Giusto deportare gli Armeni (Lastampa.it 09.06.16)

Marco Tosatti

Deportare gli Armeni nel 1915 fu giusto, e dovrebbe essere rifatto se le circostanze lo richiedessero. Queste dichiarazioni choccanti (pensate a qualcuno che dicesse oggi che deportare gli ebrei fu una decisione corretta…) sono state pronunciate nel Parlamento turco da Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista, in appoggio a Erdogan

Deportare gli Armeni nel 1915 fu giusto, e dovrebbe essere rifatto se le circostanze lo richiedessero. Nel 1915 il governo turco diede il via ai massacri e alle deportazioni che ebbero come risultato finale l’uccisione di oltre un milione di armeni, in quello che è generalemnte conosciuto come il Genocidio ameno, “Metz Yeghèrn” il Grande Male, in lingua armena. Un genocidio che fu accompagnato dallo sterminio di altre minoranze cristiane, come i greci e gli assiri.

E’ di pochi giorni fa il riconoscimento, da parte del Bundestag, dei massacri come genocidio. Un voto quasi unanime che ha fatto infuriare i turchi, e tanto più significativo perché la Germania ospita una forte minoranza turca. Queste dichiarazioni choccanti (pensate a qualcuno che dicesse oggi che deportare gli ebrei fu una decisione corretta…) sono state pronunciate nel Parlamento turco da Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista. “La decisione di deportazione nel 1915 fu assolutamente corretta – ha detto -. Dovrebbe essere eseguita di nuove se le circostanze fossero le stesse”.

Devlet Bahçeli parlava dopo il voto del Bundestag. E ha aggiunto: “Cambiare di posto agli Armeni non aveva lo scopo di annichilirli, ma di proteggere lo Stato, che è assolutamente corretto e halal”. Il leader politico ripeteva uno degli argomenti difensivi presentati da sempre dalla politica ufficiale negazionista del governo turco. Una tesi che la maggioranza degli storici non accetta come credibile, ritenendo che ci fu volontà e piani per distruggere una minoranza cristiana di ostacolo all’idea “un Paese, una religione”.

Devlet Bahçeli ha detto anche di appoggiare le dichiarazioni di Erdogan sul co-presidente dei verdi tedeschi Cem Özdemir, di origine turca, che ha appoggiato il voto del Bundestag sul Genocidio Armeno. “Dovrebbe essere turco – ha detto Erdogan –. Che turco! Bisognerebbe fare un test di laboratorio sul suo sangue”. “Se dicessimo quello che il presidente Erdogan ha detto, saremmo considerati razzisti. Signor Presidente, non parli di sangue di nuovo perché il sangue di quelli che hanno il sangue marcio non scorre. Non hanno sangue”.

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Turchia: nuovo attentato e deriva autoritaria (Osservatorio Balcano e Caucaso 09.06.16)

Il 7 giugno scorso un nuovo attentato nel centro di Istanbul. Nel frattempo il governo reagisce con media silenziati, l’approvazione di uno scudo legale a favore dell’esercito e toglie invece l’immunità ai parlamentari

Il 7 giugno un’esplosione nel centro di Istanbul ha colpito un autobus della polizia di passaggio. 12 i morti e 42 i feriti. Un altro attentato che colpisce il cuore pulsante della città, in una delle sue zone più frequentate da persone del luogo e turisti, non distante dall’Università di Istanbul e dal famoso Gran Bazar.

Si ricomincia quindi a contare morti e feriti, a cercare i responsabili, ad additare i colpevoli. Non è la prima volta, nel solo ultimo anno è l’undicesima o la tredicesima, a seconda di come si voglia considerare alcuni episodi minori solo per quantità di sangue versato, non per inquietudine causata: la terra che trema, il fumo che si alza in funebri volute, vetri infranti e sirene urlanti. Una ritualità a cui ci si assuefa senza neppure accorgersene. A confermarlo c’è la bomba che, ventiquattr’ore dopo, esplode a Mardin, una città del sudest del paese, e che causa 8 morti e decine di feriti.

In questo paese in guerra, è lo scoppio degli ordigni a scandire il tempo, non più solo il canto delle moschee.

A far da contraltare allo scoppio assordante della bomba, scatta il silenzio imposto ai media. Poco dopo l’attentato, un tribunale di Istanbul ha emesso un’ordinanza di divieto di “pubblicazione di ogni sorta di notizia, intervista, critica e simili pubblicazioni di tipo scritto, visivo e digitale fino a che le indagini non saranno ultimate”. Lo scopo, si precisa con testuali parole, è “proteggere l’integrità territoriale, prevenire la perpetrazione, e preservare l’autorità e l’obiettività degli organi giudiziari”.

Eppure, ad ogni drammatico episodio, in molti insistono sul fatto che non ci si può illudere che la violenza scatenata nel sudest del paese, nel conflitto che vede coinvolto esercito turco e Pkk curdo, rimanga circoscritta a quella regione. Se nell’ovest della Turchia si fa ancora la conta di bombe e morti, nell’est i numeri sono stati smarriti da tempo, sepolti sotto le macerie di interi distretti urbani cannoneggiati con carri armati, artiglieria pesante ed elicotteri. Le bombe non esplodono per caso; con troppa fretta, e con molto calcolo politico, si è cestinato il lungo, faticoso, traballante processo di pace tra stato turco e Pkk.

Scudo legale per l’esercito e via l’immunità ai parlamentari

Le opposizioni si sgolano per denunciare l’inaccettabilità di ogni attacco e al tempo stesso denunciano le responsabilità di un governo che sta giocando la propria partita politica sulla destabilizzazione e il conflitto.

Governo che intanto si prepara a varare una nuova norma che fornirà un più efficace scudo legale a soldati e ufficiali dell’esercito impegnati nelle operazioni antiterrorismo. Non solo gli ufficiali risponderanno direttamente ai governatori e, in ultima istanza, al primo ministro, ma ogni indagine a carico di militari dovrà prima essere approvata dal governo stesso. L’ennesimo colpo di scalpello alla democrazia turca e alla separazione dei poteri.

Una legge, questa, che va in direzione opposta rispetto a ciò per cui preme l’Unione europea che, tra i 72 criteri a cui la Turchia dovrebbe adeguarsi per ottenere la liberalizzazione dei visti, ha inserito una revisione della legge antiterrorismo turca in senso restrittivo, così che non possa essere usata per spazzare via l’opposizione politica e mettere a tacere i media e la società civile.

Non succederà. Erdoğan ha recentemente etichettato l’Unione un “club di cristiani” ed ha rigettato tale richiesta. Nel frattempo firmava un’altra legge, quella che toglie l’immunità legale ai parlamentari, i quali potranno ora essere perseguiti penalmente. Il ministero della Giustizia ha inoltre da poco sostituito e rimpiazzato 3.700 tra giudici e procuratori, una mossa non rara in Turchia, ma con pochi precedenti se si considerano i numeri. Poiché la maggior parte delle indagini riguarda parlamentari dei partiti d’opposizione, in particolare l’HDP accusato di avere legami terroristici con il PKK proprio attraverso la contestata legge antiterrorismo, è facile profetizzare come questa nuova legge consentirà di ridisegnare la composizione parlamentare e, perché no, arrivare ai numeri che servono per poter approvare le modifiche costituzionali necessarie a trasformare il paese da repubblica parlamentare a presidenziale.

Tutte queste decisioni del governo sembrano ben lontane dal voler ricercare una pacificazione che non sia quella ottenuta con la forza. Erdoğan cerca lo scontro frontale e gli ordigni che esplodono nei centri cittadini sono parte prevedibile di questo conflitto. Ogni bomba non solo uccide persone: demolisce le fondamenta di un intero paese.

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Shoah: negazionismo diventa reato, fino a 6 anni di carcere (Rainews 09.06.16)

È legge il ddl sul negazionismo. “Un’aggravante alla Legge Mancino, rispetto ai reati di discriminazione razziale e di stampo xenofobo”. Da 2 a 6 anni se propaganda si fonda su negazione della Shoah o dei crimini di genocidio
Il ddl sul negazionismo, approvato ieri dalla Camera in via definitiva e diventato legge, configura un nuovo reato. Con l’introduzione del comma 3 bis all’art. 3 della legge 13 ottobre 1975 n. 654 (e successive modifiche) si dispone l’applicazione della pena “da due a sei anni se la propaganda, ovvero l’istitgazione e l’incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah, o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale”. In sostanza, il negazionismo diventerà un’aggravante, aggiunta alla legge Mancino, rispetto ai reati di discriminazione razziale e di stampo xenofobo. Con il nuovo reato si punisce con la reclusione da 2 a 6 anni, l’incitamento all’odio razziale che si fonda “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”. “Con l’approvazione di questo provvedimento, il Parlamento intende contrastare una delle forme più sottili e striscianti della diffamazione razziale, della xenofobia a sfondo antisemita e non solo, e in genere dell’incitazione all’odio”. Lo ha detto Chiara Gribaudo, vice-presidente del Gruppo Pd della Camera, nella dichiarazione di voto sulla legge sul negazionismo, spiegando che “la via scelta per stabilire una sanzione penale all’odioso comportamento negazionista non è stata quella di introdurre – come, in passato, era anche stato proposto – una nuova tipologia di reato per il negazionismo (esistente in Francia, Germania, Austria, Belgio, Svezia, Svizzera, Polonia, Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca, fino al Canada e all’Australia)”. “Abbiamo scelto, invece -spiega- di modificare l’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975 che ha recepito la Convenzione di New York del 7 marzo 1966 sulle discriminazioni razziali introducendo il contrasto di quelle azioni discriminatorie

Dopo il riconoscimento del genocidio in Germania, armeni in Turchia nella paura. Arcivescovo armeno “solidale” con Erdogan (Asianews 08.06.16)

I cittadini turchi di origine armena e gli immigrati armeni temono ritorsioni e violenze dopo la decisione del parlamento tedesco di riconoscere il genocidio armeno. In una lettera a Erdogan mons. Aram Atesyan parla di “strumentalizzazione” della tragedia. Il prelato vuole difendere la comunità da attacchi, ma è accusato di scarso coraggio dai fedeli.

Istanbul (AsiaNews) – Il riconoscimento da parte del Bundestag tedesco del genocidio armeno e della corresponsabilità della Germania nella strage fomenta nuove polemiche in Turchia e nel panorama internazionale. Berlino è stata all’epoca dei fatti (1915) alleata, presente e compartecipe della distruzione di elementi cristiani – armeni, aramaici, siriaci, greci – nell’Impero Ottomano . E la decisione tedesca di fare “mea culpa” è stata fonte di gioia per la diaspora armena sparsa per il mondo.

Fra i motivi di festa, il fatto che la Germania non vanta al suo interno una nutrita comunità armena; al contrario, essa ospita tre milioni di turchi e, secondo logica, avrebbe dovuto continuare a optare per la via del negazionismo adottata in questi ultimi 100 anni. Tuttavia, non si può dire lo stesso per i 100mila cittadini turchi di origine armena, ancora oggi presenti in Turchia, che si sentono intrappolati nella morsa del risentimento e oggetto di rappresaglie di gruppi ultra-nazionalisti. Questi ultimi sono fomentati e sostenuti dal governo di Ankara, dai servizi segreti turchi e dagli apparati militari.

La reazione veemente, e ormai proverbiale, del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha fatto scattare i campanelli d’allarme. In un intervento televisivo del 5 giugno scorso, egli ha minacciato di “espellere” gli oltre 100mila armeni dalla Turchia, così come gli immigrati di origine armena presenti oggi nel Paese.

Cittadini turchi di origine armena interpellati da AsiaNews riferiscono che nei loro quartieri “domina un clima di paura”. La campagna mediatica della stampa governativa ha assunto livelli di “armenofobia” tali che possono istigare reazioni inaspettate, come è avvenuto spesso a Istanbul nel corso della storia della Repubblica turca.

Un insegnante armeno in pensione afferma che gli armeni della Turchia “si sentono ostaggi” e, se da un lato “si rallegrano” per il “trionfo della giustizia” e del “colpo mortale che la Germania ha sferrato al circolo vizioso della vile menzogna del negazionismo”, dall’altra si guardano bene “dall’esternare questa gioia” e si aspettano di “pagarne il prezzo”. “Quello che la Turchia non riesce ad accettare – continua il docente – è che la Germania abbia ammesso le proprie corresponsabilità nell’annientamento del popolo armeno, togliendo così ad Ankara la possibilità di negare la propria parte di responsabilità”. E conclude: “Ora viviamo nel terrore”.

Nel tentativo di calmare le acque, l’arcivescovo armeno ortodosso e vicario patriarcale di Istanbul mons. Aram Atesyan – che nutre l’ambizione di diventare futuro patriarca col benestare di Erdogan – ha inviato ieri una lunga lettera di “dispiacere e solidarietà” al presidente turco. Il prelato ha espresso il “rammarico suo e degli armeni (sic!)” per la risoluzione adottata dal parlamento tedesco, definendola un “abuso della nazione armena da parte dei poteri imperialisti”.

Nella lettera, che ha trovato ampio spazio all’interno della stampa turca, soprattutto in quella legata al partito di governo, il vicario armeno ha persino messo in dubbio il fatto che questa risoluzione possa “rappresentare la volontà del popolo tedesco”.

“Come abbiamo affermato in altre occasioni – ha continuato mons. Atesyan – utilizzare la tragedia che ha traumatizzato la nazione armena sul piano della politica internazionale provoca pena e dolore”. Egli ha ripetuto in sostanza le stesse parole espresse dal presidente turco il 5 giugno, nel suo intervento di fuoco contro la Germania; parole condannate dalla stessa cancelliera tedesca Angela Merkel, che le ha definite “inammissibili”.

Il vicario ha quindi aggiunto che “il dolore storico” è utilizzato “come strumento per accusare e punire lo Stato turco e la nazione intera”.

La situazione e la posizione del vicario, futuro possibile patriarca della sede di Istanbul, sono comprensibili in quanto giustificati dall’obbligo di proteggere il suo gregge dall’ira di un nazionalismo ed estremismo islamico dilagante nella Turchia di Erdogan. Tuttavia, parte della stampa armena e in particolare quella legata alla diaspora – in mano ai discendenti delle vittime del genocidio – hanno criticato il “mancato coraggio di un successore degli apostoli di Cristo”, che dovrebbe dire la verità “ad ogni costo”. Gli armeni della diaspora invitano mons. Atesyan ad agire “come vero capo della Chiesa di Cristo” e imparare dal papa il valore del “coraggio”. Il riferimento è alle parole di papa Francesco, che ha chiamato “il male con il suo nome”, in occasione del centenario del Genocidio armeno celebrato il 12 aprile scorso nella basilica di San Pietro. (PB)

Libri: Arthur Alexanian racconta la sua Armenia (AGI 08.06.16)

Roma – Il gioco della memoria di un bambino che trova il proprio passato nei frammenti di vita della sua famiglia. Questo il tema principale del libro edito da Ibiskos Ulivieri ‘Il bambino e i venti d’Armenia’ di  Arthur Alexanian, scrittore francese di genitori armeni diplomatosi al Collegio Armeno di Venezia e poi laureatosi in Chimica Industriale all’Università di Bologna.

Sul sito Agi Arab il giornalista Erfan Rashid intervista Alexian, interrogandolo sulla sua vita e sul suo libro dove, all’ombra della storia del popolo armeno, segue le vicende dei protagonisti che si dipanano da oriente a Occidente. Così la fuga per la sopravvivenza si trasforma in una via per l’affermazione di sé e Venezia è il punto d’incontro di mondi e generazioni. (AGI)

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Il genocidio armeno:bestia nera di Erdoğan (L’Opinione 08.06.16)

Non è andata proprio giù al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan la risoluzione approvata pochi giorni fa al Bundestag tedesco che riconosce il genocidio della popolazione armena nell’Impero Ottomano.

La mozione, passata quasi con l’unanimità dei voti, intitolata “Memoria e commemorazione del genocidio degli armeni e di altre minoranze cristiane 101 anni fa”, era stata presentata da tutti i partiti rappresentati al Bundestag. La Cancelliera Angela Merkel, pur approvandola, si è astenuta dal voto non presentandosi in aula.

Il Bundestag “deplora gli atti commessi dal governo turco dell’epoca, che hanno portato allo sterminio quasi totale degli armeni” e condanna “il deprecabile ruolo del Reich tedesco che, in quanto principale alleato militare dell’Impero Ottomano e malgrado le esplicite informazioni provenienti da diplomatici e missionari tedeschi riguardo le deportazioni e lo sterminio organizzato degli armeni, non ha fatto nulla per fermare questo crimine contro l’umanità”, si legge nel testo approvato.

Il voto di Berlino ha suscitato vive proteste in Turchia; centinaia di nazionalisti hanno manifestato davanti alle rappresentanze diplomatiche tedesche ad Ankara e Istanbul, con cartelli e striscioni di condanna della risoluzione del Bundestag. Ancora più violenti i toni usati dal ministro turco della Giustizia, Bekir Bozdağ, che ha evocato il passato nazista della Germania. Il governo turco ha richiamato, per protesta, il proprio ambasciatore da Berlino.

Anche il presidente turco Erdoğan ha manifestato pubblicamente il proprio dissenso e la contrarietà al voto del parlamento tedesco; il genocidio armeno è usato ormai come “ricatto a tempo” contro la Turchia, ha detto Erdoğan, che ha anche minacciato di lasciare l’Europa al suo destino nella questione dei migranti. Erdoğan ha aggiunto che la posizione turca sulla questione armena è stata sempre chiara, fin dall’inizio, e che i Turchi continueranno a respingere le accuse di genocidio nei confronti degli Armeni. La Turchia ha infatti sempre negato che i massacri degli armeni nel 1915 furono il risultato di un piano sistematico, cioè di un genocidio, e ha anche rifiutato le stime armene secondo cui i morti furono un milione e mezzo. Per Ankara gli Armeni morti furono tra i 300 e i 500mila; vittime, secondo la ricostruzione turca, della guerra civile e della carestia che colpì anche la popolazione turca.

I fatti storici però provano il contrario. Quando nel 1908 arrivò al potere, il Movimento rivoluzionario dei Giovani Turchi volle affermare la supremazia turca sugli altri popoli dell’Impero Ottomano, imponendo l’uso della lingua e la religione islamica. Gli Armeni che erano di religione cristiana e che rappresentavano la ricca e operosa borghesia urbana furono visti come il nemico interno da combattere ed annientare. Tra il dicembre del 1914 ed il febbraio del 1915, con l’aiuto dei consiglieri tedeschi, alleati della Turchia nella Prima guerra mondiale, fu pianificata dunque l’eliminazione sistematica degli Armeni. Le popolazioni armene delle città furono deportate nel deserto, in posti lontanissimi; durante il lungo cammino, centinaia di migliaia di persone morirono di stenti, a causa della mancanza di cibo ed acqua, molti furono abbandonati nel deserto, altri ancora bruciati vivi o rinchiusi in caverne. Il genocidio armeno è stato riconosciuto ufficialmente da molti Paesi, compresa la Russia. In alcuni Paesi europei, in Francia e Svizzera, in particolare, dove è molto forte e attiva la diaspora armena, la negazione del genocidio armeno è un reato penale. Papa Francesco ha celebrato nell’aprile dello scorso anno con una messa solenne in San Pietro il centenario della tragedia armena, parlando espressamente di “genocidio degli Armeni” e tra poche settimane si recherà in missione apostolica a Yerevan dove visiterà anche il Museo del Genocidio.

Dal massacro di un milione e mezzo di Armeni sono passati ormai oltre cento anni. Tutti i Paesi del mondo che hanno vissuto nella loro storia dittature o momenti di tirannia e folle violenza hanno accettato il passato terribile, chiesto perdono per i crimini commessi da uomini morti epoche fa e si sono riconciliati con il mondo. Forse è arrivato il momento che anche la Turchia possa fare questo passo e riconoscere la follia di eventi storici che appaiono davvero lontani nel tempo; l’onore e la fierezza turche saranno salve, ne siamo certi, così come siamo sicuri che tutto il mondo plaudirà quel passo e la strada che da Ankara porta in Europa sarà più breve.

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Genocidio armeno: Sivazliyan (ass. Italia), “l’Italia prenda posizione sulle cose che non vanno in Turchia” (SIR 08.06.16)

(DIRE-SIR) – Cosa chiede la comunità armena in Italia alle istituzioni? “Noi – risponde il presidente Baykar Sivazliyan – siamo cittadini e come tutti chiediamo che il nostro governo si faccia garante dei nostri diritti. L’Italia ha già riconosciuto il genocidio nel 2001, ma ora, se davvero si definisce alleato di Ankara, ha il diritto-dovere di prendere posizione sulle cose che laggiù non vanno. D’altronde, in Turchia un altro genocidio sta avendo luogo, quello contro i curdi, che avviene nel silenzio dell’Europa”. Da vari mesi le tensioni con il movimento autonomista sono riprese, e non di rado l’esercito compie veri e propri raid nelle regioni dell’Est, provocando anche vittime tra i civili. E l’attentato di ieri ad Istanbul? Il presidente Erdogan ha puntato il dito contro il movimento curdo del Pkk… “Questo, come quelli dei mesi passati, non è stato rivendicato, e questo è strano. A mio avviso – aggiunge – fa tutto parte di una ‘strategia della tensione’ seguita da Erdogan per intimorire il movimento di autonomia e avere il pretesto per attuare operazioni di repressione. È poco credibile che i curdi commetterebbero un simile errore diplomatico e storico, e non lo penso solo io, lo sostengono anche i giornali turchi di opposizione, che infatti subiscono la dura repressione delle autorità. Il governo di Erdogan quindi non sta facendo del male solo ai curdi, ma anche alla sua stessa gente”. “L’Europa – conclude Baykar Sivazliyan – non può voltarsi dall’altra parte”.

La Germania riconosce il genocidio armeno (Gariwo 07.06.16)

Il due giugno il parlamento tedesco, il Bundestag, ha riconosciuto il Genocidio armeno. Lo ha fatto con una larghissima maggioranza – un astenuto e un solo voto contrario – che la dice lunga sul sostegno politico condiviso da governo e opposizione a quest’iniziativa. E questo nonostante le notevoli resistenze interne, le pressioni della Turchia e i continui rimandi che – per molto, troppo tempo – hanno posticipato l’approdo al parlamento di Berlino di questa mozione, attesa già per il 2015, anno del centenario del Genocidio.

Alla base di questa iniziativa, un documento di cinque pagine scritto da parlamentari dei due partiti di governo (la CDU di Angela Merkel e l’SPD) e dei verdi. Un testo importante, perché non solo definisce in modo ripetuto e inequivocabile gli eventi del 1915 come Völkermord (in tedesco: «Genocidio») – parola che compare inoltre nel titolo – ma anche per l’ammissione esplicita del ruolo svolto dalla Germania in quei massacri. Riprendendo quanto affermato dal presidente tedesco Joachim Gauck lo scorso anno, la risoluzione parla della «complicità del Reich tedesco in quegli eventi», del suo «ruolo inglorioso». Una responsabilità messa in luce dagli storici, negli ultimi anni, in modo sempre più evidente, e che va riconosciuto il merito alla Germania di aver oggi ammesso, seppur tardivamente.

Una decisione per alcuni tratti sofferta e non priva di conseguenze imprevedibili per la politica tedesca, ma che è il punto di arrivo di un lungo percorso di maturazione. Un riconoscimento importante in primo luogo, naturalmente, per gli armeni di Germania e tutto il mondo, che dopo le tante reticenze del passato vedono ora affiorare un tassello di una storia a lungo dimenticata, riemersa solo di recente dopo decenni di assordante silenzio. Non si tratta solo, beninteso, di una vittoria degli armeni, ma di tutti coloro che hanno a cuore la giustizia e la verità storica, di coloro che non sono disposti più a cedere ai ricatti della Realpolitik per mettere a tacere la coscienza e la memoria di uno degli eventi più tragici del XX secolo.

Un riconoscimento che ha destato reazioni molto forti da parte della comunità turca in Germania e soprattutto del governo di Ankara, sulla china di una deriva autoritaria sempre più marcata. Ma è anche vero che, in Germania come in Turchia, va riconosciuto il merito a moltissimi turchi di essersi battuti per una causa ancora perlopiù impopolare, rischiando spesso in prima persona. Politici, intellettuali, scrittori e artisti che oggi non hanno più alcun timore di dichiarare pubblicamente il loro supporto alla causa armena, andando spesso contro il proprio interesse personale e contro l’opinione prevalente nella loro società.

Ricorderemo qui, fra i tanti, quello che è stato il maggior protagonista del riconoscimento del Genocidio armeno al parlamento tedesco. Ci riferiamo al giovane leader dei verdi Cem Özdemir. Figlio di genitori turchi di origine circassa – popolo che fu coinvolto anch’esso in un Genocidio su cui è gravato, e ancora grava, un lunghissimo silenzio – Özdemir ha ricevuto in questi giorni continue minacce di morte a causa del suo impegno per la causa armena. Un impegno che l’ha portato lo scorso anno a visitare Yerevan, per prestare omaggio – nell’anno del centenario del Genocidio – alla memoria delle vittime del 1915. Politico poliglotta e coltissimo in materia di politica estera – come non ne abbiamo purtroppo in Italia – Özdemir ha ancora una volta deciso di metterci la faccia, laddove ad esempio Angela Merkel, il leader dell’SPD e suo vice Sigmar Gabriel e il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier (in viaggio in America Latina) hanno preferito evitare di prendere parte al voto al Bundestag.

Un riconoscimento simbolico importante, che va ad aggiungersi ad altre iniziative recenti in questo senso. Basti pensare alle dichiarazioni di papa Francesco lo scorso anno, ma anche al riconoscimento del Genocidio armeno di Austria e Lussemburgo. Eppure, e non possiamo dimenticarlo, l’Armenia di oggi è sempre più sola, e ai riconoscimenti – belli e giusti – del suo passato, non corrisponde oggi alcun supporto a quel piccolo Paese che, contro vicini più grandi e potenti, porta avanti con fatica l’eredità di una nazione di cui è solo un frammento, anche se assai importante: quello sopravvissuto all’esperienza sovietica. Ad aprile, nella guerra infinita che si trascina fra Azerbaigian e Armenia, si sono avuti oltre trecento morti – civili inclusi – in pochi giorni di combattimenti.

Sempre più soli sono anche gli armeni di Siria, discendenti di sopravvissuti al Genocidio del 1915, che insieme ai musulmani e alle altre minoranze del paese stanno pagando sulla loro pelle quella che è forse la più grande tragedia seguita al secondo conflitto mondiale: la guerra in Siria. Una tragedia che una bulimia mediatica sempre più invadente ci impedisce ormai di vedere in giusta luce, lasciandoci freddi e passivi quando – ora più che mai – sarebbe tempo di agire.

Mentre si scoprono, finalmente, pagine di dolore dimenticate e sepolte per oltre un secolo, nuove pagine di sangue si scrivono accanto a noi, e sotto i nostri occhi. Che la luce del passato illumini il presente e il futuro, è oggi la nostra speranza più grande.

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Ankara non digerisce la risoluzione del Bundestag e continua a minacciare la Germania (Sputniknews.com 07.07.16)

Ankara non lascerà senza seguito la decisione del Bundestag sul genocidio degli armeni: prederà provvedimenti. Lo ha dichiarato il ministro turco degli Esteri, Mevlüt Çavuşoğlu.

“Adotteremo misure contro la risoluzione del parlamento tedesco, non ce ne staremo zitti”, ha detto il ministro in onda sul canale televisivo TRT.

Secondo Çavuşoğlu, Ankara è in attesa che l’esecutivo tedesco si dissoci dalla posizione del Bundestag.

Il parlamento tedesco il 2 giugno ha adottato una risoluzione per il riconoscimento del genocidio armeno con la maggioranza dei voti. Le autorità turche hanno accolto con indignazione tale decisione e subito hanno ritirato il loro ambasciatore a Berlino. Erdogan ha dichiarato che la decisione del Bundestag avrà serie ripercussioni sulle relazioni turco-tedesche.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20160607/2837420/turchia-germania-minacce.html#ixzz4Auj6x9nj


Germania, Ankara: pronti provvedimenti contro decisione su genocidio armeno (Il Velino.it 07.06.16)

La Turchia prenderà provvedimenti contro la decisione del Parlamento tedesco di riconoscere il genocidio armeno. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. “Prenderemo provvedimenti contro la risoluzione del Parlamento tedesco. Non possiamo rimanere in silenzio”, ha dichiarato Cavusoglu. Il governo turco si aspetta che Berlino esprima la sua posizione sulla questione, che sarà diversa da quella del Bundestag. Giovedì il Parlamento tedesco ha approvato una risoluzione quasi unanime nella quale riconosce il massacro del 1915 degli armeni da parte dell’Impero Ottomano durante la Prima guerra mondiale come un genocidio.

Turkey will take action against the German parliament’s decision to recognize the Armenian Genocide, Turkish Foreign Minister Mevlut Cavusoglu said Tuesday. “We will take action against the German parliament’s resolution. We cannot stay silent,” Cavusoglu stated as aired by the Turkish Radio and Television Corporation (TRT). The Turkish government expects Berlin to voice its stance on the issue, which will be different from that of the Bundestag, he added. On Thursday, the German parliament passed a near-unanimous resolution recognizing the 1915 massacre of Armenians by the Ottoman Empire during World War I as a genocide. The move was met with widespread condemnation by Turkish officials. Earlier, Cavusoglu called the resolution a “denigration” of history. Turkish President Recep Tayyip Erdogan said that it would have a serious effect on relations between Germany and Turkey.

 

TURCHIA: Il parlamento tedesco riconosce il genocidio armeno, Ankara richiama l’ambasciatore e minaccia ritorsioni (East Journal 06.06.16)

Lo scorso 2 giugno il Bundestag, il parlamento tedesco, ha votato quasi all’unanimità una risoluzione sul riconoscimento del genocidio armeno, massacro perpetrato dall’Impero ottomano a partire dal 1915 che causò circa un milione e mezzo di morti e che viene considerato da diversi storici come il primo grande genocidio del Novecento.

La risoluzione, un testo di quattro pagine sottoscritto da Cdu/Csu, Spd e dai Verdi, è stata approvata nonostante le insistenti pressioni del presidente turco Erdoğan, che nelle ultime settimane ha più volte cercato di dissuadere il parlamento tedesco dal prendere questa decisione facendo notare alla cancelliera Merkel che l’approvazione del testo avrebbe potuto danneggiare le future relazioni diplomatiche, economiche, politiche, commerciali e militari tra i due paesi; appellandosi inoltre al “buon senso” della Germania. Della stessa opinione è stato il neo primo ministro Binali Yıldırım, che ha definito il voto un test per l’amicizia tra i due paesi.

Nonostante le pressioni turche, alla fine Berlino ha approvato senza difficoltà la risoluzione sul riconoscimento del genocidio armeno; risoluzione che fu presentata in parlamento oltre un anno fa per poi venire però congelata proprio per timore di ritorsioni da parte di Ankara. Era infatti il 24 aprile 2015, data della ricorrenza del 100° anniversario del massacro degli armeni, quando il Bundestag decise di discutere per la prima volta una risoluzione sul riconoscimento dell’evento come genocidio; riconoscimento che venne anticipato dalle dichiarazioni del presidente tedesco Joachim Gauk e di quello del Bundestag Norbert Lammert, che per la prima volta nella storia della Germania riconobbero come genocidio i fatti del 1915.

All’interno della risoluzione approvata dal Bundestag, passata con un solo voto contrario e un astenuto, oltre a riconoscere il massacro degli armeni come genocidio, la Germania si è presa anche le proprie colpe, ammettendo la propria corresponsabilità e il “ruolo inglorioso” di Berlino in quella vicenda. Infatti, quando venne dato il via al massacro, nel 1915, le principali potenze europee erano impegnate a combattere la Prima guerra mondiale, con l’Impero tedesco che essendo il principale alleato dell’Impero ottomano non fece nulla per fermare queste stragi, nonostante ne fosse a conoscenza. La maggior parte delle testimonianze del massacro degli armeni che sono arrivate fino ai giorni nostri sono infatti opera di Armin Wegner, un militare tedesco stanziato nell’Impero ottomano durante la guerra.

La Turchia, da parte sua, continua invece a rifiutarsi di definire genocidio il massacro degli armeni, ritenendo questo termine inapplicabile alla questione armena. La storiografia turca definisce ufficialmente l’episodio come una deportazione forzata (tehcir), motivata dall’esigenza di impedire al popolo armeno di allearsi con il nemico russo mettendo in pericolo la stabilità interna del paese, intento a combattere la Prima guerra mondiale. A quasi un secolo dal massacro, nel 2014 l’allora primo ministro Erdoğan con una mossa a sopresa decise di commemorare per la prima volta le vittime della strage, senza però parlare né di genocidio né di massacro premeditato.

In risposta al riconoscimento del genocidio armeno da parte del parlamento tedesco, Ankara ha deciso di richiamare il proprio ambasciatore da Berlino; mossa che ha fatto seguito alle furiose dichiarazioni di Erdoğan, secondo cui “questa decisione avrà un impatto molto serio sulle relazioni tra i due paesi“. Una dura risposta è arrivata anche dal primo ministro Binali Yıldırım, che ha definito la decisione del Bundestagun errore storico“. Da parte tedesca, la cancelliera Merkel ha provato a gettare acqua sul fuoco, dichiarando che questa decisione non comprometterà i rapporti amichevoli e strategici con Ankara. Per Volker Kauder, capogruppo del Cdu, il partito dei cristiano-democratici, l’intenzione della Germania “non è mettere la Turchia sotto accusa, ma riconoscere che la riconciliazione è possibile solamente se i fatti vengono messi sul tavolo“.

Quali conseguenze potrebbe avere quindi il voto del Bundestag? Per la Germania, nazione dove tra l’altro vivono attualmente circa 3 milioni di turchi, secondo gruppo etnico più numeroso del paese dopo gli stessi tedeschi, il rischio principale è che Ankara possa decidere di riconsiderare alcune sue posizioni in merito a questioni internazionali di primo piano, a cominciare da quella attualmente più delicata, riguardante i migranti, con la Turchia che potrebbe chiedere di rivedere l’accordo stipulato lo scorso marzo con l’Unione Europea imponendo nuove condizioni.

Sembra però probabile che le realzioni tra i due paesi siano destinate a normalizzarsi nel breve periodo, come ha dimostrato il mezzo ripensamento del primo ministro turco Binali Yıldırım, il quale, dopo aver parlato di “errore storico”, a neanche 24 ore dal voto del Bundestag ha dichiarato che tra Turchia e Germania vi è una importante alleanza, e che il loro rapporto non potrà deteriorarsi completamente.