Cosa succede davvero nel Nagorno-Karabakh (Formiche.net 06.04.16)

La definizione attribuita a Churchill e riferita ai Balcani – “producono più storia di quanta ne possano digerire” – si potrebbe forse estendere anche al Caucaso, soprattutto a partire dal processo di disgregazione dell’Unione Sovietica. Adesso l’Armenia accusa l’Azerbaigian, e l’Azerbaigian l’Armenia, per la violazione della tregua in Nagorno-Karabakh, un’enclave a maggioranza armena (quindi cristiana) in un Paese abitato dai musulmani azeri. Sullo sfondo le due potenze protettrici, la Russia, per l’Armenia, e la Turchia, per l’Azerbaigian, e un’altra che mira da tempo ad entrare nel gioco geopolitico caucasico, l’Iran.

Il Nagorno-Karabakh è un territorio di 150.000 abitanti, conteso sin dalla fine dell’Urss. Gli armeni votarono per l’indipendenza nel 1991, un passo non riconosciuto dall’Azerbaigian, da cui scaturì una guerra tra i due Paesi che fece più di 20.000 vittime e si concluse solo con una debole tregua nel 1994. L’equilibrio è sempre precario e la scorsa settimana sono scoppiati degli scontri piuttosto violenti tra le due parti, i più sanguinosi degli ultimi anni. Il bilancio, provvisorio, parla già di 44 morti (è stato abbattuto, ad esempio, un elicottero azero con a bordo dodici militari). L’Azerbaigian, che nel frattempo ha conquistato alcune zone montagnose nel Nord-Est del Nagorno-Karabakh, spostando sostanzialmente la linea dell’armistizio, ha dichiarato una tregua unilaterale, ma, secondo gli armeni, gli azeri hanno poi proseguito i combattimenti. Il presidente dell’Armenia Serz Sargsyan ha detto che un’ulteriore escalation delle violenze potrebbe portare ad “una guerra su larga scala” e alcuni report parlano dell’afflusso di volontari da Erevan per combattere accanto ai separatisti. Il ministro della Difesa di Baku, Zakir Gasanov, ha minacciato un assalto militare sulla capitale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, nel caso in cui gli armeni continuino a colpire aree abitate da civili azeri. Adesso, però, sembra che un nuovo cessate-il-fuoco, concordato tra le parti, stia sostanzialmente tenendo.

Alex Vatanka, politologo del Middle East Institute, spiega che “quello a cui stiamo assistendo non è una novità. Già in passato abbiamo visto una serie di rotture della tregua, anche se i combattimenti degli ultimi giorni sono stati particolarmente duri. Il conflitto in Nagorno-Karabakh è da tempo in una fase di stallo e l’Azerbaigian, in particolare, è spinto a sbloccare questo stallo, anche perché si sta parlando di una regione che si trova in all’interno del suo territorio, per quanto contestata dai due Paesi. Gli azeri pensano che gli occidentali abbiano lasciato che fosse la Russia a dare le carte in Nagorno-Karabah, e credono allo stesso tempo che Mosca sia poco interessata a chiudere definitivamente il conflitto”.

Il presidente azero Ilham Aliyev (nella foto) – la cui famiglia, peraltro, compare nei Panama Papers, per una complicata struttura di compagnie offshore – ha ricevuto il sostegno immediato del suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan, il quale ha garantito che Ankara resterà accanto “ai fratelli dell’Azerbaigian fino alla fine”. I due leader hanno evidenti affinità riguardo alla violazione dei diritti umani e sono particolarmente allergici alla libera stampa, ma i legami tra i due Paesi sono dovuti soprattutto alle risorse naturali di cui il territorio azero è ricco: gas e petrolio. L’Armenia, dal canto suo, è appoggiata dalla Russia (ed è entrata a far parte dell’Unione economica eurasiatica voluta da Mosca), ma Putin, che nelle ultime settimane un po’ ovunque ha assunto i panni del mediatore, ha evitato di infiammare la situazione, invitando i due contendenti a rispettare il cessate-il-fuoco. Una posizione condivisa dall’Occidente, che ha anch’esso legami economici con l’Azerbaigian in materia di energia, ma ultimamente – vedi alla voce Parlamento europeo – ha preso le distanze dalle tendenze autoritarie del presidente azero. Vatanka non crede che il conflitto in questa regione del Caucaso possa avere un impatto sulle relazioni russo-turche. “I rapporti tra Russia e Turchia”, sostiene l’esperto, “sono evidentemente molto tesi, in seguito alla guerra in Siria, ma le tensioni tra Armenia ed Azerbaigian non avranno un grande influenza sul loro sviluppo. I motivi del contendere tra i due Paesi vanno ben al di là di una questione regionale come quella del Nagorno-Karabakh. Per risolverli o, al contrario, esacerbarli, ci vuole ben altro”.

Alcuni analisti sostengono che gli scontri più duri degli ultimi giorni sono dovuti al fatto che i due fronti si sono dotati di armamenti più pesanti (l’Azerbaigian li ha comprati, ironia della sorte, dalla Russia). Altri legano l’escalation alla volontà di Aliyev di mostrare i muscoli, in un momento di difficoltà causato dal crollo del prezzo del petrolio. Vatanka sottolinea un altro aspetto: c’è una potenza che vorrebbe approfittare di questa situazione e cercare di offrirsi come mediatore tra le parti: l’Iran. “Teheran”, spiega il politologo, “ha dei legami storici con tutti e tre gli Stati del Sud Caucaso che hanno dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica, Azerbaigian, Armenia e Georgia, ma non è mai riuscita a giocare un ruolo costruttivo nella regione. Il Nagorno-Karabakh si trova a una quarantina di chilometri dall’Iran e nel Paese persiano, a sud del fiume Aras, c’è una grande comunità di iraniani azeri. Teheran, però, dopo il crollo dell’Urss, ha continuato a mantenere buoni rapporti con l’Armenia, che l’ha aiutata, peraltro, ad evadere le sanzioni internazionali, grazie al proprio sistema bancario. L’Azerbaigian, viceversa, è stato accusato di fare da avamposto alle operazioni israeliane in Iran. Quindi gli ayatollah cercheranno certamente di offrire i loro servizi in questa disputa regionale, ma non è detto che Baku si fidi di questa mediazione. Sinora non l’ha mai fatto. Né la Russia vorrà che gli iraniani giochino un ruolo più grosso nel Caucaso, a meno che non sia Mosca a guidarlo”.

Vai al sito

Nagorno Karabakh, una tregua difficile (Radiovaticana 06.04.16)

Regge in larga misura, il cessate il fuoco tra armeni e azeri, entrato in vigore ieri in merito al Nagorno-Karabakh, regione azera a maggioranza armena del sud Caucaso. Dopo giorni di combattimenti e oltre 70 vittime, le parti, pur accusandosi di violazioni reciproche, sono ora sotto osservazione della comunità internazionale che in un giro di incontri sta cercando di stabilizzare i termini dell’accordo. Molto ruota intorno al riconoscimento dei territori di frontiera: “obiettivo difficilissimo da raggiungere”, spiega al microfono di Gabriella Ceraso, Marco Di Liddo, analista del Ce.S.I. ( Centro studi internazionali):

R. – Tra Armenia, Azerbaigian e Nagorno-Karabakh, dal 1994 vige un accordo di cessate-il-fuoco, anche se non esiste un reale progetto, con contenuti politici, che cerchi di risolvere la situazione. Il punto cruciale è che l’Azerbaigian non accetterà mai una decurtazione di quello che ritiene essere il proprio territorio; da parte sua, l’Armenia – pur non riconoscendo ufficialmente il Nagorno-Karabakh per ragioni di buon senso diplomatico – spinge affinché il Nagorno-Karabakh possa “ricongiungersi” con la madre patria, ma respinge in qualche modo anche l’ipotesi di una grande autonomia all’interno dell’Azerbaigian, perché in passato purtroppo l’Azerbaigian ha dimostrato di usare il pugno di ferro nei confronti di realtà subalterne.

D. – Allora in nome di che cosa si dice che le due parti si starebbero accordando?

R. – Si staranno accordando, probabilmente, in questo momento, per abbassare le tensioni, per evitare cioè che ci possa essere una escalation e questo perché la guerra ha un costo economico molto alto: siccome i due Paesi hanno difficoltà economiche, probabilmente temono quelli che possono essere gli effetti, qualora la campagna militare non vada come previsto o come auspicato. Si tratta di un mosaico veramente molto intricato. L’unico elemento stabilizzante, offerto dalla diplomazia russa, che ha interesse affinché il Caucaso sia pacificato, è che il conflitto rimanga almeno congelato.

D. – L’azione del gruppo di Minsk dell’Osce. In queste ore ci sono una serie di riunioni: può avere un ruolo diverso rispetto al passato?

R. – Il grande problema è che per quanto il gruppo di Minsk, dell’Osce, lavori davvero con buona volontà, l’Azerbaigian sostiene che il gruppo di Minsk sia eccessivamente pro-armeno, in quanto i Paesi che lo co-presiedono – cioè Russa, Francia e Stati Uniti – hanno al loro interno delle grandi diaspore armene, che quindi permettono loro di fare lobby politica. In realtà, l’Azerbaigian è un Paese che tradizionalmente in politica estera è molto unilaterale ed ha una postura alquanto assertiva in questo momento. Se aggiungiamo che negli ultimi anni ha potuto ricostituire completamente l’apparato militare, capiamo che il mix è esplosivo. Non dobbiamo mai dimenticare che, nel ’94, gli azeri la guerra l’hanno persa con l’Armenia: quindi c’è anche un senso di revanche storica che cova all’interno dell’élite di potere.

Vai al sito

Nagorno Karabakh, la popolazione spera in una tregua duratura (Ilsole24ore 06.04.16)

Hadrut, Nagorny Karabakh (askanews) – L’Azerbaigian e le autorità separatiste della regione contesa del Nagorno-Karabakh hanno annunciato una tregua. Il cessate-il-fuoco arriva dopo quattro giorni di intensi combattimenti che si sono conclusi con almeno 73 morti.Negli anni ’20 il territorio era stato assegnato da Stalin all’Azerbaigian. Poi, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la questione del Nagorno Karabakh riemerse a causa dell’azerificazione forzata della regione operata da Baku. Nel settembre 1991 il soviet locale dichiarò la nascita della nuova Repubblica del Nagorno Karabakh, autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaigian dopo che questo aveva deciso di uscire dall’Unione Sovietica. Nel gennaio del 1992 la reazione militare azera accese un conflitto che provocò 30mila vittime e si concluse con un accordo di cessate il fuoco nel 1993.Vladimir Putin ha fatto pressione sui leader di Armenia e Azerbaigian per garantire la fine delle ostilità e la tenuta della tregua.Presi tra l’incudine azera e il martello armeno i residenti di Hadrut, città nella parte meridionale del Karabakh, cercano di sopravvivere alle peggiori violenze registrate dall’armistizio del 1993. Sperando nell’esito positivo del cessate il fuoco. \”Se ci dicono che domani possiamo circolare, allora torneremo nelle strade\”, dichiara rassegnato un macellaio di Hadrut. \”Ma, sinora, nessuno ci ha detto niente\”.\”Siamo tranquilli perché abbiamo già vissuto momenti come questo\” spiega Vladimir Narimanya. \”Se il mondo viene a conoscenza della nostra situazione sarà un fatto positivo\”(Immagini Afp)

Vai al sito (video)

SEGNALI DI TREGUA, MA GLI AZERI SPARANO ANCORA. (Karabakh.it 05.04.16)

Le parti raggiungono un’intesa per fermare i combattimenti ma poche ore dopo gli azeri ricominciano i tiri verso il territorio armeno. Le minacce del presidente turco Erdogan e i miliziani dell’Isis a fianco dell’esercito di Baku
Continua a leggere

Attacco azero al Nagorno Karabagh: una sciarada diplomatica (Spondasud.it 05.0.16)

di Bruno Scapini – ex ambasciatore d’Italia in Armenia

Le massicce incursioni condotte nella notte del 1° aprile scorso dall’Azerbaijan contro il Nagorno Karabagh, regione separatista armena auto proclamatasi Repubblica indipendente all’ indomani del crollo dell’ Unione Sovietica, ci hanno sicuramente sconcertati per la dimensione assunta, ma non certamente sorpresi.

Le ripetute continue violazioni del “cessate-il-fuoco”, messe in atto nel corso di tutti questi anni con frequenza crescente da parte azera dalla fine della guerra del 1988/1993, non potevano, infatti, non preludere, a fronte dello stallo negoziale verificatosi nell’ ultimo quinquennio – malgrado l’impegno delle Organizzazioni Internazionali a sostenere un processo di pace condiviso – ad un tentativo di Baku di rendere prima o poi concrete le minacce contenute nella retorica di guerra da sempre al centro delle esternazioni della leadership azera e, in particolare, del suo Presidente Ihlam Alijev.

Tante finora sono state le violazioni del “cessate-il-fuoco”. E sempre con abile rimbalzo di responsabilità effettuato da Baku. Ma sempre tuttavia rientrate, per tema di rappresaglie, nell’ ordinaria “gestione” della linea del fronte, con promesse di ricondurre il processo negoziale di pacificazione nell’alveo dell’azione svolta dall’ OSCE, organismo istituzionalmente deputato con il c.d. Gruppo di Minsk ( Francia, Russia e Stati Uniti ) alla ricomposizione del conflitto.

Ma l’attacco sferrato questo scorso 1° aprile si connota diversamente dai precedenti: l’intervento simultaneo su tutta la linea di contatto, l’ampiezza delle incursioni, il ricorso alle armi pesanti e il numero delle unità militari impegnate sono di certo elementi che inducono a pensare ad un predeterminato “gioco alla guerra”, piuttosto che ad un incidente casuale di frontiera o ad un mero atto di provocazione.

Trattasi in questo caso, infatti, di un tentativo di destabilizzazione del processo di pace per eventualmente spostare il piano del confronto dal tavolo negoziale al teatro di guerra, intimidendo in tal modo l’Armenia per indurla – attraverso la risolutezza dimostrata da Baku – ad un sostanziale mutamento delle proprie posizioni. Il nodo in cui si può riassumere la disputa – al di là di tutte le condizioni dichiarate dai negoziatori ufficiali – è in fondo quale principio risolutivo debba considerarsi prevalente; se quello sostenuto da Baku di integrità territoriale – a termini del quale il Nagorno Karabagh dovrebbe ritornare sotto la sovranità azera – o di auto-determinazione dei popoli perseguito, per contro, da Yerevan a seguito del quale il Karabagh dovrebbe acquisire lo status riconosciuto di indipendenza e di autonoma sovranità.

Non v’è dubbio che il recente attacco senza precedenti sulla linea di contatto – con perdite armene collaterali anche tra la stessa popolazione civile – allontanerà il traguardo della pacificazione, consolidando peraltro sempre più le aspettative della oggi libera Repubblica del Nagorno Karabagh a rimanere indipendente e a rifuggire da qualsiasi soluzione o ricomposizione del conflitto che preveda un ritorno sotto il giogo della dittatura azera della famiglia Alijev ormai ininterrottamente al potere nel Paese da 45 anni.

Certamente una destabilizzazione del negoziato di pace non verrebbe a giovare a nessuno dei due contendenti. Ma ci sarebbe, tuttavia, da domandarsi nella circostanza da quale fonte la dirigenza azera abbia potuto trarre il coraggio da spingerla ad un attacco al Nagorno Karabagh senza precedenti per dimensione e intensità, conoscendo peraltro la certezza della risposta militare dell’ Armenia, Paese notoriamente tra i più armati e meglio preparati sul piano militare dell’area euro-asiatica e, sopratutto, legato alla Russia da accordi di cooperazione militare e di partenariato strategico e quale membro della Collective Security Treaty Organization (CSTO).

Al di là, dunque, delle generiche e anodine dichiarazioni dell’ OSCE, e di quanti tra governanti e politici intendono esprimere riprovazione per questa recrudescenza di ostilità, e scontando le ipocrisie di una diplomazia pavida e asservita incapace di fare distinzione tra aggressori e aggrediti – , la recente gravissima violazione del “cessate-il-fuoco” si ricondurrebbe a quel più ampio contesto di crisi geopolitica da cui l’area euro-asiatica sembrerebbe oggi essere affetta, e che vede ancora una volta alla ribalta della cronaca il confronto tra gli USA e la Russia nel cui ambito vengono ad agitarsi i preoccupanti spettri di un ritorno ad una nuova “guerra fredda”.

Premesse di tale rinnovata tensione sarebbero in particolare il controllo delle fonti e dei transiti energetici che si dipanano verso l’ Europa dall’Azerbaijan, grande fornitore di petrolio e gas, e la progettata espansione verso Est, ai danni della Russia, dell’influenza della NATO.

La divergenza di interessi di cui Washington e Mosca si fanno in questo scenario interpreti è peraltro comprovata proprio dalla posizione favorevole più esplicitamente espressa da parte americana nei confronti di Baku in occasione dell’ incontro tenutosi questo 31 marzo scorso, a margine del Vertice sulla Sicurezza Nucleare, tra il Vice Presidente John Kerry e il Presidente azero Ilham Alijev. Kerry avrebbe infatti apprezzato gli sforzi intrapresi dalla leadership azera per un rafforzato ruolo strategico pro-occidentale nell’area caucasica, e avrebbe apertamente sostenuto le aspettative di Baku per un rispetto della integrità territoriale, contraddicendo in tal modo le aspirazioni armene per un riconoscimento dell’auto-deteminazione per il Nagorno Karabagh.

Ecco così spiegate alcune fondamentali conseguenze: l’inadeguatezza di ruolo dell’ OSCE per il proseguimento del negoziato, il fallimento dei vari tentativi di ricomporre il conflitto – come anche di quel debole tentativo messo in atto nel 2009 di giungere ad una ripresa delle relazioni diplomatiche tra Yerevan e Ankara alleata di Baku -, il sostegno preferenziale accordato all’Azerbaijan da Washington – e per induzione dall’ Europa – per attrarre Baku nella sfera di influenza occidentale, e, infine, il coraggio della dirigenza azera ad intraprendere impunemente ora un’operazione di attacco senza precedenti ai confini del Nagorno Karabagh. La Turchia, si sa, è sostenuta da Washington; e Ankara si è da sempre dichiarata a sostegno dei “fratelli” azeri, e suscitare un disappunto alla sua leadership pregiudicherebbe inevitabilmente gli attuali equilibri regionali di cui potrebbe approfittare la Russia per consolidare la propria influenza in questa contesa area di confronto.

Ancora una volta così nella Storia lo scotto sarà pagato dagli armeni. Dalla popolazione del Nagorno Karabagh costretta a vivere in una imposta dimensione di guerra e pace, e dall’ Armenia che viene indotta a gestirsi un rapporto con Mosca e l’Occidente sempre più arduo e difficile. Il tutto sullo sfondo di una partita che si gioca sullo scacchiere internazionale per il futuro dominio di influenza in questa importante regione euro-asiatica. Una partita di cui Yerevan farebbe ben volentieri a meno. Ma gli armeni, si sa, sono campioni mondiali di scacchi. Ed altrettanto volentieri ancora una volta nella Storia accettano la sfida.

Vai al sito

Nagorno-Karabakh: troppo pericolose le implicazioni per scatenare una guerra (Toscanaoggi.it 05.04.16)

Allarme rosso nel Nagorno-Karabakh, la regione nel sud del Caucaso contesa da Armenia e Azerbaigian. Nella notte tra il 1 e il 2 aprile sono ricominciati gli scontri e il numero delle vittime aumenta di ora in ora. Se ne contano già centinaia e ci sono purtroppo anche molti civili.  Si tratta dell’escalation più violenta da quando, nel 1994, l’armistizio firmato dai governi armeno e azero aveva ufficialmente chiuso le ostilità costate la morte di 30mila persone. Non si riuscì però a giungere ad un vero e proprio accordo di pace sullo status dell’enclave e da allora la stabilità nella Regione ha vissuto in uno stato di estrema fragilità. Basta quindi poco per riaccendere la tensione ed entrambe le parti si sono accusate a vicenda di aver violato la tregua e sferrato il primo attacco.

La comunità internazionale guarda con profonda preoccupazione agli scontri scoppiati e anche il nostro ministero degli Esteri ha richiamato «tutte le parti all’immediato rispetto del cessate il fuoco e ad astenersi da ulteriori atti di ostilità».

La Chiesa armena «piange» le vittime cadute. Anche la comunità cattolica è stata pesantemente colpita. Nel villaggio di Thalisch una famiglia composta da una coppia e la nonna è stata massacrata. «Dopo averli uccisi – racconta monsignor Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa Orientale – hanno anche tagliato le orecchie». I cattolici piangono anche la morte di un ragazzino di 12 anni, ucciso nel cortile della scuola, e altri due bambini che sono stati gravemente feriti. Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni del mondo, ha lanciato un «appello alla comunità internazionale, in modo particolare ai Paesi che sono chiamati a dirimere il conflitto, di intervenire per far cessare le indebite azioni senza fine dell’Azerbaigian, contro il Nagorno-Karabakh».

«La situazione nella regione è instabile da più di 20 anni», osserva Aldo Ferrari, docente di geopolitica e ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano. E questa instabilità è dovuta al fatto che «20 anni fa non si è arrivati ad una vera pace ma soltanto ad un armistizio». «Ci sono stati molti scontri negli anni passati ma questo sembra essere il più grave in assoluto».

Perché adesso? Perché – risponde il professore – l’Azerbaigian può aver voluto dare «una prova di forza» per riportare la regione occupata dagli armeni sotto la sua sovranità. Oppure l’attacco potrebbe essere stato sferrato per distogliere l’attenzione della popolazione azera dai problemi interni (crisi economica a causa del crollo del prezzo del petrolio) e indirizzarla verso la politica estera, ricompattandola. «Ma questo vorrebbe dire – osserva Ferrari – che la responsabilità dell’attacco sia dell’Azerbaigian, cosa che francamente è possibile ma non certa perché come sempre avviene in queste circostanze c’è una guerra di informazione o disinformazione tra le parti che rende difficile capire se e cosa sia realmente avvenuto». Una cosa invece è sicura: si tratta – dice Ferrari – di «una situazione potenzialmente pericolosissima». Lo scacchiere dei rapporti tra gli Stati coinvolti nella crisi è delicatissimo.

«Con un Medio Oriente destabilizzato, una Russia che appoggia l’Armenia con la quale ha una vera e propria alleanza e la Turchia che a sua volta appoggia l’Azerbaigian. Potenzialmente quindi la situazione è critica. Al tempo stesso però – prosegue Ferrari – si spera che, come già è avvenuto in passato, proprio la gravità delle possibili implicazioni facciano fermare i due contendenti».

Sarebbe assurdo prospettare un acuirsi del conflitto proprio in quella zona, «anche se – osserva Ferrari – non è escluso. Basta guardare a ciò che è accaduto in Siria, in Libia, in Iraq. Di assurdità ce ne sono state tante anche negli ultimi anni». «Mi sentirei però di essere ottimista – aggiunge il professore – perché gli Stati coinvolti non dovrebbero essere o sentirsi sufficientemente forti e autonomi per promuovere una guerra con le implicazioni che poi questo conflitto potrebbe avere».

Il tutto sta avvenendo alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Armenia. «Un viaggio – rileva il prof. Ferrari – che ha un margine di rischio se da qui al momento della sua partenza, questa situazione di conflitto non verrà risolta. Ma spero che francamente si tratti di un aggravamento provvisorio della situazione e che torni la ragionevolezza da entrambe le parti». «Il Papa – conclude l’esperto – ha un peso politico rilevante ovunque vada. In Armenia la sua popolarità è altissima e il suo viaggio è atteso con una enorme aspettativa anche per la chiarezza con cui ha parlato del genocidio armeno che ha avuto una grande ricaduta mediatica».

Vai al sito

 

Nagorno-Karabakh, perché una guerra senza jihadisti è una guerra di serie B (Huffingtonpost.it 05.04.16)

giornali italiani si sono accorti che c’è una guerra in Nagorno Karabakh. La guerra, in realtà, c’è dagli anni Ottanta, quando ha ha giocato un ruolo fondamentale nella disintegrazione dell’Urss, ma di solito si fa finta che non ci sia, un po’ perché questo posto ha un nome impossibile da pronunciare, un po’ perché il conflitto è congelato da 20 anni e di solito i due contendenti – Armenia e Azerbaijan – si sparano solo qualche colpo di mitra.

In questi tre giorni però, sono morte circa 300 persone. Mica poche. Famiglie che vivono in paesini poverissimi arroccati sulle montagne che circondano questa enclave sono finite in mezzo agli spari. Nel Giardino Nero del Caucaso, come si traduce Nagorno Karabakh, i contadini sono stati trucidati in casa solo perché si trovano al confine di una regione contesa tra due Paesi che non si decidono ad arrendersi. E sì, i due Paesi hanno religioni diverse, l’Azerbaijan è musulmano e l’Armenia è cristiana, ma della guerra santa e dei jihadisti qui non c’è traccia. Si tratta invece di orgoglio nazionale e di retorica patriottica usati e abusati per restare al potere: la famiglia Aliyev è a capo dell’Azerbaijan da 23 anni, il partito del presidente Sarghsyan governa l’Armenia dal 1999. Il Nagorno Karabakh oggi è abitato solo da armeni ed è riconosciuto come Stato solo dall’Armenia, con la quale è collegato da un corridoio di terra abbastanza ampio. Ma si trova nel territorio dell’Azerbaijan, che conta ancora di farvi tornare tutti i profughi azerbaijani che sono stati cacciati dalla pulizia etnica negli anni Novanta.

Se negli ultimi anni vent’anni i due Paesi si sono limitati a scontrarsi verbalmente, con qualche colpo di fucile ogni tanto in modo da conservare la militarizzazione del territorio e il fiorente commercio di armi, è perché li ha tenuti a bada la Russia. Entrambi i Paesi – ex repubbliche Urss – ci tengono a mantenere buoni rapporti con Mosca e a non farla irritare. Ma l’Azerbaijan è di etnia turcofona ed è molto amico di Ankara, che invece odia l’Armenia. Nello scontro armato che è scoppiato in questi giorni c’è chi vede una guerra per procura tra Turchia e Russia, che con il conflitto in Siria sono venute ai ferri corti. Ma la realtà probabilmente è più semplice.

Anche se le due parti si accusano a vicenda di aver iniziato gli scontri, sembra che sia stato l’Azerbaijan a prendere l’iniziativa. Come scrive Osservatorio Balcani, infatti, le truppe armene del Karabakh hanno perso diverse posizioni e nella regione è stato ritrovato un elicottero azero abbattuto, segno di una possibile offensiva aerea.

L’Azerbaijan potrebbe aver contato proprio sulle tensioni tra Russia e Turchia in territorio mediorientale per evitare che questi Stati intervenissero a sedare la crisi. In più, con tutti terroristi islamici che terrorizzano l’occidente è difficile che oggi l’Europa perda tempo e energie a produrre sanzioni per gli azerbaijani, che invece dichiarano di volere l’Occidente al loro fianco. Gli scontri, infatti, sono scoppiati mentre il presidente Aliyev era a Washington in amichevole colloquio con Joe Biden e nei giorni successivi anche Israele, a cui l’Azerbaijan fornisce il 40 per cento delle risorse petrolifere, è stato invitato da Baku a condannare l’Armenia.

Che l’attacco sia partito dagli armeni o dagli azerbaijani una cosa sembra certa: le grandi potenze sono troppo impegnate a intessere una fragilissima alleanza contro lo Stato Islamico – in Siria e in Libia – per volersi intromettere in un altro conflitto. Il risultato è che a combattere questa guerra per ora ci sono solo Armenia e Azerbaijan, che hanno passato gli ultimi vent’anni a comprare carri armati e mitragliatrici. L’unica speranza per i poveri abitanti del Karabakh sono gli interessi delle nostre compagnie petrolifere, che troppo hanno investito negli idrocarburi dell’Azerbaijan per vederli bloccati in patria da una guerra senza fine.

Vai al sito

Nagorno-Karabakh, un Fuoco mai Spento (Smartweek 05.04.16)

Un’escalation crescente nel territorio del Nagorno-Karabakh, a causa di fallimenti mediatici, una militarizzazione crescente e frequenti violazioni del cessate il fuoco attraverso l’uso di artiglieria pesante han provocato centinaia di morti. Un duro stop alla tregua accordata nel 1994 dopo 6 anni di guerra e migliaia di morti tra l’Armenia e l’Azerbaijan.

Il conflitto

Un conflitto che dura quasi un secolo, da quando nel 1923, Stalin decise che il territorio del Nagorno-Karabakh, enclave armeno cristiana, sarebbe diventata parte dell’Azerbaijan, di maggioranza musulmana.
Quando negli anni 80 l’Unione Sovietica si indebolì, la popolazione del Karabakh insorse, proclamando la propria indipendenza dall’Azerbaijan a favore dell’annessione all’Armenia, sfociando in una pesante guerra che durò dal 1988 al 1994 senza arrivare ad un trattato di pace ma solo ad un cessate il fuoco, dimostrando che l’URSS non ebbe successo nel suo intento di calmare ed eliminare nazionalismi.

Al momento nessuna delle parti si è ancora assunta la responsabilità per la violazione della tregua.

La situazione oggi

Gli azeri, in un discorso tenutosi sabato, hanno affermato che gli armeni hanno ucciso una dozzina di soldati e abbattuto un elicottero azero accendendo cosi il conflitto, mentre il presidente armeno Serzh Sarkisian ha dichiarato che è stata l’Azerbaijan a iniziare il conflitto con l’uccisione di 20 soldati e 35 feriti.

Il gruppo di Minsk, organo istituito nel 1992 dall’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), con lo scopo di mediare e arrivare ad una soluzione al conflitto Armeno-Azero, co-presidiata da Francia, Stati Uniti e Russia, non è riuscito a produrre una soluzione definitiva e si incontrerà oggi a Vienna per discutere sul da farsi.

Nel mentre Vladimir Putin ha contattato i ministri Armeni e Azeri al fine di arrivare ad un cessate il fuoco, e il segretario degli Stati Uniti, John Kerry si è pronunciato dichiarando che gli USA:” condannano duramente le violazioni della tregua”.

Il confronto fra Russia e Turchia

Un ostacolo alla risoluzione potrebbe essere anche la situazione geopolitica che interessa i paesi coinvolti nel conflitto.
La Russia, con la sua base militare in Armenia ma soprattutto intimorita dalla forte concorrenza per l’esportazione azera di gas, potrebbe non volere arrivare ad una risoluzione definitiva cosi da poter controllare meglio la situazione. Dall’altro lato del ring si posiziona la Turchia con una triste, se non terribile, relazione con l’Armenia, dove Ankara si rifiuta ancora di scusarsi per il genocidio avvenuto nel 1915 con la morte di 1.5 milioni di armeni. Attualmente i turchi detengono forti legami commerciali di gas e benzina con l’Azerbaijan, che rappresenta un ponte per l’Asia centrale e una risoluzione al conflitto potrebbe portare ad una egemonia Turca-Azera nella regione, con la Georgia come junior partner e il duetto, Russia e Iran, fuori dal campo di gioco.

Se prima gli attori di una guerra dislocata furono Russia e Stati Uniti con i relativi stati amici, ora, con la ritirata americana dall’Asia orientale, assistiamo a un conflitto “freddo” diverso, dove gli USA passano la palla alla Turchia, appoggiata dall’Arabia Saudita mentre la Russia rimane attiva sul campo con un nuovo alleato, l’Iran e un’America vacillante.

La questione siriana pone le basi per un conflitto freddo tra le due potenze in termini di egemonia territoriale e economica e col passare del tempo altri territori diventano pedine di una scacchiera sempre più complessa.

Quest’ultimo caso del conflitto per il Nagorno-Karabakh, ne è l’esempio ma anche i recenti avvicinamenti di Erdogan a Israele, il quale detiene una delle riserve di gas più grandi del Mediterraneo.

Il Medio Oriente non è mai stato così multipolare e imprevedibile, l’Europa deve rimanere molto vigile se non vuole essere travolta.

Vai al sito

Ererouyk e i 7 siti più a rischio in UE: a Radio3Mondo 6 aprile (Mainfatti 05.04.16)

“Si chiama Ererouyk ed è stato in passato uno dei più vasti ed importanti centri di culto della regione armena. E’ stato nominato fra i 7 siti più in pericolo in Europa nel 2016. Anna Mazzone a Radio3 Mondo, in onda su Rai Radio3”, fa sapere in una nota la Rai.

“Si chiama Ererouyk ed è stato in passato uno dei più vasti ed importanti centri di culto della regione armena. Insieme al villaggio di Anipemza in Armenia – viene riferito in un comunicato della Rai -, la fortezza di Patarei Sea a Tallinn in Estonia, l’Aeroporto Helsinki-Malmi in Finlandia, il ponte girevole Colbert a Dieppe in Francia, il quartiere Kampos a Chios in Grecia, il Convento di Sant’Antonio da Padova in Estremadura in Spagna e l’antica città di Hasankeyf con i suoi dintorni in Turchia, è stato nominato fra i 7 siti più in pericolo in Europa nel 2016.”
Dalla tv di Stato diffondono in conclusione: “Oggi grazie ad una joint venture italo-armena, Ererouyk potrà essere salvato. Tra i partners della campagna vi sono organizzazioni e istituzioni armene (Ministero della Cultura e Museo Regionale di Shirak), italiane (Politecnico di Milano), francesi (Laboratoire d’Archéologie Médiévale et Moderne en Méditerranée dell’Università di Aix en Provence) e americane (Global Heritage Fund ). Il programma ‘I 7 più a rischio’ è stato lanciato nel gennaio 2013 da Europa Nostra con l’Istituto della Banca Europea per gli investimenti in qualità di partner fondatore e dalla Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa come partner associato. Si è ispirato ad un progetto di successo gestito dalla US National Trust for Historic Preservation. Mercoledì 6 aprile alle 11.00 Anna Mazzone a Radio3Mondo, in onda su Rai Radio3, ne parla con Gaiane Casnati, architetto capo progetto del Politecnico di Milano e con l’ambasciatore armeno a Roma, Sarghis Ghazaryan.”

Vai al sito

Nagorno-Karabakh: concordata tregua fra Baku e i separatisti (Askanews 05.04.16)

Roma, 5 apr. (askanews) – L’Azerbaigian e le autorità separatiste della regione contesa del Nagorno-Karabakh hanno annunciato oggi di aver concluso un accordo di cessate-il-fuoco dopo quattro giorni di intensi combattimenti che si sono conclusi con almeno 64 morti. L’annuncio è giunto a poche ore dall’inizio di una riunione a Vienna fra americani, francesi e russi, per rilanciare il processo di pace in questa strategica regione del Caucaso. Le due parti non hanno reso noto i dettagli dell’accordo di cessate-il-fuoco e soprattutto sulla sorte dei territori conquistati dall’esercito azero, ma anche di quello armeno durante i combattimenti, i più violenti degli ultimi vent’anni fra i due Paesi. I bombardamenti sono cessati in mattinata dopo una notte di sporadici tiri di artiglieria, secondo testimoni presenti nei pressi della linea del fronte.

L’Azerbaigian afferma di aver preso sabato il controllo di diverse alture strategiche nel Nagorno-Karabakh e ha annunciato l’intenzione di “rafforzarvi” le sue posizioni. Le autorità separatiste, sostenute dall’Armenia, avevano però affermato che sarebbero state pronte a discutere una tregua solo se avessero recuperato il terreno perduto nella regione. Il presidente armeno, Serge Sarkissian, sullo stesso tono, aveva detto che un cessate-il-fuoco sarebbe stato possibile solo se i militari delle due parti fossero ritornati alle posizioni che occupavano prima della ripresa delle ostilità. Prima dell’annuncio della tregua, il ministero della Difesa azero aveva riferito della morte di 16 suoi soldati nelle ultime 48 ore, facendo salire il bilancio ad almeno 64 morti fra i militari e i civili delle due parti da venerdì.

Sul piano diplomatico, una riunione del gruppo di Minsk sul Karabakh, costituito all’interno dell’Osce da rappresentanti di Francia, Stati Uniti e Russia per tentare di trovare una soluzione a questo che de facto è un “conflitto congelato” da più di 20 anni, è stata convocata oggi a Vienna. E’ attesa anche una trasferta dei copresidenti del gruppo “nei prossimi giorni” a Erevan, Baku e nel Nagorno-Karabakh.

Il conflitto ha esarcerbato le tensioni fra la Turchia e la Russia, già ai ferri corti a causa della crisi siriana. Ankara, alleata tradizionale dell’Azerbaigian, nelle ultime ore non ha fatto altro che rilasciare delle dichiarazioni altamente provocatorie in difesa di Baku. L’ultima l’ha pronunciata oggi il Primo ministro Ahmet Davutoglu avvertendo che il suo Paese resterà accanto all’Azerbaigian “fino all’apocalisse”. In questo modo ha fatto eco al presidente Recep Tayyip Erdogan che ieri ha detto che “il Karabakh ritornerà un giorno, senza nessun dubbio, al suo proprietario originale”, l’Azerbaigian.

Il conflitto, le cui origini risalgono a diversi secoli fa, si è così configurato nell’era sovietica quando Mosca attribuì questo territorio abitato in maggioranza da armeni all’allora repubblica socialista dell’Azerbaigian. Il Karabakh si trova in una regione del Caucaso strategica per il trasporto di idrocarburi, in prossimità dell’Iran, della Turchia e del Medio Oriente.

Dopo una guerra che ha provocato 30.000 morti, e centinaia di migliaia di rifugiati, principalmente azeri, il Nagorno-Karabakh è passato sotto il controllo delle forze separatiste vicine a Erevan.

Il Nagorno Karabakh è un conflitto “congelato” dall’armistizio firmato nel 1994. Nessun trattato è stato concluso e dopo un periodo di calma relativa, la regione ha visto negli ultimi mesi una netta escalation delle tensioni culminate poi nei combattimenti di questi giorni.

Vai al sito


Nagorno-Karabakh, verso il cessate il fuoco (La Stampa.it 05.04.16)

Nagorno-Karabakh: stop alle ostilità, raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco (Euronews 05.04.16)

Nagorno Karabakh: Aliyev vuole rinnovare la tregua coi separatisti (Notiziegeopolitiche 05.04.16)