Kim Kardashian può fermare la guerra tra armeni e azeri? (Il Foglio 07.04.16)

Un tweet della moglie di Kenye West scatena una mezza crisi diplomatica tra Stati Uniti e Azerbaijan. Il messaggio di solidarietà all’Armenia (che contende la regione di Nagorno-Karabakh allo stato confinante) e quel momento che cambia la vita di una celebrità: quando alla qualifica della professione si aggiunge “attivista”.

di Manuel Peruzzo

Kim Kardashian

Forse il battito d’ali d’una farfalla a Los Angeles non provoca un uragano in Azerbaijan, ma di sicuro il cinguettio di Kim Kardashian su Twitter ha conseguenze diplomatiche tra Stati Uniti e l’ambasciatore azero a Washington. Ne abbiamo avuto certezza quando la moglie di Kenye West ha twittato ai suoi 66 milioni di follower su Instagram e ai 43 milioni su Twitter (la popolazione totale dell’Azerbaijan è di 9.417 milioni), un messaggio di solidarietà nei confronti dell’Armenia, che è attualmente in guerra con lo stato confinante, l’Azerbaijan, con cui si contende la regione di Nagorno-Karabakh. di Kim Kardashian a favore dell’Armenia

“È molto famosa e amata, ma questioni di guerra e pace sono un po’ troppo serie per una star di un reality show”, ha detto l’ambasciatore azero Elin Suleymanov. Piccolo dettaglio: Kardashian è armena. In un articolo per il Time (sì, Kardashian ha scritto per il Time quindi non facciamo troppo gli schizzinosi) raccontò della promessa fatta al nonno, emigrato negli Stati Uniti per sfuggire al genocidio armeno (mai ammesso ufficialmente dal governo turco): qualsiasi persona sarebbe lei diventata, non avrebbe dovuto mai cambiare quel cognome.

ARTICOLI CORRELATI Dunham e Kardashian, le due declinazioni del femminismo che fa fare soldi I nudi di Kim Kardashian e la femminista francese che mette gli animali prima delle donne D’accordo, oggi quel cognome è riconoscibile per tutto fuorché per il genocidio armeno, ma se hai una storia famigliare di quel genere è uno spreco non usarla per migliorare la tua immagine. Una celebrità senza causa è come una gattara senza gatti: incompleta. Brigitte Bardot si è ritirata nel 1974 e si è dedicata a tempo pieno ai diritti degli animali, appunto. Su looktothestars.org si può scorrere la lista: Sting (33 cause, 43 charities), Bono (30 cause, 40 Charities). Angelina Jolie (26 cause, 29 charities) ha detto a Forbes di aver smesso di combattere se stessa e di aver iniziato a combattere per qualcosa di più importante.

C’è un passaggio fondamentale nella vita di una celebrità che è il momento in cui alla professione si aggiunge “attivista”. Se sei solo un attore non stai facendo nulla di buono per nessuno, se sei attore-attivista significa che hai raggiunto lo status impegnato. A quel punto ti si chiederà un’opinione su qualsiasi cosa: politica nazionale, estera, imperialismo, ingegneria nucleare, riforme energetiche. L’argomento critico a questo punto diventa: “Ma chissenefrega dell’opinione di George Clooney sul Darfur, o di Hillary Clinton criticata da un’analista politica improvvisata quale Susan Sarandon, o di Bjork che parla di referendum energetico in Islanda”, e così via.

La responsabilità è anche della politica. Se per diventare presidente degli Stati Uniti spasimi per un selfie con Kardashian-West o per un intervento in cui Eva Longoria arringa gli immigrati messicani, non puoi chiedere alle celebrità di tacere fuori campagna elettorale. Ognuno ha convenienza in questo accordo tra brand: i politici nell’acquisire prestigio e coolness (tutti tranne Obama e Trump: il primo si è trasformato da politico a celebrità naturalmente cool, il secondo da celebrità a politico marcatamente uncool), e le celebrità cercano l’impegno per invecchiare riparate. Non ha tutti i torti chi critica la svalutazione dell’expertise e la riduzione dell’intelligenza nel discorso pubblico. Finiremo a far scrivere editoriali sul Finacial Times a Cristiano Ronaldo?

L’alternativa non può essere “parli solo chi è titolato”. Se a sostenerlo fosse stato Mark Zuckerberg, Facebook oggi sarebbe una mailing list. Il punto è che se a parlare di guerra nel Caucaso è Kardashian c’è il rischio che interessi a qualcuno. Forse un selfie non salverà il mondo ma avrà più risonanza di qualsiasi comunicato stampa che finisce a pagina cento nelle notizie estere. E lo dimostra una verità incontrovertibile: la parola più googlata nel 2015 in Armenia, Turchia e Azerbaijan non c’entra nulla con le diatribe geopolitiche, o forse un po’ sì: è “Kim Kardashian”. Datele un ruolo diplomatico e farà finire ogni guerra dichiarando un unico stato indipendente. Kardashianistan non suona male.

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Spettacolo: da Roma in tournée Tatul Altunyan Ensemble (La Folla.it 06.04.16)

Il più rinomato gruppo di danza e musica armena, Tatul Altunyan Ensemble, sarà per la prima volta in Italia ad aprile per un tour, che vedrà 46 ballerini professionisti, cantori e musicisti con strumenti tradizionali Armeni, impegnati in numerose località italiane. Il tour partirà dalla Capitale con una serata imperdibile il 14 Aprile alle ore 21,00 presso il Teatro Orione.

Fondato nel 1938 da Altunyan, l’Ensemble vanta una lunga storia ricca di successi e consensi ed è tra le più alte espressioni dell’arte coreografica e musicale armena grazie a performance corali di altissimo livello che trasportano lo spettatore all’interno dell’arte e della cultura del popolo dell’Arca.

Quasi ottant’anni di produzione artistica, hanno reso questo straordinario gruppo, testimone dell’eredità culturale armena con l’uso di strumenti tipici, la lirica tradizionale e la riproposizione di spettacolari e suggestive coreografie che trascinano e seducono il pubblico.

Dopo numerosi concerti in Francia, Inghilterra, Austria, Svizzera, Belgio, Germania, Portogallo, Australia, Russia, Libano e tanti altri paesi, il “Tatul Altunyan Ensemble” arriva finalmente anche in Italia. Il tour è organizzato nell’ambito delle manifestazioni commemorative del Genocidio Armeno. (Proprio in occasione del centunesimo anniversario del Genocidio Armeno, il Tatul Altunyan Ensemble parteciperà anche alla manifestazione organizzata il 24 Aprile in Piazza Della Rotonda -Pantheon). Le tappe successive della tournée toccheranno Firenze (15 Aprile, ore 21,00 Teatro Puccini) Gubbio (17 Aprile, ore 21,00 Teatro Comunale), Bologna (18 Aprile, ore 21,00 Teatro Duse), Padova (20 Aprile, ore 21,00 Teatro ai Colli), Milano (21 Aprile, ore 21,00 Teatro Sala Fontana).

STORIA TATUL ALTUNYAN Il gruppo folkloristico armeno Tatul Altunyan vanta una lunga e ricca storia. Negli anni ha ottenuto grandi successi in patria, grazie alle maestria del gruppo dei suoi musicisti e ballerini, portando le canzoni e i balli nazionali Armeni in giro per tutta la madre patria e non solo. L’Ensemble, infatti, ha rappresentato la cultura nazionale armena in molti paesi del mondo e ha, senza dubbio, soddisfatto non solo gli Armeni della diaspora, ma anche gli stranieri, grazie alle appassionanti tradizioni nazionali e alle loro storie di eroismo, coraggio e prontezza a lottare per difendere la terra armena. Le danze si distinguono per la loro rappresentazione e per l’eleganza nel riportare l’ identità nazionale armena attraverso i significativi movimenti del corpo. Le canzoni armene sono di diversa natura: liriche, leggere e melodiche e allo stesso tempo, eroiche e grandiose. Durante gli ottant’anni di vita del gruppo, la direzione artistica è stata curata da eminenti figure del mondo culturale armeno, che si sono impegnate a favore della continua innovazione e del continuo il miglioramento dell’ Ensemble, sempre mantenendo intatto il patrimonio culturale Altunyan e le caratteristiche nazionali dell’Ensemble.

TOURNÉE TATUL ALTUNYAN ENESEMBLE: ROMA (14 Aprile, ore 21,00) – Teatro Orione (via Tortona, 3) FIRENZE (15 Aprile, ore 21,00) – Teatro Puccini (via delle Cascine, 21), GUBBIO (17 Aprile, ore 21,00) – Teatro Comunale (via del popolo, 7) BOLOGNA (18 Aprile, ore 21,00) – Teatro Duse (via Cartoleria, 42) PADOVA (20 Aprile, ore 21,00) – Teatro ai colli (via Monte Lozzo, 16) MILANO (21 Aprile, ore 21,00) – Teatro Sala Fontana Teatro Orione (via Tortona, 3) – ore 21,00 Costo del biglietto: € 20,00 Organizzatore Kevork G. Orfalian keran.srl@hotmail.it

Russia-Armenia: colloquio telefonico capi di governo (Agenzianova.it 06.04.16)

Mosca, 06 apr 09:33 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro russo, Dmitrij Medvedev, e l’omologo armeno Ovik Abraamjan nel corso di una conversazione telefonica hanno discusso della situazione intorno al Nagorno-Karabakh. Lo riferisce in un comunicato l’ufficio stampa del Consiglio dei ministri russo. “Nel corso della conversazione telefonica con il primo ministro dell’Armenia, Dmitrij Medvedev ha espresso seria preoccupazione per l’escalation intorno al Nagorno-Karabakh. Il primo ministro russo ha sottolineato la necessità di una stretta osservanza del cessate il fuoco e l’importanza di una rapida ripresa del processo di soluzione politica”, si legge nel comunicato governativo. Medvedev ha confermato che si recherà in Armenia in visita ufficiale secondo quanto precedentemente concordato nelle date del 7 e 8 aprile. Con la leadership armena discuterà l’intera gamma di questioni bilaterali all’ordine del giorno, compresa la cooperazione nei settori dell’economia, dell’energia, dell’industria e delle infrastrutture di trasporto. (Rum)

Genocidio armeno, il grande male dimenticato (Varesenews.it 06.04.16)

Rosa Luxemburg diceva che chiamare le cose con il loro vero nome è di per sè già un atto rivoluzionario, a maggior ragione se si parla di genocidio bisogna usare precise parole. I popoli che lo hanno subìto infatti non usano una parola generica, come ad esempio olocausto, sacrificio o tragedia, ma un termine specifico, inequivocabile: Shoah (distruzione) per egli ebrei, Porrajmos (divoramento) per gli zingari e Metz Yeghérn (il grande male) per gli armeni.

Per molti anni il genocidio armeno, il primo del Novecento, perpetrato dai turchi ottomani non solo non è stato pronunciato con il suo vero nome ma è stato rimosso dalla storia della Turchia. Un argomento considerato tabù dai padri fondatori della repubblica, perché, sostengono gli storici, c’è una continuità politica con coloro che nella primavera del 1915 e l’autunno del 1916 organizzarono la deportazione di massa e il massacro di un milione e mezzo di persone. 

Gli strumenti usati dai negazionisti sono sempre gli stessi: il rovesciamento della verità,  l’equivoco, la duplicità. Non serve negare apertamente basta eludere la verità, relativizzarla, mescolarla a tesi di complotto e tradimento che trasformano la vittima in carnefice, ottenendo così una responsabilità attenuata.

Per quanto sia passato un secolo da quei fatti e nel tempo siano state analizzate le ragioni storico-politiche, come la decadenza dei territori ottomani e il sorgere delle istanze nazionaliste di stampo europeo, le gravi perdite territoriali dovute alla prima guerra mondiale, l’influsso delle diverse appartenenze religiose (gli armeni erano l’ultima minoranza cristiana), la cultura millenaria di un popolo che aveva una propria lingua e un’identità forte e per questo percepita come un pericolo dagli ultranazionalisti, il genocidio degli armeni rappresenta ancora un capitolo tutt’altro che risolto per la comunità turca che bussa alle porte dell’Unione Europea. 

Nel libro “Nazionalismo turco e genocidio armeno” (Guerini e Associati) Taner Akcam, primo storico turco ad ammettere e discutere apertamente del genocidio degli armeni e per questo motivo condannato a dieci anni di carcere, scrive: «Se la Turchia vuole trasformarsi da stato burocratico e autoritario in democrazia, dovrà accettare la storia e adottare una prospettiva critica nei confronti dei problemi che circondano la sua stessa identità nazionale».

Giovedì 7 aprile alle 21 presso la sala conferenza Don Luigi Ponti a Travedona-Monate si parlerà di “Genocidio armeno” con Baykar Sivazliyan, presidente Unione Armeni d’Italia, Claudio Bonvecchio, preside della facoltà di scienze della comunicazione dell’Università dell’Insubria, Ani Balian, consigliere Unione armeni d’Italia. Al dibattito parteciperanno molti sindaci della provincia, tra cui Attilio Fontana, sindaco di Varese, e il presidente della Provincia, Gunnar Vincenzi. Alla serata sarà presente anche un interprete Lis (Lingua dei segni italiana).

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Scontri in Nagorno-Karabakh, regge la tregua tra azeri e armeni (L’Unione Sarda.it 06.04.16)

Sembra reggere il cessate il fuoco entrato in vigore ieri mattina nel Nagorno-Karabakh, dopo tre giorni di combattimenti intensi tra l’esercito azero e le truppe armene, lungo la frontiera dell’enclave situata tra le montagne del Caucaso meridionale.

Un territorio geograficamente parte dell’Azerbaigian, ma popolato in maggioranza da armeni, che già negli anni scorsi era stato al centro di un sanguinoso contenzioso.

Solo per parte azera, in tre giorni negli scontri sono rimasti uccisi 31 militari.

La tregua è stata concordata dai capi di stato maggiore di Azerbaigian e Armenia in un incontro avvenuto ieri a Mosca, che pare sempre più interessata a esibire un ruolo di primo piano nella mediazione.

Mentre oggi prende il via a Baku la missione dei co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce (Stati Uniti, Russia e Francia) che ha chiesto la ripresa di negoziati per arrivare a una soluzione complessiva della crisi.

La situazione (Centimetri)
La situazione (Centimetri)

LA RUSSIA STA CON L’ARMENIA – “Se qualcuno si è schierato nel conflitto in Nagorno-Karabakh si tratta della Russia, che appoggia l’Armenia”.

Lo ha dichiarato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, sottolineando di sperare che l’Armenia risponda agli sforzi fatti dall’Azerbaigian per mettere fine agli scontri.

IN ARRIVO IL PREMIER RUSSO – Domani arriverà nella regione anche il premier russo Dmitry Medvedev, che si fermerà a Erevan e poi a Baku, mentre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov incontrerà la sua controparte armena, Edward Nalbandian, venerdì a Mosca.

MANO TESA DELLA MERKEL – Dal canto suo, la cancelliera tedesca Angela Merkel offre il “supporto costruttivo” della Germania per allentare le recenti tensioni tra l’Armenia e l’Azerbaigian sulla regione contesa del Nagorno-Karabakh, tra le montagne del Caucaso meridionale.

È “della massima importanza che i conflitti nella regione siano risolti”, ha detto.

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Erdogan: Russia parteggia con armeni in scontri Nagorno Karabakh (Askanews 06.04.16)

Roma, 6 apr. (askanews) – Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha accusato oggi la Russia, con la quale Ankara è in rotta, di “prendere le parti” dell’Armenia nel conflitto con l’Azerbaigian e le autorità separatiste armene del Nagorno Karabakh.

“Spero che i passi fatti dall’Azerbaigian per arrivare a una fine dei combattimenti siano imitati dall’Armenia”, ha detto Erdogan in un discorso di fronte agli eletti in consigli locali, lamendando il fatto che finora “non è accaduto”.

Ma Erdogan ha soprattutto puntato il dito contro Mosca. “La Russia dice che la Turchia si schiera. Se si cerca qualcuno che si schiera, allora prima di tutto c’è la Russia”, ha accusato il presidente turco. “La Russia – ha proseguito – ama molto schierarsi: l’ha fatto in Ucraina, in Georgia, e oggi lo fa in Siria”.

Da quattro giorni in Nagorno Karabakh ci sono scon tri tra le forze azere e quelle delle autorità separatiste armene, che hanno prodotto almeno 75 morti fino a una tregua firmata martedì.

Dopo una guerra che, negli anni ’90 del secolo scorso, ha fatto almeno 30mila morti, il conflitto del Nagorno Karabakh è regolato da un cessate-il-fuoco spesso violato dalle due parti.

Dopo la ripresa delle ostilità, Ankara ha moltiplicato le dichiarazioni a favore dell’Azerbaigian, paese fratello turcofono e musulmano, mentre le relazioni con l’Armenia sono pessime anche perché Erevan si considera erede di quegli armeni che furono massacrati nell’Impero ottomano nel 1915, e considerano quegli eventi un genocidio che la Turchia non riconosce.

Mosca e Ankara sono arrivate ai ferri corti dopo che la Russia è intervenuta nel conflitto in Siria. A novembre 2015 caccia turchi hanno abbattuto un bombardiere russo che volava a ridosso della frontiera siriano-turca. (Fonte Afp)

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Intelligence russa: Erdogan vuole attaccare l’Armenia, c’è la Turchia dietro la crisi in Nagorno Karabakh (SpondaSud 06.04.16)

(Redazione) – Secondo fonti dell’intelligence russa, la Turchia sta valutando la possibilità di iniziare delle operazioni militari contro la Repubblica di Armenia. Gli uomini dei servizi, in un rapporto, citano direttamente il presidente Recep Tayyip Erdogan che avrebbe definito l’Armenia come la “più grande minaccia alla pace nel mondo”, promettendo di “fare qualcosa al riguardo”. Difficile verificare la fondatezza di queste affermazione. Quello che è certo che in Armenia questa minaccia non viene presa sotto gamba e si teme che a distanza di oltre un secolo dal genocidio che ha causato la brutale uccisione di quasi 1,5 milioni di cittadini, la Turchia possa commettere un nuovo crimine contro l’umanità.

La Turchia oggi è apertamente schierata con la Repubblica Islamica dell’Azerbaigian che ha di nuovo aperto il fronte nel Nagorno Karabakh con un’azione di guerra che ha causato molte vittime anche tra la popolazione civile armena. Baku nel 1988 aveva promesso di eliminare il cristianesimo dai suoi confini, avviando una guerra che, dopo 30mila morti e quasi un milione di sfollati, si è conclusa solo nel 1994.

Da allora il conflitto tra l’Azerbaigian e l’Armenia è rimasto congelato non senza tensioni e scontri tra gli eserciti dei due paesi: il primo continua a rivendicarne l’appartenenza, il secondo difende un’autonomia di una regione che garantisce alla popolazione armena di vivere liberamente seppure sotto la costante minaccia di un intervento armato nemico.

Le dichiarazioni di Erdogan coincidono quasi alla perfezione con il massiccio attacco lanciato nei giorni scorsi dall’Azerbaigian con carri armati, artiglierie pesante ed elicotteri contro la popolazione cristiana e le postazioni armene. Un’azione che non è piaciuta a Mosca che vede in questa azione bellica la volontà di Erdogan di recuperare l’influenza nella regione, persa con l’intervento russo in Siria.

La situazione è aggravata anche dal contesto geopolitico in cui si sta consumando questa crisi, con la presenza di circa 3000 mercenari azeri che hanno combattuto con lo Stato Islamico in Siria e in Iraq. Molti di questi sono rientrati in patria e combatterebbero al fianco dell’esercito di Baku. Tutto questo con l’appoggio della Turchia, uno dei principali fornitori di armi e materiale militare ai terroristi islamici del Califfato che nel Medio e Vicino Oriente stanno compiendo un vero e proprio genocidio nei confronti della minoranza cristiana.

Non è un caso che il presidente dell’Armenia, Serzh Sargsian, abbia ordinato al suo ministro degli esteri di “redigere un trattato di reciproca assistenza militare con Nagorno-Karabakh per proteggere i cristiani” dalla furia di Erdogan, temendo che possano subire la stessa sorte dei cristiani di Iraq e Siria. Il Vice Presidente della Duma (la camera bassa del parlamento russo), Sergei Zheleznyak, dal suo canto, ha accusato la Turchia di essere la “terza forza” che agisce nella regione del Nagorno-Karabakh, con l’obiettivo di scatenare una guerra su larga scala con la Russia. Una guerra che passa attraverso un accordo con l’Azerbaigian per colpire gli armeni cristiani sia in patria che nel Nagorno Krabakh.

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Erdogan: Russia parteggia con armeni in scontri Nagorno Karabakh (Askanews.it 06.04.16)

Nagorno-Karabakh, Presidende armeno Sargsyan: “Sosteniamo l’indipendenza” (Euronews.com 06.04.16)

L’Armenia sostiene l’indipendenza del Nagorno-Karabakh e accusa l’Azerbaigian di aver causato la ripresa del conflitto. A dirlo è il presidente dell’Armenia Serzh Sargsyan nel corso della conferenza stampa congiunta a Berlino con la cancelliera Angela Merkel. L’incontro è avvenuto all’indomani dell’accordo per il cessate il fuoco nella regione del Caucaso contesa dal 1988 tra Armenia e Azerbaigian.

“L’Azerbaijan non ha preso in considerazione gli sforzi fatti negli ultimi venti anni dalla comunità internazionale e ha lanciato un’offensiva su larga scala. Il risultato è che ha trasformato di nuovo la regione in una zona calda che minaccia la sicurezza di tutta l’Europa”, ha detto il presidente dell’Armenia Serzh Sargsyan.

L’accordo è stato raggiunto dopo quattro giorni di combattimenti che hanno fatto oltre 70 vittime tra soldati e civili. Si è trattato delle violenze peggiori dalla tregua raggiunta nel 1994 dopo una guerra che ha fatto oltre ventimila morti e un milione di sfollati e rifugiati. Il conflitto era iniziato nel 1991 quando l’Azerbaigian ha dichiarato la sua indipendenza da Mosca e il Nagorno-Karabakh, abitato prevalentemente da armeni, si è proclamato repubblica autonoma. Per la comunità internazionale, la regione è parte dell’Azerbaijan.

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Kim Kardashian su Instagram sostiene Armenia in Nagorno Karabakh

Kim Kardashian si schiera a favore dell’Armenia nel conflitto con l’Azerbaigian per il controllo dell’enclave di Nagorno Karabakh. La modella statunitense di origine armena ha scritto sul proprio account Instagram “prego per tutti in Armenia e nel resto del mondo”, allegando una foto di due carri armati e due elicotteri con la bandiera armena. La star della tv aveva già mostrato la sua vicinanza al popolo armeno con un viaggio in occasione del centenario del genocidio degli armeni l’anno scorso, quando è stata ricevuta dal primo ministro. In quell’occasione, Kim aveva promesso di imparare l’armeno, il cui alfabeto è noto per la sua complessità, e di difendere la causa del riconoscimento internazionale degli omicidi commessi dall’impero ottomano come ‘genocidio’. Il bisnonno delle Kardahian, Tatos Kardashian, era nato infatti in Armenia ed emigrò negli Stati Uniti nel 1913, due anni prima del genocidio evitando così gli orrori della persecuzione e le deportazioni di massa vissute dal popolo tra il 1915 e il 1923.

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Decine di morti nella guerra esplosa tra Armenia e Azerbaijan (Blognotizie.info 06.04.16)

La regione del Nagorno-Karabakh rischia di ritornare una zona calda di guerra come negli anni 1992-1994, osserva il giornale Vzgliad. I cristiani piangono i loro morti e invocano la pace.

Sono ripresi nella notte gli scontri nella regione del Nagorno Karabakh contesa tra Armenia e Azerbaigian.

Il cessate il fuoco durava dal 1994, da quando Armenia e Azerbaigian avevano siglato la fragile tregua dopo sei anni di conflitto costati la vita a 30mila persone, tra cui molti civili. Nelle ultime ore entrambi le parti si sono accusate di aver violato la tregua, con un’offensiva dell’artiglieria pensante lungo tutta la linea del fronte e che e’ andata avanti per ore. Il portavoce del ministero della Difesa armeno ha annunciato on line l’abbattimento di un elicottero azero, ma da Baku è arrivata una secca smentita: “è una bugia”.

La Chiesa armena “piange” le vittime cadute. Gravi danni sono stati anche inflitti alle proprietà private.

Nel villaggio di Thalisch una famiglia composta da una coppia e la nonna è stata massacrata. Come John Kifner una volta ha scritto sul “New York Times”, alla vigilia della prima guerra mondiale, c’erano due milioni di armeni nell’Impero Ottomano e nel 1922, c’erano meno di 400.000. Le armi hanno ricominciato a farsi sentire in Nagorno Karabakh, enclave a maggioranza armena nel sud-ovest dell’Azerbiaigian.

Nel 1988, la provincia decise per la secessione dall’Azerbaigian e l’annessione all’Armenia, scatenando un conflitto tra i due Paesi che tra il 1988 e il 1994 ha provocato tra i 25 ed i 35mila morti e centinaia di migliaia di profughi. “Ma in politica non c’è né rispetto né pace”.

Il risultato è che si parla di un bilancio di almeno 33 morti e di oltre 200 feriti. Lo scacchiere dei rapporti tra gli Stati coinvolti nella crisi è delicatissimo. Potenzialmente quindi la situazione è critica. I numeri, però, sono in costante evoluzione. L’intensità delle violenze è stata tale da richiedere un intervento diplomatico della Russia potenza che in questo conflitto riveste spesso il ruolo di mediatore.

Il tutto sta avvenendo alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Armenia.

Maksim Yusin, analista del giornale Kommersant, ritiene, al contrario, che nessuna delle parti sia ancora in grado di scatenare un conflitto su larga scala. “Il Papa – conclude l’esperto – ha un peso politico rilevante ovunque vada”.

In attesa di avere un quadro più chiaro della situazione, è possibile che quanto accaduto inneschi le reazioni dei due principali Paesi stranieri che hanno interessi in quest’area: la Russia da una parte, legata al governo armeno di Yerevan per motivi di carattere commerciale; la Turchia dall’altra, che coltiva da tempo un’alleanza energetica con l’esecutivo azero di Baku.

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Nagorno Karabakh sarà una nuova guerra? (Temometropolitico.it 06.04.16)