NARDO’ – Conto alla rovescia per i festeggiamenti in onore del Santo Patrono San Gregorio Armeno. Portadimare.it

Tra le novità dell’edizione 2015 la celebrazione delle vittime del terremoto del 1743 con un momento di raccoglimento e preghiera in piazza Salandra alle ore 17,30

Due convegni per l’edizione 2015, il 19 ed il 20 febbraio:

il 19 febbraio, giovedì, per non dimenticare la tragedia del genocidio armeno di cui quest’anno ricorre il centenario dall’inizio dello sterminio di massa. Organizzato dal Comitato Feste Patronali “San Gregorio Armeno” in collaborazione con il Rotary Club di Nardo e di Lecce.

il 20 febbraio, venerdì¸ per un approfondimento ed un confronto sui temi della promozione e lo sviluppo del territorio della Terra D’Arneo

Il Patrocinio è del Comune di Nardò

Giovedì 19 febbraio, ore 17:00, Celebrazione della S. Messa Solenne presieduta da S. E. Mons. Domenico D’ Ambrosio, Arcivescovo della Diocesi di Lecce

Alle 18:00, la Processione attraverserà le vie principali della Città

Conto alla rovescia per i festeggiamenti in onore del patrono di Nardò.

Il 20 febbraio Nardò tornerà a celebrare la sua “Festa” per eccellenza, quella in onore del suo Santo Patrono, San Gregorio Armeno. La cui santa mano fermò il flagello del terremoto che la notte del 20 febbraio 1743 devastò Nardò, mietendo molte vittime, per la maggior parte donne e bambini, di modesta estrazione sociale.

Da quell’evento, la narrazione. Che ha consentito a quel prodigio di rinnovare, sino ai nostri giorni, il suo significato e di conservare ben saldi, ancora oggi, senso e valore per un’identità collettiva di cui la Città è fiera. Da quella notte la Città esprime la sua gratitudine ed i neretini venerano quel Vescovo venuto dall’Oriente come Patrono, tornando, nella ricorrenza di quella notte di terrore, al suo cospetto per ringraziare.

La narrazione intorno al prodigio si intreccia, ancora oggi, con quella di una Terra che, da secoli, coltiva il culto verso San Gregorio, vescovo dell’Armenia, terra flagellata, nelle viscere, dai terremoti e, nello spirito della sua Gente, dalla repressione, dalla violenza, dalla deportazione. Ed il legame tra Nardò e l’Armenia, torna ad essere un filo conduttore importante e irrinunciabile nella vocazione al dialogo tra Culture e Religioni diverse di cui la Città è testimone.

Nell’edizione 2015 il culto tributato a San Gregorio si nutre e cresce così nel solco della nostra tradizione di Terra generosa, ospitale, accogliente. Il 24 aprile 2015 si ricorderà il centenario dall’inizio del genocidio armeno: è passato ormai un secolo da quando cominciò quello sterminio di massa che portò all’eliminazione fisica di un almeno 1.200.000 armeni dal territorio dell’impero ottomano.

Per non dimenticare anche la tragedia del genocidio degli armeni che ha segnato, un momento di profondo buio della ragione nella storia e di cui si rischia di perdere completamente il ricordo nel cammino delle generazioni, Nardò offre il suo contributo sul tema conconvegno di Studi in programma il 19 febbraioalle ore 10:00 presso il Chiostro dei Carmelitani dal titolo “ARMENIA; un Popolo e la sua Storia a 100 anni dal Genocidio” organizzato dal Comitato Feste Patronali “San Gregorio Armeno”   che si è adoperato – nonostante le difficoltà legate alla crisi economica – per organizzare i festeggiamenti solenni in onore del Santo Patrono, in collaborazione con i ROTARY Club di NARDO’ e LECCE e con il Comune di Nardò.

Contributi e testimonianze rilevanti e soprattutto una qualificata presenza di ospiti eccellenti che segnerà l’arrivo in Città di Plenipotenziari armeni e di personalità di spiccato valore politico, sociale e religioso che saranno, per due giorni, ospiti della Città.

Per la prima volta insieme, e grazie ad una efficiente macchina organizzativa attivata dal Comitato, saranno presenti nella nostra città, S.E. Dr.Sargis Ghazaryan, Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Repubblica Italiana, S.E. Mr. Mikayel Minasyan , Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede, (accompagnato da una delegazione tra cui spicca il nome del Consigliere dell’Ambasciata, Mr. Vartan Karapetian, già curatore della mostra “Armenia. Impronte di una Civiltà. 2011-2012), Mr. Rupen Timurian, Delegato Unione Armeni d’Italia – Regione Puglia ed il Prof. Baykar Sivazlyan, Docente presso l’Università di Milano, nonché Presidente Unione Armeni d’Italia.

Non poteva mancare tra tante eccellenze la Prof.ssa Isabelle Oztasciyan Bernardini, dell’Università del Salento, Rappresentante a Lecce dell’Unione Armeni d’Italia nonché Presidente del Rotary Club 2120 di Lecce. Anche il Rotary Club di Nardò partecipa all’evento con un contributo del suo presidente, Cesare Sabato, che aprirà i lavori del convegno giovedì 19 febbraio. Altri graditi ospiti saranno alcuni religiosi del “Monastero Mechitarista di S. Lazzaro” di Venezia, tra cui Padre Panos Kechichian e due diaconi Sarkis Sarkisyan e Zakevos Grigoryan che terranno una celebrazione con Rito Liturgico Armeno il 17 febbraio 2015 alle ore 18:00 presso la Chiesa Cattedrale di Nardò, Saranno presenti inoltre il Sindaco di Fiorano Modenese Prof. Francesco Tosi, l’Assessore alla Cultura del Comune da anni gemellato con Nardò, dr.ssa Morena Silingardi ed il dr. AngeloGesualdi, componente del Consiglio Comunale di Fiorano.

Il Convegno di Studi dal titolo “ARMENIA; un Popolo e la sua Storia a 100 anni dal Genocidio” in programma per il 19 febbario alle ore 10.00 presso il Chiostro dei Carmelitani vede il seguente programma:

–       Prof.ssa Isabelle Oztasciyan Bernardini, Università del Salento – Rappr. Lecce Unione Armeni d’Italia – Presidente Rotary Club 2120 – Lecce.

–       Mr. Rupen Timurian, Delegato Unione Armeni d’Italia – Regione Puglia.

–       Prof. Baykar Sivazlyan, Università di Milano – Presidente Unione Armeni d’Italia.

Concluderà S. E. Dr. Sargis Ghazaryan,Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Repubblica Italiana, con un suo intervento dal titolo: “Il centenario del Genocidio Armeno (19152015): tra memoria e riconciliazione”.

Il convegno sarà introdotto dal Dr. Cesare Sabato, del ROTARY CLUB Nardò e dal Sindaco di Nardò, Avv. Marcello Risi.

Coordinerà i lavori l’arch. Giancarlo De Pascalis, responsabile per le Attività Culturali e per i Rapporti Internazionali del Comitato S. Gregorio Armeno, che dagli anni della sua presenza come Vicesindaco di Nardò ha fortemente rafforzato i Rapporti internazionali con l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia, e che in questi anni si è distinto nel suo ruolo di Consigliere Comunale per aver proposto la Delibera del Consiglio Comunale di Nardò per il riconoscimento del Genocidio Armeno da parte della città, nel 2012.

Come abbiamo già detto, l’importanza dell’evento in calendario a Nardò il 19 febbraio, porterà in Città anche l’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede, S. E. Mr. Mikayel Minasyan , accompagnato dalla moglie Mrs. Anush Minasyan, dalla di lui madre, Mrs. Armine Hasratyan , e dal Consigliere dell’Ambasciata, Mr. Vartan Karapetian, curatore della mostra “Armenia. Impronte di una Civiltà. 2011-2012”.

Nel pomeriggio di Giovedì 19 febbraio,alle ore 17:00 seguirà la Celebrazione della S. Messa Solenne presieduta da S. E. Mons. Fernando Filograna, Vescovo della Diocesi di Nardò-Gallipoli, alla presenza delle autorità civili e religiose, nonché delle autorità internazionali presenti. E alle ore 18.00 seguirà la solenne processione che attraverserà le vie principali della Città.

Il giorno successivo, venerdì 20 febbraio è in programma, organizzato dal Comitato con la collaborazione del G.A.L. TERRA d’ARNEO, il Convegno su “Promozione e sviluppo di un territorio: la Terra D’Arneo”, cui parteciperanno:

–       Cosimo Durante, Presidente GAL “Terra d’Arneo”;

–       Gabriella Battaglia, Rappresentante I.A.T. Nardò;

–       Albertino Sanasi – Presidente Oleificio Cooperativo R.F. di Nardò.

Il convegno sarà introdotto dal Vice- Sindaco di Nardò, Carlo Falangone e sarà coordinato dal Dr. Cosimo CAPUTO, Presidente del Comitato S. Gregorio Armeno

Tra le novità dell’edizione 2015 la celebrazione delle vittime del terremoto del 1743.

Alle ore 17:30 di venerdì 20 febbraio (l’orario è quello nel quale avvenne il terremoto del 1743) – Piazza Salandra sarà testimone di un momento di raccoglimento e di preghiera alla memoria delle vittime del sisma. Sarà l’occasione per esprimere vicinanza e per un momento di riflessione e preghiera per le vittime del genocidio del Popolo Armeno, in occasione del 1° Centenario dello sterminio (1915-2015). Le campane della Cattedrale sottolineeranno il momento con 100 rintocchi.

Nella mattinata del 20 febbraio prevista anche l’esibizione per le vie del Centro Storico del “Nuovo Concerto Bandistico – TERRA d’ARNEO” della Città di Nardò.

Mentre dalle 19:30 in poi saranno graditi ospiti e intratterranno la popolazione il gruppo musicale CAFE’ CHINASKI  il cantante e MARCO FERRADINI. Ospite d’Onore: il comico PIPPO FRANCO da “Il Bagaglino” di ROMA.

 

SAN GREGORIO – Programma e ospiti: dagli ambasciatori armeni a Pippo Franco

Eurovision 2015: l’Armenia porta i Genealogy! Eurofestivalnews.com

Nel bel mezzo del clima sanremese che sta investendo tutto il nostro paese (e l’Europa) arrivano nel tardo pomeriggio notizie riguardanti la partecipazione armena al prossimo Eurovision Song Contest. Una partecipazione che porta con sé molte novità: sarà infatti un gruppo del tutto nuovo, i Genealogy,  a rappresentare l’Armenia a Vienna.

Un gruppo (i cui 6 componenti non sono ancora stati ufficializzati) composto da artisti di origine armena ma provenienti da diversi parti del mondo, in particolare da tutti i cinque continenti e dall’Armenia stessa. Conosceremo il primo componente del gruppo il prossimo 16 febbraio.

L’idea sarà quella di unire tutto il popolo armeno, sotto la canzone Don’t deny (Non rinnegare), a seguito della diaspora in tutto il mondo che colpì proprio la popolazione armena nel lontano 1915, come conseguenza di uno dei genocidi più terribili che la storia del novecento ricordi. Il tema sul genocidio degli armeni è anche il tema da cui è nata la canzone che rappresenterà la Francia, che sarà interpretata da Lisa Angell (N’oubliez pas).

Un idea che si lega non solo allo slogan di quest’anno, Building Bridges, ovvero costruire dei “ponti” nel simbolo della pace, dell’unità e della tolleranza, ma anche alla recente conferma della partecipazione australiana alla manifestazione. Insomma, pare che quest’anno la particolarità che caratterizzerà il concorso, sarà quello di ampliare idealmente questi valori in maniera globale, non solo strettamente al continente europeo.

Turchia fa saltare il vertice Ue-Ankara Agccomunication

By Anna Lotti

TURCHIA – Ankara. 11/02/15. Ankara ha annullato la prossima riunione della commissione parlamentare mista UE-Turchia dove c’era all’ordine del giorno anche il genocidio armeno. Fonte Hurriyet.

L’incontro si doveva terne il 18 e 19 febbraio a Istanbul in Turchia. In precedenza, le autorità turche hanno avvertito l’Unione europea che Ankara si rifiutava di tenere la riunione del Comitato parlamentare mista UE-Turchia, se il suo programma includeva discussioni sul “genocidio armeno”. Il genocidio si riferisce agli accadimenti durante l’impero ottomano nei confronti degli armeni che vivevano in Anatolia nel 1915. La Turchia ha sempre negato che il “genocidio” abbia avuto luogo. Mentre rafforzare gli sforzi per promuovere il “genocidio” nel mondo, gli armeni hanno ottenuto il suo riconoscimento da parte dei parlamenti di alcuni paesi. Anche se la Turchia ha proposto più volte di creare una commissione indipendente per indagare gli eventi del 1915, l’Armenia continua a respingere questa proposta. Inoltre, in precedenza, le autorità turche hanno ripetutamente fatto gesti conciliatori verso Armenia. Il messaggio di Recep Tayyip Erdogan al popolo armeno, il 24 aprile 2014 uno di questi gesti recenti.
Erdogan ha detto in quel messaggio che gli eventi del 1915 sono stati un momento difficile, non solo per gli armeni, ma anche per gli arabi, curdi e rappresentanti di altre nazioni che vivono nel paese.

Eurovision 2015: l’Armenia porta i Genealogy! Eurofestivalnews.com 11.02.2015

Nel bel mezzo del clima sanremese che sta investendo tutto il nostro paese (e l’Europa) arrivano nel tardo pomeriggio notizie riguardanti la partecipazione armena al prossimo Eurovision Song Contest. Una partecipazione che porta con sé molte novità: sarà infatti un gruppo del tutto nuovo, i Genealogy,  a rappresentare l’Armenia a Vienna.

Un gruppo (i cui 6 componenti non sono ancora stati ufficializzati) composto da artisti di origine armena ma provenienti da diversi parti del mondo, in particolare da tutti i cinque continenti e dall’Armenia stessa. Conosceremo il primo componente del gruppo il prossimo 16 febbraio.

L’idea sarà quella di unire tutto il popolo armeno, sotto la canzone Don’t deny (Non rinnegare), a seguito della diaspora in tutto il mondo che colpì proprio la popolazione armena nel lontano 1915, come conseguenza di uno dei genocidi più terribili che la storia del novecento ricordi. Il tema sul genocidio degli armeni è anche il tema da cui è nata la canzone che rappresenterà la Francia, che sarà interpretata da Lisa Angell (N’oubliez pas).

Un idea che si lega non solo allo slogan di quest’anno, Building Bridges, ovvero costruire dei “ponti” nel simbolo della pace, dell’unità e della tolleranza, ma anche alla recente conferma della partecipazione australiana alla manifestazione. Insomma, pare che quest’anno la particolarità che caratterizzerà il concorso, sarà quello di ampliare idealmente questi valori in maniera globale, non solo strettamente al continente europeo.

Turchia-Armenia: un confine di comodo. Arabpress.eu

Di Carlotta Caldonazzo il 9 febbraio 2015

A cento anni dal genocidio armeno, proposta l’apertura del confine

 

Di Maxime Guain. Hürriyet Daily News (05/01/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Dentro e fuori la Turchia si intensifica la campagna a favore dell’apertura del confine turco-armeno, una richiesta rivolta solo al governo di Ankara, come se questo fosse l’unica parte in causa. Un fatto che insieme alle recenti scaramucce diplomatiche attorno alle commemorazioni del centenario del genocidio armeno riapre una questione complessa e delicata senza offrire prospettive per una soluzione razionale e ragionevole.

Due gli episodi alla base dell’ultima querelle diplomatica tra Ankara ed Erevan. A gennaio il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha invitato il suo omologo armeno Serge Sarkisian alle commemorazioni del centenario della battaglia di Gallipoli (Çanakkale), ricevendo in risposta un deciso diniego. Un suo diritto certo, ma la sua lettera di risposta era aggressiva e focalizzata esclusivamente sulle sofferenze (indubbie) degli armeni. Nessuno può pretendere dalla maggioranza dei turchi che neghino i crimini di guerra commessi dai volontari armeni dell’esercito russo, mesi prima della deportazione di armeni del 1915-16, secondo episodio del genocidio armeno (il primo è relativo alla campagna contro gli armeni del sultano Abdülhamid II tra il 1894 e il 1896). Similmente nessuno dovrebbe dimenticare che molti storici turchi si sono schierati contro la linea negazionista del genocidio armeno di Hakan Yavuz (docente di scienze politiche all’Università dello Utah), da Ankara purtroppo spesso sbandierata come linea ufficiale.

Il secondo incidente si è verificato durante la visita a Erevan del giornalista turco Hasan Cemal, che ha dato prova di coraggio e onestà intellettuale. Anzitutto quando ha pubblicato il saggio 1915. Il genocidio degli armeni, in cui ha apertamente ammesso l’esistenza di quell’oscura pagina della storia turca (tra i principali organizzatori del genocidio armeno c’era peraltro il nonno di Cemal, Cemal Paşa) porgendo le sue scuse. Il libro era una risposta all’assassinio nel 2007 del suo amico e collega Hrant Dink. Vale la pena osservare che finora la pista dei poteri occulti turchi (tra cui spicca l’organizzazione chiamata Ergenekon) non è stata ancora esclusa e l’omicidio di Dink potrebbe essere collegato a quello di don Andrea Santoro. Cemal nel 2013, è stato costretto a dimettersi dalla redazione del quotidiano turco Milliyet, per le sue interviste a esponenti di spicco del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), tra cui Abdullah Öcalan e Murat Karaylan, e per la sua pubblicazione di un rapporto della visita di Öcalan al parlamento turco.

A Erevan Cemal è stato duramente criticato, per aver definito terroristica l’organizzazione marxista-leninista armena ASALA (affermazione peraltro più o meno condivisibile) e per aver esplicitamente parlato dell’occupazione armena dell’Azerbaijan tra il 1992 e il 1994. Neanche i nazionalisti armeni della diaspora, come l’esponente di ASALA in Francia Jean-Marc “Ara” Toranian, avevano mai osato attaccare Cemal come hanno fatto i nazionalisti armeni in patria. A parte l’indubbia necessità per Ankara di abbandonare definitivamente la posizione negazionista sul genocidio armeno, a Erevan affiorano talvolta fenomeni altrettanto inquietanti. Come il richiamo esplicito, da parte del Partito Repubblicano al governo, agli scritti di Garegin Nzhdeh, colpevole della pulizia etnica ai danni degli Azeri nel 1918-20, che ha elaborato la teoria di una “religione di razza” e all’inizio della Seconda Guerra Mondiale si è rifugiato alla corte nazista. Nel 2013 la memoria di Nzhdeh è stata celebrata all’Università di Erevan, dove gli è stata dedicata una statua.

A risolvere una volta per tutte la questione turco-armena non sarà né l’apertura del confine, né inviti a celebrazioni e risposte irritate. Un primo passo sarebbe invece la liberazione individuale da posizioni monolitiche e stucchevoli. Di certo aggredire uno dei pochi turchi che ha avuto il coraggio di scusarsi pubblicamente per il genocidio armeno (in barba alla legge del 2005 che punisce qualsiasi insulto all’identità nazionale turca) non ha rappresentato un passo avanti.

Maxime Guain è ricercatore al Centro di Studi Eurasiatici (Avim) e dottorando al dipartimento di storia della Middle East University.

Biennale di Venezia. Il padiglione dell’Armenia spiegato da Adelina Cüberyan von Fürstenberg. Atribune.com

http://www.artribune.com/2015/02/biennale-di-venezia-il-padiglione-dellarmenia-spiegato-da-adelina-von-furstenberg/

 

Il curatore e commissario Adelina Cüberyan von Fürstenberg rivela in anteprima la scelta del percorso d’arte contemporanea che si potrà osservare alla Biennale di Venezia 2015. Anno, fra l’altro, della commemorazione del centenario del Genocidio. Un gesto di ricongiungimento fra l’Armenia e la sua diaspora.

 

Arménité riunisce artisti di diverse generazioni: affermati (Yervant Gianikian, Sarkis e Anna Boghiguian), artisti mid-career (Aikaterini Gegisian e Nigol Bezjian) e artisti emergenti (Haig Aivazian, Hera Büyüktasçıyan) coprendo l’arco di quarant’anni. L’incontro collettivo fra i diversi tessuti narrativi e formali presuppone non solo una condizione spaziale, ma anche una sensibilità comparabile che permette agli artisti armeni di ri-conoscere la propria terra come un lascito familiare immateriale, da sempre compreso. Inoltre l’estetica legata alla diaspora armena oltrepassa necessariamente il pensiero binario di argini contingenti e di categorie, collocando la propria cultura visuale in determinate terres du milieu, rilevando emergenze interstiziali nelle quali re-interpretare il presente.
Nel 2015, nell’anno del centenario del Genocidio, il Ministero della Cultura armeno ha ufficialmente incaricato un curatore della diaspora non tanto di selezionare artisti contemporanei dell’Armenia, ma di offrire la parola ad artisti della diaspora stessa, dimensione altrettanto armena nei confronti della Nazione in sé e per sé. Promuovendo, quindi, un significativo gesto politico di riunione.
Nel 2015, a Venezia, durante la 56. Biennale d’Arte, come si evolve il rapporto tra l’Armenia e la sua diaspora? In quale misura l’Italia partecipa, emancipando lo statuto fisico di Arménity e trasformandosi in terreno testimone di corrispondenze? Chi sono i custodi contemporanei, portatori di segni e semi della diaspora armena e di quale sostanza compongono la loro Arménité? Inoltre, in quale misura la storia delle origini rappresenta isole, comunità di individui nel mondo, all’interno delle quali sopravvive un sentimento intersoggettivo e condiviso di appartenenza armena? Artribune si è rivolto a Adelina Cüberyan von Fürstenberg, curatore e commissario del Padiglione Armenia.

 

Alle origini di queste ipotesi, nasce l’accezione assunta dal titolo del percorso e dalla parola Armenity, nei confronti delle commemorazioni del Centenario del Genocidio e della celebrazione della Diaspora.“Il neologismo‘Armenity’ fa riferimento a un titolo che non esiste in realtà. Un significato traslitterato in francese, mentre in inglese, come parola in sé e per sé, non ha definizione. ‘Arménité’ rappresenta l’impronta di una presenza armena che trascende la sua armenitudine, un’attitudine altrettanto armena di affrontare le difficoltà. Manifestandosi come un habitus, un ethos, un modo di essere nel mondo. ‘Armenity’, dalla parola francese ‘arménité’, potrebbe essere considerata una specificità dei nipoti dei sopravvissuti del genocidio armeno, un senso moderno e spesso soggettivo dell’esser-ci heideggeriano, in un flusso continuo, con una grande diversità in ogni singola auto-definizione. Nella dimensione un altrove sconosciuto, una collettività – e non un solo singolo individuo come avviene nel fenomeno della resilienza-, attraverso la negatività imprescindibile provata nel domare un trauma, fa nascere un superamento e dunque un ribaltamento verso la propria vittoria. Ma l’Arménité”, prosegue la curatrice,“non è solamente memoria di sofferenze o sete di giustizia, quanto piuttosto un lascito, un’eredità in continua crescita all’interno della quale una nuova generazione d’origine armena può fiorire. L’Arménité è una storia d’amore, una fierezza che la gioventù vuole far vivere, condividere e trasmettere”.
Gli artisti selezionati per corrispondere e interpretare l’Arménité fanno ricorso al loro contesto culturale di riferimento e a vissuti puntuali, derivanti anche dai numerosi trasferimenti agiti durante l’esistenza. Il fine è trascendere limitazioni ideologiche e geografiche, universalizzando concetti come oppressione, nazionalismo, mitologia, storia, identità, memoria e misticismo. Ogni singolo lavoro presentato rimarca l’invisibilità di una linea esistente tra costruzione e decostruzione, così come determinate problematiche contemporanee, attraverso un’individuale poetica di sopra-vivenza. Lo spazio dei loro interventi ridisegna un territorio ulteriore, un regno ritrovato all’interno del quale ciascuno diventa parte di un ritorno al presente. Piano temporale che mette a punto una cultura della contemporaneità, delineando fondamenti umani totali.

 

“È da circa due millenni che il popolo armeno è in lotta per preservare il territorio, trovandosi nell’Asia Minore, area di passaggio e di conquiste. La positività del popolo armeno nel ricostruirsi, nell’affrontare la negatività, oggi, si integra profondamente con l’Arménité degli artisti che la configurano. In Laguna, sebbene a Venezia siano presenti Padiglioni che esistono da più di cento anni, San Lazzaro, nel quale si sviluppa il percorso espositivo, è presente da oltre trecento anni”, racconta il commissario. “Con la sua storia e i tesori culturali in esso preservati, oggi, il Monastero riflette esattamente le caratteristiche del discorso su Arménité  – una regione condivisa del pensiero che deve essere riprodotta e trasmessa – legittimando, in una certa misura, la trasformazione dell’isola in un Padiglione. Rinnovato luogo d’arte, esposizione e visita”.
Ma quale significato trasmette la ricorrenza del Genocidio all’interno di una delle rassegne più globali dedicate all’arte contemporanea? “L’Istituzione Biennale è da sempre uno specchio del proprio tempo e la 56. cade esattamente nel 2015, anno coincidente con il centenario della commemorazione del Genocidio e della celebrazione della Diaspora, ricorrenze che acquistano un significato più intenso, profondo perché onorate all’interno delle mura del Monastero di San Lazzaro. Gli artisti armeni della Diaspora”, prosegue Adelina von Fürstenberg,“attualmente viventi, attivi e chiamati a rappresentare l’Armenia in un contesto internazionale, hanno oggi molteplici nazionalità ed esperienze acquisite, perché discendenti dei sopravvissuti, antenati che hanno riscattato l’antica fuga con una vita esemplare. Per loro l’appartenenza si trasforma in un legame a un ‘paradiso perduto’, territorio che non collima mai con quello in cui risiedono e vivono. Questo scarto fa sì che gli artisti possano rappresentare la loro propria conoscenza e coscienza, da sempre considerabili come domini interiori, attraverso nozioni assolute; valori che creano analogie e sentimenti simili, condivisi all’interno di una medesima comunità. Anche questo significa appartenere a un gruppo, a una nazione, da qualche parte. Ogni artista della diaspora, che interpreta il proprio vissuto e i propri ‘sentiti dire’, sublima il mondo contemporaneo in cui vive, anche attraverso il sapere della cultura appartenente alla nazione di residenza. Creando, dunque, tra i due territori di riferimento, una dicotomia risolta. Un’unione delle due ricollocazioni”

Arménité, infatti, si presenta come un luogo che, nel sovrapporsi alle regioni geografico-fisiche, automaticamente si identifica con il racconto puntuale ed esperienziale di un altrove. Terra universale delle proprie origini.
Tra de-territorializzazione e ri-territorializzazione, se intere entità sociali, nei prossimi secoli, devono ricominciare a convivere all’interno di un contesto costruttivo, diventa imperativo che si inizi a comprendere, anche attraverso Arménité, come questi cambiamenti stiano modificando le molteplici cartografie culturali e le diverse produzioni artistiche, per evitare lettura superficiale di ogni presenza nel mondo. Ma come, all’interno della statuto dell’arte, gli artisti armeni della diaspora operano con la memoria e rappresentano la loro appartenenza? Quali tipologie di identità, ibride e in conflitto, vengono riconciliate attraverso le loro pratiche? Come leggere un’assenza apertamente politica nella genetica di alcuni lavori? Questa assenza è dovuta a un differimento oppure a una sorta di superamento di determinati preconcetti? È possibile che queste ambiguità, portando in se stesse nuovi linguaggi, richiedano l’analisi di nuove traduzioni? Quali racconti, dunque, le loro opere trasmettono, relativamente al momento transnazionale corrente? E a partire da quale luogo possono essere formulate alcune risposte? Risposte che in parte troveremo a partire da maggio al Monastero sull’Isola di San Lazzaro.

Ginevra Bria

http://artfortheworld.net/

Turchia, «una messa all’anno in un luogo sacro non è motivo di vanto». Lastampa/Vaticaninsider

La scrittrice Arslan firma la prefazione di un volume sullo sterminio degli armeni. E giudica «cose di facciata» le promesse del governo turco sulla libertà religiosa

Luciano Zanardini
Roma

 

Il 24 aprile del 2015 ricorre il centenario del genocidio armeno che colpì 2 milioni di persone. A lungo taciuto, ancora oggi la Turchia non lo riconosce. Antonia Arslan è impegnata da anni, attraverso le sue pubblicazioni, a far conoscere il genocidio armeno, che fu programmato dall’alto e i cui metodi vennero ripresi su scala maggiore da Hitler. Del resto tedeschi e austriaci erano stati collaboratori dell’Impero ottomano.

 

Lo stesso Hitler nel 1939, programmando la strage degli ebrei arrivò a dire: «Noi possiamo fare quello che vogliamo. Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?». Proprio in queste settimane la Casa Editrice Giuntina ha ripubblicato un piccolo volume «Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno», curato da Fulvio Cortese e Francesco Berto, che ospita a commento delle quattro testimonianze la prefazione della Arslan: «Questo non è un romanzo: è una storia di armeni e di ebrei. Sono qui raccolte le parole, le descrizioni, le impressioni, il grido di dolore di alcuni degli ebrei che hanno seguito in prima persona il procedere del genocidio armeno e hanno vissuto da vicino quei mesi e quegli anni terribili, spesso in posizioni privilegiate di osservazione».

 

In marzo manda, invece, alle stampe, per Rizzoli, il terzo volume (il titolo è ancora da definire) della sua storia personale iniziata con «La masseria delle allodole (arrivata alla 32ª edizione)» e continuata con «La strada di Smirne». La scrittrice nel 2009 aveva vissuto l’esperienza del coma diventata poi un libro («Ishtar 2») che «ha commosso parecchia gente: non c’è romanzo, è una breve cronaca di cosa succede quando ci si risveglia; la malattia da un lato ti fa apprezzare la vita e poi ti rende emotivamente più sensibile. Ho avuto un periodo di disperazione, ma il risveglio dal coma mi ha ridato allegria, perché è allegro tornare alla vita». Nella sua vita la fede ha giocato un ruolo decisivo, quella fede troppo spesso osteggiata dai governi autoritari.

 

Dal 23 al 25 aprile la Turchia ha organizzato una grande rivisitazione della battaglia di Gallipoli, invitando i capi di Stato di tutto il mondo. «È senza dubbio per distogliere l’attenzione dallo sterminio armeno. Non è soltanto una questione di un gruppo di persone che si riuniscono per commemorare… Dobbiamo, comunque, imparare dalla storia. Il cammino dell’essere umano è tutto un movimento; è importante tenere presente quello che è successo proprio per evitare che si possa ripetere. La frase che ripetiamo spesso “perché non succeda mai più” non è, purtroppo, vera. Le grandi potenze sono cieche, non comprendono che certi interventismi inutili o un certo voltarsi dall’altra parte facendo finta di nulla si rivolta contro di loro…».

 

Erdogan ha promesso nuovamente anche la costruzione di una chiesa per la comunità siriaca. «Se ne vantano, ma sono cose di facciata. Il governo turco ha permesso, per esempio, che dopo quasi 100 anni si celebri una messa una volta all’anno nel monastero di Sumela vicino a Trebisonda (è un grande monastero greco di una bellezza sconvolgente) e una messa all’anno nella grande chiesa armena dell’ottavo secolo ad Asmar sul lago di Van. Concedere una messa all’anno in un luogo sacro non mi sembra motivo di grande vanto. Per carità, se guardiamo il bicchiere è mezzo pieno, quindi è meglio che succeda, non ne farei però una medaglia per dire “quanto sono democratici”».

Massacri, stupri e odio Il genocidio degli armeni così feroce e così attuale Il Giornale

Nel 1915 iniziò in Turchia una pulizia etnica che anticipò la Shoah In nome della Guerra santa un intero popolo venne costretto all’esodo.

 

Quando nonno Yerwant raccontava della sua lontana infanzia nell’Armenia anatolica, ogni cosa acquistava il colore di un quieto idillio pastorale. C’erano valli ubertose e ruscelli mormoranti, pianure e villaggi montani, e c’era la Masseria delle Allodole, dove lui, il figlio maggiore, correva libero per campi e frutteti, e rubava con l’amico Ovhannes i giganteschi meloni con una carriola.

 

C’era la sua mamma Iskuhì dalle gote di pesca, così giovane, quasi bambina, che lo abbracciava stretto e poi giocava con lui. Le storie del Paese Perduto. Quante volte le ripetevano gli armeni sopravvissuti al Metz Yeghérn (Il Grande Male), il genocidio del 1915, sparsi dappertutto per il vasto mondo, quanti particolari raccontavano sui parenti scomparsi nel ferro e nel fuoco, sulle piccole memorie di piccoli eventi vicini al loro cuore di bambini strappati al nido e a ogni caldo conforto! E come era irrimediabile la loro profonda malinconia: sapevano che non c’era rimedio possibile, che per loro non si sarebbe mai potuto parlare di ritorno, e che lo shock dell’abbandono e della solitudine non si sarebbe mai cancellato. E sapevano che, se parlavano, non li ascoltava nessuno…

Un popolo in diaspora, che in quella terribile estate del 1915 venne scacciato per sempre – attraverso la morte o l’esilio – dalle sue terre ancestrali: e non a causa di terribili eventi naturali, ma per la funesta volontà politica del triumvirato che controllava l’impero Ottomano, e che aveva deciso di farla finita con le minoranze. Una storia ben nota all’epoca, di cui tutta la stampa (anche quella italiana!) parlò abbondantemente. Sui giornali del 1915-16 si trovano infatti moltissime notizie sui massacri armeni: si pubblicavano corrispondenze e rapporti di consoli, mercanti, viaggiatori che in quel momento si trovavano all’interno dell’impero e che avevano assistito impotenti agli orrori e potuto misurare di persona l’estensione e la violenza degli avvenimenti. Giacomo Gorrini, console italiano a Trebisonda, concesse al Messaggero di Roma un’intervista lucida e appassionata che resta ancor oggi come uno dei più documentati rapporti sull’eliminazione degli armeni dal grande porto sul Mar Nero: le barche cariche di gente fatte colare a picco, gli uomini e i ragazzi finiti a colpi di accetta; e poi stupri, rapimenti delle giovani donne, schiavitù dei bambini.

Ma perché la strage degli armeni è considerata il primo genocidio del Ventesimo secolo? Che cosa lega questa tragedia, avvenuta durante la Prima guerra mondiale, alla Shoah ebraica durante la Seconda? Quali sono le somiglianze fra Hitler e i tre massacratori degli armeni, i ministri Talaat, Enver, Djemal? Il genocidio degli armeni fu uno dei frutti avvelenati del nazionalismo ottocentesco, attecchito nell’impero Ottomano (sotto le mentite spoglie di una lotta ai vecchi costumi e alla corruzione del governo dei Sultani) col colpo di Stato del 1908, che portò al governo il partito dei Giovani turchi. Una specie di «primavera ottomana» riscaldò in quel periodo i cuori dei giovani delle minoranze, ma la ventata democratica durò assai poco, e gli armeni e i greci che – illusi – avevano marciato insieme ai Giovani turchi dovettero ben presto riconoscere che il sogno di una nuova nazione escludeva proprio loro, classificandoli come minoranze riottose di cui diffidare.

Una teoria ideologica a sostegno della preminenza dei «turchi di sangue» fu elaborata (come ha riportato alla luce lo storico turco Taner Akcam); una sistematica opera di de-umanizzazione e di pulizia etnica fu lanciata, ma per poter operare fino in fondo con successo (e per coinvolgere la popolazione turca, chiamandola anche alla guerra di religione contro gli armeni cristiani) ci voleva l’occasione adatta: fu il conflitto mondiale.

Agosto 1914: tuonano i cannoni d’agosto, come si disse allora. L’intera Europa si precipita a cuor leggero nell’immensa strage della Grande guerra. Novembre 1914: l’impero Ottomano entra in guerra a fianco degli imperi Centrali, Germania e Austria-Ungheria. Il principale artefice di questa scelta turca fu proprio Enver, modesto stratega dall’io fuori misura; ma oltre a tentare un’offensiva sul fronte russo, dove venne ingloriosamente sconfitto, si sentì le mani libere per affrontare la cosiddetta «questione armena». Gli armeni divennero il capro espiatorio ideale, una personale ossessione. E qui si vedono i motivi per chiamare questa tragedia genocidio. Fu uno sterminio preparato a freddo, organizzato, totale, che aveva come bersaglio un popolo intero, senza fare differenze fra uomini, donne, vecchi, bambini: lo scopo era l’eliminazione di un gruppo etnico dalla sua patria ancestrale, e fu raggiunto. Circa i tre quarti del popolo armeno in Turchia scomparve, nei mille modi dell’orrore: gli uomini subito uccisi, le donne avviate alla morte lenta della deportazione nel deserto. Furono usati vagoni piombati, primitive camere a gas, eliminazioni collettive: le tecniche usate per l’annientamento degli armeni divennero un modello che sarà ripetuto nel corso del Novecento, prima di tutto contro gli ebrei.

L’affinità fra armeni ed ebrei è apparsa sempre più evidente negli ultimi anni, in documenti e testimonianze uscite da archivi, biblioteche, corrispondenze private, da cui emergono agghiaccianti parallelismi nella sistematicità e nella ritualità delle esecuzioni, e anche nella spietata efficienza dei carnefici. Non c’è davvero nulla di nuovo sotto il sole. Provocando brividi di orrore, oggi la televisione esibisce immagini di decapitazioni di ostaggi, che seguono un preciso percorso rituale. Ma nel Dna degli armeni sono incise analoghe, terribili foto risalenti a cent’anni fa, e anche di più: teste tagliate di intellettuali, sgocciolate dal sangue, venivano esposte davanti al fotografo con garbo e un pizzico di soddisfatto orgoglio, come monito e segno di disprezzo verso i deboli appartenenti a un volgo sconfitto. Questa è l’ombra lunga del 1915, la profondità dell’abisso del male da cui ogni tanto ci illudiamo ingenuamente di essere usciti: eppure la scelta umile e coraggiosa della vita è sempre possibile, come la tenace diaspora armena ha dimostrato.

 

Libri

A marzo esce il nuovo libro di Antonia Arslan Il rumore delle perle di legno (Rizzoli) che conclude la trilogia iniziata con La masseria delle allodole (Rizzoli, 2004) e proseguita con La strada di Smirne (Rizzoli, 2007)

Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno a cura di Francesco Berti e Fulvio Cortese (Giuntina)

Cancellare un popolo. Immagini e documenti del genocidio armen o di Benedetta Guerzoni (Mimesis, 2013)

Convegno

The Armenian Genocid e 1915-2015 , convegno internazionale presso l’Università di Padova, 11-12 marzo

Il violoncello di Narek Hakhnazaryan ambasciatore culturale dell’Armenia. Voce d’Italia

Una splendida realta’ dal grande futuro

Successo per il concerto alla Iuc con la pianista Oxana Shevechenko

 

Martedì 3 febbraio 2015 la stagione  dell’ Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma aveva in programma un concerto affidato al nuovo astro della musica, il violoncellista, Narek Hakhnazaryan accompagnato dalla pianista kazaka Oxana Shevechenko.

E’ stato un concerto di grande interesse non solo per motivi strettamente musicali, dei quali parleremo dopo, ma anche per motivi storico-sociali.

Il bravo violoncellista Narek Hakhnazaryan, di origini armene, è stato scelto dal proprio paese come ambasciatore ‘culturale’ per porre all’attenzione del mondo quella che è stata una delle tragedie del suo popolo, il cosidetto Genocidio degli Armeni perpetrato nel 1915 dai turchi verso gli armeni dell’Anatolia e del resto dell’Impero Ottomano,  forse il primo esempio dell’epoca moderna di sistematica soppressione di una minoranza etnico-religiosa.

Una campagna di eliminazione di massa che non scaturì soltanto dall’ideologia, chiaramente razzista, del Partito dei Giovani Turchi, ma che ebbe origine già nell’800 a causa di quelle contrapposizioni religiose tra i mussulmani ottomani e curdi e la minoranza cristiana armena.

La notte tra il 23 e 24 aprile del 1915 iniziarono i primi arresti e le prime repressioni degli armeni, un’operazione di distruzione sistematica che lasciò più di un milione di vittime; un fatto poco conosciuto che l’ambasciatore di Armenia a Roma, Sargis Ghazaryan, ha voluto ricordare prima del concerto, soprattutto quest’anno, quando il 24 aprile si celebrerà il centenario di questi tristi avvenimenti che, per essere posti all’attenzione del mondo, è stato scelto come vettore culturale proprio Narek Hakhnazaryan, l’artista più illustre di questa nazione.

Ora veniamo alla musica. Innanzi tutto gli esecutori. Narek Hakhnazaryan è giovanissimo, classe 1988, ed è balzato all’attenzione del mondo musicale per aver vinto nel 2011 il Primo Premio e la Medaglia d’Oro al XIV Concorso Internazionale Caikovskij un prestigioso riconoscimento che gli ha spalancato le porte delle sale da concerto più famose del mondo.

La pianista kazaka Oxana Shevechenko ha una storia analoga perché, sempre nel 2011 e nello concorso è risultata Miglior Pianista Accompagnatore, suonando proprio con lo stesso Hakhnazaryan.

All’Aula Magna dell’Università la Sapienza si è, quindi, ricomposto questo speciale ‘duo’ che si è cimentato in un programma di estremo interesse che metteva in contrapposizione grandi capolavori, per violoncello e pianoforte, dell’800 e del ‘900; nella prima parte l’ Adagio e Allegro op. 70 di Schumann, la grande Sonata n. 5 in re maggiore op. 102 n. 2 di Beethoven e l’ Introduzione e Polacca Brillante in do maggiore op. 3 di Chopin. Nella seconda parte la Sonata n. 1 in re minore di Debussy e la Suite Italienne di Stravinskij.

Narek Hakhnazaryan ha fornito una prova ‘gigantesca’ in quanto a calore ed espressività del suono del violoncello percepito da noi ascoltatori in modo assolutamente emozionante, per la strepitosa cantabilità che il violoncellista ha impresso a tutta l’esecuzione esaltando le palpitazioni romantiche dell’Adagio di Schumann e la giocosità della trascinate Polacca chopiniana così come la mestizia di quei sentimenti di morte che caratterizzano la prima sonata di Debussy e lo strepitoso , quasi magico e coinvolgente, senso del ritmo della tarantella della suite di Stravinskij.

Oxana Shevechenko è stata l’accompagnatrice ideale di questa nuova stella che, ne siamo certi, illuminerà la musica nel terzo millennio, confermando tutti i pregi del loro sodalizio artistico che parte da quel 2011 e che ha trovato splendida realizzazione nella Sonata n. 5 di Beethoven, riuscendo ad esaltare le caratteristiche strutturali che il compositore ha impresso a questo capolavoro, dove i due strumenti dialogano alla ‘pari’ donando al violoncello lo spunto per estrinsecare tutte le sue potenzialità espressive che si materializzano nel movimento centrale Adagio con molto sentimento d’affetto che è stato uno dei vertici esecutivi di tutta la serata.

Il pubblico si entusiasmato all’ascolto di questo meraviglioso concerto, applaudendo a lungo i due giovanissimi interpeti cha hanno ringraziato con tre bis di grande rilievo, le vistusistiche Variazioni siu un tema di Rossini di Niccolò Paganini, una delicata ninna nanna di Aram Kachaturjan e Vocalise di Sergeij Rachmaninoff adattada per violoncello e pianoforte dalla stessa Shevechenko.

Claudio Listanti
claudio.listanti@voceditalia.it

Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni? Huffingtonpost.it

Il primo gesto del nuovo presidente della Repubblica appena eletto è stato quello di recarsi al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, per rendere omaggio alla vittime della feroce barbarie nazifascista, a Roma.

D’altra parte solo qualche giorno fa, il 27 Gennaio, è stata celebrata la Giornata della Memoria per ricordare la liberazione dei campi di concentramento, e più in generale per condividere una memoria “storica” della strage operata dai nazisti contro il popolo ebraico. La Shoah. Il genocidio.

È risaputo che la descrizione del reato di genocidio sancita dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin è fondata sulle dinamiche stesse del genocidio armeno.

“Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni?”, chiese Hitler ai suoi ufficiali per spingerli alla soluzione finale della questione ebraica.
C’è una grande ignoranza in effetti riguardo allo sterminio del popolo armeno, di cui, quest’anno, si celebra il centenario. 1915-2015.
Il 24 Aprile è il giorno stabilito per la celebrazione, in ricordo della strage della intellighenzia armena, avvenuta proprio il 24 Aprile del 1915. Strage ad opera delle milizie paramilitari, sotto la diretta responsabilità dei Giovani Turchi.
“Medz Yeghern”, in armeno. Il Grande Male.
Genocidio.
“…singolare composizione di un etimo greco con uno latino. Si sarebbe dovuto dire “genicidio”, ma la parola era efficace e fu adottata”, leggo da uno stralcio della relazione del professor Vassalli, tenuta a Palazzo Valentini, a Roma il 3 maggio 2000 in occasione della tavola rotonda XX secolo: genocidio e genocidi.

Della questione armena e della Armenia si sa poco. I confini stabiliti nel 1991: a Ovest con la Turchia, a Est con l’Azerbaijan, a Sud una piccola striscia di confine con l’Iran.
Un punto nevralgico della politica medio-orientale attuale.
Dell’Armenia studiamo poco.
Forse più per assonanza che per vera consapevolezza, penso alla via degli artigiani napoletani dei presepi. Oppure alla bella chiesa armena di San Nicola da Tolentino, nel centro di Roma, proprio tra via XX settembre e piazza Barberini.

Tempo fa alla presentazione di un bel libro di fotografie Hotel Rebibbia, scatti realizzati all’interno della casa di reclusione da un amico fotografo, ho conosciuto un armeno.
Il primo, credo.
È un signore sulla sessantina, ben curato, capelli brizzolati, naso adunco, le mani forti nella stretta. Educato.
Mi raccontò di essere un ex detenuto. Aveva scontato una lunga condanna per reati legati perlopiù alla sua attività politica. È stato un militante dell’Asala, Armata segreta armena per la liberazione dell’Armenia. Anarchici e socialisti, si sono battuti, sanguinosamente anche, per il riconoscimento del genocidio degli Armeni e il conseguente risarcimento per le vittime delle stragi e della confisca dei beni.
Questa rivendicazione ora si sposta su un piano giuridico, al fine di tentare di ottenere il risarcimento da parte della Turchia e della Comunità europea.
Ci scambiammo i rispettivi contatti, con la promessa di risentirci e approfondire l’argomento.

Quando gli ho telefonato, è stato cordiale e contento di scambiare opinioni su un tema per lui così sentito.
L’appuntamento è in centro, davanti ad una delle più grandi librerie della città.
È un po’ in ritardo, ma quando esce dalla libreria mi mostra con un certo orgoglio il libro della sua relatrice di laurea, la professoressa Donatella Di Cesare, Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo.
Si è laureato in filosofia, con una tesi in filosofia del linguaggio.
In realtà nei lunghi anni di detenzione si è laureato in Architettura, e solo dopo si è laureato anche in Filosofia.
Ha avuto molto tempo a disposizione e tanta volontà.
Discutiamo un po’ di Heidegger, da punti di vista divergenti, dopo esserci salutati, mentre attraversiamo il ghetto ebraico diretti alla terrazza del Campidoglio.
C’è un bel sole ad illuminare i pochi tavoli sulla grande terrazza che si apre sul ghetto.
Dopo un paio di caffè, dopo aver saggiato la mia ignoranza riguardo alla questione armena, tira fuori dalla borsa che si porta dietro del materiale cartaceo che sospettava potesse servirmi.
Trascorriamo due ore a leggere le carte per avere intanto una idea, e quando ci salutiamo la promessa è di rivederci presto, con più coscienza e conoscenza della questione del primo genocidio del ‘900.

A casa, cerco un documentario a cui ha accennato I figli dell’Ararat, realizzato da Piero Marrazzo, giornalista Rai.
Scopro che Aznavour è armeno. Il nome originario è Aznavourian.
È intervistato anche il mio amico, qualche anno fa, più giovane più sveglio. Ma anche rinchiuso tra le mura gli odori i rumori del carcere di Rebibbia.
È stato giudicato per i suoi reati ed ha scontato la sua condanna. Io non lo giudico.
Cerco semplicemente di ascoltare ciò che ha da dire. Anche solo per imparare ciò che non so: le sue ragioni.

C’è un testo molto chiaro e semplice della professoressa Maria Immacolata Macioti Il genocidio armeno nella storia e nella memoria. È una prima lettura necessaria.
Sfogliando i documenti che mi ha fornito, ciò che per primo risulta è il parallelismo tra il genocidio ebraico e quello armeno. Entrambi possono essere definiti “modelli di genocidio” dell’epoca moderna, del secolo breve. Nonostante questo, però, è necessario anche scorgere le caratteristiche proprie di ognuno.
Innanzitutto gli Ebrei a differenza degli Armeni, in quanto accusati di deicidio, hanno patito, già prima dello sterminio, una più marcata esclusione sociale.

Altra sostanziale differenza, che è messa in luce, è che gli Ebrei vivevano in territori diversi in Germania e nel resto d’Europa, mentre gli Armeni popolavano la loro terra tra la Cilicia e l’Anatolia.
Pertanto se si è tentato di sterminare gli Ebrei a livello mondiale, gli Armeni sono stati sterminati “solo” sulle loro terre di origine.

Terre che dopo la scomparsa quasi totale del popolo che le coltivava, sono state confiscate.
Queste nuove conoscenze fanno barcollare un certo “tono” tutto occidentale di certezza e di sapere.
Quando rivedo il mio “amico”, mi racconta pezzi della sua storia a sprazzi. Armeno di terza generazione. In Armenia ancora non c’è mai stato. I suoi nonni sono riusciti a sfuggire allo sterminio e a fuggire in Libia dove lui è nato. Si è poi trasferito in Italia con una parte della sua famiglia.

La condizione di esilio e spesso di povertà che subisce una popolazione costretta alla diaspora verso altri paesi (gli armeni verso Usa, Medio-Oriente e Russia, Europa) è solo uno dei crimini contro l’umanità che rivendica la giusta attenzione al fine di rompere quel silenzio “complice”.

“Il silenzio, ‘in quanto negazione’ è l’ultimo atto di un genocidio”, c’è scritto negli atti della Commissione parlamentare della Camera dei deputati.
“(…) in altri termini è quell’atto (il silenzio) che rende il crimine del genocidio, un crimine perfetto”.

La Turchia ha sempre posto in atto questa strategia del silenzio, negazionista. Nel corso degli anni ha tentato non solo di negare ogni responsabilità diretta o indiretta del genocidio, ma ha anche ostacolato il riconoscimento del genocidio da parte dell’Onu.
Ha negato l’apertura degli archivi affinché non potessero emergere le responsabilità relative al genocidio e alla sua pianificazione da parte del Comitato unione e progresso, Ittihad Ve Terraki.

A questo proposito, le dichiarazioni del premier Erdogan dello scorso aprile sono sembrate una reale svolta ai fini della riparazione del danno compiuto dalle unità paramilitari.
Erdogan, ed era la prima volta da parte di un primo ministro turco, ha presentato le condoglianze della Turchia ai discendenti degli Armeni sterminati intorno al 1915.
L’Italia e altri venti paesi oltre al Parlamento europeo, il Consiglio d’Europa e la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, definisce “genocidio” la strage perpetuata contro il popolo armeno.

Il prossimo 24 aprile pertanto può essere anche l’occasione per tentare di trasmettere ancora alle giovani generazioni il ripudio dell’odio razziale e la ricchezza dei rapporti tra popoli, civiltà e culture differenti.

In Italia, con una risoluzione della VII Commissione, dello scorso Luglio, si è impegnato il Governo “ad avvivarsi per far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado durante l’anno scolastico 2014/2015 si promuova la conoscenza e lo studio del genocidio del popolo armeno, attraverso testimonianze e lezioni (…) favorendo la diffusione della cultura della pace e della concordia tra i popoli, nel rispetto delle differenti identità religiose e culturali”.