Eurovision 2016: sventola bandiera “inopportuna”, l’Armenia sarà sanzionata (Eurofestivalnews.it 11.05.16)

Era inevitabile che andasse a finire così. Sebbene il “flag gate” che inizialmente aveva portato al divieto ufficiale di sventolare alcune bandiere, si sia poi risolto con una retromarcia ieri sera la questione delle bandiere inopportune allo Eurovision Song Contest è tornata a far discutere. Perchè quando è stata inquadrata nella green room, Iveta Mukuchyan, insieme a tutta la delegazione armena sventolava la bandiera del Nagorno Karabakh.

Bandiera vietata

Si tratta, come è noto, di una regione dell’Azerbaigian a maggioranza armena, autoproclamatasi indipendente nel 1991 e per il controllo della quale c’è stata una guerra civile fra i due stati (Armenia e Azerbaigian) ufficialmente sospesa nel 1994 ma mai realmente conclusa e che tuttora rende sostanzialmente nulle (eufemismo) le relazioni diplomatiche fra i due Paesi.

Una dichiarazione del reference group dell’EBU ha annunciato che l’Armenia sarà sanzionata per aver violato la regola 1.2.2h dello statuto del concorso che proibisce messaggi politici, commerciali, religiosi e istituzionali. Non è stata ancora comunicata l’entità della sanzione, ma il reference group, l’organismo di supervisione della manifestazione, ha annunciato che la reiterazione della violazione – o qualunque altro tipo di violazione – potrebbe portare alla squalifica per l’edizione in corso e quelle a venire.

Ieri sera, sollecitata sulla questione in sala stampa, Iveta Mukuchkyan ne è sostanzialmente uscita con diplomazia spiegando di aver sventolato la bandiera non per motivi politici ma perchè “voglio la pace nei nostri confini”. Ma subito dopo un cronista azero ha provato a rilanciare la questione spiegando come a quella terra sia ancora politicamente parte azera e quindi quella bandiera del Nagorno Karabakh indipendente “non aveva senso

I PRECEDENTI – Gli screzi fra armeni e azeri per questa vicenda sono stati tantissimi nelle precedenti edizioni del concorso. Ne avevamo riferito tempo fa  e nel 2012 sfociò nel ritiro fuori tempo massimo dell’Armenia dalla partecipazione allo Eurovision che in quell’anno si teneva a Baku.

Vai al sito

Eurovision 2016: Miss Armenia è la più sexy (Il Giornale 11.05.16)

Si tratta di Iveta Mukuchyan, cantante affascinante che sta rappresentando l’Armenia all’Eurovision Song Contest 2016.

Iveta, che si è esibita nella serata di ieri ed è stata una delle prime artiste scelte per la gara, ha entusiasmato il pubblico di tutta Europa con la sua grande sensualità. Ma non soltanto la bellezza è quello che emerge di lei, già dotata di grande talento. Classe 1986 e nata in Armenia, si trasferì in Germania con i genitori all’età di 5 anni, ma a 20 rientrò in patria, terra che ama tantissimo – sul suo profilo Instagram sono presenti immagini della commemorazione del genocidio armeno.

Dopo aver studiato al conservatorio di Yerevan, nel 2012 Iveta ha preso parte a “The Voice of Germany“, arrivando alla fase live. Attualmente è molto nota in madrepatria non soltanto come cantautrice, ma anche modello per le giovani generazioni. “Amo l’Eurovision – ha detto Iveta quando ha saputo di essere stata scelta – ed è magnifico avere la possibilità di rappresentare il mio Paese su un grande palco. Il vostro supporto è importante per me, così spero che mi sarete accanto in questo viaggio importante e foriero di responsabilità“.

Vai al sito

 

Chiese turche Requisiti e chiusi sei edifici di culto armeno. Per ragioni di sicurezza, dicono le autorità. Che però pensano a un futuro radioso di moschee (Ilfoglio.it 09.05.16)

La chiesa di Surp Giragos, San Ciriaco, è il più grande edificio di culto armeno nella Turchia asiatica e uno dei più grandi in tutto il vicino oriente. Chiusa negli anni Sessanta ufficialmente per “mancanza di fedeli”, era stata restaurata e riaperta cinque anni fa. Un gesto riconciliatore di Recep Tayyip Erdogan, si diceva, quando ancora l’allora premier turco pareva essere serio e rispettabile interlocutore dell’occidente nonché argine ultimo al caos che tormentava e lacerava i paesi limitrofi. Merito di Ahmet Davutoglu, notavano altri, segnalando come la saggezza di quest’austero professore universitario fino a due giorni fa primo ministro, avesse portato a una distensione con la comunità armena, ammiccando agli europei ancora risolutamente contrari all’ingresso di Ankara nella comunità di Bruxelles. Cinque anni dopo, le cronache raccontano di un filo che s’è di nuovo interrotto. Surp Giragos è stata infatti requisita (e chiusa) dalle autorità locali, assieme ad altre cinque chiese della zona. Diversi terreni sono stati espropriati. Il motivo, ha spiegato il governo, è legato a “ragioni di sicurezza”. Lì, a Diyarbakir, territorio curdo, a centocinquata chilometri dal confine siriano, si combatte. Ankara contro il Pkk e viceversa. Niente paura, avvertono dal governo: tutto tornerà com’era prima, bisogna solo aspettare che le “operazioni” sul terreno si concludano e che la quiete spenga gli ardori bellici. Un calendario per le restituzioni, però, non esiste. E poi i piani di sviluppo sono tali da accrescere la differenza anche tra coloro che già sospettano delle reali intenzioni di Erdogan: “Trasformeremo Sur (il cuore antico di Diyarbakir, ndr) in una meta turistica ambita. Tutti verranno qui ad apprezzarne le architetture”, ha detto Davutoglu, convinto che la città diverrà la “nuova Toledo”. C’è un video che spiega la grandeur presidenziale – che più che a Toledo rimanda alla ben più profana Las Vegas – anche se a parlare è il premier: “Diyarbakir è una città sacra che è stata rovinata. Voglio che abbia un futuro radioso, ricostruirò le moschee in modo che il suono del Corano possa sentirsi di nuovo. Rinnoverò tutto, nuove strade, nuove case, nuovi centri ricreativi. I bambini saranno di nuovo felici di giocare e ridere. Costruirò grandi spazi che consentiranno alle persone di vivere in modo felice e libero”. Sarà.

Padre Yusuf Akbulut, prete siro-ortodosso della chiesa di Maria Vergine (anche quest’edificio rientra nelle seimilatrecento proprietà per le quali il governo ha in progetto un maquillage urbanistico), nota che nelle parole del primo ministro si parla di tutto, perfino dei giardinetti, meno che delle chiese. Anche perché la dichiarazione ufficiale che dovrebbe rassicurare i più preoccupati, in realtà rimanda un’eco sinistra: “Costruiremo le case nel grande, vecchio stile ottomano”, garantisce Davutoglu, così l’antica cittadella sarà più appetibile per gli stranieri incantati da tutto ciò che rimanda alle Mille e una notte, al Serraglio e all’atmosfera orientaleggiante d’Istanbul. “Vogliono distruggere le case di quanti sono sopravvissuti alla morte e ai massacri in quei luoghi”, ha detto – meno propensa a farsi trascinare dalla nostalgia – Figen Yüksekdag, co-presidente del Partito democratico del popolo, rappresentante la minoranza curda in Turchia e convinta che il trattamento toccato agli armeni un secolo fa ora lo si voglia riproporre sui curdi. Dai palazzi del potere di Ankara fanno sapere che si tratta delle solite esagerazioni, visto che l’intento è solo uno: proteggere le chiese dalle bombe e dai razzi che cadono sulla città. Di più, sottolineano gli organi competenti: anche le moschee della zona hanno subìto la stessa sorte. Il problema, che né l’ex premier Davutoglu né qualche altro funzionario dell’esecutivo ricordano, è che le moschee sono già di proprietà statale.

E’ questo un nervo scoperto per Ankara, come dimostra l’eclatante presa di posizione (richiamo in patria dell’ambasciatore) assunta un anno fa dopo che il Papa in San Pietro parlò del genocidio del 1915, con le deportazioni in Anatolia e Siria e la sparizione di un intero popolo. Francesco andò più in là delle analisi di qualche storico, che predica prudenza nel parlare di genocidio, e perfino di quei diplomatici vaticani che mai avrebbero voluto sentire dal Pontefice frasi così nette: “La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come il primo genocidio del Ventesimo secolo ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana – insieme ai siro-cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci”. E ancora, “un secolo è trascorso da quell’orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti morirono da confessori e martiri per il nome di Cristo. Non vi è famiglia armena ancora oggi, che non abbia perduto in quell’evento qualcuno dei suoi cari: davvero fu quello il Metz Yeghern, il Grande Male, come avete chiamato quella tragedia”. Dinanzi alle proteste di Ankara, da Roma non vi fu alcun passo verso il difficile interlocutore.

 

D’altra parte, oltretevere avevano già accettato a stento il programma deciso dalla Turchia per la visita di Francesco, nell’autunno precedente. Lui, il Papa, voleva andare solo dal fratello Bartolomeo I, al Fanar, sulle orme di Paolo VI, ma Erdogan puntò i piedi e pretese che il capo della chiesa cattolica andasse a rendergli omaggio nel nuovo palazzo da mille e più stanze costruito nella città fatta capitale per volontà di Atatürk. Francesco non fece da sponda al gioco del capo dello stato, non si prestò a divenire megafono delle rivendicazioni turche verso Bruxelles. Nessun accenno alla possibilità di far entrare il paese euro-asiatico nell’Unione europea, come pure qualcuno nel governo di Ankara s’attendeva e sperava. Una presa di distanza dalle politiche di Erdogan palese, seppur addolcite dal consueto spirito diplomatico, dai sorrisi del vescovo di Roma e dalla dovuta cortesia per l’ospite. Pesava la posizione turca riguardo la crisi siriana, con la Santa Sede intenta a perseguire una linea opposta rispetto a quella turca. Non ha facilitato le cose, poi, l’accordo sui migranti, con il Vaticano che fin da subito è intervenuto, attraverso le parole del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, contro i termini dell’intesa stipulata tra l’Unione europea e la Turchia. E in Vaticano c’è ancora chi ricorda che il Gran Muftì turco, che pure ricevette con tutti gli onori Francesco al Diyanet, aveva definito “immorali” le parole del Pontefice sul genocidio armeno, avendolo già accusato l’anno precedente di non aver aperto bocca sull’assalto alle moschee in Europa.

Gli armeni però non pensano alle comitive di ricchi occidentali accaldati in calzini bianchi e braccia arrossate dal sole cocente, ma solo alla constatazione che Sur Giragos è stata chiusa. “Per noi non è solo un luogo di culto: rappresena la nostra storia e identità”, ha detto uno dei membri di quella comunità minoritaria. I vecchi sorridono mesti, convinti che si tratti dell’ultima punizione del sultano presidente; di una ripicca per le luci della ribalta che si sono accese sull’Armenia cristiana, dove perfino il Papa andrà in pellegrinaggio, dal 24 al 26 giugno prossimo, nonostante i turchi avessero fatto il possibile (e quasi l’impossibile) per scongiurare il viaggio. Tutto questo “ricorda gli eventi che portarono all’avvio del genocidio, il 24 aprile 1915, quando le proprietà furono illegalmente confiscate e la popolazione fu spostata con l’inganno, dicendo alle persone che si sarebbe trattato d’un trasferimento temporaneo”, ha sottolineato al New York Times Nora Hovsepian, presidente del Western Region of the Armenian National Committee of America. “Questo trasferimento temporaneo – ha aggiunto – si è tradotto in marce della morte e privazione dei diritti di due milioni di individui che abitavano da tempi ancestrali quella terra”.

Oltretevere si diffida della Turchia, delle sue politiche volte a ricostruire una sorta di novello impero ottomano in grado di egemonizzare una buona fetta di quel che resta dell’obsoleta divisione statuale nel vicino oriente concepita con squadra e righello dopo la Prima guerra mondiale. E il Vaticano guarda da sempre con sospetto tale disegno, ambiguo nella sua volontà di coniugare l’apertura ai valori (sempre più sbiaditi ma non ancora del tutto rinnegati) di Bruxelles e l’islamizzazione forzata della società, che passa anche attraverso la richiesta di importanti figure delle istituzioni nazionali di dotare la Turchia di una Costituzione religiosa: “In quanto Paese musulmano perché dovremmo negare la religione? Siamo un paese musulmano. Per questo dobbiamo avere una costituzione religiosa. Nella Carta non dovrebbe esserci spazio per la laicità”, ha detto dieci giorni fa Ismail Kahraman, presidente del Parlamento.

Il cardinale Joseph Ratzinger, nel 2004 – quando ancora era fresco il dibattito sulle radici giudaico-cristiane del continente e Recep Tayyip Erdogan pareva un illuminato uomo di stato più vicino a Washington che alla wahhabita Riad – in un’intervista al quotidiano francese Figaro definì l’Europa “un continente culturale e non geografico”. “E’ la sua cultura”, aggiungeva l’allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, “che le dona un’identità comune”. Chiariva, Ratzinger, quello che è il problema maggiore, oggi divenuto una sorta di tabù: “La Turchia si considera uno stato laico, ma fondato sull’islam”. Da Papa, poi, complice anche il clamore suscitato dallo strumentalizzato discorso di Ratisbona, si mostrò disponibile quantomeno a concedere una possibilità ad Ankara, benché in Vaticano non mancasse chi – il diplomatico Jean Louis Tauran, cardinale e attuale presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, ad esempio – puntava più sull’ingresso nell’Unione di paesi “cristiani” quali Ucraina e Moldova.

Da allora, di acqua nel Bosforo ne è passata parecchia, la Turchia guarda sempre più a est e a sud e l’Europa s’è messa a discutere perfino su uno dei cardini su cui è imperniata, la libera circolazione dei cittadini. Non sfugge, alla Santa Sede, che in questa situazione il coltello dalla parte del manico lo tenga Ankara, e non solo perché si trova a suo agio nel minacciare Bruxelles di riversare sulle coste comunitarie, greche o italiane che siano, centinaia di migliaia di disperati che hanno trovato precaria accoglienza nei campi profughi dell’Anatolia. Il timore è che l’Europa indebolita e impaurita possa concedere troppo in cambio di qualche garanzia, mettendo sotto il tappeto la questione della libertà religiosa. Costruire una chiesa in Turchia è di fatto impossibile, al punto che quando il governo ha fatto un’eccezione (la prima in novant’anni, nel gennaio del 2015), la notizia è stata salutata come un evento storico, conseguenza della visita del Papa nel paese. Davutoglu aveva messo la firma, osservando come “tutti sono egualmente cittadini della Repubblica di Turchia”, e pazienza se per quattro anni la burocrazia locale aveva impedito alla piccola comunità cristiana di rito siriaco (ventimila fedeli, a fronte dei settantasei milioni di musulmani) di costruirsi una piccola chiesa. La legge è legge, e quella tante volte sbandierata dal 1923 al 2015 prevedeva che dopo la data d’istituzione della Repubblica non potessero essere costruiti edifici di culto sul territorio nazionale, salvo la possibilità di restaurare quelli esistenti. E mentre in patria s’impedisce di costruire chiese, fuori i confini nazionali Ankara finanzia l’edificazione di moschee. L’ultima, enorme, è stata inaugurata da Erdogan in persona il 2 aprile a Lanham, in Maryland, Stati Uniti: “E’ una delle più grandi mai costruite all’estero”, sottolineavano i funzionari turchi, lodando il complesso di edifici che fa da cornice all’edificio di culto. A trovare i fondi, scriveva il quotidiano Sabah, oltre a diverse organizzazioni turco-americane, ci aveva pensato la presidenza del Dipartimento per gli affari religiosi del governo, il Diyanet.

Vai al sito

Il Catholicos Aram I inaugura la scuola e il Centro culturale armeno a Abu Dhabi (Agenzia Fides 09.05.16)

Abu Dhabi (Agenzia Fides) – Centinaia di immigrati armeni che lavorano negli Emirati Arabi Uniti hanno preso parte, sabato 7 maggio, all’inauguraizone ufficiale del nuovo Centro culturale armeno, situato nell’area di Musaffah, a Abu Dhabi, e annesso alla prima chiesa armena apostolica inaugurata nella capitale degli Emirati nel dicembre del 2014. All’inauguarazione del Centro, cha rappresenterà d’ora in poi un importante punto di riferimento per la vita culturale e sociale dei cristiani armeni presenti nel Paese, ha preso parte anche lo Sheikh Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan, Ministro della cultura, insieme al Catholicos armeno della Grande Casa di Cilicia Aram I. Rivolgendosi ai presenti, il Ministro Nahyan ha voluto sottolineare che il luogo di culto, e ora il Centro culturale ad esso collegato, rappresentano una conferma che “la tolleranza e il rispetto delle altre fedi sono pilastri fondamentali del nostro Paese, possono convivere in pace e sicurezza”. In occasione dell’inaugurazione, fonti locali hanno rilanciato le affermazioni di padre Mesrob Sarkissian, responsabile delle comunità armene apostoliche locali, secondo il quale gli armeni negli Emirati Arabi sono almeno 10mila. (GV) (Agenzia Fides 9/5/2016).

Vai al sito


 

Abu Dhabi: Catholicos Aram inaugura Centro culturale armeno (Radio Vaticana 11.05.16)

Una mostra fotografica ricorda il genocidio armeno (Varesenews 09.05.16)

Una mostra fotografica ricorda, a Besnate, il dramma del genocidio degli Armeni, al tramonto dell’Impero Ottomano, nella primavera-estate del 1915.

La mostra commemorativa del genocidio armeno si terrà nella Sala Consiliare di piazza Mazzini. La persecuzione degli armeni, che ha portato allo sterminio di un popolo e alla sua cacciata dai territorio Ottomani (poi divisi tra moderna Turchia e Siria), costituisce il primo genocidio del secolo scorso (si è celebrato il centenario nel 2015), per anni dimenticato.

La visione delle intense fotografie scattate cent’anni fa da Armin T. Wegner, ufficiale sanitario al seguito dell’esercito tedesco in Medio Oriente – testimone oculare del genocidio e riconosciuto giusto per gli Armeni e per gli Ebrei – costituisce un’occasione per riflettere insieme su una tragedia del passato, un viaggio nella memoria doveroso e necessario.

Il periodo di durata della mostra sarà dal 9 Maggio al 21 Maggio. Gli Orari per visitare la Mostra sono gli stessi orari di apertura ai cittadini del Municipio.

Vai al sito

Armenia indica i passi per proseguire il dialogo sul Nagorno-Karabakh (Sputniknews 08.05.16)

Nell’incontro con i rappresentanti del partito “Federazione Rivoluzionaria Armena” (opposizione socialista), il ministro degli Esteri armeno Eduard Nalbandian ha elencato i passi necessari per il proseguimento del processo diplomatico sulla normalizzazione della crisi nel Nagorno-Karabakh, riporta l’ufficio stampa del ministero.

Secondo lui, questi passi dovrebbero essere finalizzati per escludere una nuova escalation del conflitto, per attuare gli accordi trilaterali in merito all’istituzione di una tregua nelle zone del conflitto del 1994-1995, nonché sulle indagini relative alle violazioni del cessate il fuoco.

All’inizio di aprile è peggiorata la situazione nella regione caucasica contesa del Nagorno-Karabakh: l’Azerbaigian e l’Armenia si scambiano reciprocamente accuse di violazioni della tregua. Dal 5 aprile è entrata in vigore un nuovo cessate il fuoco, ma periodicamente le parti si accusano a vicenda di condurre bombardamenti.

I negoziati per normalizzare la crisi vanno avanti dal 1992. L’Azerbaigian insiste sul mantenimento della sua integrità territoriale, mentre l’Armenia difende gli interessi della repubblica separatista, dal momento che i rappresentanti della regione sono esclusi dai negoziati.

A seguito della nuova escalation, in Armenia ancora una volta è stata sollevata la questione del riconoscimento del Nagorno Karabakh. Il governo armeno ha approvato il 5 maggio un disegno di legge sul riconoscimento della repubblica separatista, ora il documento deve essere dibattuto e votato dal Parlamento.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/politica/20160508/2634187/Azerbaigian-Caucaso.html#ixzz48HmTRbEK

Aznavour, miei genitori salvarono ebrei (Ansa 07.05.16)

(ANSA) – TEL AVIV, 7 MAG – Alcuni ebrei in fuga in una Parigi invasa delle forze tedesche trovarono rifugio nel modesto appartamento di una famiglia di armeni, scampati a loro volta al primo genocidio del XX/o secolo. Quell’isola di sicurezza, sia pure precaria, si trovava nel rione Marais, dove ebrei ed armeni vivevano e lavoravano in buon vicinato. La’ appunto abitavano gli Aznavourian – Micha il padre, Knar la madre – con due figli allora adolescenti: Aida e Charles, che in seguito avrebbe raggiunto celebrità mondiale come cantante e umanista. Ma che in tutte le biografie scritte su di lui finora ha sempre sorvolato sull’eroismo dei genitori. Solo adesso – all’età di 92 anni – ha raccontato assieme alla sorella Aida Aznavour-Garvarenz al ricercatore israeliano Yair Oron come i genitori si prodigarono per strappare armeni ed ebrei in fuga ai nazisti. La loro testimonianza e’ stata raccolta in un libro dal titolo ‘Salvatori (Giusti) e Combattenti’ che uscirà questo mese in ebraico e che poi sarà tradotto in francese.

Vai al sito


Charles Aznavour «I miei genitori salvarono gli ebrei» (L’Arena 08.05.16)

Tre incontri con la spiritualità armena (Discover-armenia.it 07.05.16)

Questa settimana vi segnalo tre incontri da non perdere con il prof. Boghos Levon Zekiyan, armenologo di fama internazionale, che nel 2014 è stato nominato Arcivescovo degli armeni cattolici di Istanbul e Turchia da Papa Francesco. Nato in Turchia, il prof. Zekiyan ha vissuto per quasi mezzo secolo a Venezia, dove è stato un esponente di spicco della storica congregazione mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni e docente di lingua e letteratura armena all’Università Ca’ Foscari.

Come studioso il prof. Boghos Levon Zekiyan è molto conosciuto, perché è autore di numerose pubblicazioni, articoli scientifici e saggi sul mondo armeno. Personalmente, l’ho conosciuto nel 2007, quando cominciai a promuovere l’Armenia come destinazione turistica in Italia. In seguito, quando scrissi la mia guida dell’Armenia, mi stupirono la sua disponibilità e generosità nell’accettare di correggere il capitolo dove parlo delle lingua armena. Ricordo che le sue parole mi incoraggiarono molto e quando la guida fu pubblicata, fu un vero onore, oltre che un grande piacere, presentare la guida insieme a lui nella Biblioteca Civica di Mestre nel 2010. E’ una persona di grande cultura – ascoltarlo è sempre fonte di stimoli intellettuali e riflessioni profonde – e, soprattutto, di grande spessore umano e spirituale. Lo scorso 15 febbraio, è intervenuto a Mestre all’incontro “Identità religiose: minaccia o risorsa?” promosso da me e da Paolo Navarro Dina e organizzato da Fondazione del Duomo di MestreComunità Ebraica di Venezia.

Giovedì 19 maggio alle ore 20.30 a Verona il prof. Boghos Levon Zekiyan parteciperà all’incontro “…e pace in terra” Le possibilità del perdono e della pace nelle religioni con Rav Meir Luciano Caro (rabbino) e Mohamed Guerfi (imam), nell’ambito della XII edizione del Festival Biblico che si svolgerà dal 19 al 29 maggio con oltre 150 eventi in programma tra Vicenza, Verona, Padova, Rovigo e Trento.

Sabato 28 maggio alle ore 17.00 a Treviso il prof. Boghos Levon Zekiyan interverrà alla conferenza dal titolo “La spiritualità armena fra l’Oriente e l’Occidente” presso il Seminario Vescovile di Treviso, sala Card. Pavan.

Il giorno dopo, domenica 29 maggio alle ore 12.00, il prof. Boghos Levon Zekiyan celebrerà una messa pontificale in rito armeno nel Duomo di Treviso in italiano e in armeno per permettere la comprensione del rito e la più ampia partecipazione.

La notizia in anteprima dei due appuntamenti trevigiani, come comunicato sul sito della Comunità Armena di Roma, sarà succeduta da opportuna azione pubblicitaria visto l’interesse e l’importanza della materia, a fronte anche della visita in Armenia di Papa Francesco il prossimo giugno.

Vai al sito

Giardino dei Giusti a scuola (Nuovavenezia.it 06.05.16)

MIRA. Il “Giardino dei giusti” intitolato a Giacomo Gorrini verrà inaugurato oggi alle medie di Gambarare in ricordo del genocidio degli Armeni. Questa l’iniziativa in programma alle 12 che rappresenta il termine di un percorso didattico sui diritti umani e sui genocidi del XX secolo seguito dalle classi dell’istituto comprensivo “Luigi Nono” di Mira nella sede della media “Galilei” di Gambarare. Interverrà anche il sindaco Alvise Maniero.

«Verrà posta la targa commemorativa», spiegano le insegnanti Rossana Moretti e Elisabetta Marini, «che darà l’avvio alla realizzazione di

un “Giardino dei Giusti”». Durante la giornata, in programma musiche, letture, documentari. Interverrà il professor Baykar Sivazliyan, presidente emerito dell’Unione degli Armeni d’Italia. Verrà commemorato il genocidio degli Armeni e riconosciuto come “giusto” Giacomo Gorrini

Vai al sito

ASIA/TURCHIA – Premio europeo per la chiesa armena di Diyarbakir, confiscata dal governo (Agenzia Fides 06.05.16)

Diyarbakir (Agenzia Fides) – La chiesa armena apostolica di san Giragos (San Ciriaco) a Diyarbakır è stata premiata per i suoi recenti restauri dall’Unione Europea, ma la cerimonia di premiazione e la posa della placca commemorativa del premio non potranno essere realizzate presso il luogo di culto, che da marzo è stato confiscato dalle autorità militari turche per motivi di sicurezza, insieme ad altre chiese del centro storico della città.
Forti turche, consultate dall’Agenzia Fides, riferiscono che il premio dell’Unione Europea per il patrimonio culturale era stato assegnato alla storicha chiesa armena di Diyarbakir per l’ottima riuscita dei lavori di restauro che l’avevano riportata al suo antico splendore. L’opera di ripristino, sostenuta dalle comunità armene apostoliche di tutta la Turchia, aveva anche rappresentato un momento significativo di riconciliazione tra le diverse componenti cittadine e di collaborazione con le autorità locali.
Quella di Diyarbakir è la più grande chiesa armena del Medio Oriente. La sua torre maestosa può essere vista da ogni angolo della città, rappresenta un rifacimento di quella originale, che fu distruttaa cannonate nel 1914.
A fine marzo, il governo turco ha sequestrato un’ampia area della metropoli che sorge lungo la riva del fiume Tigri, nel quadro delle operazioni militari messe in atto nella Turchia meridionale contro le postazioni curde del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
Nell’area urbana sequestrata sorgono tutte le chiese presenti a Diyarbakir: oltre alla chiesa armena apostolica di San Giragos (Ciriaco), c’è anche la chiesa siriaca dedicata alla Vergine Maria, la chiesa caldea di Mar Sarkis (San Sergio), la chiesa armeno-cattolica e un luogo di culto protestante, oltre a più di 6mila abitazioni, dislocate in gran parte nel centro storico. Già al momento dell’esproprio, nessuna chiesa cristiana di Diyarbakir risultava aperta al culto. Nelle ultime settimane (vedi Fides 3/5/2016), mentre a Diyarbakir si prolunga il coprifuoco disposto dalle autorità turche, si moltiplicano anche i ricorsi presentati dai rappresentanti legali delle fondazioni legate alle comunità cristiane contro l’ordine di esproprio urgente imposto dal governo. (GV) (Agenzia Fides 6/5/2016).

Vai a sito