Nagorno Karabakh, Putin ad Erevan e Baku: garantire fine ostilità (Askanews 05.04.16)

Mosca, 5 apr. (askanews) – Il presidente russo Vladimir Putin ha invitato con forza i leader di Armenia e Azerbaigian a garantire la fine delle ostilità e la tenuta della tregua in Nagorno Karabakh. Oggi Baku e le autorità separatiste della regione contesa hanno annunciato di aver concluso un accordo di cessate-il-fuoco dopo quattro giorni di intensi combattimenti che si sono conclusi con almeno 64 morti.

“Putin ha chiesto a entrambe le parti di garantire con urgenza la totale cessazione delle ostilità militari e il rispetto del cessate-il-fuoco”, ha annunciato il Cremlino in una nota in cui si precisa che Putin ha sentito il presidente armeno Serzh Sargsian e quello azero Ilham Aliyev in due conversazioni telefoniche separate.

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Nagorno-Karabakh:70 soldati armeni morti (Ansa 05.04.16)

(ANSA) – MOSCA, 5 APR – Il ministero della Difesa azero ha detto che 70 soldati armeni sono stati uccisi nelle ultime 24 ore e che una base militare nei pressi di Matagis è stata distrutta. Lo riporta Interfax. Ma il portavoce del ministero della Difesa della regione contesa (la cui autonomia non è riconosciuta) del Nagorno-Karabah ha smentito i numeri diffusi dagli azeri. “Al contrario degli azeri – ha detto sempre a Interfax – noi non nascondiamo le nostre perdite e diffondiamo informazioni complete”.

Guerra in Armenia, il Papa anticipa la visita a giugno (Il Gazzettino 05.04.16)

CITTÀ DEL VATICANO – Papa Bergoglio ha deciso di anticipare di qualche mese il viaggio in Armenia. Invece che a settembre, come inizialmente aveva ipotizzato, andrà dal 24 al 26 giugno. Si tratta di una visita che si presenta piuttosto complicata, attesa e temuta allo stesso tempo. Se fosse dipeso da lui probabilmente l’avrebbe portata a compimento già l’anno scorso, in occasione del centenario del genocidio armeno. Invece, per via delle forti ostilità turche, e dei bastoni tra le ruote che sono puntualmente arrivati da Ankara, il progetto è slittato a tempi migliori, fino ad oggi. «Sul tavo\lo c’è una promessa fatta ai patriarchi armeni». Così, a giugno, per tre giorni, Papa Francesco andrà a rendere omaggio alla prima nazione al mondo che storicamente adottò il cristianesimo come religione di Stato, più di 1700 anni fa. Prima tappa sarà a Ierevan, la capitale, dove da lì si trasferirà al memoriale del genocidio armeno, la Collina delle Rondini, il luogo che ricorda un milione e mezzo di vittime provocate dal piano sistematico, studiato a tavolino, e realizzato tra il 1915 e il 1920 dal governo turco per incamerare le ricchezze della minoranza cristiana, allora assai influente e ricchissima.

DETTAGLI
La visita in programma è alle battute finali e verrà annunciata a breve. Tra qualche giorno partiranno gli organizzatori vaticani per mettere a punto ogni dettaglio, concordare gli eventi liturgici, pianificare il sistema della sicurezza che si avvarrà della collaborazione dei servizi segreti russi. La visita, una delle più simboliche in cui al centro vi sarà il concetto «dell’ecumenismo del sangue dei martiri», arriva a compimento dopo un lungo braccio di ferro dietro le quinte da parte della Turchia, che ha minato in ogni modo il progetto, cercando di disincentivarlo. Mesi e mesi di sofferte e tribolate trattative sotterranee da parte della diplomazia pontificia per preparare il terreno. L’anno scorso il governo di Ankara è arrivato a ritirare il suo ambasciatore dal Vaticano, aprendo una crisi senza precedenti, durata quasi un anno, solo perché Papa Francesco aveva osato pronunciare la parola «genocidio» durante la messa commemorativa a San Pietro, in occasione del centenario dei massacri del 1915.

IL NAGORNO KARABAKH
I venti di guerra tra l’Armenia e l’Azerbaigian non hanno minimamente modificato il progetto papale. Due giorni fa il governo azero ha annunciato la sospensione unilaterale delle azioni militari nella regione contesa del Nagorno Karabakh. Il presidente Putin, mediatore chiave, nei giorni scorsi, per evitare l’espandersi di un altro focolaio di guerra, aveva lanciato un appello. Gli scontri avevano fatto temere un allargamento del conflitto in un’area strategica, attraversata da oleodotti e gasdotti. Inizialmente la diplomazia vaticana nel tentativo di non urtare la sensibilità del governo turco e di quello azero (generoso finanziatore di un costoso progetto per il recupero dei catacombe), aveva elaborato un progetto di viaggio che si basava sul principio della par condicio. L’idea era di accorpare Azerbaigian e Armenia. Poi la correzione. I patriarchi armeni hanno apprezzato il coraggio e la libertà con la quale il Papa si è espresso, smarcandosi dalla timidezza della diplomazia vaticana che, ancora oggi, preferisce pubblicamente non parlare di genocidio, ma solo di generici massacri.

Qualche settimana fa, il segretario della Cei, Galantino, ha criticato il negazionismo. «Gli armeni fanno ancora fatica a veder riconosciuto il loro Olocausto» aggiungendo che persino «il governo italiano ha ritenuto di non prendere una posizione ufficiale, affermando che i genocidi sono affari degli storici». Uno dei grandi sogni di Papa Bergoglio è di riuscire a pacificare turchi e armeni. «Una cosa che mi sta molto a cuore è la frontiera turco-armena: se si potesse aprire sarebbe una cosa bella». Chissà se riuscirà a fare questo miracolo.

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L’Azerbaijan recluta mercenari dell’IS per combattere in prima linea nel Nagorno Karabakh (Sondasud.it 05.04.16)

(Redazione) – Tra i soldati azeri che in questi giorni combattono in Nagorno Karabakh ci sarebbe anche un numero imprecisato di miliziani che lo Stato Islamico ha reclutato in Siria e in Iraq. La notizia arriva direttamente dal governo armeno, secondo il quale la loro presenza risulterebbe da una serie di fattori cruciali, come il coinvolgimento diretto di migliaia di azeri nelle file dell’IS e la violenza (definita “stile estremista”) nelle uccisioni. Gli azeri non fanno differenza tra soldati e civili. Anzi, proprio l’estrema brutalità che i militari di Baku utilizzano nei confronti della popolazione civile armena fa pensare a quanto viene commesso quotidianamente dai gruppi jihadisti nei conflitti di Siria e Iraq.

L’esempio più terrificante, come è stato ampiamente documentato da Spondasud, è stato l’assassinio di una famiglia nel villaggio di Talish nel Nagorno Karabakh. I soldati azeri hanno ucciso una coppia di anziani (Valera Khalapyan e sua moglie Razmela) nella loro casa. Non si sono accontentati di ucciderli: hanno profanato i loro corpi, tagliando le loro orecchie. La comunità internazionale è abituata a vedere questo genere di crimini contro i civili solo da parte dei terroristi islamici. Le esecuzioni in Siria e quella di Talish da parte dei soldati azeri hanno lo stesso stile. Quasi la medesima firma, una macabra assonanza che fa ritenere che gli azeri che hanno combattuto con l’IS oggi siano stati reclutati per compiere un’operazione di pulizia etnica contro la popolazione armena del Nagorno Karabakh.

Attualmente sul territorio dell’Azerbaigian sono presenti numerosi estremisti che hanno combattuto sotto le insegne del Califfato Islamico. Nel corso degli ultimi mesi, i media di Ankara e di Baku hanno scritto diversi articoli sulla presenza di foreign fighters azeri tornati tornati dalla Siria e dall’Iraq. Circa 300 sono morti nei combattimenti, ma oltre 2500 si troverebbero sul territorio dell’Azerbaigian, al soldo del miglior offerente.  Di conseguenza, nulla potrebbe impedire il presidente Ilham Aliyev di inviare terroristi in Nagorno Karabakh a combattere al fianco delle truppe regolari.  Il massacro nel villaggio di Talish e la decapitazione di un soldato yazido che combatteva con le truppe armene sono più che un indizio, quasi una certezza.

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La ripresa del conflitto in Nagorno Karabakh e i suoi possibili sviluppi (cesi-italia.org 05.04.16)

La notte del 2 Aprile, dopo anni di conflitto “congelato”, si è significativamente riacceso lo scontro tra armeni ed azeri nella Repubblica del Nagorno Karabakh (NKR), attraverso violenti combattimenti caratterizzati da un’intensità che non si registrava dal raggiungimento del cessate il fuoco stabilito dagli Accordi di Pace di Bishkek (Kirghizistan,1994).

Nel corso dei primi tre giorni di ostilità si sono registrati diversi scontri sulla linea di contatto del fronte, più precisamente nella provincia nord orientale di Mardakert (regione controllata da Baku ma rivendicata dall’NKR) e nella regione sud orientale di Jabrail (al confine con l’Iran) occupata dagli armeni ma rivendicata da Baku. L’elevata politicizzazione del conflitto rende difficile una reale ricostruzione degli eventi sia per quanto concerne il numero reale di perdite subite sia nella definizione del reale violatore del cassate il fuoco.

Gli armeni accusano l’Azerbaijan di aver mosso un vero e proprio attacco coordinato con numerosi mezzi pesanti, tra cui artiglieria (in particolare con l’impiego di sistemi lanciarazzi), carri armati e veicoli per il trasporto truppe, tutti coadiuvati e supportati dall’impiego delle forze aeree. Mentre dall’altra parte, il Ministro della Difesa azero Zakir Hasanov ha imputato all’Armenia di aver effettuato, nelle ore immediatamente precedenti lo scoppio degli scontri, più di cento violazioni del cessate il fuoco sulla linea del fronte con lanci di granate e utilizzo di mortai e mitragliatrici pesanti. Oltre alle immediate accuse reciproche per il mancato rispetto del cessate il fuoco, continuano ad essere fornite diverse e contrastanti informazioni riguardo agli esiti delle azioni militari. Secondo le fonti armene, i territori occupati dagli azeri sono già stati liberati (cittadina di Mardakert e paese di Talish). Il Ministero della Difesa armeno Seyran Ohanian ha dichiarato che l’esercito armeno, insieme alle Forze Armate del Nagorno, hanno abbattuto due aerei azeri e 3 droni, oltre ad aver distrutto 16 cari armati. D’altro canto, Baku risponde sostenendo di non aver ceduto le posizioni occupate nelle ultime ore. Le cifre ufficiali, per il momento, mantengono il numero di caduti attorno alla trentina di unità ma è molto probabile che tali stime vadano riviste al rialzo, data l’intensità degli scontri e l’impiego di assetti militari pesanti. L’Azerbaijan parla di 12 vittime tra i suoi soldati e circa 100 uomini uccisi tra le file nemiche. Yerevan, invece, sostiene di aver perso 18 tra i suoi uomini e aver eliminato circa 200 militari azeri tra cui personale delle forze speciali. Ignoto rimane, al momento, il numero reale delle vittime civili.

Dopo più di un ventennio di stallo, talvolta messo a rischio da estemporanei momenti di esclation delle violenze, come nell’agosto del 2014, il conflitto armeno-azero torna ad essere una seria minaccia per l’equilibrio del Caucaso Meridionale. Nonostante nel corso degli anni ci sia stata la mediazione da parte della troika (Russia, Francia, Stati Uniti) del Gruppo di Minsk (organo istituito dall’OSCE-1992) e più di 20 summit tra le rappresentanze dei due Paesi, non si è mai raggiunto un compromesso ma anzi, si è preferito optare per un “congelamento” della guerra che ha contribuito a rendere la piccola Repubblica del Nagorno Karabakh un ostaggio di  diversi interessi economici e strategici.

Infatti, oltre alle acredini tra Baku ed Erevan, la grande rivalità geopolitica tra Mosca ed Ankara per il controllo della regione ha costituito un forte ostacolo al raggiungimento di una risoluzione del conflitto. La Russia ha da sempre considerato il Caucaso Meridionale come una regione parte della propria sfera d’influenza e con Yerevan ha portato avanti rapporti di cooperazione economica ed energetica (Unione Economica Euroasiatica – 2014) nonché di partnership strategica e militare. Grande alleata dell’Armenia dai tempi dell’Unione Sovietica, Mosca le fornisce armi e sistemi di difesa. Allo stesso tempo, con la presenza di due basi militari russe in territorio armeno (a Gyumri e a Erebuni) il Cremlino si presenta come garante della sicurezza territoriale del Paese caucasico, circondato da vicini ostili e alle prese con difficoltà politiche interne. Tuttavia, allo stesso tempo, Mosca mantiene buoni rapporti con l’Azerbaijan, con il quale intrattiene un rapporto di collaborazione tecnico-militare del valore di circa 4 miliardi di dollari.

In opposizione alla Russia, la Turchia si pone in difesa delle rivendicazioni degli azeri, con i quali condivide numerosi interessi sia economici (oleodotto BTC) che politici ma soprattutto culturali ed etnici. Non mancano di essere di impedimento alla pacificazione, le politiche interne di entrambi i Paesi, i quali  attraverso la propaganda giustificano il mantenimento di uno stato di tensione lungo oltre vent’anni, esasperando la percezione dell’altro attraverso l’esaltazione di rivendicazioni storiche ed etniche del passato. Tra la lotta per l’autodeterminazione del popolo armeno da una parte e  l’esigenza dell’integrità territoriale azera dall’altra, uno dei più difficili e intricati nodi da sciogliere è lo status giuridico delle sette province azere, occupate dagli armeni tra il 1992 e il 1993 al fine di garantire la sicurezza dell’NKR. Gli armeni sono disposti a restituire i territori azeri solo in caso del riconoscimento della Repubblica del Nagorno da parte di Baku, punto su cui l’Azerbaijan non è intenzionata a cedere.

Occorre considerare come, in alcuni casi, le improvvise fiammate nel conflitto del Nagorno-Karabakh  sono legate a questioni di politica interna di Armenia e Azerbaijan, che intendono esternalizzare le proprie difficoltà interne attraverso il riacutizzarsi della guerra.

Osservando la situazione interna attuale, l’Armenia soffre per la corruzione in seno alla sua politica in mano agli oligarchi e ha affrontato diverse proteste popolari tra cui l’ultima del 2015 (Electric Yerevan). Mentre dall’altra parte, Baku ha sviluppato una forte crescita economica grazie ai proventi dell’esportazione del greggio e del gas, anche se la recente crisi del prezzo del petrolio ha creato diverse difficoltà per il regime familistico azero, portando in luce tutte le debolezze del suo sistema. Le crisi politiche ed economiche dell’ultimo periodo che entrambi i due Paesi hanno affrontato porterebbe a pensare che la ripresa di una guerra aperta non converrebbe a nessuno dei due ma, allo stesso tempo, condurre proprio verso quel processo di esternalizzazione della crisi citato in precedenza. Con l’intento di distrarre la popolazione dai problemi in casa e tramite una propaganda bellicosa e sciovinista, non è escludibile la volontà di riaprire il conflitto su tutti i fronti.

Nonostante siano arrivati gli inviti alla calma e alla moderazione da parte dei principali attori internazionali e nonostante sia stato dichiarato un nuovo cessate il fuoco, permane il problema della fortificazione delle linee del fronte e il richiamo dei riservisti da parte di Erevan.

Dal 1994, molto è cambiato dal punto di vista della preparazione militare di entrambi i Paesi. L’Azerbaijan, uscito perdente e stremato dalla guerra con gli armeni negli anni novanta, ora si presenta più forte sotto il profilo militare grazie agli ingenti investimenti effettuati con i proventi della vendita di gas e petrolio. Dunque in caso di guerra aperta gli esiti del confronto sarebbero tutt’altro che scontati. In ogni caso, appare certa la necessità di superare gli Accordi di Pace di Bishkek, ormai incapaci di mantenere stabile la situazione nella regione e tenere un freno alle rivendicazioni etniche e territoriali delle parti.

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Nagorno-Karabakh, il Caucaso e le tensioni tra Russia e Turchia (Remocontro 05.04.16)

Nel Nagorno-Karabah si va verso il cessate-il-fuoco. Stando a fonti citate da Sputnik il governo della regione contesa tra Armenia e Azerbaijan starebbe preparando l’accordo bilaterale per la tregua nella zone del conflitto. Secondo diversi analisti, dietro la ripresa delle ostilità c’è l’ombra della tensione tra Russia e Turchia.

Dunque, nel Nagorno-Karabakh verso il cessate il fuoco. Secondo fonti russe, il governo della regione contesa tra Armenia e Azerbaijan starebbe preparando l’accordo bilaterale per la tregua nella zone del conflitto. Almeno 70 soldati armeni uccisi dagli azeri, il bilancio delle ultime 24 ore mentre sarebbero 16 i militari di Baku morti da sabato. Più di 200 soldati e civili sono stati feriti. Si tratta dell’escalation più violenta da quando, nel 1994, l’armistizio firmato tra Erevan e Baku (Armenia e Azerbaijan) aveva ufficialmente chiuso le ostilità senza un accordo sullo status dell’enclave.

Nagorno mappa FB

Uno scontro cruciale per Russia e Turchia. Il Nagorno-Karabakh si trova alla frontiera tra Turchia, Iran, Georgia e Cecenia russa, molto vicino a Iraq e Siria. Secondo diversi analisti, dietro la ripresa delle ostilità in Nagorno-Karabakh c’è l’ombra della tensione tra Russia e Turchia. L’Armenia in pessimi rapporti con la Turchia che rifiuta di riconoscere il genocidio commesso un secolo fa, da sempre vicina alla Russia. L’Azerbaigian, culturalmente turco, è invece molto vicino ad Ankara, anche se la Russia vende armi a Baku per mantenere un piede nell’ex repubblica sovietica.

La contesa dura però da circa un secolo: il territorio del Nagorno-Karabahk è un’enclave armena cristiana ufficialmente parte dell’Azerbaigian musulmano e si estende su una superficie di circa 4.400 chilometri quadrati in una zona montagnosa nel Caucaso sud-orientale. Le attuali tensioni risalgono in gran parte al 1923 quando, nonostante il parere contrario della maggioranza della direzione del partito comunista al potere in Urss, il georgiano Stalin volle che il Nagorno Karabakh fosse incorporato nella Repubblica dell’Azerbaigian, creata l’anno prima.

Ma la popolazione del Karabakh non ha mai superato il desiderio di riunirsi alla ‘madrepatria’, l’Armenia, perché ritiene che l’enclave sia storicamente la ‘culla’ della cultura armena. Il sogno della riunificazione con Ierevan si è tradotto in anni più recenti in lotta armata. Nel 1988, la provincia decise per la secessione dall’Azerbaigian scatenando un conflitto tra i due Paesi che tra il 1988 e il 1994 ha provocato tra i 25.000 ed i 35.000 morti e centinaia di migliaia di profughi. L’Azerbaigian insiste sulla propria integrità territoriale, mentre l’Armenia invoca il diritto di autodeterminazione dei popoli.

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Gabriele Nissim presenta “La lettera a Hitler” (Alessandrianews 05.04.16)

Mercoledì 6 aprile all’Istituto Cellini il giornalista, saggista e fondatore di Gariwo, il Giardino dei Giusti di Milano, presenterà il suo ultimo libro. L’incontro si colloca nell’ambito del progetto “Per non dimenticare” sviluppato da docenti e allievi della scuola

VALENZA – Mercoledì 6 aprile alle 15 nell’aula magna dell’Istituto Cellini (strada Pontecurone 17) Gabriele Nissim, giornalista, saggista e fondatore di Gariwo, il Giardino dei Giusti di Milano, presenterà il suo ultimo libro La lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento. L’incontro è aperto agli studenti e alla cittadinanza.

Il testo di Nissim (vincitore del premio Fiuggi Storia 2015) fa scoprire un personaggio davvero straordinario, con la sua travolgente umanità e le sue ambiguità e debolezze. Armin T. Wegner è un artista, uno scrittore che fin da giovane si infiamma di fronte alle ingiustizie e con l’animo indignato compone non solo poesie, romanzi, saggi, ma anche le “lettere aperte” che lo hanno reso famoso, ovvero denunce e testimonianze pubbliche del buio della Storia.
Ragazzo molto sensibile e aperto agli altri, a 14 anni salva una ragazza dall’annegamento e viene decorato al valor civile.

Tra il 1915 e il 1933 compie tre gesti cruciali contro le atrocità che colpiscono milioni di uomini: la denuncia, con foto e conferenze pubbliche, dello sterminio degli armeni compiuto dal governo dei Giovani Turchi; l’abiura del comunismo, dapprima amato e poi ripudiato come un inganno; la protesta contro la persecuzione antisemita di Hitler.
Armin Wegner, con il suo coraggio ma anche con le sue debolezze e contraddizioni, costituisce un chiaro esempio di Giusto universale, onorato a Yerevan e a Yad Vashem per la sua solidarietà con armeni ed ebrei, pagata a caro prezzo.

L’incontro con Gabriele Nissim si colloca nell’ambito del progetto Per non dimenticare sviluppato da docenti e allievi dell’Istituto Cellini di Valenza. Si tratta di un percorso pluriennale che prendendo le mosse dal dramma della Shoah vuole offrire ai ragazzi la possibilità di riflettere, di anno in anno, sui genocidi perpetrati nel corso del Ventesimo secolo (quest’anno si è affrontato il genocidio degli armeni) e li aiuti a capire che queste tragedie non sono “anomalie della storia”, eccezioni irripetibili, ma eventi che hanno la loro origine in comportamenti e circostanze frequenti, spesso considerate innocue se non addirittura “normali”.

La finalità del progetto è dunque quella di aiutare i ragazzi a capire che “avere memoria” di queste tragedie consiste prima di tutto in un impegno, costante, che coinvolge in prima persona, nel bloccare comportamenti di intolleranza e disprezzo nei confronti degli altri che possono essere il punto di avvio di terribili processi genocidari.

Azerbaijan e libertà: bavagli e persone non gradite al governo. Nel mirino anche i social network (Eastonline.eu 04.04.16)

Un inarrestabile giro di vite, che decima l’attiva comunità di organizzazioni e media indipendenti e non governativi che fino a poco tempo fa animavano la libertà di espressione in Azerbaijan. A dirlo è lo Human Rights Watch, attraverso il suo report pubblicato per il 2016. Chiaro segno che a sud del Caucaso le cose stanno cambiando, o che forse la parola “democrazia”, con tutto ciò che da essa consegue, non ha mai realmente attecchito da quelle parti.


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A farne le spese, in termini di libertà appunto, sono, tra le altre, 36 persone italiane, il cui elenco è comparso sul sito del Ministero degli Affari Esteri italiano, alla voce “elenco dei cittadini italiani a cui è vietato l’ingresso nel territorio della Repubblica dell’Azerbaijan”. Una notizia che dovrebbe far riflettere ancor di più su ciò che accade in paesi a noi vicini, con i quali l’Italia stringe accordi commerciali al “sapor” di petrolio. Poco a sud di Baku, capitale dell’Azerbaijan, c’è ad esempio il giacimento che, attraverso il gasdotto TAP (“varato” con lo Sblocca Italia), dovrebbe portare il gas in Europa tramite un tracciato che vede il suo approdo sulle coste pugliesi.

L’elenco

 A comparire nella lunga lista delle “personae non gratae” al governo azero, tanti scrittori, giornalisti, artisti. Ma anche impiegati e addetti culturali. Tra loro, 36 appartengono a nomi noti della stampa e della cultura italiana: Milena Gabanelli, giornalista della Rai e del Corriere della Sera; Simone Benazzo, di East Journal; Roberto Travan, de “La Stampa”; Anna Mazzone, anche lei giornalista; Simone Zoppellaro, corrispondente per l’Osservatorio Balcani e Caucaso. Non solo: sotto la lente della sicurezza azera ci sono diversi attori e tecnici dei Cantieri Teatrali Koreja, di Lecce. Nella lista compaiono infatti i nomi di Alessandra Crocco, Giovanni Di Monte, dei direttori artistici Salvatore Tramacere e Franco Ungaro.

I primi segnali della stretta del governo si ebbero già a dicembre 2014, quando le forze dell’ordine fecero irruzione negli uffici di Radio Azadlig a Baku, interrogando giornalisti e corrispondenti. Molti di loro poco dopo lasciarono il paese. Poi l’escalation a giugno 2015, quando Baku ospitò per la prima volta gli European Games. Così, uno ad uno, sono caduti avvocati, difensori “veterani” dei diritti umani, e sono stati condannati gli avvocati Intigam Aliyev, Leyla e Arif Yunus, la giornalista investigativa Khadija Ismayilova. La Ismayilova lavorava per il media indipendente Radio Free Europe/Radio Liberty, il cui ufficio a Baku fu chiuso dalle autorità a dicembre 2014, proprio poco dopo l’arresto di Khadija. Si trovano in prigione, per condanne e motivazioni politiche, l’editorialista dell’Azadlig, Seymur Haziyev, e gli attivisti di partiti d’opposizione Siraj e Faraj Kerimlis, e Murad Adilov. Taleh Khasmammadov, un attivista dei diritti umani, è stato condannato a 3 anni di prigione. Tutto questo nonostante la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo abbia affermato che le condanne di cui sono stati vittime giornalisti, attivisti e avvocati azeri siano da considerare illegali.

Oltre ad aver ristretto l’accesso al paese per giornalisti internazionali di diverse emittenti durante il 2015, il governo azero ha bloccato gli uffici nella capitale dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione, tanto che quest’ultima si è rifiutata per la prima volta di inviare una missione di osservatori in concomitanza con le ultime elezioni parlamentari dello scorso anno. Ad oggi, da parte europea, c’è un timido tentativo di provare a fermare questa emorragia di diritti nella zona caucasica: a dicembre, infatti, Thorbjorn Jagland, il segretario generale del Consiglio d’Europa, ha annunciato l’inizio di un’inchiesta con al centro i diritti umani in Azerbaijan.

E sotto la scure, finiscono anche i blog e i social network, come Facebook e Twitter. Sebbene, in Azerbaijan, gli internauti si rivolgano a questi ultimi spesso per diffondere e condividere opinioni critiche nei confronti delle forze governative, così come per porre l’attenzione su questioni spesso ignorate dai media mainstream, negli ultimi anni è comparsa una forte deterrenza al loro utilizzo: in diversi tra avvocati e magistrati prestano il fianco a bollarli come “criminali” e “diffamatori”, aprendo così la strada a nuovi arresti, motivati da ragioni politiche, di blogger e attivisti.

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Alta tensione in Nagorno Karabakh (Osservatorio Balcani e Caucaso 04.04.16)

Con l’attuale nuova escalation militare in Nagorno Karabakh la definizione di “conflitto congelato”, utilizzata per molti anni dagli analisti per il conflitto fra Azerbaijan e Armenia, sembra sempre più difficile da giustificare

Terzo giorno di scontri in Nagorno Karabakh lungo la frontiera fra la repubblica de facto occupata dagli armeni e l’Azerbaijan. Cupi e odiosi, i tamburi della guerra tornano a suonare nel Caucaso. Mai prima d’ora, negli ultimi vent’anni – dopo la fine della guerra per il Nagorno-Karabakh nel 1994 – ci sono stati tanti morti e feriti in questo conflitto, che per anni ci si è ostinati a definire “congelato”. Cadono nel vuoto, uno dopo l’altro, gli appelli della comunità internazionale che invitano le due parti al rispetto del cessate il fuoco. La tregua unilaterale dichiarata ieri dall’Azerbaijan non è mai entrata in vigore. Fra i morti anche diversi civili, fra cui anche un bambino.

Insieme alle foto delle vittime mutilate e ai filmati degli scontri, diffuse dai media locali, l’odio, la propaganda e la retorica nazionalista conoscono un preoccupante aumento da entrambe le parti. Una guerra che è anche guerra di cifre, per quanto riguarda le perdite di mezzi e i caduti, e un conflitto mediatico senza esclusione di colpi, in cui la prima vittima – inevitabilmente – è la verità dei fatti. Come se non bastasse, agli scontri sul campo si sono accompagnati diversi attacchi informatici di hacker locali contro siti governativi e media locali. L’assenza quasi totale di osservatori neutrali sul campo – un vecchio problema di questo conflitto a lungo dimenticato – si fa sentire ora più che mai in modo drammatico.

In verde è indicato il territorio che la regione autonoma del Nagorno Karabakh occupava in epoca sovietica, in giallo i territori occupati dalle autorità de facto di Stepanakert al di fuori di quell’area

A poco o nulla è servito anche l’appello di Putin – nel primo giorno di scontri, sabato – al rispetto “immediato” del cessate il fuoco. Come sempre, opposte le versioni dei due paesi anche per quel che riguarda l’origine di questa nuova escalation che è, ricordiamolo, solo l’ultima e la più drammatica di una serie infinite di violazioni del cessate il fuoco che da quel lontano 1994 si susseguono a scadenza quasi mensile, e a volte persino settimanale.

Già il 27 marzo avevano perso la vita due soldati azeri. Per quel che riguarda l’ultima escalation, invece, i primi scontri si sono avuti nella notte fra venerdì 1 e sabato 2 aprile. Mentre entrambe le parti si accusano a vicenda di aver dato inizio agli scontri, diversi elementi sembrano far propendere nei confronti di un’iniziativa azera. Fra questi, il fatto che le truppe armene del Karabakh nel primo giorno di scontri abbiamo perso diverse posizioni sul terreno, e il ritrovamento di un elicottero azero abbattuto sul territorio della repubblica de facto, cosa quest’ultima confermata dalle foto del circolate sui media armeni. Grave il bilancio delle vittime, nel primo giorno di scontri, ma ancora una volta del tutto opposte le versioni e le cifre fornite dai due governi.

Cifre e datiPer evitare confusione e manipolazioni, ho usato il criterio di riportare le cifre fornite dei rispettivi paesi per quel che riguarda le loro perdite interne, non quelle del nemico. Da parte armena, il presidente Serj Sargsyan, tornato da poco dagli Stati Uniti, è apparso in tv per fornire il computo delle vittime della sua parte: 18 morti fra i soldati, oltre a 4 civili. Fra i molti feriti, anche dei bambini armeni del Karabakh. La loro scuola a Martuni – così riportano fonti ufficiali armene – è stata colpita da un lanciarazzi Grad verso mezzogiorno di sabato 2 aprile. Con loro c’era anche un altro bambino, Vaghinak Grigoryan, di 12 anni che ha perso la vita. Sempre sabato, il ministero della Difesa armena ha parlato della più seria escalation a partire dal 1994, quando fu firmato il cessate il fuoco fra i due paesi a cui non è seguito alcun accordo di pace.

Da sapere

Il conflitto ebbe inizio nel 1988, con rivendicazioni irredentiste nella regione azera del Nagorno Karabakh, la cui popolazione era costituita per i 3/4 da armeni. La situazione nel 1991 sfociò in una guerra tra l’ormai indipendente Azerbaijan e l’Armenia. La guerra si concluse con gli accordi per il cessate il fuoco firmati a Bishkek (Kirgizistan) nel 1994, da quel momento il territorio rimase sotto l’occupazione militare dell’Armenia.

Nell’ambito del Gruppo di Minsk dell’OSCE (con tre co-presidenti: USA, Francia e Russia), non si sono mai raggiunti progressi concreti verso la risoluzione del conflitto.

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Il ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha confermato invece la perdita di 12 soldati e l’abbattimento di un elicottero. Le Forze armate dell’Azerbaijan hanno confermato questa mattina di aver subito la perdita di altri 3 soldati sulla linea di confine. La stampa armena ha diffuso anche le immagini di un drone azero abbattuto, ma si tratta di una perdita non confermata dagli azeri, che a loro volta domenica hanno dichiarato di aver abbattuto un drone armeno. Da un punto di vista militare – come ammesso anche dalle autorità armene – in questa prima giornata di scontri gli azeri sono riusciti a impadronirsi di alcune postazioni armene in Karabakh. Altro elemento preoccupante di questi giorni: una crescita nell’intensità di fuoco che prosegue un trend iniziato già nelle escalation dello scorso anno. Fra gli armamenti utilizzati fonti ufficiali dei due paesi parlano di razzi, missili, mitragliatori, elicotteri e carri armanti. La definizione di conflitto congelato, utilizzata per molti anni dagli analisti per il conflitto fra Azerbaijan e Armenia, sembra sempre più difficile da giustificare.

Una pace più lontana che maiDomenica 3 sono ripresi subito i combattimenti. Fonti ufficiali dello stato de facto del Nagorno Karabakh hanno parlato di nuovi scontri a partire dalle 6 del mattino, con uso di artiglieria e corazzati. Sempre le stesse fonti hanno parlato di due soldati armeni feriti negli scontri di ieri mattina. Sul campo, si è registrato invece – secondo quanto riporta il ministero della Difesa di Yerevan – il recupero di una parte delle posizioni perdute in Karabakh il giorno prima.

Molto ha fatto discutere la decisione di interrompere in modo unilaterale le operazioni militari in Karabakh, dichiarata dal ministero della Difesa di Baku, e mai entrato in atto. La controparte armena lo ha definito una “trappola informativa”, mentre d’altra parte fonti ufficiali del Karabakh hanno chiesto agli azeri una cessazione delle operazioni militari a patto che si ritornasse alle posizioni precedenti all’ultima escalation.

A gettare benzina sul fuoco, anche un episodio che ha investito l’Iran. Tre colpi di mortaio hanno colpito il villaggio di Khodaafarin nell’Iran nord-occidentale, vicino alla frontiera. Il ministro della Difesa iraniano ha parlato ieri al telefono con le controparti armena e azera facendo appello alla calma. In serata, Yerevan ha fatto sapere di aver recuperato una parte delle posizioni perdute dall’esercito del Karabakh. Gli scontri sono proseguiti durante la notte e oggi in mattinata.

Un’escalation militare, senza dubbio, ma anche e soprattutto diplomatica, mediatica e di propaganda. Il tutto  è scoppiato al termine del viaggio americano dei presidenti di due paesi. Il vicepresidente degli Usa Joe Biden, alla vigilia degli scontri, aveva incontrato separatamente a Washington il leader azero Aliyev e l’armeno Sargsyan, tentando un rilancio della pace per questa guerra infinita. A poche ore dalle sue dichiarazioni, è arrivata dal Caucaso la risposta definitiva al suo appello. La pace in Nagorno Karabakh è oggi più lontana che mai.

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Armenia: appello Catholicos Karekin II, “comunità internazionale intervenga per indebite azioni nel Nagorno-Karabakh” (Sir 04.04.16)

Un “appello alla comunità internazionale, in modo particolare ai Paesi che sono chiamati a redimere il conflitto, di intervenire per far cessare le indebite azioni senza fine dell’Azerbaigian, contro il Nagorno-Karabakh”. A lanciarlo è Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni del mondo, all’indomani delle tensioni che nella notte tra il primo e il 2 aprile si sono riaccese violentemente lunga la frontiera del Nagorno-Karabakh, la regione contesa tra l’Armenia e l’Azerbaigian dal 1988. “Con molta severità – scrive Sua Santità Karekin – condanniamo, le operazioni aggressive e premeditate dell’Azerbaigian, lungo le frontiere del Nagorno-Karabakh nei confronti anche delle zone abitate da civili e da popolazioni pacifiche. Inviamo la nostra preghiera e la solidarietà alle autorità e al popolo  del Nagorno-Karabakh, ai valorosi ed eroici soldati ed ufficiali dell’Esercito di Difesa. Esortiamo loro di affrontare con incessante coraggio e con incrollabile spirito, gli attacchi che vengono perpetrati contro l’indipendenza della nostra Patria e contro la sicurezza della nostra nazione. Le continue insidie e le operazioni militari organizzate dall’Azerbaigian, minano la stabilità della regione e annullano gli sforzi per comporre il diatriba della lotta”.

Ieri al termine della liturgia nella cattedrale del Santo Etchmiadzin (sede della Chiesa armena), il Catholicos ha detto: “Siamo tutti in preghiera oggi, perché, come abbiamo appreso, la notte scorsa i giovani della nazione sono stati ancora una volta costretti a difendere con la loro vita, la pace e la sicurezza dei confini della nostra patria e la vita libera del nostro popolo”. Il Catholicos ha quindi pregato per la pace del Pase e per i morti, soprattutto per i bambini uccisi e feriti durante gli scontri. Entrambi le parti si sono accusate a vicenda di aver violato la tregua, con un’offensiva dell’artiglieria pesante lungo tutta la linea del fronte e che è andata avanti per ore. Nell’attacco azero, secondo fonti ufficiali dell’autoproclamata Repubblica del Karabakh, sono morti vari soldati, ma anche civili tra cui due ragazzini (uno di 12 anni). Era dal 1994 che non si registravano scontri così violenti nel Nagorno Karabakh, un conflitto in cui sono rimaste uccise già oltre 30mila persone.

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