Papa in Armenia a giugno: la gioia della comunità armena (Radio Vaticana 14.05.2016)

Grande gioia nella comunità armena per la visita del Papa in Armenia dal 24 al 26 giugno prossimi. Ieri il programma è stato reso noto dalla Sala Stampa Vaticana: le tre dense giornate prevedono la visita al memoriale dell’eccidio del 1915-16,  momenti di ecumenismo come la preghiera per la pace e la dichiarazione congiunta con la Chiesa armeno apostolica e l’incontro con la comunità cattolica. Al microfono di Paolo Ondarza l’arcivescovo degli armeni cattolici di Aleppo in Siria, mons. Boutros Marayati

R. – Per noi armeni si tratta di una notizia che ci fa onore e che ci dà una grande, grande gioia. E questo anzitutto perché il Santo Padre, che conosce bene la storia degli armeni, viene come pellegrino per ricordare la memoria dei martiri armeni. L’anno scorso – il 12 aprile – ha celebrato la Messa in occasione del centenario dei martiri armeni, del genocidio perpetrato dagli ottomani nel 1915. E quest’anno, a coronazione di questa celebrazione, verrà personalmente a visitare questa terra cristiana, in cui c’è il sangue dei martiri, e a pregare. Avrà anche un incontro ecumenico con la Chiesa armeno-ortodossa: così questa visita avrà anche un valore ecumenico. Ma viene anche per incoraggiare la presenza della Chiesa armeno-cattolica: noi siamo presenti in Armenia, con il nostro arcivescovo, con i sacerdoti, le suore e tanti fedeli che stanno qui, che hanno vissuto qui durante il regime sovietico e che adesso sono liberi ed hanno incominciato a riaprire le loro chiese. La visita del Santo Padre e la sua Santa Messa nel centro di Gymuri è per noi un grande incoraggiamento. Cominciando dal Presidente fino ad arrivare all’ultimo cittadino saremo lì ad accogliere il Santo Padre. Speriamo che possa darci anche speranza per una vita di pace con tutti i Paesi che confinano con questo piccolo Paese, che è l’Armenia; ma anche per una collaborazione fra gli armeni della Repubblica Armena e tutti gli armeni che stanno nella diaspora.

D. – Guardando agli avvenimenti che scandiranno questa visita, lei ricordava la visita al memoriale del martirio degli armeni; ci sarà poi la firma di una dichiarazione congiunta con la Chiesa armena apostolica; il Papa pregherà poi presso il Monastero di Khor Virap, che è il luogo della prigionia di Gregorio Illuminatore… Quindi sarà un viaggio con contenuti molto forti per l’Armenia, ma anche – potremmo dire – per la situazione internazionale…

R. – Senz’altro, anche perché l’Armenia pensa e vorrebbe entrare nella Comunità Europea. L’Armenia ha anche problemi di guerra e di pace con gli altri Paesi vicini… Sarà occasione di pensare a una pace, a una intesa. Credo che la cosa più bella e più poetica sarà proprio quando andrà a visitare il Convento di Khor Virap: da lì si vede il Monte Ararat, il monte biblico, il monte armeno, che oggi si trova in territorio turco… Noi lo vediamo da questa parte e ci dice che l’Arca di Noè è arrivata lì e che un giorno tutto il popolo armeno sarà vicino a Dio grazie ai martiri che ha dato per Cristo.

D. – Una visita che si pone in continuità con quella di San Giovanni Paolo II: cosa è rimasto di quel viaggio apostolico?

R. – Quel viaggio apostolico – al quale ho partecipato – ha avuto un carattere molto privato; questo viaggio avrà, invece, un’apertura più forte, perché il Santo Padre andrà a Gymuri, nel nord dell’Armenia, dove c’è una presenza molto forte di armeni cattolici. E questo anche con la benedizione del Catholicos apostolico armeno di Etchmiadzin, che lo accompagnerà. Presiederà una Messa lì, nella piazza di questa città di Gymuri, dove c’è una presenza cattolica. Quindi c’è davvero questa grande apertura.

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Eurovision, sul palco la Guerra fredda: la cantante ucraina fa infuriare Mosca. È un caso anche la sexy-armena Iveta (Il Messaggero 14.05.16)

MOSCA – Un festival canoro che rischia di trasformarsi in uno scandalo continentale. La finale di “Eurovision 2016” a Stoccolma è ormai così politicizzata che alcuni osservatori l’hanno definita il “nuovo campo di battaglia” tra russi ed ucraini. Ma non solo. Rappresentanti di altri Paesi, con qualche sassolino nelle scarpe, guardano interessati. A nulla è infatti valsa la decisione degli organizzatori di qualche settimana fa di vietare lo sventolio di bandiere di alcune regioni-Stato contese, tra le quali quelle del Kosovo o della Crimea. La cantante armena Iveta Mukhchyan se n’è infischiata ed ha già esibito bellamente sul palco il vessillo dell’enclave del Nagorno-Karabakh, suscitando l’ira degli azeri.
LA LETTONIA E L’OSSEZIA
Questo festival canoro viene preso terribilmente sul serio in Europa centro-orientale. Su questi palcoscenici nacque l’immagine della Lettonia come “nazione cantante” a ridosso dell’allargamento ad Est dell’Unione europea tra il 2002 ed il 2003. Qui i georgiani, all’indomani della guerra per l’Ossezia meridionale combattuta contro Mosca nell’agosto 2008, presentarono una canzone dal titolo “We don’t wanna Put In”. L’assonanza chiarissima entrò nelle case di milioni di spettatori tra i quali quelli russi. L’anno prima Dima Bilan aveva ricevuto le congratulazioni dell’allora presidente federale Dmitrij Medvedev pochi minuti dopo la sua vittoria.

La vera mina vagante dell’edizione 2016 è, però, la splendida cantante tataro-crimeana, la 32enne Jamala. La rappresentante ucraina canta “1944” sulla tragica deportazione in Asia da parte di Stalin del suo popolo, accusato ingiustamente di aver “collaborato con gli occupanti nazi-fascisti”. Dopo “l’annessione” della penisola contesa da parte di Mosca nel marzo 2014, la ragazza non è più tornata a casa dai suoi genitori. «Canta Jamala! Canta! – ha scritto il famoso giornalista Ayder Muzhdabayev -. Fai sentire loro il nostro dolore e vedere la nostra dignità. Canta per i nostri morti, i nostri scomparsi ed i prigionieri di coscienza». Durante la semifinale di giovedì, denunciano gli ucraini, i giornalisti della tv di Stato federale hanno falsificato il significato di “1944”, spiegando che trattava di gente che lasciava il Paese in cerca di una vita migliore e non di deportati.
I FAVORITI
Secondo i bookmakers specializzati Jamala – il cui testo è in tataro ed in inglese – è tra le favorite alla vittoria finale insieme al cantante russo, Serghej Lazarev. Gli ucraini hanno, però, tirato già le mani avanti: se verrà creata ad arte una qualche situazione strana ed il rappresentante russo vincerà, la repubblica ex sovietica non parteciperà più per protesta ad Eurovision. Come in passato, è prevedibile che l’Europa ex satellite del Cremlino voterà in massa per la tatara, mentre quelli filo-russi per Lazarev. Insomma un bel grattacapo per gli organizzatori, che, forse, preferirebbero soluzioni diverse. Chissà, l’Australia? Così lontana da tutte queste lotte!

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Eurovision Song Contest 2016, stasera la seconda semifinale: Celentano appoggia la Michielin e l’Armenia viene sanzionata (Rockol 14.05.16)


 

 

Azerbaijan: anche la gioia è ostaggio del regime (Osservatorio Balcani e Caucaso 13.05.16)

Negli ultimi due mesi sono stati numerosi i prigionieri politici rilasciati in Azerbaijan. Ma altri rimangono ingiustamente carcerati. Un commento

Ci sono molte forme di gioia. La gioia di stare in famiglia e con le persone che ami, la gioia dell’avere in mano il diploma dopo l’esame di maturità, la gioia di trovare il lavoro che desideravi. La gioia di crescere, la gioia di tenere un figlio in braccio.

Ma esiste anche un’altra forma di gioia, il tipo di gioia che può essere sentimento comune tra quelli che conoscono il dolore e la rabbia di aver visto i propri cari allontanati da loro e condannati per crimini che non hanno commesso. E’ la gioia che provi quando li vedi, infine, liberi, tra gli abbracci delle loro famiglie, dei loro amici. Circondati da chi avevano attorno nella loro vita precedente, quella prima di essere imprigionati, quella che, in molti modi, era stata piena di gioia.

Si deve ritenersi fortunati se non si è mai provato questa forma di gioia. In Azerbaijan purtroppo ci sono molte famiglie che conoscono bene questo sentimento. Sono le famiglie dei prigionieri politici che sono stati rinchiusi dietro alle sbarre per aver detto la verità, per la loro abnegazione a favore della giustizia e dello stato di diritto.

La famiglia Yunus

Leyla Yunus aveva gli occhi ricolmi di lacrime mentre, all’aeroporto Shipol di Amsterdam, raccontava in un’intervista con Amnesty Olanda che anche il giorno precedente all’effettiva partenza lei e il marito ritenevano fosse tutto un sogno, che alla fine non sarebbe stato loro permesso di andarsene dall’Azerbaijan.

La loro figlia, che vive in Olanda dal 2009, li aspettava al terminal lo scorso 29 aprile con un mazzo di fiori in mano. Nell’incontrarsi la gioia sui loro volti era rigata di lacrime di commozione. I due coniugi erano stati infine lasciati andare dalla presa autoritaria del regime azero.

La famiglia Yunus era stata brutalmente divisa nell’estate del 2014. Il 30 luglio venne arrestata Leyla Yunus. Il marito, Arif Yunus, venne arrestato una settimana dopo. Erano incriminati di alto tradimento, attività economiche illegali, frode e vennero condannati nell’agosto del 2015 rispettivamente a otto anni e mezzo e sette anni di carcere. Vennero imprigionati in strutture detentive separate e se alcune notizie sull’attivista per i diritti umani Leyla Yunus trapelavano, pochissimo si sapeva del marito Arif Yunus.

Le torture e l’umiliazione che hanno subito durante il periodo di detenzione sono indescrivibili. Nel dicembre 2015 la loro pena venne sospesa a causa della loro situazione di salute in grave peggioramento. I due coniugi vennero posti in libertà vigilata. “Sono stata trasformata in polvere da prigione”, ha dichiarato Leyla Yunus ad un gruppo di giornalisti che si erano raccolti davanti al suo appartamento a Baku, il giorno del rilascio, tenendosi al braccio del marito, rilasciato poco tempo prima.

Senza dubbio il benvenuto ottenuto nei Paesi Bassi, dove alla coppia è stato permesso di recarsi per ottenere cure mediche, è stata molto calorosa. “Leyla e Arif Yunus hanno messo a rischio la loro incolumità e felicità per lottare per la democrazia e i diritti umani ”, ha affermato al loro arrivo il ministro degli Esteri olandese Bert Koenders.

Mentre la famiglia Yunus gioiva dell’essere nuovamente unita è probabile che il presidente Aliyev e la sua amministrazione si rallegrassero per essersi liberati di due tra le voci più critiche del regime.

I 14 della vergogna

Un altro sviluppo sorprendente, arrivato prima delle celebrazioni del Nowruz, è stato il perdono di 14 prigionieri politici, amnistiati assieme a altri 148 detenuti comuni.

Una mossa che più che essere un segno della magnanimità del regime è probabilmente motivata politicamente dato che è stata fatta prima della visita del presidente Aliyev a Washington DC per il Summit sull’industria nucleare che lì era previsto.

Tra i rilasciati l’attivista per i diritti umani Rasul Jafarov; i giornalisti Parviz Hashimli, Hilal Mammadov e Tofig Yagublu; gli avvocati Taleh Khasmammadov e Anar Mammadli; i giovani attivisti e membri del movimento civico N!DA Rashadat Akhundov, Mahammad Azizov e Rashad Hasanov; i bloggers Siraj Karimli e Omar Mammadov. Nella lista anche l’ex funzionario di governo Akif Muradverdiyev; il presidente del Partito della Nazione Nemat Penahli e l’attivista di un altro partito d’opposizione, il Musavat, Yadigar Sadigov.

Molti di loro erano imprigionati dal 2013, condannati per crimini mai commessi da corti ingiuste e vergognose. In realtà tutti condannati per il loro lavoro, per il loro attivismo, per la loro sincerità.

Forse la gioia più grande, relativamente a questi uomini coraggiosi, è stata data dall’incontro del piccolo Araz, tre anni, con il padre Rashadat Akhundov. Turkan Huseynova, la moglie di Akhundov, ha commentato così il rilascio del marito: “Questi ultimi tre anni sono stati molto difficili. Non mi aspettavo il suo rilascio. Forse quando non ti aspetti una cosa e poi nei telegiornali senti che è avvenuta, la gioia è ancora più grande”.

Oltre a quelli amnistiati vi sono stati altri prigionieri politici che hanno ritrovato la libertà dopo che la loro pena è stata ridotta e poi sospesa. Rauf Mirkadirov è stato liberato dopo che la pena che gli era stata comminata è stata abbassata da sei anni a cinque e poi sospesa. 10 giorni dopo, il 27 marzo, è stata la volta della liberazione di Intigam Aliyev, la cui pena è stata ridotta da 7 anni e mezzo a 5 anni e poi sospesa.

A discrezione del presidente

Ma come accade con molte cose in Azerbaijan, sta al presidente Aliyev decidere chi può gioire e chi no. Negli ultimi due mesi molti prigionieri politici sono stati rilasciati ma altri, come ad esempio la giornalista investigativa Khadija Ismayilova, il giornalista Seymur Hezi, gli attivisti Ilkin Rustamzade e Ilgar Mammadov, continuano a rimanere ostaggi del regime. Nonostante siano in carcere, continuano però ad ottenere riconoscimenti per il loro coraggio da parte di istituzioni e organizzazioni che hanno a cuore i diritti umani e la libertà.

Elmira Ismayilova, madre di Khadija, continua a ritirare premi in nome della figlia. “So che mia figlia è stata arrestata per aver percorso il sentiero giusto, per aver servito il mondo libero e per le sue investigazioni”, ha dichiarato alla sezione azera della BBC poco dopo aver ricevuto in nome della figlia il Guillermo Cano World Press Freedom Price dell’Unesco a Helsinki, durante la Giornata mondiale per la libertà di stampa. Khadija ha ricevuto questo riconoscimento per il suo contributo alla libertà di stampa in Azerbaijan.

Nel discorso della figlia, portato a Helsinki dalla madre, la giornalista investigativa ha chiesto al pubblico di ricordare la figura di Elmar Huseynov, giornalista azero assassinato davanti alla propria abitazione ed ha sottolineato il fallimento delle autorità nell’indagare sul suo omicidio. Khadija ha detto di essere felice di essere ancora viva, diversamente da quanto accaduto al suo collega e amico Elmar e che continuerà a combattere per la giustizia ma che, per farlo, ha bisogno di aiuto.

“L’umanità soffre quando i giornalisti vengono messi a tacere. Questo è il motivo per cui l’uccisione di un giornalista è un crimine contro l’umanità. Vi siete riuniti qui questa sera e io vi chiedo di non lodare il mio lavoro o il mio coraggio ma di impegnarvi su quanto ciascuno di voi può fare per la libertà di stampa e per la giustizia. Ora vi è una relazione tra Guillermo Cano, Elmar Huseynov e me. Siamo stati tutti e tre degradati e deumanizzati da attacchi contro i nostri diritti fondamentali, in sdegno della giustizia, della correttezza, negando la verità. Noi, globalmente, tutti assieme, uniti qui questa sera per onorare la libertà di stampa, dobbiamo impegnarci di lottare per difenderla”.

Mentre la platea applaudiva calorosamente, Khadija rimaneva a migliaia di chilometri di distanza, nella sua cella, impossibilitata a condividere la gioia per questo nuovo riconoscimento né con la sua famiglia e neppure con gli amici. Ma almeno, assieme a tutte quelle cittadine e cittadini azeri che con coraggio continuano a battersi per la giustizia, per la verità e per la libertà, condividono la gioia di essere onesti con se stessi nella speranza che, un giorno, possano condividere questa gioia con tutti gli altri.

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Armenian Heritage: dalla documentazione 3D al pellegrinaggio virtuale (Archeomatica.it 13.05.16)

Il patrimonio armeno è un patrimonio di lunga sopravvivenza che è stato sviluppato per più secolo nell’altopiano armeno a partire dal suo primo re, il Re di Urartu, costituitosi durante l’Età del Ferro (dal 1200 al 500 a.C.).

Oggi il patrimonio dell’Armenia continua ad essere non solo una ricca e insostituibile risorsa per la storia collettiva mondiale ma anche una preziosa fonte di identità per milioni di armeni che vivono nella Repubblica dell’Armenia o in tutto il mondo a causa della diaspora.

Allo scopo di aiutare questo patrimonio prezioso CyArk ha instaurato una partnership con il Tumo Center for Creative Technologies di Yerevan per lanciare l’iniziativa “Armenian Heritage: a Virtual Pilgrimage” allo scopo di documentare digitalmente i siti patrimonio dell’Armenia.
Utilizzando tecnologie allo stato dell’arte per la documentazione 3D, questo progetto non salvaguarderà solo questi siti del patrimonio per le generazioni a venire ma afornirà anche a studenti armeni e non armeni in tutto il mondo l’opportunità di fruire di un pellegrinaggio virtuale che mostrerà i siti culturali documentati attraverso tour virtuali immersivi e contenuti educativi.

A Gennaio 2015 il progetto Armenian Heritage è iniziato con il rilievo del Monastero di Geghard. Il team di CyArk insieme agli studenti del TUMO Center ha visitato il Monastero e dedicato una giornata alla scansione degli esterni e degli interni della struttura. Una volta documentato, gli studenti hanno ricevuto alcuni tutorial su come utilizzare e manipolare i dati per l’esperienza di pellegrinaggio. Questo progetto include mappe del Monastero, Khachkars (cippi funerari), tour 3D e molto altro.

Ulteriori informazioni su www.armenia3d.org

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Papa Francesco in Armenia: mons. Minassian, “nel popolo una gratitudine sincera e piena di amore” (SIR 13.05.16)

“Sono due i punti essenziali della visita del Papa in Armenia: la messa solenne in piazza Vartanants a Gyumri sabato 25 giugno e sempre nello stesso giorno la Preghiera ecumenica per la Pace nella piazza della Repubblica a Yerevan”. E’ monsignor Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale, a leggere così il programma del viaggio apostolico di Papa Francesco in Armenia dal 24 al 25 giugno, reso noto oggi in contemporanea dalla Sala Stampa della Santa Sede e dalla Chiesa apostolica armena. Il Papa arriverà nel pomeriggio di venerdì 24 giugno e dopo una preghiera alla cattedrale apostolica ad Etchmiadzin, incontrerà il presidente della Repubblica nel Palazzo presidenziale e le autorità civili del Paese. Il Papa con tutto il seguito sarà ospite di Sua Santità Karekin II Catholicos di tutti gli armeni presso il Palazzo apostolico di Etchmiadzin, dove alloggerà durante il soggiorno del Santo Padre anche l’arcivescovo Raphael Minassian. Il giorno dopo il Papa si trasferirà a Gyumri dove celebrerà una messa che sarà il momento culmine del suo incontro con la comunità cattolica del Paese. Nella stessa giornata di ritorno a Yerevan, parteciperà a un incontro ecumenico e a una preghiera per la pace nella piazza della Repubblica. Il viaggio si concluderà domenica 26 giugno con l’incontro con i vescovi cattolici armeni, la partecipazione alla Divina Liturgia al termina della quale il Papa pranzerà con il Catholicos Karekin. Prima di riprendere il volo per Roma, si fermerà in preghiera al Monastero di Khor Virap.

“Lo scopo della visita del Papa in Armenia è duplice – dice il vescovo Minassian -: da parte di Francesco è un gesto di apprezzamento per questa nazione cristiana, per la vita e la testimonianza che questo popolo ha dato con milioni di martiri. Da parte dell’Armenia è l’attesa di accogliere il Papa a cuore aperto come capo di una Chiesa e come un padre che ha difeso questa Nazione con la sua dichiarazione del 12 aprile 2015 sul genocidio armeno. C’è quindi un sentimento di gratitudine e di ringraziamento sincero e pieno di affetto di amore per il Papa”. Significativa poi sarà la preghiera per la pace ma “non solo per la nostra Nazione – precisa il vescovo – ma con una apertura mondiale perché la sofferenza e le guerre sono dappertutto”.

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Papa Francesco a fine giugno sarà in Armenia a visitare il memoriale del genocidio pianificato dai turchi nel 1915 (Il Messaggero 13.04.2016)


Durante viaggio in Armenia Papa visiterà memoriale del genocidio (Askanews 13.02.2016)

Mons. Marayati: “Noi armeni di Siria riviviamo il dramma del Genocidio” (Zenith.org 12.05.16)

In queste ore la città siriana di Aleppo è tornata ad essere teatro di una furiosa battaglia. La labile tregua, che aveva offerto un po’ di ossigeno alla martoriata popolazione, anche se ufficialmente non è stata interrotta, nei fatti è ormai già un ricordo. L’ennesimo attacco missilistico dei ribelli jihadisti nei quartieri controllati dall’esercito regolare ha colpito un ospedale provocando diverse vittime tra i civili.

E gli scenari futuri non appaiono confortanti. Secondo l’agenzia di stampa russa Interfax, i jihadisti del Fronte al-Nusra stanno ammassando munizioni cariche di cloro nelle loro postazioni alle porte di Aleppo. La disperazione della popolazione trapela dalle parole di mons. Boutros Marayati, arcivescovo degli armeni cattolici della città siriana. Ospite del Settore Est della Diocesi di Roma, il presule ha incontrato quest’oggi il clero in presenza del vescovo ausiliare, mons. Giuseppe Marciante. Al termine dell’incontro, ha rilasciato a ZENIT l’intervista che segue.

***

Eccellenza, qual è attualmente la situazione ad Aleppo?

È molto drammatica. Il cessate il fuoco è ormai terminato e da circa una settimana sono ricominciati i bombardamenti. Nella città arriva una pioggia di missili, che colpisce i quartieri cristiani. Malgrado noi come Chiese stiamo facendo di tutto per aiutare la gente a rimanere, sta avvenendo un nuovo esodo da Aleppo. Del resto manca tutto: l’acqua, l’elettricità, le medicine. Diminuisce il cibo e il suo prezzo diventa molto alto. La nostra speranza è che ci siano i margini affinché le parti in conflitto si mettano d’accordo per un nuovo periodo di tregua. Il popolo di Aleppo sogna la fine di queste atrocità, è davvero stanco di subire.

Chi lancia questi missili?

Aleppo è divisa in due parti. Una delle due è sotto il controllo dei ribelli jihadisti. Sono questi ultimi a lanciare missili, bombe e colpi di mortaio nell’altra parte della città, che è controllata dall’esercito regolare ed è il luogo in cui vivono le comunità cristiane e i musulmani moderati. Il punto è che i ribelli hanno in mano la centrale elettrica e l’acquedotto, dunque controllano gli approvvigionamenti e non consentono di farli arrivare a noi. Chi paga il prezzo più alto di questa contrapposizione tra i due blocchi siamo noi civili, soprattutto i bambini. In questa ultima settimana i più piccoli hanno vissuto l’inferno.

Quello in Siria è un conflitto che coinvolge anche interessi stranieri…

Purtroppo è così. Non si combatte mai per niente. Esistono interessi e disegni internazionali. La soluzione di questo conflitto è nelle mani delle grandi potenze, degli Stati Uniti e della Russia. Entrambe queste potenze vogliono mantenere la propria influenza sulla Siria. Penso alla presenza delle basi militari, al controllo dei pozzi petroliferi e delle centrali di gas, allo sbocco sul Mar Mediterraneo… Con tutti questi elementi si intreccia poi l’aspetto religioso, che viene strumentalizzato. È una guerra che riguarda la geopolitica internazionale, ma che si consuma sulla pelle dei siriani. Ripeto: le chiavi per accedere alla pace le possiedono a Washington e a Mosca. Dobbiamo soltanto sperare che si arrivi a un’intesa tra loro per aprire un futuro di speranza per la Siria.

Finché non si troverà una soluzione in Siria, proseguirà anche la crisi dei profughi in Europa…

Se l’Europa ha davvero interesse a risolvere il dramma dei profughi, deve impiegare tutte le sue energie per far cessare la guerra in Siria. A cosa serve parlare di barriere da abbattere ai confini, quando non c’è l’impegno ad aiutare queste persone a non fuggire dalla propria terra? Ricordo sempre che prima che iniziasse questa guerra, noi siriani non eravamo mai stati dei profughi. Al contrario, era la Siria ad aver sempre ricevuto persone che fuggivano dalle guerre: dal Libano, dalla Giordania, dall’Iraq… E ora è arrivato il nostro turno. Una cosa che sembrava davvero impensabile, perché la Siria è storicamente un Paese di convivenza, di pace, di cultura.

Cosa stanno facendo le Chiese cristiane per arginare l’esodo di cristiani da quelle terre?

Le Chiese cristiane, insieme alle varie onlus impegnate in Siria, stanno dando un grande contributo, mandando aiuti. Tuttavia la gente è stanca di soffrire e di dover ricevere per questo assistenza. I siriani non vogliono più piangere i loro morti, non vogliono più veder scorrere fiumi di sangue. Ciò che chiediamo è che l’impegno che viene profuso per mandarci gli aiuti venga impiegato per far pressione alle potenze internazionali affinché cessino i bombardamenti.

Eccellenza, il destino dei cristiani mediorientali è lontano dalla loro terra?

La Siria ha bisogno dei cristiani. Pur essendo una minoranza, essi hanno da sempre rappresentato una ricchezza. Non si può pensare a un Medio Oriente senza cristiani, tuttavia è inevitabile che scappino se sono sotto il tiro dei mortai dei ribelli jihadisti. E scappando, continueranno a non trovare pace. Un profugo ha sempre delle difficoltà, perché si trova a vivere in un contesto diverso da quello che gli è proprio, è uno sradicato.

Questa realtà a voi armeni evoca lo spettro del Genocidio di un secolo fa…

Noi armeni stiamo vivendo un doppio trauma. Ancora non si è rimarginata la ferita del Genocidio del 1915, che oggi ci ritroviamo ad essere di nuovo dei profughi, a fuggire da chi ci vuole uccidere. Un secolo fa fu proprio la Siria ad accoglierci, a consentirci di integrarci nella cultura araba costruendo una nostra indipendenza. E oggi ci ritroviamo a dover abbandonare tutto ciò che abbiamo costruito e ad affrontare un nuovo esodo. Abbiamo nostalgia della Siria precedente allo scoppio della guerra. Lo scrittore armeno Antranik Zaruguian parlava di una “Aleppo dei sogni”. Oggi, purtroppo, quei sogni si sono trasformati in incubi.

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ASIA/TURCHIA – Cimitero armeno profanato a Mus (Fides 12.05.16)

Mus (Agenzia Fides) – Uno storico cimitero armeno risalente al XVIII secolo è stato profanato a Mus, capoluogo dell’omonima provincia orientale turca. La notizia della profanazione è stata diffusa ieri da fonti locali, consultate dall’Agenzia Fides. L’atto sacrilego, denunciato alle locali autorità giudiziarie, è stato compiuto probabilmente da vandali che pensavano di trovare nelle tombe oggetti di valore. Diverse tombe sono state devastate, e i resti umani in esse contenuti sono stati sparsi per tutto il cimitero. Nelle ora successive alla scoperta della profanazione, Aziz Dagcin, presidente dell’Unione degli Armeni di Samsin, ha sottoposto al ministero del turismo una petizione per chiedere un sollecito restauro del cimitero storico. “Chiediamo che cessì la profanazione delle nostre tombe: esse non contengono niente altro che le ossa dei nostri antenati, che venivano sepolti avvolti nelle lenzuola. Lì non potrà essere trovato nessun oggetto di valore, e lo stesso vale per i nostri monasteri” ha detto alla stampa locale Aziz Dagcin.
Mus, situata nella parte orientale dell’Anatolia, già alla fine del XVIII secolo fu teatro di pogrom e massacri anti-armeni, istigati dalle autorità ottomane e realizzate spesso dalle milizie irregolari curde. (GV) (Agenzia Fides 12/5/2016).

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Nagorno Karabakh, possibile riunione Armenia-Azerbaigian a Vienna (Askanews 12.05.16)

Mosca, 12 mag. (askanews) – I leader di Armenia e Azerbaigian potrebbero incontrarsi la settimana prossima a Vienna per discutere della fragile tregua nella regione contesa del Nagorno Karabakh, enclave armena in territorio azero. Gli alti diplomatici di Stati Uniti, Russia e Francia, che stanno lavorando per la cessazione delle ostilità nella regione, dovrebbero prendere parte ai colloqui.

“Un incontro tra i presidenti di Armenia e Azerbiagian è in programma per la prossima settimana”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Se l’incontro tra il capo di stato azero Ilham Aliyev e la sua controparte armena, Serzh Sarkisian, si svolgerà sarà il primo faccia a faccia da quando si sono verificati i violenti scontri del mese scorso in cui sono morte curca 110 persone.

“Alla luce dei recenti episodi di violenza e dell’urgenza di ridurre le tensioni lungo la linea di contatto, riteniamo che sia venuto il momento che i presidenti di Armenia e Azerbiagian si incontrino. I nostri ministri degli Esteri sono pronti a organizzare questa riunione per la prossima settimana a Vienna2, si legge in una nota del Gruppo di Minsk, presieduto da Russia, Francia e Usa.

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Speciale difesa: violazioni del cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh (Agenzianova 12.05.16)


I fragili equilibri caucasici alla prova del Nagorno Karabakh (Europinione.it 11.05.16)

L’Eurovision song contest e la crisi della bandiera. La concorrente armena rischia l’esclusione (Eurovision 12.05.16)

Scandalo politico all’Eurovision song contest.

La concorrente armena rischia l’esclusione dopo essersi esibita brandendo una bandiera del Nagorno Karabakh , enclave separatista a maggioranza armena in Azerbaijan, una repubblica autoproclamata per la quale è stata già combattuta una guerra.

La cantante Iveta Mukuchyan ha dichiarato:

Chiedevo semplicemente il ritorno della pace ai confini. L’Armenia vuole solo la pace. E questo è il motivo per cui ho scritto questa canzone, per diffondere onde d’amore, perché questo è quello che sto sentendo dentro di me.

Ma non è detto che le buone vibrazioni arrivino agli organizzatori. Ecco cosa le ha risposto l’organizzatore Sietse Bakker:

Ho spiegato chiaramente che sarebbe inaccettabile vedere questa bandiera alla finale. E se dovesse succedere ci saranno conseguenze più severe, fino alla squalifica per quest’anno e all’esclusione per i prossimi tre anni.

Iveta Mukuchyan forse non se ne preoccupa, ha già avuto la pubblicità che cercava.

Sono già successi episodi del genere al concorso dell’Eurovision song contest. Per esempio una polemica in passato ha riguardato la bandiera palestinese .

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Nagorno Karabakh: la paura della popolazione (Osservatorio Balcani e Caucaso 11.05.16)

In diretta dal Nagorno Karabakh, su Radio Popolare, il corrispondente di OBC Simone Zoppellaro racconta la tensione e la paura tra i civili colpiti dal conflitto (10 maggio 2016)

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