Per non dispiacere Ankara, i diplomatici di Bergoglio minimizzano il genocidio armeno che diventa “i tragici fatti del 1915” (Il Messaggero 06.02.16)

Far rientrare la crisi diplomatica con la Turchia è costata parecchio al Vaticano: come per esempio rinnegare il genocidio armeno che, nella nuova versione convenuta, è diventato: “i tragici fatti del 1915”. E dire che Papa Bergoglio aveva parlato chiaro l’anno scorso, riferendosi al milione e mezzo di vittime armene sterminate dai turchi in due anni di atrocità inenarrabili. Francesco, con grande coraggio, non aveva esitato ad usare la parola che la Turchia non ammette. Genocidio. A distanza di qualche mese, pur di risolvere il contenzioso aperto con Ankara, i diplomatici del Vaticano si sono piegati alle regole realpolitik. E pazienza se quel buio capitolo storico è stato trasformato in: “i tragici fatti del 1915”, come se quegli eventi fossero frutto di un non ben precisato incidente, e non tanto un piano diabolico, preparato a tavolino nel 1915 per cancellare dalla faccia della terra un intero popolo, dal triumvirato Enver-Talat-Jemal (ministri considerati tuttora dei padri della Patria e non dei criminali per l’umanità). “I tragici fatti” sono menzionati, nero su bianco, nel comunicato diffuso mercoledì scorso dal Vaticano, al termine della udienza generale, per annunciare un libro scritto dal direttore della Caritas turca: “il signor Rinaldo Marmara ha presentato a Sua Santità Papa Francesco una copia del suo libro La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657. Questo volume è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657”. Dietro questo apparentemente innocuo comunicato si nasconde una trattativa estenuante, fatta per sanare la frattura con Ankara e fare ritornare in Vaticano l’ambasciatore turco richiamato per protesta dopo che il Papa, il 13 marzo dell’anno scorso, osò pronunciare la fatidica parola: “genocidio”. La Turchia come condizione sine qua non aveva chiesto al Vaticano una dichiarazione riparatrice di Francesco che però si era rifiutato di fare una dichiarazione simile, probabilmente memore della scortesia usata nei suoi confronti durante il viaggio in Turchia, due anni fa, quando fu costretto a censurarsi e a non menzionare mai il genocidio del popolo armeno, per non dare dispiacere al presidente Erdogan. Alla fine è bastato il comunicato di mercoledì scorso. Dietro la realpolitik dei diplomatici in talare si staglia il prossimo viaggio in Armenia del Papa a maggio. La meta è Yerevan, anche se il Papa vorrebbe unire una tappa in Azerbaijan e in Georgia. Un programma un po’ ambizioso visto che un’altra grana sta per scoppiare perché gli armeni hanno già fatto sapere alla Santa Sede che se il Papa vuole andare in Armenia non potrà di certo andare in Azerbaijan

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Armeni, disgelo Turchia-Vaticano grazie a un libro (Agi 05.02.16)

Ankara – Un libro sulle guerre tra veneziani e ottomani nel ‘600 ‘galeotto’ del disgelo tra Vaticano e Turchia. La presentazione a Papa Francesco del volume “La squadra pontificia ai Dardanelli, 1657” e’ stata l’occasione per una distensione nei rapporti tra Santa Sede e Ankara dopo la crisi sugli armeni. Il volume – una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana – e’ curato dal portavoce della Conferenza Episcopale Turca, Rinaldo Marmara, e da Canan Parmaksizoglu Sami ed e’ stato presentato mercoledi’ al Pontefice al termine dell’udienza generale.
In un comunicato, la Santa Sede ha sottolineato “il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identita’ religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915”. Ankara, da parte sua, annunciando il ritorno del proprio ambasciatore in Vaticano, ha accolto con favore che la Santa Sede avesse fatto riferimento ai “tragici eventi del 1915” senza definirli “genocidio”, come accaduto l’anno scorso.
E’ il 1657 e, dopo ripetute richieste, Papa Alessandro VII ha deciso di aiutare la Repubblica di Venezia, impegnata a fronteggiare gli ottomani nello Stretto dei Dardanelli nell’ambito della guerra di Creta. La flotta pontificia, cinque galere al comando del nipote del pontefice, il senese Giovanni Bichi, parte ad aprile da Civitavecchia per unirsi, in giugno, all’armata veneziana presso Scio, sotto gli ordini del capitano generale, l'”orbo” Lazzaro Mocenigo.
La relazione del viaggio delle galere pontificie in Levante e’ anonima, anche se si ritiene che l’autore possa essere Marco Antonio Meniconi da Perugia. Chi scrive, in ogni caso, critica apertamente la conduzione delle attivita’ militari e, in particolare, l’eccessiva avventatezza del comandante generale Mocenigo.

La seconda battaglia dei Dardanelli ha inizio il 17 luglio 1657; i veneziani – e i loro alleati maltesi e pontifici – dapprima riescono a respingere l’assalto dei turchi. Nei giorni successivi, Mocenigo decide di cercare di attaccare le navi ottomane rimaste sottocosta, strategia piuttosto rischiosa perche’ le imbarcazioni veneziane si devono cosi’ esporre al fuoco delle batterie di terra nemiche. Il 19 luglio un colpo d’artiglieria, sparato dalla costa, colpisce la santabarbara dell’ammiraglia veneziana, facendola saltare in aria e uccidendo lo stesso Mocenigo. L’armata cristiana e’ costretta a ripiegare su Tenedo, sconfitta; gli ottomani, dopo quasi un decennio, riprendono il controllo dei Dardanelli.
“La mattina delli 17 giorno non dedicato a marte, come il volgo si persuade, ma come i piu’ devoti sentono consacrato alla gloriosa Vergine di Costantinopoli, d’onde a punto parve ch’ella amasse, tramandone i trionfi, perche’ piu’ al vivo, riconosciuta la vittoria de suoi nemici per le sue mani, le ne rendessimo le dovute grazie”, scrive il relatore.
La morte di Mocenigo provoca gravi ripercussioni: i generali maltese e pontificio rifiutano di prestare obbedienza al nuovo comandante e decidono, con le loro squadre, di fare ritorno a ‘Ponente’.
Nei mesi successivi gli ottomani riusciranno cosi’ a riprendersi anche le isole di Lemno e Tenedo, conquistate dai veneziani nel 1656, quando avevano inflitto ai turchi la piu’ grande sconfitta dall’epoca di Lepanto. (AGI)

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La scrittrice Antonia Arslan alla Malatestiana per ripercorrere la storia del popolo armeno Eventi a Cesena (Cesenatoday 05.02.16)

La scrittrice Antonia Arslan alla Malatestiana per ripercorrere la storia del popolo armeno Eventi a Cesena

Il Centro culturale “Campo della Stella” propone venerdì 5 febbraio alle 17.30 nell’Aula Magna della Biblioteca Malatestiana un incontro con Antonia Arslan sul tema “Gli Armeni. Dal genocidio alla speranza” a un secolo dai tragici eventi che segnarono in modo così drammatico la storia del popolo armeno e che furono a lungo oscurati nella ricostruzione storica.

La scrittrice, figlia di profughi armeni in Italia è stata docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. Attraverso l’opera del grande poeta armeno Daniel Varujan — del quale ha tradotto le raccolte II canto del pane e Mari di grano — ha dato voce alla sua identità armena. Ha poi curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghèrn, Il genocidio degli Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni).

Nel 2004 ha raggiunto il grande pubblico con il suo primo romanzo, La masseria delle allodole, che ha vinto il Premio Stresa di narrativa, è stato finalista del Premio Campiello e che tre anni dopo è stato portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Ha poi pubblicato nel 2009 La strada di Smirne e nel 2015 Il rumore delle perle di legno, dedicato alla sua infanzia in Italia e  alla madre.

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L’Azerbaijan condannato a Strasburgo per maltrattamenti contro un giornalista (Osservatorio Balcani e Caucaso 05.02.16)

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Azerbaijan per trattamenti inumani e degradanti e mancanza di indagini effettive nel caso di Hilal Mammadov (no. 81553/12), giornalista maltrattato dalla polizia durante la detenzione in attesa di giudizio.
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Il 21 giugno 2012 Mammadov, direttore del giornale bilingue in azero e taliscio Tolishi Sado (La voce dei talisci), venne attaccato da poliziotti in borghese, che secondo il suo racconto lo pestarono, gli infilarono in tasca della droga, quindi lo infilarono in un’auto, insultandolo per le sue origini etniche e per un video che aveva caricato su Youtube. Mammadov si rese conto di essere stato preso in custodia dalle forze dell’ordine solo quando si ritrovò al dipartimento narcotici del ministero dell’Interno, dove venne arrestato per possesso di droga. Nonostante avesse dichiarato che la droga non gli appartenesse, Mammadov venne accusato di possesso illegale di grandi quantità di sostanze stupefacenti, oltre che di tradimento dello stato e di incitamento all’odio etnico, razziale, sociale o religioso, e venne messo in detenzione in attesa di giudizio.

I suoi ricorsi contro la detenzione preventiva vennero rigettati. Il 27 settembre 2013 venne condannato per tutti i capi d’imputazione a cinque anni di carcere, sentenza confermata in appello nel giugno 2014. Mammadov denunciò alle autorità investigative di essere stato maltrattato dalla polizia, ma nell’agosto 2012 e di nuovo nel novembre 2012 il vice procuratore generale rifiutò di aprire un’indagine sul caso. A Mammadov venne inoltre impedito di parlare in prigione con il suo legale, al quale venne sospesa la licenza d’avvocato.

Nel caso di Mammadov, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la violazione degli articoli 3 (trattamenti inumani e degradanti, e diritto ad un’indagine) e 34 (diritto ad un ricorso individuale). Il governo di Baku dovrà pagare a Mammadov 15.500 euro per danni morali e spese legali. La sentenza di Strasburgo non è definitiva; il governo azero può richiederne una revisione presso la Gran Camera della Corte entro tre mesi.

Intanto Mammadov resta in carcere, nella prigione numero 17 di Baku. Secondo Human Rights Freedoms, Mammadov era stato coinvolto in attività a difesa dei diritti umani e aveva dato voce ad opinioni critiche, tanto sulla carta stampata quando sulle reti sociali, riguardo alle politiche delle autorità di governo. Amnesty International l’ha riconosciuto come uno dei tanti prigionieri di coscienza in Azerbaijan. Appelli per il suo rilascio sono venuti dal rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media e dal rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa.

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Vaticano, torna ambasciatore turco dopo nota su eventi del 1915 (Vatican Insider 03.02.16)

In seguito ad una nota del Vaticano che stamane ha espresso apprezzamento per «il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori» relativamente al «dolore» e alle «sofferenze» sostenute, «indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica», «da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915», la Turchia, stasera, ha deciso il rientro in servizio del proprio ambasciatore presso la Santa Sede, Mehmet Pacaci, congelato dopo che, ad aprile scorso, il Papa aveva parlato apertamente del «genocidio» armeno.

Questa mattina, al termine dell’udienza generale, ha informato il Vaticano in una nota della sala stampa ripubblicata integralmente dall’Osservatore Romano, «il Signor Rinaldo Marmara ha presentato a Sua Santità Papa Francesco una copia del suo libro “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / Ilk Canakkale Zaferi 1657”.

Questo volume è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Ieri sera, nel corso della presentazione del libro– prosegue la nota – l’Autore ha dichiarato che il suo obiettivo era di rendere accessibile agli storici e ai ricercatori turchi un’importante documentazione archivistica contenuta negli archivi vaticani e nella Biblioteca Vaticana. Il libro, nonostante le dolorose memorie della storia, illustra l’importanza delle ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità e della costruzione di ponti di cooperazione e di mutua comprensione. Alla luce di ciò, è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi – sottolinea la nota – i tragici eventi del 1915. I dolorosi fatti della storia non dovrebbero essere dimenticati; essi invece richiedono un attento esame e riflessione in modo da poter condurre alla guarigione e purificazione della memoria così necessaria per la riconciliazione e il perdono per gli individui e i popoli (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Convegno per commemorare il centenario della morte del Papa Leone XIII, 28 ottobre 2003).

La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Carim, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi. Particolarmente odiosa e offensiva è la violenza e il terrorismo commesso in nome di Dio e della religione. Come Sua Santità ha affermato durante la sua visita nella Repubblica Centroafricana: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio” (Papa Francesco, Discorso alla Comunità Musulmana nella Moschea centrale di Koudoukou, Bangui, Repubblica Centroafricana, 30 novembre 2015). Possano queste parole – conclude la nota vaticana – ispirare tutte le persone di buona volontà a ricordare e ad affermare la loro fratellanza, solidarietà, compassione e umanità condivisa e a reiterare la loro posizione comune contro ogni violenza». A quanto riferito dallo stesso Marmara alla stampa anatolica, il Papa ha tenuto a far arrivare al popolo turco il suo affetto e apprezzamento.

In serata il ministero degli Esteri turco, per bocca del portavoce Tanju Bilgic, ha dichiarato, in risposta alle domande dei cronisti, che la dichiarazione della sala stampa vaticana è stata accolta come uno sviluppo positivo ed ha annunciato che torna in servizio a Roma l’ambasciatore turco presso la Santa Sede Mehmet Pacaci.

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13/04/2015

Presentato al Papa il libro “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657″ (Radiovaticana.it 03.02.16)

Questa mattina, al termine dell’Udienza generale, è stato donata a Papa Francesco una copia del volume “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657”, da parte dell’autore, Rinaldo Marmara. Il libro è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Ieri sera, nel corso della presentazione del libro l’Autore ha dichiarato che il suo obiettivo era di rendere accessibile agli storici e ai ricercatori turchi un’importante documentazione contenuta negli archivi vaticani e nella Biblioteca Vaticana. “Il libro – si legge in una nota ufficiale – nonostante le dolorose memorie della storia, illustra l’importanza delle ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità e della costruzione di ponti di cooperazione e di mutua comprensione”.

Alla luce di ciò, si precisa, “è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915”.

“La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Carım, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere – prosegue la nota – anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi”. La nota conclude definendo “particolarmente odiosa e offensiva” la violenza e il terrorismo “commesso in nome di Dio e della religione” e citando le parole di Papa Francesco nella Repubblica Centroafricana: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio”.

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Ambasciatore turco torna in Vaticano dopo nota su nodo Armenia (First online 03.02.2016)

Città del Vaticano, 3 feb. (askanews) – In seguito ad una nota del Vaticano che ha espresso apprezzamento per “il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori” relativamente al “dolore” e alle “sofferenze” sostenute, “indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica”, “da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915”, la Turchia ha deciso il rientro in servizio del proprio ambasciatore presso la Santa Sede, Mehmet Pacaci, congelato dopo che, ad aprile scorso, il Papa aveva parlato apertamente del “genocidio” armeno.

“Questa mattina, al termine dell’Udienza Generale – informa il Vaticano in una nota ripubblicata integralmente dall’Osservatore Romano – il Signor Rinaldo Marmara ha presentato a Sua Santità Papa Francesco una copia del suo libro La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / ?lk Çanakkale Zaferi 1657. Questo volume è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Ieri sera, nel corso della presentazione del libro l’Autore ha dichiarato che il suo obiettivo era di rendere accessibile agli storici e ai ricercatori turchi un’importante documentazione archivistica contenuta negli archivi vaticani e nella Biblioteca Vaticana. Il libro, nonostante le dolorose memorie della storia, illustra l’importanza delle ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità e della costruzione di ponti di cooperazione e di mutua comprensione. Alla luce di ciò, è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi – sottolinea la nota – i tragici eventi del 1915. I dolorosi fatti della storia non dovrebbero essere dimenticati; essi invece richiedono un attento esame e riflessione in modo da poter condurre alla guarigione e purificazione della memoria così necessaria per la riconciliazione e il perdono per gli individui e i popoli (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Convegno per commemorare il centenario della morte del Papa Leone XIII, 28 ottobre 2003). La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Car?m, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi. Particolarmente odiosa e offensiva è la violenza e il terrorismo commesso in nome di Dio e della religione. Come Sua Santità ha affermato durante la sua visita nella Repubblica Centroafricana: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio” (Papa Francesco, Discorso alla Comunità Musulmana nella Moschea centrale di Koudoukou, Bangui, Repubblica Centroafricana, 30 novembre 2015). Possano queste parole ispirare tutte le persone di buona volontà a ricordare e ad affermare la loro fratellanza, solidarietà, compassione e umanità condivisa e a reiterare la loro posizione comune contro ogni violenza”. A quanto riferito dallo stesso Marmara, il Papa ha tenuto a far arrivare al popolo turco il suo affetto e apprezzamento.

In serata il ministero degli Esteri turco, per bocca del portavoce Tanju Bilgic, ha detto, in una risposta scritta ad una domanda dei giornalisti, che la dichiarazione della sala stampa vaticana è stata accolta come uno sviluppo positivo ed ha annunciato che torna in servizio a Roma l’ambasciatore turco presso la Santa Sede Mehmet Pacaci.

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Andate in Armenia ma non a gennaio (huffingtonpost 03.02.16)

Volevamo la neve, il freddo, il ghiaccio. E andare a colpo sicuro. Certo, c’era anche il rischio di finire a meno venti in un Paese paralizzato dalle bufere, con i passi montani chiusi e le strade impraticabili. Ma ci siamo andati lo stesso, e ne siamo rimasti entusiasti: anche perché di turisti in Armenia, a inizio gennaio, c’eravamo solo noi.

In Armenia siamo entrati dalla Georgia, con un pulmino scassato preso nella stazione di Tbilisi. Là c’era il sole e non c’era nemmeno un millimetro di neve. Tutto il contrario dell’Armenia, dove a gennaio il cielo è color ghiaccio e il raro sole è breve e incapace di scaldare. A Yerevan abbiamo deciso di affittare una macchina: l’unica abbordabile era una Lada Niva che sembrava prodotta negli anni Settanta, e invece era del 2009.

Abbiamo passato tanti bei momenti insieme. Tipo quando abbiamo oltrepassato il passo di Vorotan, a 2344 metri sul livello del mare. È stata una giornata memorabile: eravamo così contenti che abbiamo fatto anche un video.

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San Biagio, vescovo e martire (blog.graphe.it 03.02.16)

3 febbraio: santo del giorno è san Biagio, venerato come vescovo e martire.

Le notizie storiche su san Biagio sono poche: secondo una tradizione fu vescovo di Sebaste in Armenia e morì martire sotto Licinio (320-324). Anche il Martirologio Romano è avido di informazioni: «San Biagio, vescovo e martire, che in quanto cristiano subì a Sivas nell’antica Armenia il martirio sotto l’imperatore Licinio». A dispetto di questa scarsità di informazioni, san Biagio ha goduto di molta venerazione nelle Chiese d’Oriente e d’Occidente, anche per i miracoli a lui attribuiti.

La tradizione vuole che fosse un medico e poi vescovo della sua città. Durante le persecuzioni non rinnegò la propria fede in Cristo e per questo venne condannato a morte. Come ogni passione dei martiri, anche quella di san Biagio è ricca di dettagli nati dalla pietà popolare: mentre andava al martirio salvò un bambino da morte certa, visto che aveva ingoiato una lisca di pesce; venne prima scarificato con un pettine di ferro ma, visto che non moriva, venne gettato in un lago che ghiacciò e ne impedì l’annegamento. Alla fine gli venne tagliata la testa.

I dettagli della sua vita ritornano nella devozione popolare: san Biagio è patrono della gola ed evita problemi con le lische di pesce; è patrono dei cardatori per via del pettine di ferro con cui fu martirizzato; la vicinanza con la Candelora fa sì che in molte parti si usino le candele per benedire la gola con una formula che, pur variando da zona a zona, è fondamentalmente la seguente: “Per intercessione di san Biagio il Signore ti liberi dal mal di gola e da ogni altro male”. In diverse parti d’Italia, poi, in occasione della festa di san Biagio si usa benedire del pane che si mangia con devozione. A Milano è tradizione mangiare un ultimo pezzo di panettone avanzato dal Natale.

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Turchia, altre due condanne a Strasburgo (Osservatorio Balcani e Caucaso 02.02.16)

Ennesime condanne per la Turchia presso la Corte europea dei diritti umani (organo del Consiglio d’Europa). Secondo i giudici di Strasburgo le autorità turche hanno violato libertà di espressione ed equo processo in due casi distinti, nel 1998 e 2002.

Nel caso di Yücel Erdener (no. 23497/05), la Corte ha riscontrato una violazione della libertà di espressione. Erdener, allora deputata del DSP (Partito della sinistra democratica) era stata perseguita civilmente per diffamazione nel 2002, dopo aver commentato in una discussione privata con un giornalista sulle cure fornite all’allora premier Bülent Ecevit in un ospedale universitario privato. Secondo la Corte europea, la condanna civile di Erdener per diffamazione era stata sproporzionata, in quanto si trattava di un’opinione personale con una sufficiente base fattuale, e che la sentenza aveva certamente avuto un effetto di deterrenza sul libero dibattito di questioni di interesse pubblico.

Nel caso di Ramazan Sodan (no. 18650/05), la Corte ha riconosciuto una violazione del diritto ad un equo processo e al rispetto della vita privata. Sodan, vice prefetto di Ankara nel 1998, era stato trasferito a Gaziantep (nel sud est del paese) dopo che un’ispezione lo aveva trovato inadatto al ruolo a causa del “carattere introverso” e del fatto che sua moglie portava il velo, in base a due circolari ministeriali sulla prevenzione del separatismo e del fondamentalismo tra gli alti funzionari pubblici. Sodan non era mai stato ascoltato durante la procedura, e i suoi ricorsi amministrativi erano stati rigettati. Secondo la Corte europea, l’intromissione nella vita privata di Sodan, benché prevista dalla legge, non era necessaria in una società democratica, e i ricorsi interni (durati oltre sei anni) erano andati oltre la durata ragionevole di un processo.

Nessuna violazione dei diritti umani da parte delle autorità turche è stata invece trovata nel caso di Cavit Tınarlıoǧlu (no. 3648/04), che riguardava un incidente navale.

Entrambe le sentenze non sono definitive; il governo turco può richiederne una revisione presso la Gran Camera della Corte entro tre mesi.

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