Ginevra Bria, Adam Budak, David Kazanjian, Berthold Reiss, Gabi Scardi, Hrag Vartanian) e altre pagine con le immagini, disegni e collages delle opere. La terza parte del catalogo conterrà saggi della storica d’arte e curatrice indipendente con base a New York, Neery Melkonian, e di Stephanie Bailey, scrittrice d’arte e editor di Ibraaz di Londra. In calce al volume vi sarà una sezione contenente le traduzioni in armeno di tutti i testi.

Oltre al catalogo, sarà pubblicato un libro di poesie composto di una selezione di poemi di 12 poeti armeni nati dopo il genocidio armeno e la rivoluzione russa e tradotto in francese dal poeta svizzero-armeno Vahé Godel. Il libro comprenderà un saggio dell’autore e una selezione di traduzioni armene delle poesie.

Nel contesto di Armenity, verrano presentati all’Anfiteatro dell’Arsenale dal 5 all’11 settembre una serie di performance, dibattiti e video proiezioni di artisti, poeti e registi indipendenti originari dell’Asia Minore.


www.armenity.net

http://www.primapaginanews.it/dettaglio_articolo.asp?id=277934&ctg=2

 

Spetcul – Venezia, il padiglione armeno alla Biennale 2015

Roma – 2 feb (Prima Pagina News) In quest’anno simbolico, 2015, il Ministero della Cultura della Repubblica dell’Armenia dedica il suo Padiglione partecipante alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia agli artisti della diaspora armena, collocato per l’occasione al Monastero Mekhitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni e servito da vaporetti pomeridiani con partenza dai Giardini. Il concetto curatoriale di Armenity, rafforza la nozione di dislocamento e di territorio, di giustizia e di riconciliazione, di ethos e di resilienza cosi, indipendentemente dal loro luogo di nascita, ciascuno degli artisti parte di questo progetto porta con sé la memoria, l’identità e la verità delle sue origini. Un’adunata “transnazionale” sotto l’insegna di un’identità frammentata e dispersa, ricostruita e rinnovata con il talento di questi artisti, nipoti di coloro che sono sfuggiti al Genocidio Armeno nel 1915, il primo del XX secolo. Il loro radicato interesse nei confronti dell’identità e della memoria si sovrappone sapientemente alle nozioni di territorio, confine e geografia. Che siano nati a Beirut, Lione, Los Angeles o al Cairo e ovunque essi vivano, questi cittadini globali mettono costantemente in discussione e reinventano la loro armenità. Gli artisti presenti saranno: Haig Aivazian, Libano; Nigol Bezjian, Siria/USA; Anna Boghiguian, Egitto/Canada; Hera Büyüktaşçıyan, Turchia; Silvina Der-Meguerditchian Argentina/ Germania; Rene Gabri & Ayreen Anastas, Iran/Palestina/USA; Mekhitar Garabedian, Belgio; Aikaterini Gegisian, Grecia; Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, Italia; Aram Jibilian, USA; Nina Katchadourian, USA/Finlandia; Melik Ohanian, Francia; Mikayel Ohanjanyan, Armenia/Italia; Rosana Palazyan, Brasile; Sarkis, Turchia/Francia; Hrair Sarkissian, Siria/UK. Il catalogo pubblicato da Skira, Milano, presenterà riproduzioni a colori e testi in inglese e armeno. Prefazioni, introduzione e testo curatoriale saranno seguiti da pagine dedicate a ciascuno degli artisti, con testi degli artisti stessi, o saggi di critici d’arte e autori (Ruben Arevshatyan, Cecile Bourne, Ginevra Bria, Adam Budak, David Kazanjian, Berthold Reiss, Gabi Scardi, Hrag Vartanian) e altre pagine con le immagini, disegni e collages delle opere. La terza parte del catalogo conterrà saggi della storica d’arte e curatrice indipendente con base a New York, Neery Melkonian, e di Stephanie Bailey, scrittrice d’arte e editor di Ibraaz di Londra. In calce al volume vi sarà una sezione contenente le traduzioni in armeno di tutti i testi. Oltre al catalogo, sarà pubblicato un libro di poesie composto di una selezione di poemi di 12 poeti armeni nati dopo il genocidio armeno e la rivoluzione russa e tradotto in francese dal poeta svizzero-armeno Vahé Godel. Il libro comprenderà un saggio dell’autore e una selezione di traduzioni armene delle poesie. Nel contesto di Armenity, verrano presentati all’Anfiteatro dell’Arsenale dal 5 all’11 settembre una serie di performance, dibattiti e video proiezioni di artisti, poeti e registi indipendenti originari dell’Asia Minore.

Regione Lombardia: Genocidio degli Armeni, Domani in aula Mozione Lista Maroni. Mi-lorenteggio.com

La mozione invita la Giunta a promuovere iniziative pubbliche per commemorare il Genocidio degli Armeni del 24 aprile 1915 e per ribadire con forza il suo riconoscimento ufficiale quale condizione per l’ingresso della Turchia nell’Ue

 

MILANO, 2 FEBBRAIO 2015 – Domani, nell’Aula del Consiglio regionale della Lombardia, sarà discussa una mozione che invita la Giunta a promuovere iniziative pubbliche per commemorare il Genocidio degli Armeni del 24 aprile 1915 e per ribadire con forza il suo riconoscimento ufficiale quale condizione per l’ingresso della Turchia nell’Ue. Primo firmatario della mozione è Stefano Bruno Galli, a capo del gruppo consiliare “Maroni Presidente”. “Il Genocidio degli Armeni – spiega – è da considerarsi una vera e propria operazione di pulizia etnica, in quanto l’obiettivo dell’impero ottomano era quello di realizzare una nazione turca etnicamente omogenea. Fu il primo genocidio moderno, quello degli Armeni, perpetrato ai danni di una comunità in stragrande maggioranza aderente alla Chiesa apostolica armena, la più antica chiesa cristiana del mondo. Una comunità che ambiva a conquistare la propria autonomia e indipendenza dall’impero ottomano”.
“Anche in Lombardia esiste una comunità armena numerosa e attiva: il centesimo anniversario del Genocidio, che ricorre il prossimo 24 aprile, rischia di essere compresso dalle contestuali celebrazioni del settantesimo anniversario della Liberazione e dal centenario dell’ingresso italiano nella Prima Guerra mondiale. Perché ciò non accada – prosegue Galli – auspico che il Consiglio regionale, con la più ampia condivisione da parte di tutte le forze politiche, sostenga la mia richiesta, che impegna l’assessore regionale alle Culture, Identità e Autonomie a porre in essere tutte le iniziative finalizzate a commemorare il Genocidio armeno, promuovendo quindi la cultura della democrazia, della pace e dell’autodeterminazione dei popoli”.

Redazione

 

http://www.mi-lorenteggio.com/news/34479

Erdogan: Turchia pagherà se sarà dimostrato genocidio armeno. Askanews

Roma, 30 gen. (askanews) – La Turchia è pronta a “pagare il prezzo” se verrà stabilito che è colpevole delle uccisioni di massa degli armeni un secolo fa. L’ha affermato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

In un’intervista dal vivo al canale televisivo statale TRT, Erdogan ha detto che il suo paese prenderà le necessarie misure se gli storici concluderanno che ha torto nella disputa con gli armeni.

“Se i risultati rivelassero che abbiamo commesso un crimine, se noi dovessimo avere un prezzo da pagare, allora come Turchia valuteremmo e faremmo i passi necessari”, ha detto il presidente turco.

Armeni, Turchia: un autogol…. La Stampa

http://www.lastampa.it/2015/01/30/blogs/san-pietro-e-dintorni/armeni-turchia-un-autogol-nCasfeDdlgaL2Q72rPBLzI/pagina.html

 

Poche settimane prima che in tutto il mondo si ricordi il centenario dell’inizio del Genocidio degli Armeni, il primo del secolo dei genocidi, il governo di Ankara ha commesso un autogoal la cui ironia può essere pienamente apprezzata solo da chi conosce il vigore della politica negazionista di Ankara.

marco tosatti

30/01/2015

Poche settimane prima che in tutto il mondo si ricordi il centenario dell’inizio del Genocidio degli Armeni, il primo del secolo dei genocidi, (il 12 aprile il Papa celebrerà una messa in ricordo) il governo di Ankara ha commesso un autogoal la cui ironia può essere pienamente apprezzata solo da chi conosce il vigore della politica negazionista di Ankara.

 

Il Ministero degli Esteri turco ha pubblicato, pare per errore, una fotografia del “Monumento al Genocidio Armeno” eretto a Yerevan, capitale dell’Armenia, in un pieghevole ufficiale preparato per commemorare la battaglia di Çanakkale, la battaglia dei Dardanelli, combattuta dalla Turchia contro le forze alleata durante la Prima Guerra mondiale. Un funzionario del Ministero degli Affari Esteri ha detto a Hurryet Daily News che la fotografia è stata “inclusa accidentalmente insieme ad altre fotografie”.

 

E’ stata aperta un’inchiesta per capire come sia stato possibile un errore del genere, e il responsabile verrà punito, ha detto il funzionario, aggiungendo che la maggior parte dei pieghevoli non sono stati ancora distribuiti. Il funzionario ha negato vigorosamente che la fotografia faccia parte di un’operazione di “apertura” verso l’Armenia.

Oltre il genocidio: la storia del popolo armeno. Resegoneonline

Ecco un articolo scritto dagli studenti lecchesi a seguito di una visita alla Casa Armena di Milano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo inviatoci dagli studenti del liceo scientifico del Collegio Volta

Lunedì 26 Gennaio noi ragazzi di seconda scientifico del Collegio Volta ci siamo recati in visita a Hay Dun, la Casa Armena di Milano, in occasione del Giorno della Memoria, in cui si ricordano tutti i genocidi del XX secolo. Rispetto alla Shoah, il genocidio armeno è sottovalutato, principalmente per ragioni politiche, ed è proprio per questo che noi studenti, su proposta dell’insegnante di Lettere, abbiamo deciso di approfondire l’argomento.

Dopo aver conosciuto la presidentessa dell’associazione, la signora Marina Mavian – che ci ha raccontato la storia avventurosa e quasi incredibile della sua famiglia, miracolosamente scampata ai massacri – abbiamo incontrato il prof. Aldo Ferrari, armenista dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, esperto di Russia e Caucaso e ricercatore presso l’ISPI (Istituto di Politica Internazionale). Il professore ha esordito ricordando che quest’anno, 2015, ricorre il centenario del genocidio armeno e che, poiché il governo della Repubblica Turca continua a negare quello che è successo, parlarne non è solo un dovere storico, ma anche un atto politico.

Di Armeni si parla poco, anche sui libri di scuola, e di loro si sa qualcosa solo del genocidio, mentre niente si conosce della loro millenaria storia. Perciò il docente ha ritenuto opportuno colmare questa lacuna, offrendoci una panoramica sulla storia armena dall’antichità fino all’inizio del ‘900. Ecco il report della sua lezione. L’Armenia storica era un grande territorio, che si estendeva su zone ora appartenenti alla Turchia, alla regione del Caucaso e, in parte, all’Iran.

Collocato tra impero romano e persiano, per lungo tempo il regno di Armenia ha rivestito una importanza notevole, in particolare dal VI – V secolo a.C al IV secolo d.C. Una data fondamentale per la storia e l’identità armena è il 301 d.C., anno in cui il regno fu il primo Paese al mondo a diventare ufficialmente cristiano, addirittura prima del cosiddetto editto di Costantino, del 313. Dopo la conversione, il Cristianesimo diventò il fattore principale della identità culturale armena.

Il prof. Ferrari ha poi precisato alcune questioni legate alla Chiesa armena: essa appartiene, insieme alla Chiesa copta, siriaca ed etiope, alle Chiese orientali o non calcedonite, che cioè non hanno accettato il concilio di Calcedonia (attuale quartiere stambuliota di Kadıköy) del 451. Il nome ufficiale è Chiesa Apostolica Armena, o Gregoriana (da San Gregorio Illuminatore, colui che ha portato la fede cristiana presso gli Armeni); la loro guida è chiamato Catholicos. Oggi in Armenia gli apostolici sono il 92 % circa della popolazione; esistono anche minoranze cattoliche e protestanti, in particolare tra gli Armeni della diaspora. Anche a Milano c’è una chiesa apostolica armena, in via Jommelli, dove si riunisce in preghiera la parte non cattolica della comunità milanese.

Tornando alla storia, il docente ha evidenziato che, molto presto, gli Armeni sono stati minacciati dai Persiani antichi (di religione zoroastriana) che, nel 451, tentarono di convertirli con la violenza. Ci fu una guerra, la guerra dei Vardanank: gli Armeni persero, ma riuscirono a resistere dal punto di vista religioso. Una cronaca armena riporta il famoso discorso tenuto dal comandante Vartan il 2 giugno del 451, nell’imminenza di una battaglia in cui tutti gli Armeni avrebbero trovato la morte: “150 anni fa siamo stati battezzati con l’acqua, oggi ci battezzeremo col sangue e faremo vedere che la nostra fede poggia su una roccia forte; il Cristianesimo non è un abito che si può togliere”.

 

Il professor Ferrari, che ha tenuto la lezione

Successivamente, a partire dal VII secolo, arrivò l’Islam. Gli Armeni furono gli unici a non convertirsi e a restare incrollabilmente cristiani. Alcuni, però, cedettero e scelsero di diventare musulmani, ma in questo modo cessarono ipso facto di essere armeni, perché per loro la conversione fa uscire dalla comunità. Essere armeni, dunque, è una questione sia etnica che, soprattutto, di appartenenza religiosa. Pian piano, col passare del tempo, il regno armeno si è sgretolato sotto il peso delle invasioni finché, attorno al 1050, perse l’indipendenza e cadde sotto la dominazione musulmana. A questo punto, il prof. Ferrari ha affrontato il capitolo dei rapporti tra Cristianesimo e Islam, cruciale dal punto di vista storico e molto attuale, dopo i recenti fatti di Parigi.

Posta la premessa che un conto è una religione, un conto le azioni commesse da chi la professa, quando si parla di Islam ci sono due estremi, entrambi da evitare: una visione “nera” (che dipinge l’Islam come violento, aggressivo, arretrato) e una visione “rosa” (secondo cui l’Islam è tollerante, aperto, colto). Cosa può dire uno storico? Di certo l’Islam prevede che le religioni monoteistiche abbiano diritto all’esistenza: aspetto molto importante, soprattutto se pensiamo che spesso, nella storia, i Cristiani non si sono dimostrati altrettanto tolleranti.

Va però sottolineato che la tolleranza islamica aveva dei limiti: Ebrei e Cristiani potevano sì mantenere la loro fede, ma in una condizione di discriminazione. A livello giuridico, la parola di un musulmano contava due volte rispetto a quella di un ebreo o di un cristiano. Inoltre, non potevano occupare posti di rilievo a livello politico e militare e dovevano essere disarmati. Dovevano anche pagare una tassa molto consistente per la protezione che lo stato concedeva loro. Perciò convertirsi era conveniente da tutti i punti di vista.

Il professore ha poi amaramente constatato che, come la storia ci insegna, alla discriminazione ci si abitua, volenti o nolenti, ma non ci si può abituare alla insicurezza quotidiana. E’ proprio questo fattore, la totale mancanza di sicurezza, che ha spinto molti Armeni ad emigrare, intorno all’XI sec., sia in Oriente (Alessandria, Smirne), sia in Europa. Tra un quinto e un decimo degli Armeni ha abbandonato la sua terra. È minore di quella ebraica, ma si tratta pur sempre una diaspora. Gli Armeni sono quindi diventati commercianti, imprenditori, artigiani, con un livello culturale alto, proprio come gli Ebrei. E come gli Ebrei sono stati per secoli oggetto di invidie, maldicenze, astio, che alla fine sono sfociati in qualcosa di tremendo, in un Male Assoluto.

Ma torniamo alla storia. Nel XIX secolo la maggioranza degli Armeni si trovava nell’impero ottomano, di gran lunga lo stato più forte dell’epoca. Senza dubbio il loro problema principale era l’insicurezza, come mostrato da un episodio avvenuto a Mush nel 1889, in cui un tribunale turco, in nome della condivisione della fede musulmana, ha assolto un bandito curdo autore di vari crimini contro i contadini armeni. Non tutti erano però esposti a soprusi e violenze: chi era emigrato nelle città (Costantinopoli, Aleppo, Smirne, Damasco) costituiva comunità borghesi ricche e colte.

A differenza dei musulmani, che facevano (e fanno ancora oggi) fatica ad accettare elementi di modernità, in ragione del loro “complesso di superiorità religiosa”, a dire il vero corroborato da quasi mille anni (dall’egira al fallito assedio di Vienna del 1683) di vittorie militari, gli Armeni erano felicissimi di prendere parte alla modernità europea, fin dal Settecento. Molti erano medici, avvocati, professionisti, sia nelle grandi città ottomane che in occidente, ad esempio a Venezia.

Nell’Ottocento anche gli Armeni iniziarono a sognare l’indipendenza, sulla scia di quello che stava avvenendo in Italia, nei Balcani, in Grecia. Ma gli Armeni erano al centro dell’impero, a differenza dei greci, e il sultano non poteva permettere che si staccassero: l’impero sarebbe collassato. Dobbiamo comunque ricordare che, in questo periodo, l’Impero ottomano era debolissimo, tanto da essere chiamato “il grande malato d’Europa”. Gli Armeni pertanto iniziarono a organizzarsi e molti di loro confidavano nell’aiuto dell’impero zarista russo, a cui erano legati già da tempo.

I primi gravi episodi ai danni degli Armeni avvennero nel biennio 1894-6: sono i cosiddetti massacri Hamidiani, dal nome del sultano Abdul Hamid II, che causarono 200.000 morti, vale a dire un decimo della popolazione armena. Questi massacri, per quanto terribili ed efferati, non possono essere chiamati “genocidio”, in assenza del decisivo elemento della pianificazione. Il genocidio, il Metz Yeghern – il Grande Male, come lo chiamano gli Armeni – avvenne nel 1915. I Giovani Turchi, al potere dal 1908, avevano notato che Francia e Germania erano Paesi forti e abitati da popolazioni etnicamente omogenee, mentre l’impero era un vero e proprio mosaico di popoli.

La loro idea era omogeneizzare lo stato, un progetto politico inevitabilmente e intrinsecamente criminale. L’occasione fu loro offerta dallo scoppio della prima guerra mondiale, che ha provocato la fine dei grandi imperi: russo, asburgico, ottomano. In questo contesto storico il timore dei Giovani Turchi – va ammesso – era legittimo e plausibile: perdere i territori orientali della Anatolia, che sarebbero passati o alla Russia o a un neonato stato indipendente armeno, e che in effetti oggi, dopo il genocidio, sono territori turchi.

Il professore non ha indugiato sui particolari macabri del genocidio, organizzato dal Triumvirato (Djemal, Talaat, Enver), la cui violenza è indicibile. Si è limitato a sottolineare la data di inizio, il 24 aprile, quando vennero arrestati 3-400 notabili armeni di Costantinopoli (che si chiamerà İstanbul solo dopo la nascita della Repubblica Turca), tra scrittori, giornalisti e politici, poi tutti uccisi. È come se, quel giorno, la letteratura armena fosse improvvisamente finita. Ancora oggi gli Armeni ricordano il genocidio il 24 aprile. A Costantinopoli vivevano 200 mila armeni, su una popolazione di 1,5 milioni, ma fu uccisa solo l’élite. La ragione – agghiacciante – fu che lì si trovavano tutte le ambasciate straniere, per cui non si poteva fare uno sterminio eccessivo; inoltre, visti gli incarichi di rilievo ricoperti dagli Armeni, si sarebbe fermata l’intera economia della città.

Per primi furono eliminati gli uomini adulti arruolati, tutti uccisi in qualche mese, fucilati o fatti morire di fatica. È terribile a dirsi, ma furono quelli a cui andò meglio. In Anatolia e sulla costa l’esercito turco separava gli adulti che, per varie ragioni, non erano stati arruolati, i quali venivano subito fucilati. Donne, vecchi, bambini, invece, vennero deportati, destinazione il deserto siriano, nei pressi di Der-Es-zor. I Turchi dicono che l’hanno fatto perché gli Armeni avrebbero potuto appoggiare i Russi: per loro non fu un genocidio, fu una deportazione.

“Ma è falso!” – ha esclamato il professore – “Che rischio era rappresentato dalla componente femminile e anziana?”. Inoltre, la destinazione era il nulla. Lo scopo era quindi il totale annientamento della popolazione. Infatti a destinazione non è arrivato quasi nessuno. Per quanto concerne lo scarno dato numerico, è impossibile una valutazione certa. Possiamo solo dire che, nel 1914, gli Armeni erano 2 milioni, mentre nel 1924 erano 70.000, tutti a Costantinopoli.

Dei 2 milioni, sottratti quelli che si sono salvati seguendo i Russi, in quella che oggi è l’Armenia, quelli che sono andati in Libano, Siria, Egitto, Iran, i bambini che sono stati salvati dalle associazioni internazionali per orfani e portati soprattutto in Grecia, Francia, USA, tolti i 70.000 di Costantinopoli, restano circa 1,3 milioni. Anche altri si sono salvati, soprattutto bambine, che sono state sottratte alle loro famiglie e turchizzate o curdizzate (i cosiddetti “resti della spada”). Ma quello che conta è che una intera popolazione fu spazzata via. Gli Armeni della regione che dagli stessi Turchi era chiamata Ermenistan sono stati totalmente cancellati.

Oggi gli Armeni in Turchia sono 40.000, tutti a Istanbul. Nella vecchia Armenia non ce n’è neppure uno. Il Genocidio fu criminale, feroce, spietato, ma razionale, a differenza della Shoah, che ha avuto elementi di follia tipicamente nazisti. Il trattato di Sèvres, del 1920, ha riconosciuto i territori alla Repubblica Armena, ma il trattato di Losanna, del 1923, li ha concessi alla Turchia, semplicemente perché non c’erano più Armeni.

Se aggiungiamo anche il massacro dei Greci del Ponto (Mar Nero) e dei Siriaci, deduciamo che la presenza cristiana è stata praticamente spazzata via. I Giovani Turchi, che pure non erano ferventi musulmani, anzi, giudicavano l’Islam una fede retrograda e oscurantista, sapevano bene che era impossibile turchizzare quei popoli, per cui decisero di eliminarli in quanto non assimilabili. I Cristiani, alla nascita della Repubblica Turca, erano ridotti allo 0,5 %, circa come oggi.

Al termine di questa splendida lezione, siamo tornati a casa con una domanda: che cosa spinge l’uomo a commettere azioni così atroci e letteralmente “disumane”? Noi possiamo solo continuare a studiare il passato, a ricordarlo, a sforzarci di non dimenticare, e lavorare quotidianamente per costruire un mondo migliore, in cui a tutti – indipendentemente da etnia, religione, condizione sociale – sia riconosciuta la piena dignità di esseri umani.

Ankara e la questione armena. Globalist

Nel giorno della commemorazione del giornalista turco-armeno Hrant Dink, il governo del presidente Erdogan è chiamato ad accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti con Yerevan

 

Il 19 gennaio la Turchia ha commemorato Hrant Dink, il giornalista turco-armeno, direttore del settimanale Agos, ucciso nel 2007. Come ogni anno, una grande folla e discorsi appassionati hanno accompagnato la ricorrenza celebrata proprio nel luogo in cui Hrant Dink venne colpito da un giovane legato ad ambienti ultra-nazionalisti. E come ogni anno è stata manifestata rabbia per il corso della giustizia interrotto a metà: puniti gli esecutori materiali, ancora ignoti i mandanti di un assassinio di dichiarata matrice politica.   Il 20 gennaio è arrivato il messaggio di cordoglio del premier Ahmet Davutoğlu: parole importanti per riconoscere il ruolo prezioso dell'”intellettuale d’Anatolia” – così viene ricordato Dink – nel creare un “futuro comune tra turchi e armeni senza sacrificare la sua identità armena e la sua lealtà alla Turchia”. Dink era infatti membro della minoranza armena dell’Impero ottomano spazzata via quasi del tutto dai tragici eventi del 1915, quelli che gran parte della comunità internazionale considera un genocidio in piena regola. Dink era però nato e sempre vissuto in Turchia. Era dunque un cittadino turco a tutti gli effetti.   Un gesto nobile e probabilmente sincero da parte del primo ministro turco. Dopotutto, è stato proprio Davutoğlu l’ispiratore del processo di normalizzazione tra Turchia e Armenia, che però – nonostante i protocolli di Zurigo del 2009 – non ha prodotto i risultati promessi e sperati. Anzi, la ricorrenza del centenario il 24 aprile 2015 pone Ankara in una posizione difficilissima, sotto la pressione incrociata di Yerevan e della combattiva diaspora. E c’è chi legge le condoglianze agli armeni espresse dal presidente Erdoğan per la prima volta lo scorso anno, e questo messaggio del primo ministro Davutoğlu, come iniziative puramente strumentali.Ma l’invito a riprendere quei negoziati – anche in nome di Hrant Dink – è esplicito e costruttivo: “un nuovo inizio”, “il dialogo per superare l’animosità”, “il ricordo di una storia in comune di 800 anni”, “una prospettiva di amicizia e di pace”. In più, il governo negli ultimi anni ha compiuto dei passi concreti per valorizzare la presenza armena nella storia e nella cultura della Turchia, mentre fino a un recentissimo passato era stata anche fisicamente cancellata (restauro e riapertura di chiese, restituzione di proprietà confiscate, visibilità per i leader religiosi e civili). Tutto ciò però non basta, la richiesta dell’Armenia e della diaspora è quella di un riconoscimento formale degli eventi del 1915 come genocidio: una richiesta che la Turchia ritiene inaccettabile, perché basata su una lettura parziale e distorta dei fatti storici. Tornare allo spirito di Zurigo, sembra impossibile: almeno per quest’anno.

Armenia: dopo la strage di Gyumri . Osservatorio Balcani & Caucaso

Maxence Smaniotto | Yerevan http://www.balcanicaucaso.org/aree/Armenia/Armenia-dopo-la-strage-di-Gyumri-158588

Continuano in Armenia le reazioni alla strage perpetrata da un soldato russo, nel silenzio delle autorità ufficiali, preoccupate di incrinare il rapporto con Mosca. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Si respira un’aria di tensione in Armenia in seguito alla brutale strage di una famiglia armena per mano di un soldato russo di stanza nella 102sima base russa di Gyumri. La sera del 12 gennaio, Valery Permyakov – questo il nome del soldato – ha fatto irruzione nell’abitazione della famiglia Avetisian uccidendo a colpi di pistola tutti i presenti, in tutto sette persone. Un crimine reso ancora più odioso agli occhi dell’opinione pubblica armena in quanto sono stati freddati a colpi di pugnale anche una bambina di due anni, mentre il neonato, di sei mesi, è deceduto nella notte del 20 gennaio all’ospedale di Gyumri in seguito alle ferite riportate. Il soldato ha confessato il crimine dopo che le Guardie di Frontiera russe lo hanno preso mentre tentava di fuggire oltre il confine turco.

Il movente del delitto resta incerto, ma fonti ufficiali russe descrivono Permyakov, un coscritto di 18 anni che ha servito alla base di Gyumri per solamente due mesi, come mentalmente instabile, il che, se confermato, solleverebbe ancora seri dubbi sui criteri di selezione e controllo dell’esercito russo, noto per il suo nonnismo endemico e indicato con un termine preciso, dedovščina.

La reazione della popolazione locale non si è fatta attendere. Nei giorni successivi al massacro, migliaia di manifestanti hanno sfilato per le strade della città e protestato di fronte alla base russa e al consolato, che per l’occasione è stato protetto dalla polizia armena in tenuta antisommossa. I manifestanti reclamano maggiore sicurezza e il diritto di processare il colpevole in un tribunale armeno, diritto per ora negato da Mosca, che promette un processo esemplare ma in territorio russo. Infatti la Costituzione russa nega l’estradizione di un suo cittadino verso paesi stranieri, una legge, questa, contestata dagli attivisti armeni che accusano Mosca di violare gli accordi bilaterali del 1997 secondo cui, se un militare russo commette un crimine fuori dalla base russa di Gyumri, il fatto cadrà sotto alla giurisdizione armena, e non russa.

Il massacro della famiglia Avetisian è solo l’ultimo di una serie di incidenti, omicidi e vessazioni che gli abitanti di Gyumri subiscono da anni. Nel 2013 due ragazzini sono morti in seguito all’esplosione di una mina dimenticata in prossimità della base militare. Il campo non era recintato, tuttavia nessuno è stato punito per questa fatale mancanza, ignorando totalmente le proteste dei locali. Nel 1999 due soldati ubriachi si sono recati nel mercato locale e hanno aperto il fuoco uccidendo 2 persone e ferendone 14 altre. I colpevoli sono stati giudicati da un tribunale armeno e condannati all’ergastolo, tuttavia Mosca ha preteso e ottenuto che fossero giudicati dalla corte marziale russa. Frequenti sono anche i casi in cui i soldati, spesso ubriachi, attaccano briga coi locali e aprono il fuoco in ristoranti e locali notturni per il solo gusto di intimorire i presenti con una dimostrazione di forza.

Le manifestazioni, l’esasperazione e la presenza di migliaia di persone presenti ai funerali della famiglia massacrata rischiano di rimettere in questione la stessa presenza della base militare russa e, più in generale, l’influenza russa nel piccolo paese del Caucaso meridionale. Una situazione delicata e dalle numerosissime conseguenze geopolitiche e economiche se si tiene in conto l’enorme dipendenza armena nei confronti della Russia.

L’Armenia: un paese isolato

Il contesto geopolitico e economico dell’Armenia è estremamente complicato e fragile. Due delle sue quattro frontiere, quelle con la Turchia e con l’Azerbaijan, sono chiuse e militarizzate per via della guerra del Nagorno Karabakh, conflitto “congelato” che provoca ogni anno decine di vittime tra civili e militari e che ha visto susseguirsi nel 2014 varie escalation militari, soprattutto durante il mese di luglio, quando le schermaglie sono sfociate in veri e propri combattimenti, e novembre, quando un elicottero miliare dell’Esercito di Difesa del Nagorno Karabakh è stato abbattuto durante un’esercitazione sulla linea di contatto da un razzo azero, nei cieli sopra la città di Agdam. Restano la frontiera al sud con l’Iran, inviso al paesi del blocco occidentale e indebolito da anni di sanzioni, ma vitale per via dell’oleodotto che rifornisce l’Armenia, e la frontiera con la Georgia al nord, nemica giurata della Russia e alleata strategica di UE e NATO, e il cui porto di Batumi è di vitale importanza per l’economia dell’Armenia, dato che quest’ultima non possiede sbocchi sul mare.

L’Armenia è strettamente legata alla Russia e alla sua politica estera. È uno dei pochi paesi al mondo ad averriconosciuto l’annessione russa della Crimea, dal 1991 fa parte della Comunità degli Stati Indipendenti e dal 1992 dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. Inoltre, il 3 settembre del 2013, durante il summit di Vilnus, l’Armenia, con un cambio di rotta che lasciò di stucco i responsabili dell’Unione Europea con cui aveva lungamente discusso degli accordi di associazione, decise di associarsi al progetto dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE) voluta da Putin, Unione a cui l’Armenia è entrata a far parte ufficialmente il 2 gennaio del 2015 assieme a Russia, Bielorussia e Kazakistan.

Dato il reciproco bisogno di supporto da parte della Russia che, tramite la base di Gyumri, si assicura una forte influenza nel sud di quel Caucaso eccessivamente vicino all’Occidente, e dell’Armenia, per la quale le entrate che gli immigrati armeni residenti in Russia versano alle famiglie rimaste nel paese costituiscono un importante polmone per ossigenare la fragile economia del paese, questo fatto di cronaca non poteva accadere in un momento peggiore.

Il noto analista armeno Richard Giragosian, fondatore del Regional Studies Center, un think-tank che da anni si occupa di analizzare la geopolitica del Caucaso e dell’Europa dell’Est, accusa Mosca di strumentalizzare il conflitto con l’Azerbaijan e le difficili relazioni diplomatiche con la Turchia per giustificare la presenza militare russa e l’ingerenza politica negli affari interni dell’Armenia. Parole-chiave come “partenariato”, “sicurezza”, “supporto”, “protezione” e “alleanze” (estremamente ridondanti nei discorsi ufficiali del governo armeno quando si tratta di parlare delle relazioni russo-armene) sarebbero, secondo Giragosian, poco più che fumo negli occhi. Le proteste e l’esasperazione della popolazione armena in seguito alla tragedia del 12 gennaio ne sarebbero un’ulteriore prova, che potrebbe rischiare di rimettere in questione i molteplici accordi con il governo russo.

Le reazioni

Oltre alle manifestazioni e all’indignazione degli armeni, è da segnalare il rumoroso silenzio del presidente Serzh Sargsyan. Negli stessi giorni in cui i manifestanti sfilavano per le strade di Gyurmi e Yerevan reclamando giustizia, il presidente armeno visitava asili e rilasciava dichiarazioni ufficiali sui rapporti turco-armeni in vista del centenario del Genocidio armeno del 1915, evitando ogni dichiarazione ufficiale sull’accaduto e incassando, il 18 di gennaio, durante una telefonata, la promessa da parte del presidente Putin che il colpevole sarà adeguatamente giudicato da un tribunale russo.

Mikael Ajapahyan, capo della locale diocesi, è una delle poche figure ufficiali ad essersi pronunciata sui fatti, condannando il massacro e invitando alla calma i manifestanti. Una calma che per ora pare tardare.

Francesco: una Messa in ricordo del genocidio degli armeni. Alteita.org

Sarà celebrata il 12 aprile a S. Pietro per il centenario di Metz Yeghern, il “Grande Male”. Tensione tra Armenia e Turchia a proposito delle celebrazioni

 

Chiara Santomiero (620)

 

Il 24 aprile del 2015 ricorre il centenario dell’inizio del massacro di un milione e mezzo di armeni ad opera del governo dei Giovani Turchi del padre della moderna Turchia, Mustafa Kemal Ataturk. Gli armeni lo indicano come Metz Yeghern, il “Grande Male”.

 

 

Nell’ambito della commemorazione, in Italia e nel mondo di questi avvenimenti, papa Francesco, secondo quanto stabilito dal calendario delle celebrazioni presiedute dal pontefice tra febbraio e aprile, celebrerà una Santa Messa a S. Pietro per i fedeli di rito armeno alle ore 10 del 12 aprile, domenica della Divina Misericordia.

GENOCIDIO O STERMINIO?

Gli storici non sono ancora d’accordo sull’attribuzione della definizione di “genocidio” (riconosciuta in presenza di precise caratteristiche della persecuzione contro “un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”), ma in molti ritengono che lo sterminio della popolazione armena di Istanbul e in tutta l’area dell’ex impero ottomano sia stato il preludio a ognuno dei grandi massacri del Novecento, dalla Shoah, ricordata il 27 gennaio con la Giornata della memoria, al massacro di Srebenica (8 mila musulmani inermi uccisi dai serbi) del conflitto nella ex Yugoslavia e del quale quest’anno ricorrerà il ventennio.

Secondo Raz Segal, 39enne storico dell’Università di Tel Aviv che da anni studia i paralleli e le differenze tra diversi genocidi: «Lo sterminio degli armeni segna il vero inizio del ventesimo secolo. È la pulizia etnica in nome della purezza dello Stato Nazione che con la violenza sradica qualunque diversità. La stessa idea i nazisti l’hanno declinata in un senso più ampio e ancora più radicale. Ma con la Shoah e la catastrofe degli ebrei quell’idea purtroppo non è morta in Europa. Basti pensare ai Balcani e alla strage di Srebrenica» (L’Espresso 27 gennaio).

IL NEGAZIONISMO TURCO

La Messa presieduta da papa Francesco il 12 aprile si inserisce tra le numerose  commemorazioni che si sono aperte ufficialmente in Armenia nei giorni scorsi e che dureranno per tutto l’anno. Il prossimo 23 aprile il patriarca armeno ortodosso Karekin II presiederà la canonizzazione di massa di un milione e mezzo di uomini, donne e bambini armeni morti a causa della loro appartenenza etnica e religiosa. Nella lettera enciclica scritta per l’occasione Karekin ha ricordato che “nel 1915 e negli anni successivi un milione e mezzo di nostri figli e figlie ha subito la morte, la fame, la malattia; è stato deportato e costretto a camminare fino alla morte” (Il Sismografo 27 gennaio).

Il patriarca ha sottolineato il mancato riconoscimento del genocidio da parte delle istituzioni turche, dai tempi del fondatore Ataturk fino all’attuale presidente Erdogan, cui si accompagna una “negazione criminale della Turchia”, cioè un’opera attiva di negazionismo.

“GUERRA” DI COMMEMORAZIONI

Per la Turchia è difficile riconoscere degli eventi storici la cui crudeltà coinvolge gli stessi padri fondatori della moderna repubblica. Qualche apertura diplomatica verso l’Armenia non ha mai preso in considerazione la possibilità di riconoscere il “genocidio”: per i turchi le vittime furono “solo” 350 mila e per la maggior parte morirono per “tragica fatalità” durante i trasferimenti coatti della popolazione armena nell’est del Paese.

L’anno scorso, tuttavia, in occasione del 24 aprile e della memoria del “Grande Male”, il presidente Erdogan inviò un messaggio con il quale offrì le condoglianze ai discendenti degli armeni morti “nelle circostanze dell’inizio del XX secolo”, specificando che “è un dovere umano capire e condividere la volontà degli armeni di commemorare le loro sofferenze durante quel periodo”.

Quest’anno, nel timore delle ricadute politiche delle celebrazioni che si svolgeranno a Yerevan il 24 aprile prossimo, il governo turco ha deciso di anticipare di due giorni l’anniversario della vittoria nella battaglia dei Dardanelli del 1915 (di solito ricordata il 25 aprile) proponendo a 102 capi di Stato e di governo – tra cui il presidente armeno Serzh Sargsyan – un vertice per la pace a Istanbul proprio il 24 aprile. “Un tentativo grossolano – lo ha definito nella risposta a Erdogan il presidente armeno – di distrarre l’attenzione della comunità internazionale dalla commemorazione del centennale del genocidio armeno”.

IL “GIORNO DELLE MEMORIE”

Di fronte alla “contabilità” dei morti e ai contorcimenti diplomatici, assume maggior significato la proposta dello scrittore Moni Ovadia che vorrebbe trasformare la “Giornata della memoria” istituita il 27 aprile in ricordo delle vittime della Shoah che non furono solo ebrei ma anche “rom, antifascisti, omosessuali, menomati, Testimoni di Geova, slavi, emarginati, militari che rifiutarono di piegarsi ai nazifascisti” in “Giorno delle memorie”. “La nuova denominazione – scrive lo scrittore – dovrebbe riorientare le manifestazioni, gli studi, l’edificazione della casa della Memoria come laboratorio della cultura di pace, di giustizia, di uguaglianza nel ricordo di tutti i genocidi e degli stermini di massa” (gariwo.net).


http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_gennaio_27/papa-pietralata-tor-bella-monaca-poi-va-napoli-celebra-armeni-a8764676-a610-11e4-96ea-4beaab57491a.shtml

 

Papa a Pietralata e Tor Bella Monaca
poi va a Napoli e celebra con armeni

In febbraio e marzo visita alle due parrocchie della periferia: denso di impegni il calendario della Quaresima: «Dobbiamo pregare per accettare la volontà di Dio»

di Ester Palma

 

ROMA – Due visite in parrocchie di periferia, dove il disagio sociale e la crisi economica si fanno sentire particolarmente: nel periodo della Quaresima papa Francesco visiterà San Michele Arcangelo a Pietralata (domenica 8 febbraio alle 16) e quella del Santissimo Redentore a Tor Bella Monaca (l’8 marzo, stessa ora). Il calendario degli impegni papali nel periodo che precede la Pasqua è molto fitto: il 21 marzo compirà una visita pastorale a Napoli e Pompei, mentre dal 22 al 27 febbraio farà gli esercizi spirituali di Quaresima ad Ariccia, con i vertici della Curia. E domenica 12 aprile, II domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, celebrerà la messa per i fedeli di rito armeno per ricordare i 100 anni dal genocidio degli armeni a opera dell’Impero ottomano.

«L’importanza dell’obbedienza»

Intanto martedì mattina , nella quotidiana omelia di Santa Marta, ha ricordato l’importanza per i cristiani di «pregare per avere la voglia di seguire la volontà di Dio, pregare per conoscere la volontà di Dio, pregare per andare avanti con la volontà di Dio». Perchè l’«obbedienza alla volontà di Dio» è la vera «strada del cristiano». Francesco invita i fedeli a domandarsi: «Come faccio per fare la volontà di Dio? Prego perché il Signore mi dia la voglia di fare la sua volontà o cerco i compromessi perché ho paura della volontà di Dio?». E aggiunge: «Devo pregare per conoscere la volontà di Dio su di me e sulla mia vita, sulla decisione che devo prendere adesso, sul modo di gestire le cose. Per compiere quella volontà, che non è la mia: e non è facile». Ma in questo il cristiano ha un esempio illuminante: «Non è stato facile per Gesù che fu tentato nel deserto e anche nell’Orto degli Ulivi accettare la volontà del Padre – ricorda il Papa – ma con lo strazio nel cuore accettò il supplizio che lo attendeva. Non fu facile per alcuni discepoli, che lo lasciarono perché non capirono. Non lo è per noi, dal momento che ogni giorno ci presentano su un vassoio tante opzioni». La strada della disobbedienza a Dio ha origine nella storia dell’uomo: «Cominciò in Paradiso con la non obbedienza di Adamo e quella disobbedienza ha portato il male a tutta l’umanità. I peccati sono atti di disobbedienza a Dio».

27 gennaio 2015 | 12:28