Armenia: mons. Raphael Minassian, una famiglia cattolica massacrata e un bimbo ucciso nel villaggio di Thalisch (Sir 04.04.16)

“Piangiamo tutti i fedeli armeni cristiani che sono caduti vittime di questi scontri” ma la comunità cattolica è stata pesantemente colpita: nel villaggio di Thalisch una famiglia cattolica composta da una coppia e la nonna è stata massacrata. “Dopo averli uccisi hanno anche tagliato le orecchie”. I cattolici piangono anche la morte di un ragazzino di 12 anni, ucciso nel cortile della scuola, e altri due bambini che sono stati gravemente feriti. A stilare il doloroso “bollettino di guerra” dall’Armenia all’indomani degli scontri che nella notte tra venerdì e sabato hanno riacceso le tensioni nella Repubblica del Nagorno-Karabakh è monsignor Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa Orientale. “Purtroppo siamo sempre abituati ad avere questi attacchi”, dice il vescovo. La morte della famiglia cattolica massacrata è avvenuta nell’ambito di un attacco sferrato a tutto il villaggio. “Noi come religiosi – prosegue mons. Minassian – possiamo solo dire che sopportiamo tutto questo dolore e queste difficoltà per amore della nostra Patria e allo stesso tempo chiediamo a tutto il mondo una giustizia vera, e non una giustizia scritta dai giornali, per mettere la parola fine a questa guerra che sembra non finire. Purtroppo sono arrivato a una certa conclusione: finchè i politici non fanno parte della società umana, non avremo mai pace in questo mondo. Nella società ci si può parlare pacificamente e nel rispetto reciproco. Ma in politica non c’è né rispetto né pace. Non c’è umanità. C’è solo interesse. Solo quando questa politica si riappropria del senso dell’umanismo, solo allora si può auspicare una pace mondiale”.

Vai al sito

Il conflitto nel Nagorno-Karabakh fa alzare la tensione tra Russia e Turchia (Internazionale.it 04.04.16)

L’esercito dell’Azerbaigian ha annunciato lunedì 4 aprile la morte di tre suoi soldati negli scontri con le forze armene che si susseguono da tre giorni nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, un territorio a maggioranza armena in pieno territorio azero.

Dalla ripresa delle ostilità venerdì 1 aprile, sono rimasti uccisi almeno 33 soldati e tre civili. Più di 200 soldati e civili sono stati feriti. Si tratta dell’escalation più violenta da quando, nel 1994, l’armistizio firmato tra Erevan e Baku aveva ufficialmente chiuso le ostilità senza un accordo sullo status dell’enclave.

La comunità internazionale, Russia per prima, ha chiesto di deporre le armi, ma le dichiarazioni delle forze sul territorio hanno tutt’altro tono. “Se le provocazioni armene proseguiranno lanceremo un’operazione ampia lungo tutta la linea del fronte e useremo tutte le nostre armi”, ha affermato il portavoce del ministero della difesa dell’Azerbaigian, Vagif Dargahly.

Il ministero della difesa della regione separatista sostenuta dall’Armenia ha confermato la recrudescenza dell’offensiva: “Le forze azere hanno intensificato i bombardamenti sulle posizioni dell’esercito del Karabakh, usando mortai da 152 mm, lanciarazzi e carri”.

Ma il ministero della difesa di Erevan sostiene che l’esercito armeno “è ampiamente avanzato in certe zone del fronte e ha preso nuove posizioni”.

Baku aveva annunciato il 3 aprile che avrebbe cessato le ostilità in modo unilaterale, visto che già aveva conquistato diverse posizioni strategiche all’interno dell’enclave. Le autorità separatiste si sono dette “pronte a discutere una proposta di tregua”, ma solo a patto di riavere indietro i territori perduti.

  • Il territorio montuoso del Nagorno-Karabakh, nel Caucaso meridionale, è conteso tra popolazioni turco-azere e armeni dall’inizio del novecento.
  • Con la costituzione dell’Unione Sovietica la regione divenne un’enclave armena all’interno del territorio dell’Azerbaigian (nel 1923).
  • Dal 1988, l’enclave si è rivoltata contro il governo azero chiedendo l’annessione all’Armenia.
  • Questa rivendicazione è sfociata in una guerra: scoppiata nel 1992 – quando i separatisti dichiararono l’indipendenza da Baku – e terminata con la firma di un accordo di cessate il fuoco bilaterale nel 1994. Il conflitto ha lasciato almeno 30mila morti e centinaia di migliaia di profughi.
  • Il Nagorno-Karabakh da allora è una repubblica autoproclamata indipendente, sostenuta dall’Armenia, ma non riconosciuta dalla comunità internazionale. I rapporti tra l’Azerbaigian e l’Armenia non si sono mai normalizzati e le frontiere tra i due paesi rimangono chiuse. Gli incidenti sono continuati perché la tregua del 1994 non comprendeva una soluzione politica: l’Azerbaigian lamenta la perdita del suo territorio e rivendica il principio di integrità territoriale; gli armeni rivendicano quello di autodeterminazione dei popoli.
  • Il 1 aprile 2016 il conflitto si è improvvisamente riacceso, alimentando la preoccupazione internazionale

Uno scontro cruciale per Russia e Turchia

Il Nagorno-Karabakh si trova alla frontiera tra Turchia, Iran, Georgia e Cecenia russa, molto vicino a Iraq e Siria. Come scrive l’analista Bernard Guetta, dopo la guerra di Cecenia, nella regione sono arrivati dei jihadisti, e una scintilla basterebbe a dar fuoco alle polveri.

Secondo Guetta, dietro la ripresa delle ostilità in Nagorno-Karabakh c’è l’ombra della tensione tra Russia e Turchia: “In pessimi rapporti con la Turchia, che rifiuta di riconoscere il genocidio commesso un secolo fa, l’Armenia ha chiesto la protezione della Russia. L’Azerbaigian, culturalmente turco, è invece molto vicino ad Ankara, anche se la Russia vende armi a Baku per mantenere un piede nell’ex repubblica sovietica. Ognuno dei due paesi ha dunque il suo protettore, ma le due potenze in questione sono ai ferri corti tra loro da quando la Turchia ha abbattuto in autunno un aereo russo che aveva violato lo spazio aereo turco per bombardare la Siria. Forse Vladimir Putin è tentato dall’idea di umiliare la Turchia usando l’Azerbaigian?”.

Vai al sito

Sulla rotta del gas si riaccendono le tensioni nel Caucaso (Ilsole24ore 04.04.16)

La miscela del Caucaso torna infiammarsi perché ci sono tutti gli ingredienti per esplodere e gli attori giusti per un’altra guerra per procura: la Russia, un’ex superpotenza tornata in primo piano con la guerra di Siria e l’Ucraina, due ambiziose potenze regionali, la Turchia e l’Iran, coinvolte in una confronto per espandere la loro influenza, due ex repubbliche sovietiche, Armenia e Azerbaijan, in guerra per il Nagorno-Karabakh  E’ questa una nuova puntata dello scontro tra Erdogan e Putin già andato di Alberto Negri – Il Sole 24 Ore – Vai al sito

Nagorno-Karabakh, la guerra mai finita (Cittanuova.it 04.04.16)

Tra i tanti conflitti che scoppiano qua e là nel quadro di una Terza guerra mondiale non dichiarata, nel Caucaso meridionale riesplode il contenzioso armato tra azeri e armeni

Un grande smarrimento cresce nel Caucaso meridionale per la nuova battaglia scoppiata tra azeri e armeni nella piccola enclave del Nagorno-Karabakh, abitata ormai quasi esclusivamente da armeni, nel territorio dell’Azerbaijan. Ogni due o tre anni sono scoppiate negli ultimi 20 anni delle nuove scaramucce, ma stavolta sembra proprio che la questione sia più seria.

Vi ero stato nel 2007, potendo vedere le vastissime macerie a cielo aperto provocate dalle guerre precedenti e un certo desiderio di allentare le tensioni, da parte degli armeni almeno, vincitori della guerra del 1994, che aveva fatto circa 30 mila morti e, si dice, 200 mila profughi azeri. Ma a Baku la visita ai profughi ancora in condizioni di emergenza mi aveva svelato la complessità tragica della situazione.
L’allora presidente del Nagorno-Karabakh mi aveva fatto dono di un libro sulla distruzione delle chiese armene da parte degli azeri, e un ministro azero mi aveva regalato un analogo volume che illustrava al contrario la profanazione delle moschee da parte degli armeni. Avevo incontrato a Sushi un vescovo armeno guerrafondaio e a Stepanakert dei laici di entrambe le parti invece pacifici. Il fatto è che le due popolazioni a lungo hanno convissuto, per secoli. Più o meno pacificamente. Il Caucaso è un carrefour della storia.
La lotta tra azeri e armeni, va detto, è sempre scoppiata per cause esterne, ben più dirompenti delle diatribe locali: dopo la caduta del muro di Berlino, nella prima guerra del 1994, e ora per la lotta feroce che impazza tra Erdogan e Putin, il primo oggi alleato degli azeri, il secondo degli armeni (la Russia ha una base militare in Armenia). Con sullo sfondo le questioni energetiche, visto che l’Arabia naviga su gas e petrolio.
Ora è stato dichiarata una tregua unilaterale da parte degli azeri, dopo che sul terreno sono rimasti una quarantina di morti. Ma gli armeni sostengono che sarebbe un bluff per coprire un’offensiva di ampia portata. C’è da sperare che il buon senso prevalga sulle menzogne della guerra.

Vai al sito

 

Cosa sta succedendo nel Nagorno-Karabakh (Tpi.it 04.04.16)

Gli scontri tra l’esercito dell’Azerbaigian e quello armeno nella regione del Nagorno-Karabakh continuano per il terzo giorno consecutivo, nonostante le pressioni internazionali per fermare i combattimenti nel territorio conteso.

L’Azerbaigian ha reso noto che quattro dei suoi soldati sono stati uccisi durante la notte quando le forze armene hanno bombardato le loro posizioni utilizzando mortai e lanciagranate, portando il bilancio globale dell’ultima ondata di violenza ad almeno 37 morti.

Il Nagorno-Karabakh, anche noto come “lo stato che non c’è”, è una regione non riconosciuta dalla comunità internazionale e contesa da diversi anni fra Azerbaigian e Armenia. La regione che conta circa 150mila abitanti, dopo la tregua del 1994, era stata governata dall’Armenia. Ma venerdì scorso, il 1 aprile 2016, gli scontri si sono riaccesi con violenza.

Dopo la rivoluzione bolscevica in Russia del 1917, il nuovo governo di Mosca aveva fondato la regione autonoma del Nagorno-Karabakh, a maggioranza etnica armena, all’interno della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian.

Quando l’impero sovietico cominciò a implodere all’inizio degli anni Novanta, gli armeni cristiani combatterono per “liberarsi” dalla morsa degli azeri, in maggioranza musulmani. Circa 30mila persone morirono prima della guerra nel 1994.

“Se le provocazioni degli armeni continueranno, lanceremo un’operazione su larga scala lungo tutta la linea del fronte, utilizzando tutti i tipi di armi”, ha detto oggi il portavoce del ministero della Difesa azero Vagif Dargahly.

Le autorità separatiste armene hanno detto che i combattimenti stanno continuando e che le truppe azere hanno “intensificato i bombardamenti”.

Sia la Russia e che altri paesi occidentali hanno chiesto un cessate il fuoco. “Stiamo continuando i contatti con Baku e Erevan in modo che sentano i segnali da Mosca, Washington e Parigi”, ha detto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov.

La Francia ha fatto sapere che un gruppo di negoziatori si incontrerà domani a Vienna per trovare una soluzione alla escalation militare degli ultimi tre giorni.

Intanto il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha promesso di sostenere “fino alla fine” l’Azerbaigian, suo tradizionale alleato. “Preghiamo per i nostri fratelli azeri perché prevalgano nello scontro, con il minor numero possibile di vittime”, ha detto.

Vai al sito

Caucaso in fiamme: la Turchia cerca la rivincita dopo l’umiliazione in Siria (lantidemocratico 04.04.16)

«I motivi per tenere d’occhio il Nogorno-Karabah non mancano», scrive Maria Serena Natale sul Corriere della Sera del 4 aprile. Enclave armeno all’interno dell’Azerbaigian, questo piccolo Stato caucasico è da tempo al centro di contese: nel 1988 aveva proclamato la sua indipendenza dal resto del Paese, chiedendo l’annessione all’Armenia. Ne era nato un conflitto, iniziato nel 1992 e finito due anni dopo, ma mai sedato del tutto, che ne aveva sancito l’indipendenza (anche se la nuova entità statale non è stata riconosciuta dall’Occidente).

Da alcuni giorni il conflitto è scoppiato di nuovo, causando una trentina di morti, mettendo di nuovo l’Azerbaigian contro l’Armenia. «La Turchia musulmana – scrive Maria Serena Natale -, alleata dell’Azerbaigian e divisa dall’Armenia sulla verità storica di un genocidio mai riconosciuto da Ankara [quello armeno ndr.], promette con il presidente Recep Tayyp Erdogan, “sostegno ai nostri fratelli fino alla fine”. La Russia è al fianco di Erevan».
Nota a margine. Ad oggi quella Nogorno-Karabah è una piccola crisi, ma potrebbe allargarsi perché vede contrapposte Turchia e Russia, che da tempo si stanno affrontando in Siria.
La Turchia è alla ricerca di una rivincita dopo l’umiliazione subita a Damasco, dove l’intervento russo ha messo fine al suo sogno espansionistico che prevedeva la defenestrazione di Assad in favore di un nuovo regime islamico collegato ad Ankara.

La crisi del Nogorno-Karabah è complicata dal fatto che il Caucaso è vitale per Mosca, dal momento che è attraversato da oleodotti fondamentali per l’esportazione del petrolio russo.

La vicinanza della Georgia, da tempo contesa tra l’influenza occidentale e quella russa, e della Cecenia, teatro di una lunga stagione di terrore nel recente passato, non aiuta: una destabilizzazione dell’area potrebbe allargare l’incendio a dismisura.

Tra l’altro non si è ancora chiusa la controversia ucraina, dove le braci di un nuovo conflitto covano sotto la cenere: Mosca potrebbe trovarsi a dover badare a due incendi ai propri confini. Il rischio di risposte asimmetriche da parte di Putin è alto. Erdogan continua a giocare con un fuoco che potrebbe divorare il mondo. 
C’è da sperare che le iniziative diplomatiche avviate in questi giorni, gestite dal gruppo di contatto che vigila sulla crisi ucraina, vadano in porto.
Momento cruciale per Putin: oggi si è scatenato contro di lui l’uragano dei Panama-papers, un dossier di milioni di pagine che rivelerebbero i conti offshore di alcuni dei suoi sodali (e di tanti altri, ma i media hanno puntato i loro cannoni sullo zar, anche se il suo nome non compare mai sulle carte, obliando le marachelle degli altri).
Nessuno ricorda che solo una settimana fa grazie a Putin è stata liberata Palmira dal giogo dell’Isis. O forse quella vittoria strategica gli ha portato sfortuna.
Di certo sarebbe più utile al mondo sapere qualcosa sui conti offshore sui quali transitano i soldi dell’Isis e delle altre agenzie del terrore. Ma su questi, da anni, c’è il buio totale. Né evidentemente ci sono agenzie giornalistiche, o di intelligence, motivate a scoprirli.

Nagorno-Karabakh, dopo 22 anni finisce la tregua tra Armenia e Azerbaigian: “300 morti” (Ilfattoquotidiano.it 04.04.16)

Il cessate il fuoco durava dal 1994, da quando Armenia e Azerbaigian avevano siglato la fragile tregua dopo sei anni di conflitto costati la vita a 30mila persone, tra cui molti civili. E’ dal 1988 che i due Paesi si contendono la sovranità del Nagorno-Karabakh, enclave armena cristiana ufficialmente parte dell’Azerbaigian musulmano ma controllata da Ierevan. Qui, dopo oltre vent’anni, sono ricominciati gli scontri: 300 i soldati azeri uccisi, mille i feriti. Almeno secondo fonti di sicurezza dell’autoproclamata repubblica. I numeri, però, sono in costante evoluzione. E, soprattutto, non c’è alcuna fonte indipendente che sia in grado di confermarli o meno.

“Nelle ultime ore, come risultato delle azioni di risposta dell’esercito azero, sono stati uccisi fino 170 soldati e distrutti dodici blindati del nemico”, ha fatto sapere il ministero della Difesa dell’Azerbaigian. Secondo fonti ufficiali, le truppe armene sono state prese dal panico e hanno abbandonato armi e munizioni dopo essere stati sopraffatti dalle unità azere. Nel frattempo, l’esercito di Baku ha subito pesanti perdite nel tentativo di rompere le linee di Nagorno Karabakh, i cui miliziani hanno distrutto cinque carri armati uccidendo 25 soldati.

Erdogan: “Il territorio tornerà al legittimo proprietario, l’Azerbaigian” – Gli scontri si sono intensificati dal primo aprile, cioè dalla morte di Vladimir Melkonian, 20 anni, soldato dell’autoproclamata repubblica. Poi sono seguiti attacchi e scambi di accuse. Gli armeni dichiarano di avere abbattuto un elicottero dei nemici, Erevan punta il dito contro Baku per avere lanciato un’offensiva generale con l’impiego di artiglieria, carri armati e aviazione. Poi la dichiarazione di tregua unilaterale da parte dell’Azerbaigian, a cui l’Armenia non crede. Una situazione in cui la Turchia si schiera con Baku. Erdogan è convinto che che il territorio conteso “un giorno tornerà certamente al suo padrone legittimo, l’Azerbaigian“. Ma Erevan avverte Istanbul di non immischiarsi. La Georgia conta che un cessate il fuoco possa essere raggiunto a breve, ma la tensione nell’area ha richiesto anche l’intervento diplomatico del Paese che ha spesso ricoperto il ruolo di mediatore e arbitro: la Russia, che vende armi sia all’Armenia sia all’Azerbaigian. Il leader del Cremlino, Vladimir Putin, ha chiesto “alle parti belligeranti di fermare immediatamente le ostilità”.

Lo stesso auspicio arriva anche dalla Farnesina, che fa appello alle parti affinché siano ripresi gli sforzi negoziali per una soluzione pacifica del conflitto, sotto gli auspici del Gruppo di Minsk (creato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – Osce – per monitorare il cessate il fuoco, guidato da Francia, Russia e Stati Uniti) e dei suoi tre Co-Presidenti, che si incontreranno la settimana prossima a Vienna. Per quanto alcuni analisti ritengano che la ripresa delle ostilità nella Linea di Contatto, Aldo Ferrari, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano, ritiene comunque improbabile che si arrivi “a una guerra vera e propria”. “Mosca ha truppe in Armenia – ha spiegato l’esperto di Russia, Caucaso e Asia centrale in un’intervista telefonica all’Ansa – e non credo che l’Azerbaigian possa o voglia scatenare una guerra contro un paese alleato formalmente della Russia: avrebbe solo da perdere in un conflitto di questo genere”.

La storia del Nagorno Karabakh – E’ una regione dalla storia complessa e divisa tra diverse culture, religioni ed etnie: Nagorno significa “montuoso” in russo, Kara significa “nero” in turco, e Bakh significa “giardino” in parsi. Il territorio è un’enclave armena cristiana ufficialmente parte dell’Azerbaigian musulmano e si estende su una superficie di circa 4.400 chilometri quadrati in una zona montagnosa nel Caucaso sud-orientale. La capitale è Stepanakert.

Le attuali tensioni risalgono in gran parte al 1923 quando, nonostante il parere contrario della maggioranza della direzione del partito comunista al potere in Urss, Stalin volle che il Nagorno Karabakh fosse incorporato nella Repubblica dell’Azerbaigian, creata l’anno prima. Ma la popolazione del Karabakh non ha mai sopito il desiderio di riunirsi alla ‘madrepatria’, l’Armenia, anche perché ritiene che l’enclave sia storicamente la culla della cultura armena. Il sogno della riunificazione con Erevan si è tradotto in anni più recenti in lotta armata.

Nel 1988, la provincia decise per la secessione dall’Azerbaigian e l’annessione all’Armenia, scatenando un conflitto tra i due Paesi che tra il 1988 e il 1994 ha provocato tra i 25 ed i 35mila morti e centinaia di migliaia di profughi. L’Azerbaigian insiste sul rispetto della propria integrità territoriale, mentre l’Armenia – che sostiene il territorio a livello militare ed economico da quando la guerra separatista è finita nel 1994 – invoca il diritto di autodeterminazione dei popoli. Di fatto, il Nagorno-Karabakh si trova in Azerbaigian ma è controllato da armeni, L’enclave ha una popolazione, secondo i dati ufficiali del governo locale, risalenti al 2007, di 138.000 abitanti costituita per il 95% da armeni, mentre quasi tutti gli azeri hanno lasciato la autoproclamata Repubblica. Dalla fine della guerra sono in corso negoziati promossi dal Gruppo di Minsk.

Vai al sito

Caucaso in fiamme: la Turchia cerca la rivincita dopo l’umiliazione in Siria (Spondasud news 04.04.16)

L’Armenia riconoscerà l’indipendenza del Nagorno-Karabakh se le ostilità nella regione si intensificheranno: lo ha dichiarato il presidente armeno Serzh Sargsian, aggiungendo che la Turchia “dovrebbe in generale essere tenuta lontana dalla crisi”. Dalla ripresa delle ostilità venerdì 1 aprile, sono rimasti uccisi almeno 33 soldati e tre civili. Più di 200 soldati e civili sono stati feriti. Si tratta dell’escalation più violenta da quando, nel 1994, l’armistizio firmato tra Erevan e Baku aveva ufficialmente chiuso le ostilità senza un accordo sullo status dell’enclave.

Si riaccende dunque drammaticamente la tensione nella contestata regione del Nagorno Karabakh, un delicato quadrante geopolitico dove gravitano Russia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Turchia e Iran.

Baku aveva annunciato il 3 aprile che avrebbe cessato le ostilità in modo unilaterale, visto che già aveva conquistato diverse posizioni strategiche all’interno dell’enclave. Le autorità  del Nagorno Karabach si sono dette “pronte a discutere una proposta di tregua”, ma solo a patto di riavere indietro i territori perduti. Il cessate il fuoco azero però è durato meno di 24 ore. Le forze azere hanno infatti intensificato i bombardamenti sulle posizioni dell’esercito del Karabakh, usando mortai da 152 mm, lanciarazzi e carri”. Il ministero della difesa di Erevan sostiene che l’esercito armeno è comunque “ampiamente avanzato in certe zone del fronte e ha preso nuove posizioni”.

La comunità internazionale, Russia per prima, ha chiesto di deporre le armi, ma le dichiarazioni delle forze sul territorio hanno tutt’altro tono. “Se le provocazioni armene proseguiranno lanceremo un’operazione ampia lungo tutta la linea del fronte e useremo tutte le nostre armi”, ha affermato il portavoce del ministero della difesa dell’Azerbaigian, Vagif Dargahly.

Negli anni ’20 il territorio era stato assegnato da Stalin all’Azerbaigian poi, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la questione del Nagorno Karabakh riemerse drammaticamente a causa dell’azerificazione forzata della regione operata da Baku. La locale popolazione armena, con il supporto dell’Armenia stessa, si mobilitò per riunire la regione alla madrepatria. Nel settembre 1991 il soviet locale dichiarò la nascita della nuova Repubblica del Nagorno Karabakh, autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaigian dopo che questo aveva deciso di uscire dall’Unione Sovietica. Nel gennaio del 1992 la reazione militare azera accese un feroce conflitto che provocò 30mila vittime e si concluse con un accordo di cessate il fuoco nel 1993.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA – Il Ministero degli Esteri esprime profonda preoccupazione per i continui scontri lungo la Linea di Contatto nell’area interessata dal conflitto del Nagorno Karabakh e per le vittime causate dai combattimenti”. E’ quanto si legge in una nota della Farnesina che “richiama tutte le parti all’immediato rispetto del cessate il fuoco e ad astenersi da ulteriori atti di ostilità”. “L’attuale situazione conferma – conclude la nota – che non può esservi una soluzione militare al conflitto. Il Ministero degli Esteri fa appello alle parti affinché siano ripresi gli sforzi negoziali per una soluzione pacifica del conflitto, sotto gli auspici del Gruppo di Minsk e dei tre Co-Presidenti”.

L’APPELLO DEGLI ARMENI D’ITALIA – L’Unione degli Armeni d’Italia esprime grave preoccupazione per il più massiccio attacco militare dell’Azerbaigian lungo tutta la linea di contatto con la Repubblica Autonoma del Nagorno Karabakh (Artsakh). Nelle ultime 48 ore, l’Azerbaigian ha lanciato un’offensiva combinata terra-aria senza precedenti, violando apertamente il cessate il fuoco firmato nel 1994. L’attacco da parte del regime autoritario di Baku è in assoluto il più violento dal 1994 contro infrastrutture e insediamenti civili e militari, ed è da considerarsi un vero e proprio atto di guerra.

Secondo fonti ufficiali gli attacchi hanno causato la morte di un bambino armeno di 12 anni e il ferimento grave di altri due bambini durante il bombardamento della loro scuola. Inoltre, sono stati uccisi 18 soldati dell’Esercito di Autodifesa del Nagorno Karabakh, mentre il numero dei feriti è di 35 persone. L’aggressione militare dell’Azerbaijan è stata sferrata quasi in concomitanza con la chiusura dei lavori del vertice, che si è recentemente tenuto a Washington contro la proliferazione delle armi nucleari, a cui hanno partecipato oltre cinquanta capi di stato (inclusi i presidenti dell’Armenia, dell’Azerbaigian e della Turchia).

La comunità armena d’Italia è inoltre inorridita dalle immagini di tre anziani armeni torturati e uccisi dalle forze speciali azere a Talish, nel nord-est del Nagorno Karabakh. Continui appelli lanciati dalla comunità internazionale nel risolvere il contenzioso attraverso negoziati di pace (non ultimi i recentissimi richiami fatti dai co-presidenti mediatori del Gruppo di Minsk dell’OSCE, dalla presidenza di turno tedesca dell’OSCE, dal Vice-Presidente e dal Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, dal Presidente della Federazione Russa) sono stati palesemente ignorati dalla parte azera. L’Unione degli Armeni d’Italia qualifica rivoltante la dichiarazione da parte delle autorità azere di una tregua unilaterale alle ore 14.00 di domenica 3 aprile, seguita a distanza di minuti da un massiccio bombardamento azero con missili Grad contro obiettivi civili armeni nella città di Mardakert.

Come cittadini italiani ed europei di origine armena, membri di una comunità storica presente in Italia e con l’Italia da circa duemila anni, lanciamo un accorato appello alle nostre autorità italiane e ai membri italiani del Parlamento Europeo affinché prendano una netta posizione di condanna contro ogni tipo di violazione del cessate il fuoco lungo la linea di contatto tra l’Azerbaijan e il Nagorno Karabakh e affinché si adoperino in ogni modo per la soluzione del conflitto attraverso negoziati di pace. Chiediamo a gran voce al Governo italiano di condannare senza ambiguità l’aggressione azera e di adoperarsi concretamente il prossimo 5 aprile alla riunione del Gruppo di Minsk dell’OSCE per ristabilire la pace in Nagorno Karabakh e rilanciare i negoziati per una soluzione duratura del conflitto, basata sul di basata sul diritto universale all’autodeterminazione dei popoli sancito dalla Carta dell’ONU e dall’Atto Finale di Helsinki.

Vai al sito

Nagorno Karabakh: dietro Armenia e Azerbaijan striscia l’eterno conflitto fra Russia e Turchia (Difesaonline 04.04.16)

(di Giampiero Venturi)
04/04/16

Le montagne del Karabakh le conoscono in pochi. Eppure tra le cime spigolose a cavallo fra Armenia e Azerbaijan passa una delle cerniere del blocco eurasiatico. Tra Mar Nero e Mar Caspio il lato più dolce e meridionale del Caucaso si spacca, tra pascoli dimenticati e interessi millenari.

Solo una cosa accomuna armeni e azeri: essere entrambi sul pianerottolo dell’Europa, cioè un metro oltre la soglia che li vuole per alcune cose dentro il Vecchio Continente, per molte altre fuori. Nel complesso, nonostante il comune colbacco sovietico, le due comunità si dividono in tutto da sempre. L’Armenia è stato il primo Paese a fare del cristianesimo una religione di Stato e l’identità di un’intera nazione; l’Azerbaijan è viceversa l’anello turco verso l’Asia centrale, eternamente in bilico fra una sudditanza alla cultura russa e il revanscismo ottomano.

A differenza di altri conflitti tra pezzi di URSS, tra armeni e azeri non ci sono miscele, connessioni, vie d’uscita. C’è solo il silenziatore di una guerra strisciante che relega in un angolo del mondo una regione delicata, ma indirettamente cruciale.

Ora Armenia e Azerbaijan hanno ripreso a punzecchiarsi, con un vento brutto alle spalle che spinge verso un’altra guerra aperta.

Il punto di frizione è il Nagorno-Karabakh, area armena in terra azera, diventata de facto repubblica indipendente dopo la guerra del 1992-1994.

Ed è proprio dal 1994 che non si sparava tanto come in questi giorni, anche se la tensione non è mai calata negli anni. È una realtà e una maledizione insieme: la guerra su vasta scala iniziata nel ’92 fra Erevan e Baku era la continuazione degli episodi di pulizia etnica scoppiati dieci anni prima. A loro volta gli scontri e le violenze erano la conseguenza della fine dell’URSS, vetro oscurante di un odio regionale fortissimo e mai risolto.

Il conflitto nel Karabakh nasce con la Grande Guerra e la fine di due imperi: quello russo e quello ottomano, due grandi placche geopolitiche in eterna frizione che hanno ceduto improvvisamente ai nuovi equilibri del ‘900. Oggi quegli equilibri sono da intendere come grande sonnifero della Storia alle questioni euroasiatiche in piedi da secoli. Dopo una parentesi di 100 anni, tutto torna come prima: non a caso tornano a soffiare i venti di guerra proprio ora che i due imperi sono rinati.

Nel 2015 si era già rischiata più volte la ripresa delle ostilità fra Erevan e Baku. Oggi a quanto pare si fa sul serio.

L’Azerbaijan, umiliato nel 1994 con l’accettazione di un Karabakh azero e indipendente e con la rinuncia a 7 provincie contigue occupate dall’esercito separatista, tenta la rivalsa.

Nella bella e contraddittoria Baku tutto passa per il petrolio: è stato il motore della crescita economica dell’ultimo decennio che ha ne garantito l’uscita dal tunnel post sovietico; oggi, con i prezzi al minimo, è la causa della crisi.

L’Armenia stretta al fianco del fratelli del Karabakh, per non perdere le posizioni guadagnate venti anni fa, cerca dal canto suo la solita scia della Russia, alleata storica e grande fratello regionale.

Tutto in fondo si gioca a Mosca, a maggior ragione oggi che il conflitto storico e geopolitico con Ankara cerca di continuo nuovi teatri di sbocco.

La Russia difende l’identità di Erevan. Putin fu l’unico statista di rilievo globale a presenziare il centenario del genocidio armeno (vedi articolo). Al tempo stesso Mosca però non molla l’osso Azerbaijan, che nonostante il risveglio filoturco rimane un Paese profondamente legato alla Russia, se non altro per la settantennale sudditanza all’URSS.

In particolare il fattore sicurezza obbliga Mosca a non uscire dal ruolo di arbitro regionale, nonostante la corsia preferenziale accreditata all’Armenia.

Delle 9 entità geograficamente definibili come caucasiche, insieme alla Georgia, solo Armenia e Azerbaijan sono repubbliche indipendenti internazionalmente riconosciute. Gli altri 6 soggetti che costituiscono il Caucaso del Nord sono Cecenia, Daghestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Ossezia del Nord, Territorio di Stavropol’ e Circassia, tutti interni alla Federazione russa e tutti lacerati da contrasti religiosi, politici ed interetnici. Solo l’Azerbaijan confina direttamente con uno di loro, il Daghestan, stabilendo continuità territoriale fra Mosca e Baku.

La frontiera (inesistente ai tempi dell’URSS) è particolarmente calda in quanto porta di passaggio per infiltrati islamisti tra Caucaso settentrionale e meridionale, nell’ultimo decennio molto aggressivo in Azerbaijan, fino a far diventare il Paese un bacino di reclutamento importante per il fondamentalismo attivo in Siria (vedi reportage).

Neanche a dirlo, la Turchia non sta a guardare. Culturalmente matrigna dell’Azerbaijan, cerca di mantenere l’influenza su Baku anche in virtù della battaglia sugli idrocarburi del Caspio, dove un altro Paese in bilico fra Ankara e Mosca, il Turkmenistan, gioca un ruolo centrale.

Tra i monti del Karabakh, fra Uaz datate e Lada sgangherate, gli eserciti della Repubblica del Nagorno, di Armenia e dell’Azerbaijan, non si fronteggiano solo per l’indipendenza di qualche picco nevoso. Una replica della violentissima guerra degli anni ’90 sarebbe l’orpello di bel altri scenari.

Tensioni nel Nagorno-Karabakh: gli interessi economici in gioco (Lookoutnews.it 04.04.16)

Rotte energetiche, accordi commerciali, confronto a distanza tra Russia e Turchia. Perché alla base degli ultimi scontri nel Caucaso non c’è solo una questione etnica

Nonostante l’annuncio di una tregua unilaterale, nel Nagorno-Karabakh la tensione resta alta. Negli ultimi giorni in questa regione situata nel sud del Caucaso, e da anni oggetto di contesa tra Armenia e Azerbaijan, negli scontri iniziati sabato 2 aprile tra l’esercito azero e i separatisti di etnia armena sono rimaste uccise decine di persone.

Stilare con esattezza un bilancio di morti e feriti non è al momento possibile considerato che i numeri diffusi dai due Paesi dell’ex Unione Sovietica sono assai differenti. L’Armenia ha dichiarato di aver subito la perdita di almeno 18 militari e il ferimento di altri 35. Mentre gli azeri contano 12 vittime oltre a un carro armato e un elicottero andati distrutti. Nei primi scambi di colpi di artiglieria gli armeni avrebbero colpito proprio un elicottero azero causando l’uccisione di 12 militari che si trovavano a bordo del velivolo. Quelli degli ultimi giorni sono a detta di molti osservatori gli scontri più violenti registrati nel Nagorno-Karaback dal 1994, quando venne siglata una prima tregua dopo sei anni di conflitto in cui persero la vita circa 30.000 persone, molte delle quali civili.

La storia del Nagorno-Karaback

Il Nagorno-Karaback è una regione situata nel Caucaso meridionale, confinante a ovest con l’Armenia, a sud con l’Iran a nord e a est con l’Azerbaijan. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, questa piccola repubblica presidenziale ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza dall’Azerbaijan nel 1992, scatenando il conflitto con le autorità di Baku. Il nuovo staterello caucasico non è stato ancora riconosciuto internazionalmente da nessuno Stato e i negoziati per la pace hanno incluso come interlocutori diretti l’Azerbaijan e l’Armenia ma non le autorità del Nagorno-Karaback.

In questi anni a promuovere i negoziati di pace nella regione è stato soprattutto il “Gruppo di Minsk” dell’OSCE, senza che però finora siano stati ottenuti risultarti tangibili. Della questione i rappresentanti del Gruppo di Minsk torneranno a discutere la prossima settimana.

 

Gli interessi nella regione

In attesa di avere un quadro più chiaro della situazione, è possibile che quanto accaduto inneschi le reazioni dei due principali Paesi stranieri che hanno interessi in quest’area: la Russia da una parte, legata al governo armeno di Yerevan per motivi di carattere commerciale; la Turchia dall’altra, che coltiva da tempo un’alleanza energetica con l’esecutivo azero di Baku. Da anni Ankara si sta facendo promotrice di una serie di intese con l’Azerbaijan con l’obiettivo di concretizzare progetti di cooperazione economica.

Formalmente Ankara e Baku hanno sempre fatto esplicita la volontà di trasformare il Caucaso meridionale in un’area di “stabilità e prosperità”: ancorata ai meccanismi di sicurezza e cooperazione atlantici ed europei, solcata dai corridoi multi-dimensionali e trans-europei – energia, trasporti, comunicazioni – lungo gli assi Est-Ovest e Nord-Sud.

La condizione primaria e preliminare è però la risoluzione dei conflitti regionali, “pacifica e nel più breve tempo possibile”: quello del Nagorno-Karabakh, che come detto oppone l’Azerbajian all’Armenia; quelli dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, che dividono Georgia e Russia. In effetti, proprio all’indomani della guerra lampo russo-georgiana (nell’agosto 2008) l’allora premier e oggi presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva proposto la creazione di una “Piattaforma per la cooperazione e la stabilità nel Caucaso”, con l’inclusione di tutti gli Stati della regione ma il progetto non è mai decollato.

Oltre l’aspetto etnico il vero nodo della crisi nel Nagorno-Karabakh rimanda dunque agli enormi interessi economici in gioco: dall’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan al gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum, già realizzati, alla linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars, che costituirà uno dei tasselli della “via ferrata della Seta” tra Londra e la Cina. In più, non mancano richiami a nuovi progetti energetici così come alle fonti rinnovabili. Progetti ambiziosi che però adesso rischiano di essere ostacolati da un nuovo conflitto nel Caucaso.

Vai al sito