Turchia: 100 anni di negazionismo (La Stampa 24.04.16)

Cento e uno anni fa, il 24 aprile del 1915, a Costantinopoli cominciava – con l’arresto e l’uccisione di centinaia di membri della comunità armena – il Genocidio degli Armeni, e delle altre minoranze cristiane dell’Impero ottomano. Un milione e mezzo di uomini, donne e bambini trovarono la morte in uno sterminio pianificato dal “Triumvirato” il governo turco dell’epoca, secondo un modello che fu ripreso qualche decennio più tardi dai nazisti per liberarsi degli ebrei.

La comunità armena di Roma, con la partecipazione di altre comunità armene presenti in Italia, ha voluto ricordare oggi questa data tragica, con una manifestazione nella centralissima piazza del Pantheon, percorsa da migliaia di turisti. Una manifestazione non solo a carattere storico e politico: decome di giovani (e meno giovani) armeni hanno dato spettacolo, in costumi tradizionali, con musiche e balli che fanno parte della loro tradizione culturale.

Molti cartelli – e le parole dell’oratore – ricordavano che ancora adesso il governo di Ankara non solo si rifiuta di riconoscere l’esistenza del genocidio armeno, ma compie un’attiva e aggressiva politica negazionista, dentro e fuori il Paese, contro tutti coloro che ne affermano la fondatezza storico. Inoltre si è ricordata, durante la manifestazione, la situazione del Naagorno Karabakh, enclave armena che si è resa indipendente dall’Aazerbaijan, e contro cui Baku conduce una guerra che ha ripreso vigore proprio qualche settimana orsono, provocando morti e distruzione di villaggi armeni.

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Genocidio armeno, la Ue cancella link al tour dopo le critiche di Ankara (Corriere della Sera 24.04.16)

Si chiama progetto musicale Aghet il nuovo motivo del contendere tra la libertà di espressione, considerata sacra in Europa e la sensibilità turca, soprattutto quella del suo presidente Recep Tayyip Erdogan. Il progetto dedicato al genocidio armeno dall’Orchestra Sinfonica di Dresda ha infastidito Ankara che ha chiesto alla Commissione Europea di ritirare i finanziamenti. L’agenzia per l’educazione e la cultura della Commissione non ha assecondato la protesta ma, come segno di buona volontà, ha rimosso il link al progetto presente sul suo sito web. 

La notizia è stata data dall’agenzia Dpa e dal sito on line di Der Spiegel. Il manager dell’orchestra Markus Rindt ha parlato di “attacco alla libertà di espressione”. “Vogliono che nessuno sappia cosa è accaduto 100 anni fa – ha aggiunto Rindt -, Questo è inaccettabile. E’ il segnale che il governo turco vuole interferire nella nostra arte e cultura”. Il riferimento è al caso, che ha destato grande clamore in Germania e in Europa, del comico Ian Boehmermann denunciato per diffamazione e insulti da Erdogan a causa di una trasmissione andata in onda sulla tv pubblica. Venerdì 16 aprile la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva autorizzato la sua incriminazione ed era stata accusata di cedere al ricatto di Ankara per via dell’accordo sui rifugiati.

Da Bruxelles la Commissione Europea ha confermato di aver rimosso il link dal sito perché “preoccupata dalla scelta delle parole” ma la portavoce ha assicurato che un nuovo link sarà presto disponibile. La Commissione Europea finanzia Aghet. con 200mila euro e “l’erogazione della somma non è in discussione”.

Il progetto è stato lanciato nel novembre del 2015 con una prima a Berlino ed è dedicato alle deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916 che causarono tra  800mila e 1,5 milioni di morti. La Turchia si rifiuta di riconoscere il termine “genocidio”.

Ad Aghet partecipano musicisti turchi, armeni e tedeschi proprio per dare il senso di una riconciliazione. I prossimi concerti avranno luogo nei prossimi mesi a Belgrado, Yerevan e Istanbul.

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Gli armeni commemorano le vittime dei massacri del 1915 per mano delle forze ottomane (Euronews.com 24.04.16)

Decine di migliaia di persone hanno riempito le strade di Ierevan, capitale armena, per commemorare le vittime delle violenze compiute dalle forze ottomane nel 1915.

Tra massacri e deportazioni morirono migliaia di persone. Duecentomila morti secondo fonti turche mentre quelle armene sostengono che le vittime furono almeno 2 milioni e mezzo.

“Chiediamo alla Turchia – dice una manifestante – il riconoscimento del genocidio armeno come un crimine contro l’umanità, subito dai nostri antenati.
Chiediamo inoltre il risarcimento per le perdite sopportate dalla popolazione armena.”

La Turchia però non ha mai accettato la definizione di genocidio, sostenendo che le uccisioni compiute dall’impero Ottomano erano una risposta durante la Prima guerra mondiale al passaggio dei battaglioni di armeni all’esercito russo.
Ankara si è detta favorevole all’stituzione di una commissione internazionale di storici.

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Armenia, 101 anni fa l’uccisione del suo popolo a opera dei turchi. Ierevan rivendica il “genocidio”(Euronews 24.04.16)

Nel ricordo del genocidio armeno del 1915 (asmtvsanmarino.sm 24.04.16)

domenica 24 aprile 2016

Poco più di un secolo fa avveniva uno dei più grandi massacri di cristiani che la storia ricordi. Non ci sono pagine di storia, enciclopedie e documenti storici del Novecento che non trattino del genocidio armeno, avvenuto in Turchia tra il 1915 e il 1916. E ogni anno, tra il 23 e il 24 aprile il mondo ricorda le prime uccisioni compiute proprio in quelle due date. Oltre mille intellettuali armeni (giornalisti, scrittori, poeti e parlamentari) furono deportati verso l’interno dell’Anatolia.

E la deportazione di massa della popolazione cristiana dell’Armenia occidentale erano stati voluti dall’impero Ottomano perché non poteva sopportare le sconfitte subite all’inizio della prima guerra mondiale per opera dell’esercito russo, in cui militavano anche battaglioni di volontari armeni.

Ma ancora non c’è chiarezza sul numero degli armeni morti in questo massacro. Gli storici stimano che la cifra oscilli tra i 500mila e 2milioni di morti.

Non tutti i paesi riconoscono ufficialmente il genocidio armeno. Oggi in totale sono 22. Altri paesi, tra cui gli Stati Uniti e Israele, per propria scelta non usano il termine genocidio per timore di una crisi nei rapporti con la Turchia.

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San Marino. L’Armenia ricorda il Medz Yeghern. Epifanio Troina. L’informazione (libertas.sm 24.04.16)

Il premier armeno: “Che la Turchia riconosca il genocidio” (cdt.ch 24.04.16)

ROMA – L’Armenia continuerà a chiedere alla comunità internazionale di riconoscere il genocidio degli armeni di cui in questi giorni si commemora il 101esimo anniversario, massacro compiuto dai turchi ottomani. Lo ha affermato oggi il premier Hovik Abrahamyan, stando ad Interfax. “La leadership turca dovrebbe pensare di riconoscere la verità. E prima lo fa, meglio è – ha aggiunto -. La comunità internazionale, da parte sua, dovrebbe anche condannare il primo genocidio del XX secolo per prevenirne altri in futuro. La nostra lotta continuerà”.

Per gli armeni oltre un secolo fa i turco ottomani compirono una vera e propria pulizia etnica massacrando circa un milione e mezzo di persone soprattutto nelle regioni anatoliche dell’allora Armenia Occidentale, che rappresentavano un ostacolo al progetto di una Grande Turchia.

Un’interpretazione fortemente contestata da Ankara sul piano storico e giuridico. Ieri sera a Ierevan in ricordo del massacro si è svolta una marcia con candele a cui hanno partecipato in 15mila. Ad un’altra marcia svoltasi oggi era presente anche George Clooney, l’attore americano da sempre convinto sostenitore della necessità di riconoscere il genocidio.

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Giornata del martirio armeno. Sandri: viaggio del Papa sarà profetico (Radio Vaticana 24.04.16)

Si celebra questa domenica l’anniversario del ‘Metz Yeghern’, il Grande Male, come viene indicato dagli armeni: l’orribile massacro del 1915 di un milione e mezzo di armeni. La Giornata della Memoria armena ha portato in piazza, a Roma, sia armeni che italiani. Ieri pomeriggio, al Pontificio Collegio Armeno, si è svolta una veglia di preghiera con il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Fare memoria è sempre un cammino che dobbiamo fare per ricordare questi fatti terribili della storia umana, che siano allo stesso tempo periodo di purificazione per poter contemplare la gravità, la profondità della malizia del cuore umano, e non per restare, con questa memoria, aggrappati a un passato, ma per aprirci a un futuro di grandi possibilità di riconciliazione, di convivenza, un futuro migliore. Io credo che, per questo, sia un fatto obbligatorio fare memoria del passato di gravissime ingiurie alla dignità umana, come sono le guerre e tutte le altre persecuzioni e ingiustizie contro gli esseri umani, ma per rinascere a una possibilità nuova, a una speranza nuova.

D. – Ancora oggi, il ricordo del martirio armeno, però, è quanto mai è portatore di gravi e importanti tensioni …

R. – Sì. Certamente, ci sono anche le ferite che rimangono dopo questi terribili fatti. Adesso noi tutti siamo anche sensibili alla tragedia e ai morti, alle vittime di questa realtà del Nagorno Karabakh e speriamo che si possa, con l’aiuto della comunità internazionale, trovare una forma di soluzione giusta e permanente per un conflitto che può portare gravissime conseguenze ai due popoli, specialmente per l’Armenia, Paese così caro alla Chiesa cattolica, il primo Paese cristiano. Speriamo che tutto questo non si trasformi in una guerra tra religioni e tra posizioni così diverse. Perciò, io sostengo che l’intervento di quelli che possono aiutare, e che devono aiutare, porti a fare di queste soluzioni qualcosa di permanente, perché si evitino questi scontri che si aggiungono a tutte le sofferenze nella storia del popolo armeno – nel caso dell’Armenia – e che si aggiungono a tutta questa specie di ondata di guerre di popoli e di religioni che ledono la convivenza umana.

D. – A giugno, il Papa si recherà in Armenia. Questo è un viaggio molto sentito da Francesco ed è una visita che ha degli aspetti piuttosto complicati…

R. – Di per sé, è una visita al Caucaso fatta in due tappe: la tappa dell’Armenia e poi la tappa della Georgia e dell’Azerbaigian, così è stato annunciato dalla Santa Sede. Ma io vedo in questo viaggio del Papa, come in tutti i viaggi che ha fatto, questa dimensione intanto di vicinanza, questa dimensione dell’incontro. Lui troverà, per esempio in Armenia, in particolare la Chiesa apostolica armena, la Chiesa che ha aperto le porte anche alla Chiesa cattolica, la Chiesa che ha ricevuto San Giovanni Paolo II, che ha dato la possibilità di esistere, anche, perché della Chiesa cattolica lì non c’era nulla, dopo il comunismo. E allo stesso tempo, incontrerà la popolazione e potrà fare, in realtà, tutto quello che lui fa nei suoi viaggi: incontrare, essere vicino, specialmente a tutti quelli che soffrono. Allo stesso tempo, è l’incontro, la visita, che si fa profezia di un mondo migliore, di un mondo che supera le divisioni, che supera queste dannosissime realtà che ledono la vita umana. C’è tanta gente che soffre e sono soprattutto i più deboli: le donne, i bambini e gli anziani, sono loro le vittime degli esodi, degli scontri, sono i profughi. E’ tutto ciò che vediamo giorno dopo giorno e davanti al quale il Papa fa dei gesti come la visita a Lesbo – ma l’aveva fatto già a Lampedusa – portando lì un grido: questo non è compatibile con la dignità della persona umana! Non si può far sì che tutto questo sia subordinato ad altri interessi o ad altri progetti di progresso, di benessere per l’umanità, che vanno a colpire queste popolazioni perseguitate che devono fuggire a causa delle guerre e di tutti gli scontri che conosciamo nel Medio Oriente. Quindi, io vedo, nel viaggio del Papa, queste due dimensioni che per me sono anche arricchite da altre qualità della vita del Papa, ma soprattutto vedo in lui – come vescovo, come pastore – colui che incontra, che viene ad aprire il cuore e le mani a chi ha bisogno e che, allo stesso tempo, annuncia profeticamente un futuro che tutti noi dovremmo capire, che tutti noi dovremmo far diventare realtà, secondo le nostre possibilità e secondo la propria responsabilità. Io sono felicissimo che questa promessa del Papa si faccia realtà per tutti loro e direi anche per tutto il popolo armeno della diaspora sarebbe una cosa magnifica che questo messaggio del Papa portasse a tutti questa grandezza d’animo, questa magnanimità, per vedere un’Armenia del futuro aperta, portatrice di tutti i suoi valori alla comunità internazionale. Mi auguro che questo viaggio annunciato del Santo Padre sia portatore di tanto bene sia per la carissima Armenia sia per gli altri due Paesi come la Georgia, che anche è un Paese cristiano, e anche per l’Azerbaigian. Il Caucaso dev’essere un ponte, come dice il Papa accennando ad altre realtà, non un muro di divisioni e di guerre, ma un ponte che unisca l’Oriente e l’Occidente.


 

Il cardinal Leonardo Sandri: il Caucaso sarà un ponte

24 aprile, giornata della memoria del genocidio per il popolo armeno anche in Calabria (Raggiotv.it 24.04.16)

Brancaleone (Reggio Calabria). Anche la Calabria ha un’anima armena ed essa viene celebrata pure in occasione della giornata odierna (24 aprile 1915) in cui il popolo armeno commemora le vittime delle deportazioni e del tentativo di distruzione di una cultura e di un’identità millenaria per mano dell’impero Ottomano durante la Prima guerra mondiale. Le foto di Carmine Verduci ci guidano alla riscoperta di questi luoghi della memoria. Gli Armeni, primo popolo cristiano della storia, durante la nuova ondata persecutoria di siriani e turchi islamizzati, verso la fine dell’ottavo secolo d.C. approdarono in Calabria, nel reggino, e si rifugiarono sulle alture; coltivarono usi e tradizioni religiose ma anche agricole come la vinificazione, con la creazione di veri e propri silos per custodire le derrate alimentari, ancora oggi esistenti tra i ruderi di Brancaleone. E infatti tracce significative esistono nelle toponomastica (la discesa armena a Bova o Rocca Armena a Bruzzano Zeffirio) e nell’onomastica, oltre che nell’archeologia con alcuni reperti che richiamano i motivi religiosi della croce e dei pavoni anche negli attuali comuni di Ferruzzano, Casignana e Staiti, sempre nel reggino. In questa cornice oggi promosso un percorso escursionistico tra Brancaleone e Staiti sui sentieri del tempo su impulso della proloco. Da anni, infatti, si consolida la tradizione di onorare questa presenza antica a cura della proloco di Brancaleone che negli anni scorsi, in questo giorno, ha rievocato queste affascinanti pagine di storia. Forse una comunità ma sicuramente un gruppo di monaci armeni, si rifugiò in solitaria preghiera (secondo la regole del monachesimo orientale diffusosi anche in Armenia grazie all’opera di San Basilio), tra le montagne per sfuggire alle incursioni degli arabi provenienti dal mare.
Ciò è avvenuto a Brancaleone (luogo anticamente denominato Sperlinga dal latino e greco caverna), di fondazione greca, culla dei locresi prima del loro avanzamento, promontorio strategico con Reggio, Gerace e Bruzzano Zeffirio, dove oggi sorge la Rocca Armenia (antico castello); chiamato Brancaleone superiore con lo sviluppo della Marina, abbandonato nella seconda metà del Novecento, pur apparendo oggi non più vissuto da secoli, esso custodisce tra i suoi ruderi anche una grotta chiesa, probabilmente unica nel suo genere a queste latitudini e di cui ne esisterebbe una simile solo in Georgia, in cui veniva celebrata la messa. Questa chiesa rupestre, nell’ambito dell’attività di valorizzazione e promozione del territorio della pro loco di Brancaleone guidata da Carmine Verduci, al seguito degli appassionati come Vincenzo De Angelis e Sebastiano Stranges ha fatto da cornice in passato e continuerà a farlo alla cerimonia con canti armeni e fiori di ginestra posti dove un tempo sorgeva l’altare e dove ora è possibile intravedere, sul muro di antica arenaria, una croce armena e un pavone adorante. Al centro della grotta l’emblematico albero della vita. Una delle tracce più significative che attestano l’antica presenza del popolo armeno in questi luoghi.
Oggi tale chiesa rupestre risulta posta sotto il castello Ruffo eretto ne 1300, di cui probabilmente divenne la prigione.
Un angolo di mondo antico incastonato tre le montagne di Brancaleone che riporta indietro di secoli con tutto il fascino di tradizioni millenarie come fu anche quella armena in Calabria.

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Armenia smentisce Azerbaigian su distruzione proprio tank nel Nagorno-Karabakh (Sputniknews.com 24.04.16)

Le informazioni del ministero dell’Azerbaigian relative alla distruzione di un carro armato armeno nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh non sono vere, ha dichiarato il portavoce del ministero della Difesa dell’Armenia, notando che sulla linea di contatto ci sono stati effettivamente degli scontri a fuoco.

Il ministero della Difesa armeno ha confutato le dichiarazioni del dicastero militare azero sull’escalation e gli scontri nel Nagorno-Karabakh e la distruzione di un tank armeno.

In precedenza il ministero della Difesa dell’Azerbaigian aveva segnalato che la parte armena aveva violato il cessate il fuoco con l’artiglieria. Secondo il comando militare azero, le forze armate armene hanno perso un carro armato durante i combattimenti.

In precedenza anche i separatisti filo-armeni del Nagorno-Karabakh avevano affermato che l’esercito azero aveva violato la tregua nella notte di domenica

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24 aprile 1915, il massacro del popolo armeno ancora oggi volutamente ignorato (Agenziacomunica.net 24.04.16)

Nella notte tra il 23 e 24 aprile 1915 si iniziò quello che è definito nella lingua degli Armeni “il Medz yeghern” e cioè il grande crimine dello sterminio e la deportazione di massa della popolazione cristiana dell’Armenia occidentale. Ma per i turchi responsabili di quell’orrendo crimine si chiama “Sözde Ermeni Soykırımı” ovvero il cosiddetto genocidio armeno. In totale 22 stati (Argentina, Armenia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Vaticano, Venezuela) hanno deliberatamente con leggi riconosciuto il genocidio degli armeni. Normale la non adesione dei paesi di religione islamica mentre colpisce il notare l’assenza di paesi come Israele, Regno Unito di Gran Bretagna e Stati Uniti d’America. Naturale invece l’assenza dalla lista della Turchia che si rifiuta di ammettere che quello fu il primo grande genocidio della storia moderna, ma meno naturale anche se comprensibile è l’assenza della Germania che all’epoca dei fatti era alleata della Turchia e spalleggiava l’allontanamento degli armeni dal territorio turco in quanto ritenuti amici della Russia zarista che annoverava nel suo esercito battaglioni di volontari armeni.

Oggi 24 aprile, la Repubblica Armenia ricorda le vittime di quel massacro i cui prodomi si ebbero con la cattura a Costantinopoli di oltre mille intellettuali armeni, tra giornalisti, scrittori, poeti e parlamentari che furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Le deportazioni degli armeni ad opera del movimento dei giovani turchi proseguirono per tutto il 1915 e il 1916 e si calcola che quasi un milione e mezzo di persone abbiano trovato la morte lungo le marce forzate, nei campi di concentramento e vie brevi uccise con arma da fuoco o per impiccagione.

Passato un secolo da quegli orribili avvenimenti fa venire i brividi il guardare la strage di un popolo ridotta a materia di negoziazione politica per l’interesse dei rapporti diplomatici sullo scacchiere del mondo lacerato dagli affari e dalle religioni. Lo studioso di storia, il turco Taner Akçam fu condannato a dieci anni di carcere per aver ammesso il genocidio degli armeni da parte dei suoi compatrioti e, riuscito a fuggire in America dove insegna presso l’Università del Minnesota, aspetta insieme ai suoi nuovi connazionali americani che Barack Obama mantenga la promessa di riconoscere il genocidio armeno. Fino ad oggi niente.

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Medz yeghern, per gli armeni è il “grande crimine” da non dimenticare(2duerighe.it 24.04.16)

Medz yeghern, questo il termine utilizzato dagli armeni, in riferimento ai massacri che hanno colpito la popolazione cristiana in Turchia. Medz yeghern, il “grande crimine” presente nella memoria degli armeni, e della sensibilità collettiva, ha avuto inizio nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 e si è concluso nel 1916.

Oggi ad Erevan, capitale dell’Armenia i capi di stato, rappresentanti esteri e parenti di alcuni superstiti di allora, si riuniscono per commemorare insieme il centenario del massacro armeno, oggi riconosciuto come genocidio.

Un genocidio voluto da quello che nel 1915 era l’Impero Ottomano, sconfitto nelle prime battaglie della Prima Guerra Mondiale; un genocidio “punitivo”, iniziato con massacri e deportazioni di massa della popolazione armena, cristiana.

Il “grande crimine” ha portato con sé 1.5 milioni di persone e proprio in memoria di questo milione e mezzo, oggi le cerimonie si sono aperte con un lungo e intenso, minuto di silenzio.

Ad omaggiare e ricordare le vittime di una barbarie che si è consumata il secolo scorso e non agli albori della civiltà umana, vi sono oggi ad Erevan 60 Paesi, con capi e rappresentanti, tra cui i presidenti russo e francese, Vladimir Putin e François Hollande.

Ad una commemorazione molto importante, non solo per le numerose vittime che essa ha prodotto, ma anche per il contesto in cui questo massacro si è compiuto, di quali discriminazioni e idee si è servito, vi era oggi una grande assente: l’Italia.

Oggi ad Erevan non vi era né il Presidente del Consiglio, né il Presidente della Repubblica Italiana, negligenza che ci costerà un ennesimo gradino sulla scala della vergogna agli occhi degli altri Paesi sul piano internazionale?

Anche Stati Uniti, Israele e Germania hanno inviato i propri ministri nella capitale armena, per deporre insieme agli altri leader mondiali, dei fiori di fronte alla fiamma eterna, protagonista “materiale” di questa commemorazione, circondata da 12 lastre di basalto, lastre che stanno a simboleggiare le province perdute dall’Armenia e che ora fanno parte della Turchia.

Un memoriale intenso quello di oggi che ha visto compiere a ciascun rappresentante dei diversi Paesi, un percorso che conduceva alla “Stele”, l’obelisco di 44 metri che sta a rappresentare la rinascita del popolo armeno, un popolo vessato, massacrato, ma che tra innumerevoli difficoltà, nel 1991 ha ottenuto l’indipendenza.

“Gli armeni furono deportati e annientati secondo un piano statale a cui parteciparono direttamente l’esercito, la polizia, altre istituzioni statali e gruppi di criminali scarcerati specificamente per questo scopo”, così ha parlato oggi il presidente armeno Serz Sargsyan, chiarendo l’importanza di quello sterminio.

Alla luce di quanto è avvenuto, in un tempo (ricordiamolo) non remoto, è un peccato che vi sia oggi chi persegue la strada del negazionismo, come Erdogan che in riferimento alla sua Turchia sostiene che i loro antenati non si sono macchiati di alcun crimine contro gli armeni nell’anno tra il 1915 e il 1916.

È un peccato inoltre, che la nostra Penisola democratica oggi non abbia fatto sentire la propria presenza ad Erevan, in un momento così intenso, con un rituale così ricco di simbologia e pathos; è un peccato che siano nate già le prime polemiche verso il nostro governo, oggi assenteista, perché l’Italia si è da sempre mostrata una grande sostenitrice di qualsiasi iniziativa volta alla MEMORIA, di oggi genere, forse perché conscia che senza la consapevolezza del passato, è pressoché impossibile costruire un giusto futuro.