Home News Eventi In Armenia l’8^ Conferenza mondiale sul turismo del vino In Armenia l’8^ Conferenza mondiale sul turismo del vino (Travelnonstop 26.04.24)

UN Tourism, l’organizzazione del Turismo delle Nazioni Unite, ha annunciato le date della prossima Conferenza mondiale sul turismo del vino 2024 che si svolgerà dall’11 al 13 settembre in Armenia. Rinomata per le sue ricche e antiche tradizioni vinicole, l’Armenia, come paese ospitante, offre uno sfondo ideale per questo illustre raduno, promettendo un’esperienza davvero coinvolgente per i partecipanti.

L’8^ edizione della conferenza rappresenta un’opportunità unica per gli esperti provenienti da tutto il crescente settore dell’enoturismo di individuare tendenze emergenti e opportunità di sviluppo. L’evento riunirà una variegata gamma di partecipanti internazionali, tra cui rappresentanti di enti pubblici, organizzazioni per la gestione delle destinazioni (DMO), organismi globali e intergovernativi, rinomati esperti del settore vinicolo e vari altri attori chiave. Si tratta di un forum innovativo per collaborare e ideare soluzioni concrete e una risorsa inestimabile per l’industria internazionale del turismo enogastronomico.

L’Armenia, con il suo mix di antiche tradizioni vinicole, varietà di uve autoctone, terroir diversificati e un profondo legame culturale con il vino, è posizionata come host ideale per la conferenza del 2024. La nazione è desiderosa di condividere la sua passione e la sua esperienza, mostrare il suo importante patrimonio vinicolo e favorire collaborazioni internazionali nel settore del turismo enogastronomico. Tra le molte esperienze emozionanti che attendono i partecipanti di questa conferenza, ci sarà l’opportunità di esplorare la caverna di Areni-1, dove è stata ritrovata la più antica cantina al mondo, risalente a 6.100 anni fa.

“La conferenza, destinata ad attirare appassionati e professionisti del vino a livello mondiale, promette di essere una pietra miliare per il settore. Non vediamo l’ora di dare il benvenuto a tutti in Armenia, dove i nostri paesaggi risuonano con le storie dei nostri vigneti e lo spirito dell’ospitalità scorre generosamente come i nostri migliori vini”, ha detto Sisian Boghossian, a capo della Commissione Turismo del Ministero dell’economia della Repubblica d’Armenia.

Il Tourism Committee della Repubblica dell’Armenia e UN Tourism non vedono l’ora di accogliere i partecipanti alla Conferenza mondiale sul turismo del vino delle Nazioni Unite in Armenia dall’11 al 13 settembre 2024. Ulteriori informazioni su registrazione, programma e logistica saranno disponibili a tempo debito.

L’annuncio sul sito UN Tourism: https://www.unwto.org/8-UN-Tourism-Global-Conference-Wine-Tourism

Vai al sito

I partner “democratici” dell’Ue, Buchheit: “Azerbaigian socio affidabile che sfolla 100mila armeni cristiani”. (Sardegnagol 26.04.24)

Nonostante le narrazioni poco democratiche espresse dall’Unione europea, come ricordano le dichiarazioni pro escalation di alcuni vertici la chiusura di accordi commerciali con Paesi non propriamente democratici, continuano a non mancare le voci indipendenti all’interno del Parlamento europeo, rimasto, con tutti i suoi limiti, l’unica istituzione europea ancora critica verso il modus operandi (poco in linea con la diplomazia), adottato dall’Ue in politica estera.

A fare il punto su questo trend “democratico” è stato, recentemente, l’eurodeputato del gruppo di Identità e Democrazia, Markus Buchheit: “Nel luglio 2022, in seguito alla firma di un memorandum d’intesa, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha indicato il presidente dell’Azerbaigian, İlham Əliyev, come un “partner affidabile”. Considerando che 100.000 armeni cristiani sono stati brutalmente sfollati dal Nagorno-Karabakh nell’autunno del 2023 e alla luce delle rinnovate minacce di guerra dell’Azerbaigian, può la Commissione far sapere se il Presidente considera ancora İlham Əliyev un partner affidabile?”.

LEGGI ANCHE:  Dieta vegetariana, l’impatto sul mercato UE: -16,8% vendite in calo per la carne.

Nell’attesa di commentare la risposta all’interrogazione dell’eurodeputato di ID, magari da parte dell’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, parlano al momento le numerose note del SEAE e le criticità in Armenia collegate all’emergenza degli sfollati provenienti dal Nagorno-Karabakh.

Nel frattempo, sempre dal Parlamento europeo, sono state adottate alcune risoluzioni sulle questioni dei diritti umani. Provvedimenti che hanno interessato anche l’Azerbaigian, dove è stato arrestato l’attivista Ilhamiz Guliyev e revocato il diritto alla mobilità a Gubab Ibadoghlu, figura politica dell’opposizione, spedito prima in prigione e ora agli arresti domiciliari.

“Le continue violazioni dei diritti umani in Azerbaigian sono incompatibili con il paese che ospita la COP 29”, affermano i deputati che hanno chiesto alla Commissione di prendere in considerazione la sospensione del partenariato strategico con l’Azerbaigian nel campo dell’energia (campa cavallo direbbe qualcuno/a!) ribadendo anche la necessità di introdurre sanzioni UE contro i funzionari azeri che hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani.

Risoluzione, infine, approvata con 474 voti favorevoli, 4 contrari e 51 astensioni. Insomma, con una grande maggioranza.

Vai al sito

109 anni dal Genocidio del popolo Armeno. Roma, cerimonia commemorativa di vittime ‘negata (Rivieraoggi 26.04.24)

ROMA – In tutta Italia e nel mondo sono state organizzate iniziative, convegni, incontri, preghiere, per ricordare, si legge in una nota del Consiglio per la comunità armena di Roma, “il milione e mezzo di armeni e per ribadire insieme il forte ‘mai più’ contro ogni violenza e contro ogni crimine contro l’umanità”. Lo slogan designato per la cerimonia commemorativa di quest’anno è “La forza di un popolo che sfida l’oscurità dell’indifferenza”, rappresentato nell’immagine “da un uomo che scala una montagna arrivando in cima, come simbolo di fatica, ma anche di forza. Mentre la sfida all’indifferenza e all’oscurità viene presentata come l’alba alla quale l’uomo volge il suo sguardo di speranza, tenendo in mano la bandiera che rappresenta il popolo armeno”.

Il ricordo delle tragiche vicende del popolo armeno è uno strumento importante per vincere la battaglia del riconoscimento del genocidio e, soprattutto, un modo per ribadire la ferma condanna di ogni forma di persecuzione”.

Il genocidio del 1915 iniziò a Costantinopoli nella notte tra il 23 e il 24 aprile, nelle case degli intellettuali, degli studiosi, dei poeti, e compiuto in massima parte dai Giovani Turchi. Nelle marce della morte, che coinvolsero 1.200.000 persone, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento.

A 109 anni da questo terribile evento, il dramma del popolo armeno sembra rinnovarsi; la guerra del 2020 nel Nagorno Karabakh. Nonostante l’accordo di cessate il fuoco con la vittoria azera, lo scorso settembre la popolazione all’interno del Nagorno Karabakh è stata espulsa dalle proprie case, si parla di oltre 120.000 armeni.

La Turchia esercita forti pressioni su Erevan attraverso gli alleati azeri, è compito dunque della Comunità Internazionale garantire la pace dell’area ed evitare che i terribili eventi del novecento si rinnovino nel contesto attuale.

Vai al sito 

Rasa al suolo la chiesa di San Giovanni Battista a Shushi. Ferrari: “Anche oggi l’Armenia grida al mondo: Salvatemi” (Difesa del Popolo 28.04.24)

Le fotografie satellitari mostrano la distruzione totale tra il 28 dicembre 2023 e il 4 aprile 2024, della chiesa di San Giovanni Battista (S. Hovhannes Mkrtich), un punto di riferimento di 177 anni a Shusha. Le foto sono state pubblicate dal “Caucasus Heritage Watch”. Costruita dagli armeni nel 1847, la chiesa, nota anche come Kanach Zham (cappella verde), era stata danneggiata durante la guerra del 2020. La diocesi di Baku della Chiesa ortodossa russa nel rivendicare l’edificio si era impegnata a restaurarla. Ma la chiesa ora non c’è più

Rasa al suolo la chiesa di San Giovanni Battista a Shushi. Ferrari: “Anche oggi l’Armenia grida al mondo: Salvatemi”

La notizia della distruzione totale di una seconda chiesa armena, completamente rasa al suolo, a Shushi. “Adesso abbiamo le fotografie aeree che mostrano come l’intera area sia stata polverizzata. Così come è stato polverizzato fra il 2005 e il 2008 tutto il patrimonio culturale e storico del Nakhichevan. Di mestiere faccio lo storico, non il giornalista, ma sono cose perfettamente note e dimostrabili. Chiedo: non ci sarebbe qualcosa da dire a riguardo?”. È Aldo Ferrari, professore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore dell’area di ricerca Ispi per Russia, Caucaso e Asia Centrale, a mostrare al Sir le fotografie satellitari che mostrano la distruzione totale tra il 28 dicembre 2023 e il 4 aprile 2024, della chiesa di San Giovanni Battista (S. Hovhannes Mkrtich), un punto di riferimento di 177 anni a Shusha. Le foto sono state pubblicate dal “Caucasus Heritage Watch”. Costruita dagli armeni nel 1847, la chiesa, nota anche come Kanach Zham (cappella verde), era stata danneggiata durante la guerra del 2020. La diocesi di Baku della Chiesa ortodossa russa nel rivendicare l’edificio si era impegnata a restaurarla. Ma la chiesa ora non c’è più. Anche quest’anno, il 24 aprile, gli italiani di origine armena e gli armeni in Italia, ricorderanno insieme alle comunità cittadine e alle Istituzioni italiane, il Genocidio subito dagli Armeni nel 1915. Ferrari è inderogabile: “il genocidio compiuto dai giovani turchi è perfettamente riuscito, nel senso che l’intera popolazione armena è stata massacrata o espulsa e la Turchia ha potuto tenersi vastissimi territori, sostanzialmente tutta la parte orientale della Turchia e incamerarne i beni. Tutto questo è avvenuto senza che la Turchia ne pagasse un prezzo. Non ha mai dovuto riconoscere il genocidio, non è mai stata costretta a farlo, continua a negarlo ufficialmente. E allora vengono i dubbi”.

“Come è possibile che il mondo e la comunità internazionale abbiano sottovalutato una tragedia di questo tipo? Induce a pensare che uno dei problemi principali nella storia e nelle relazioni internazionali non sia tanto la malvagità umana e degli Stati, ma il fatto che esiste una realpolitik in base al quale certe tragedie siano più importanti di altre”.

Che tipo di conseguenze ha avuto questa indifferenza internazionale sul popolo armeno? 

Il genocidio del 1915 è chiaramente qualcosa di lontanissimo. Sono passati quasi 110 anni. E’ un’eternità. Il problema principale è che il popolo armeno si trova ancora oggi in una situazione “quasi” genocidiaria. Vale a dire: non solo ha perduto una regione, il Nagorno-Karabakh, che è storicamente e demograficamente armena.

Non solo l’intera popolazione armena è stata espulsa da quella regione, per sempre, ma l’Azerbaijan ha già cominciato ciò che si temeva, cioè la distruzione del patrimonio artistico armeno, in particolare di monasteri e chiese.

E tutto questo è avvenuto sostanzialmente nel completo silenzio della comunità internazionale. Alcune proteste, soprattutto da parte della Francia e della Germania, ci sono state. Gli armeni in giro per il mondo si fanno sentire. Ma il silenzio è stato particolarmente grave in Italia e queste sono cose che fanno malissimo.

Che cosa ha da dire oggi l’Armenia? 

Ha tante cose da dire ma una in particolare: “Salvatemi”.

Noi forse non ce ne accorgiamo ma l’Armenia è realmente a rischio nella sua stessa esistenza. Il totale silenzio e la totale indifferenza nei confronti della brutalità dell’Azerbaigian, espone l’Armenia al rischio di scomparire fisicamente. Una situazione che non ha paralleli a livello politico internazionale. C’è Israele, naturalmente, che è minacciata da altri paesi, ma Israele è un Paese fortissimo. L’Armenia è debolissima e avendo perso il suo tradizionale protettore, cioè la Russia, è completamente in balia di un vicino di fronte al quale è sostanzialmente inerme. Questo potrebbe significare il rischio per l’Armenia di un nuovo genocidio; il rischio di essere completamente cancellata come paese dalla storia e il fatto che l’attenzione internazionale sia completamente concentrata su altri fatti gravissimi come la guerra russa-ucraina o la tragedia di Gaza, a mio giudizio è un esempio di quella diseguaglianza di situazione secondo cui ci sono dei casi che vengono portati all’attenzione internazionale e altri di cui non si parla nemmeno”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)

Genocidio Armeno, messaggio del Patriarca Minassian ai giovani: “Dopo gli orrori siete voi la nuova generazione che resisterà” (Ancoraonline 26.04.24)

Raphael Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia dei cattolici armeni (Foto SIR)

“È vero che hanno cercato di sterminare, è vero che un milione e mezzo di persone sono state martirizzate per la loro fede cristiana, ed è vero che sono stati deportati nei deserti della Siria dove hanno trovato la loro morte in un’imboscata, affamati, assetati, madri, figli e neonati. E’ vero che hanno subito tutto questo male. Ma sono come l’albero degli ulivi che quando s’invecchia, lascia nascere dalle radici il nuovo albero che dà frutta, una frutta fresca e più gustosa”. In questo giorno, 24 aprile, in cui gli armeni – in patria e in diaspora  – fanno memoria dei martiri del Genocidio armeno, Sua Beatitudine Raphael Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia dei cattolici armeni, si rivolge ai giovani. “Così dopo gli orrori e la desolazione del Genocidio del 1915, siete voi la nuova generazione figli e nipoti dei martiri”, scrive nel messaggio. “Siete la rinascita e crescita. Le esperienze passate vi rendono più forti e saggi. Siete voi che affronterete le sfide future con maggior consapevolezza e determinazione”.

Tra le innumerevoli tragedie che hanno segnato la prima guerra mondiale, una delle più grandi e meno conosciute è quella dello sterminio della popolazione armena. Fu una strage di dimensioni enormi, per decenni coperta dall’oblio. Le deportazioni e le eliminazioni furono perpetrate tra il 1915 e il 1916 e causarono circa 1,5 milioni di morti. Nel suo viaggio in Armenia, nel giugno del 2016, Papa Francesco – il primo papa a parlare esplicitamente di “genocidio armeno” – fece visita al memoriale del “medz yeghern”, il “grande male” come viene chiamato in Armenia), situato in cima al colle di Tzitzernakaberd, la “Fortezza delle Rondini”, che sovrasta Yerevan. Qui il Papa dopo aver deposto dei fiori al centro del mausoleo circolare dove arde la “fiamma eterna”, si è fermato a pregare per le vittime del massacro.

Papa Francesco partecipa all’incontro ecumenico e alla preghiera per la pace nella Piazza della Repubblica (Yerevan, 25 giugno 2016)

Ma lo sguardo oggi della Chiesa cattolica armena punta al futuro e ai giovani. “Come gli ulivi che continuano a produrre frutti – scrive Minassian – anche voi continuerete a dare il meglio di voi stessi con un nuovo spirito di Fede cristiana. Metterete radici solide e crescerete con fiducia e resilienza. Siete Voi il nuovo albero, la nuova generazione che resisterà a tutte le persecuzioni e problemi della vita”. “Le nuove generazioni hanno il potere oggi di rompere il ciclo di violenza e ingiustizia, di diffondere l’amore e la compassione di Cristo in un mondo spesso caotico e spietato. Possono essere la luce della fede cristiana che brilla nelle tenebre, la speranza che sostiene che sostiene coloro che sono oppressi e privati dei loro diritti”. Nel messaggio, il Patriarca addita ai giovani due esempi di vita, il Beato Maloyan che ha testimoniato “Gesù con l’effusione del suo sangue e vita” e il card. Gregorio Agagianian, servo di Dio, salvato dal Genocidio. “Siate fieri di questi modelli e copiate il loro esempio”. “Sono certo che di fronte alle avversità, al male inspiegabile e a una storia  dolorosa e sanguinosa, occorre dilatare il nostro cuore nella speranza in Dio. La Speranza in Dio è la nostra Bandiera nazionale. Non piangete per il passato ma ricordatelo sempre per non ricadervi mai più. Non piangete per i nostri sacrifici perché sono stati offerti per amore a Dio, al contrario, siate orgogliosi di appartenere a  un’identità cristiana armena, che nessuna violenza può sottrarre. Fieri ed orgogliosi perché nonostante lo sterminio, oggi siamo ancora qui e abbiamo una Patria Madre, Hayastan”.

Vai al sito

Il genocidio degli armeni può ripetersi (Lanuovaqb 25.04.24)

Il giorno prima della nostra ricorrenza della Liberazione, il 24 aprile, per gli armeni è una ricorrenza solenne e drammatica. È la memoria del genocidio armeno, chiamato Metz Yeghern, il “grande male”. Il genocidio può ripetersi. Nonostante l’ottimismo caratterizzi le notizie sull’inizio del negoziato fra Armenia e Azerbaigian per la ridefinizione dei confini, con la nomina di una commissione ad hoc, gli armeni temono di essere spazzati via dalla carta geografica. E hanno fondati motivi per aver paura ancora.

Il 24 aprile del 1915 era il sesto mese dall’entrata in guerra dell’Impero Ottomano al fianco degli Imperi Centrali e gli armeni erano ancora una delle sue più popolose e influenti minoranze cristiane. I Giovani Turchi, che allora governavano l’impero, obbedendo a una logica strettamente nazionalista, ritennero che una grande e ricca minoranza etnica e religiosa non fosse più tollerabile, soprattutto in tempo di guerra. E decisero di cancellarla fisicamente. Già i militari armeni, nei primi mesi del 1915, erano stati epurati dalle unità in cui erano stati arruolati. Nei mesi successivi vennero condotte le prime operazioni di pulizia etnica, in villaggi ormai rimasti senza uomini.

E in quel fatidico 24 aprile 1915, nella capitale Costantinopoli vennero arrestati tutti i membri più influenti della comunità armena, per provocarne una improvvisa decapitazione politica e culturale. Da quel giorno in poi, la deportazione e poi lo sterminio della popolazione armena in Anatolia divennero sistematiche. Nonostante i turchi non vogliano sentir parlare di “genocidio” e non ammettano più di alcune centinaia di migliaia di morti, gli armeni assassinati fra la primavera del 1915 e la fine del 1916 furono circa un milione e mezzo, più della metà dell’intera popolazione.

Si salvarono solo gli armeni che abitavano nell’Impero Russo. Dalle ceneri della Russia imperiale, collassata nel 1917, nacque già un’Armenia indipendente che però, nel giro di due anni, divenne una Repubblica Socialista Sovietica, poi assorbita nell’Urss. Solo nel 1991, collassato l’impero rosso, ritrovò la sua indipendenza. L’Armenia, oggi, rappresenta un residuo di popolo armeno, scampato al genocidio per fortunate coincidenze storiche e geografiche. Ma durerà?

Il Nagorno-Karabakh, una terra armena, al di là del confine dell’Azerbaigian non è sopravvissuto a lungo. Il 1 ottobre 2023 aveva cessato di esistere, dopo aver retto per trentadue anni, circondato da un Azerbaigian musulmano, turcofono, strettamente legato alla Turchia. Nel 2020, dopo una breve guerra, il suo territorio venne fortemente ridimensionato dall’Azerbaigian. Nel settembre 2023, dopo un lungo assedio ed embargo, una seconda offensiva ha portato alla sua cancellazione dalla carta geografica. Più di 100mila armeni che lo abitavano si sono rifugiati nella Repubblica di Armenia. Il Nagorno Karabakh non è mai stato riconosciuto dalla comunità internazionale, l’Azerbaigian ha potuto invocare il principio di integrità territoriale per cancellarlo e nessuno si è opposto. Il problema è che, fisicamente, sta cancellando anche l’eredità culturale lasciata dagli armeni in fuga.  Esattamente come venne cancellata ogni traccia (chiese, fortezze, case, monumenti, nomi) della presenza armena in Anatolia dopo il genocidio del 1915.

La chiesa di San Giovanni il Battista a Shushi, città occupata dagli azeri nella guerra del 2020, è stata demolita. Due chilometri più a Sud, un intero villaggio, Karintak, è stato spianato. Al suo posto, gli azeri vi stanno costruendo una grande moschea. Questo è il destino delle terre armene che finiscono nelle mani degli azeri. Lo dimostra anche l’esperienza del Nakhchivan, una terra armena assegnata all’Azerbaigan dopo la dissoluzione dell’Urss. Ebbene, in Nakhchivan non è rimasto più nulla di quel che avevano costruito gli armeni nei secoli, nemmeno il cimitero millenario di Jugha, demolito dagli azeri nel 2006, nonostante le proteste internazionali.

Una volta ri-assorbito il Nagorno-Karabakh, l’Azerbaigian si fermerà? No, stando alle parole dello stesso presidente Aliyev, il quale si riferisce all’Armenia con il termine di “Azerbaigian occidentale”, ad indicare chiaramente come voglia occupare tutto il territorio armeno. Ed è per questo che ritorna la paura, fondata, del genocidio. Un pretesto, un casus belli, si trova sempre. Per placare gli appetiti del vicino, il premier armeno Nikol Pashinyan ha accettato di cedere quattro villaggi di frontiera, tuttora contesi, nonostante le proteste della popolazione locale che non vede di buon occhio gli azeri così vicini alle proprie case. Ma potrebbe non bastare. Da anni, infatti, l’Azerbaigian reclama il pieno controllo di un corridoio di terra per collegare la madrepatria all’exclave del Nakhchivan. E su questo è più difficile che l’Armenia si pieghi, visto che dovrebbe rinunciare alla propria continuità territoriale.

Per invadere l’Armenia e conquistarsi con la forza un passaggio per il Nakhchivan, Aliyev dovrebbe violare il diritto internazionale. Ma gli ultimi due anni ci hanno mostrato come ormai sia tutto possibile. Proprio a causa dell’invasione dell’Ucraina, la Russia di Putin non può più permettersi di proteggere l’Armenia dalle mire azere (e turche). Sentendosi sostanzialmente abbandonato da Mosca, Pashinyan guarda all’Occidente: ha ospitato una prima esercitazione della Nato e ha allacciato rapporti più solidi con l’Unione Europea, forse in vista di una futura adesione. Per questo, però, si è ulteriormente alienato la Russia. Che di sicuro non spenderà neppure una parola per difendere gli armeni, come d’altra parte si è già visto in occasione della cancellazione del Nagorno Karabakh nel 2023.

A 109 anni dal genocidio, dunque, gli armeni sono sostanzialmente indifesi e nelle mire dei discendenti diretti dell’Impero Ottomano. Il genocidio può ripetersi, se nessuno si muoverà per impedirlo.

Vai al sito

Il genocidio degli armeni. Metz Yeghèrn, il grido inascolato di Abele (Salvatore Lazzara) (Faro di Roma 25.04.24)

Sono passati ormai 9 anni, da quando Papa Francesco alla presenza delle
massime autorità della Chiesa Armena, celebrò nel centenario del “grande
male”, il “genocidio degli armeni”, una solenne Santa Messa, durante la quale
condannò chiaramente il crimine mostruoso degli omicidi di massa degli
armeni. Sembra passato un secolo. Nessuno più ricorda il monito del Santo
Padre, e le condizioni del popolo armeno non sono certo migliorate. Lo spettro
della guerra e della pulizia etnica si aggira anche in quella zona. Gli armeni
vivono costantemente nella paura, tanti giovani non sono più tornati a casa,
perché uccisi nelle battaglie contro l’esercito azero. L’Armenia, prima nazione
cattolica della storia, non riesce a vivere in pace. Ecco, ci troviamo a vivere
dentro un altro segmento della “guerra mondiale combattuta a pezzi”. Una
guerra poco conosciuta, o meglio un conflitto che non riscuote una attenzione
paricolare da parte della comunità internazionale. Probabilmente insieme agli
ebrei, gli armeni, hanno avuto la storia più tormentata degli ultimi secoli. Una
storia segnata sin dagli inizi. Trasferendosi dalle steppe russe e dalle pianure del
basso Danubio, tra il nono e il settimo secolo avanti Cristo e attraversando il
Bosforo per raggiungere la Frigia, gli armeni finirono per stabilirsi esattamente
nel crocevia di ogni futura conquista e scorreria. Non ci fu invasione dall’Asia
verso l’ Europa e dall’ Europa verso l’Asia che non coinvolse la loro roccaforte
montuosa, ambita da tutti per la posizione dominante verso le grandi vie del
Tigri e dell’ Eufrate. Eppure la storia degli armeni non si può capire se non
partendo dalla loro fede. La tradizione attribuisce il primo annuncio cristiano in
terra armena agli apostoli Bartolomeo e Taddeo. La conversione dell’intero
popolo – primo al mondo – al cristianesimo avviene nel 303. Le vicende di
questo popolo sono una testimonianza straordinaria di fedeltà al messaggio
evangelico, pagata duramente, anche a costo della vita stessa.
Gli armeni resistettero con coraggio all’invasione arabo-musulmana. Crearono
tra IX e XI secolo un fiorente regno cristiano, entrarono in complesse relazioni
con Bisanzio e con i crociati, fondarono fra le montagne del Tauro e il golfo di
Alessandretta, vale a dire nella regione chiamata Cilicia, un regno della
cosiddetta “piccola Armenia” che si mantenne, con alterne vicende, fino al
Seicento. Fu allora che gran parte dell’ Armenia entrò a far parte dell’ Impero
Ottomano. Armena era Edessa (oggi Urfa in Turchia), la città del “mandylion”
della Veronica, armena è la grande montagna dell’Ararat (5156 metri) dove la
leggenda e alcuni archeologi contemporanei pongono i resti dell’Arca di Noè,
armeni erano i molti mercanti che, fieri della loro appartenenza alla fede
cristiana, commerciavano nel mondo allora conosciuto.

2023: l’anno della vergogna
Dopo l’imposizione di oltre nove mesi di isolamento da parte degli azeri, che
ridussero la popolazione armena locale allo stremo, le autorità dell’Azerbaigian
decisero di intervenire militarmente per porre fine all’Artsakh (Nagorno
Karabakh), un’entità de facto indipendente emersa con il crollo dell’Unione
Sovietica. A partire dalla propria posizione di superiorità militare, l’Azerbaigian
chiese e chiede alla comunità armena locale di arrendersi, dissolvendo tutte le
unità militari armene e i propri organi di amministrazione. Dopo un giorno di
combattimenti, la resa dei rappresentanti armeni è arrivata: si incontreranno il
21 settembre con una delegazione governativa dell’Azerbaigian, in sostanza, per
discutere i termini della capitolazione. Nessuna garanzia è stata ottenuta a
favore della comunità armena. Da parte di Baku, infatti, scarseggiano le
rassicurazioni di lungo periodo per i residenti della regione. Anche le poche
rassicurazioni che arrivano, come ad esempio l’offerta di corridoi umanitari per
evacuare i civili, sono stet effettivamente come una minaccia di pulizia etnica.
L’impotenza dell’Armenia in questo contesto è in parte dovuta alla sua stessa
vulnerabilità. L’Azerbaigian ha infatti preso iniziativa per far capire che in caso
di una nuova guerra a rischio non sarebbe solo la popolazione armena del
Nagorno Karabakh, ma anche l’Armenia stessa. Le minacce di Baku non si sono
limitate a dichiarazioni ufficiali revisioniste secondo cui il territorio dell’odierna
Armenia sarebbe in realtà storico territorio azero, ma si sono concretizzate in
estese azioni militari nell’autunno del 2022 che hanno coinvolto aree situate
all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Armenia, ben
lontano dai territori contesi del Nagorno Karabakh. Quell’intervento ha
rafforzato le posizioni azere lungo il confine rendendo ancora più esplicita la
minaccia militare nei confronti dell’Armenia ed evidenziano ulteriormente
quanto sia del tutto concreta la possibilità da parte dell’Azerbaijan di avanzare
nella regione armena di Syunik fino a raggiungere l’exclave azera del
Nakhchivan. E proprio in questi giorni, alla vigilia dell’anniversario del
genocidio, molti armeni hanno protestato per la decisione governativa che
avrebbe “accettato” di cedere altri villaggi di confine, all’Azerbaigian. Gli
abitanti di Kirants, nella zona di Tavush, hanno bloccato la strada interstatale
Armenia-Georgia (Yerevan-Tbilisi). L’arcivescovo Bagrat Galstanyan, sta
cercando di mediare tra la popolazione e la polizia. La situazione rimane molto
tesa. Ma ora torniamo al 2015.

12 Aprile 2015: il Papa riconosce solennemente le violenze subite dal
popolo armeno

Il 12 aprile 2015, in occasione dell’anniversario del genocidio degli Armeni,
Papa Francesco, durante la solenne Celebrazione commemorativa alla presenza
delle più alte cariche ecclesiastiche e politiche dell’Armenia, pronunciò parole
molto forti sulle sofferenze subite da quella gente. Denunciò con coraggio le
violenze subite dal popolo armeno, per mano dell’Impero Ottomano. Bergoglio,
non esitò ad affermare che il “grande male” è stato il primo genocidio del XX
secolo. L’ira della Turchia, per i pronunciamenti del Papa, fu molto dura. Il
nunzio mons. Lucibello fu convocato immediatamente dal governo di Ankara,
che espresse “disappunto”, per le parole pronunciate dal Pontefice.
Successivamente, il governo richiamò il proprio ambasciatore dalla Santa Sede.
Il ministro degli esteri Cavuysoglu, definì “inaccettabili” le parole di
Francesco, scrivendo su twitter che “le dichiarazioni del Papa, che non sono
fondate su dati storici e legali, sono inaccettabili”. La Turchia nonostante le
inoppugnabili prove storiche, continua a negare che quello del 1915-16 sia stato
un genocidio e combatte una guerra diplomatica permanente per cercare di
impedire che sia riconosciuto all’estero da un numero crescente di stati. Anzi, è
stato il primo genocidio che ha preceduo la Shoah degli ebrei in Europa.
Nella delicata situazione geopolitica odierna, la Turchia occupa un posto
rilevante. Ai confini del suo territorio, bussa alla porta lo stato islamico, per
ottenere appoggi politici e militari e con il quale intrattiene rapporti ambigui e
destabilizzanti, che influiscono negativamente sulla presenza dei cristiani in
medioriente e l’avanzata del terrorismo islamico. Non possiamo dimenticare che
la Turchia è il Paese dove negli ultimi anni i cattolici hanno pagato un tributo di
sangue molto alto: don Andrea Santoro è stato ucciso a Trebisonda nel 2006, e il
vescovo Luigi Padovese è stato ucciso a Iskenderun nel 2010. Per non citare le
restrizioni in materia di libertà religiosa a cui sono sottoposte le varie
confessioni religiose di matrice cristiana. Il sangue degli innocenti continua a
gridare al cospetto di Dio. Esige giustizia.  La Chiesa Armena, dopo qualche
giorno dopo la solenne Messa in San Pietro, durante una solenne Celebrazione
canonizzò tutte le vittime del genocidio, riconoscendo il martirio di quanti
furono trucidati in nome della fede e dell’appartenenza etnica. E’ opportuno
riproporre l’impegno della Chiesa cattolica, nel riconoscere il genocidio
generato dalla follia dell’uomo nei confronti degli Armeni, a partire da
Benedetto XV Giacomo Della Chiesa, fino a Papa Francesco.

Benedetto XV e gli armeni
“V.S.Illma faccia, Nome Santo Padre, le più vive istanze presso cotesto
ministero Esteri…, affinché i poveri armeni siano rispettati dai turchi
rioccupanti territorio attribuito loro nel trattato pace con Russia”. Il 12 marzo
1918 il delegato apostolico di Costantinopoli mons. Dolci riceve questo
telegramma cifrato del segretario di Stato vaticano, il cardinale Gasparri, in cui,
appunto, si intravede l’attenzione, anzi l’ansia, della Santa Sede – e in questo
caso, del Papa Benedetto XV – rispetto alla sorte terribile a cui sono andate
incontro le popolazioni armene, ossia una vera e propria strategia di distruzione
sistematica degli armeni da parte del governo ottomano. In particolare, il
telegramma citato si riferisce alla situazione creatasi, dopo le vicende belliche
della Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, nonché la
creazione di una Repubblica Armena indipendente, che però subiva pressioni e
attacchi da parte dell’Impero ottomano e da parte delle autoproclamatesi
repubbliche azere e armene.
L’illusione degli Armeni di poter essere finalmente un Paese e una patria durò
davvero poco: dal 1918 al 1922, il tempo della Repubblica, poi spazzata via
inesorabilmente. La Santa Sede, in prima linea per far cessare i massacri, cercò
in questo lasso di tempo di appoggiare l’Armenia agendo, nei limiti del
possibile, presso le potenze occidentali e avviando i primi contatti in vista di
regolari rapporti diplomatici con il nuovo Stato. In ogni caso, Benedetto XV ha
compiuto passi significativi a sostegno degli armeni: la sua Nota alle potenze
belligeranti, inviata il 1° agosto 1917, al punto numero 5 invocava «l’assetto
dell’Armenia», alla pari di quanto si chiedeva per gli Stati balcanici e per la
Polonia. A chi potesse obiettare che, forse, l’appoggio all’Armenia, da parte del
soglio pontificio, non fosse del tutto disinteressato, c’è invece da rispondere,
che la Santa Sede aveva semplicemente a cuore le sorti di un popolo fiero e
nobile, orgoglioso del suo “primato” di nazione cristiana, perseguitato e
condannato a rischiare persino l’estinzione.

San Giovanni Paolo II e gli armeni
Il 9 novembre 2000 Papa Giovanni Paolo II e il Catholicos Karekin II, il capo
della Chiesa apostolica armena, firmavano a Roma un «comunicato congiunto»
nel quale si parlava esplicitamente del «genocidio armeno»: “I capi delle
nazioni non temevano più Dio né essi provavano vergogna di fronte al genere
umano. Il XX secolo è stato contrassegnato per noi da una estrema violenza. Il
genocidio armeno, all’inizio del secolo, ha costituito un prologo agli orrori che
sarebbero seguito. Due guerre mondiali, innumerevoli conflitti regionali e
campagne di sterminio deliberatamente organizzate che hanno tolto la vita a
milioni di fedeli”. L’iniziativa provocò una durissima reazione diplomatica della
Turchia. Mercoledì 26 settembre 2001 durante il viaggio in Armenia, San
Giovanni Paolo II e S.S. Karekin II si recarono al Memoriale di
Tzitzernakaberd, complesso architettonico costruito a Yerevan a ricordo delle
vittime armene cadute nel 1915 per mano dell’Impero Ottomano. Anche se Papa
Woytila, evitò di usare la parola “genocidio”, i riferimenti furono altrettanto
espliciti e senza ambiguità. Dopo aver pregato insieme per tutte le vittime della
nazione armena e per la pace nel mondo, il Papa recitò una preghiera, le cui parole
fanno riflettere:
“O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,
l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,
il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,
come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.
Guarda al popolo di questa terra,
che da così lungo tempo ha posto in te la sua fiducia,
che è passato attraverso la grande tribolazione
e mai è venuto meno alla fedeltà verso di te.
Asciuga ogni lacrima dai suoi occhi
e fa che la sua agonia nel ventesimo secolo
lasci il posto ad una messe di vita che dura per sempre.
Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno,
ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancora
conoscere aberrazioni tanto disumane.
Ma rinnovando la nostra speranza nella tua promessa, o Signore,
imploriamo riposo per i defunti nella pace che non ha fine,
e la guarigione, mediante la potenza del tuo amore, di ferite ancora aperte.
La nostra anima anela a te, Signore, più che la sentinella il mattino,
mentre attendiamo il compimento della redenzione conquistata sulla Croce,
la luce di Pasqua che è l’alba di una vita invincibile,
la gloria della nuova Gerusalemme dove la morte non sarà più.
O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà (in Armeno)”.

Benedetto XVI e gli armeni
Benedetto XVI, ricevendo Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia
degli armeni, il 20 Marzo 2006, accompagnato dai componenti del Sinodo
patriarcale, nel discorso pubblico affermò: “La Chiesa armena, che fa
riferimento al Patriarcato di Cilicia, è certamente partecipe a pieno titolo delle
vicende storiche vissute dal popolo armeno lungo i secoli e, in particolare, delle
sofferenze che esso ha patito in nome della fede cristiana negli anni della
terribile persecuzione che resta nella storia col nome tristemente significativo di
Metz Yeghèrn, il Grande Male”.

Papa Francesco e gli armeni
Papa Francesco alla presenza delle più alte cariche ecclesiali ed istituzionali
armene, nell’ormai famosa e storica Celebrazione di commemorazione,
affermò: “In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra,
una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a
crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo
ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e
sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza
etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi,
bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.
La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la
prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del
XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune,
Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno –
prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai
caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini,
anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle
perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di
massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Eppure
sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra
che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia
scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare
dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi
cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice
di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra
è una follia, una inutile strage”.

Armenia ed Israele: un’amicizia mancata

Il genocidio degli armeni è culminato nel 1915-1917 nell’Impero ottomano è
riconosciuto a livello internazionale dalla Chiesa cattolica, da una trentina di
Stati e numerose istituzioni locali. In questo numero di Paesi non rientra però
Israele. Nonostante una certa simpatia per l’Armenia, lo Stato ebraico ha
continuato a condurre la sua politica nel Caucaso secondo linee della
Realpolitik. Nello scontro ormai decennale tra azeri e armeni, l’Azerbaigian è
risultato utile a Israele nel suo confronto con l’Iran. Non c’è memoria condivisa
che tenga: Israele sostiene Baku. Oggi però questa fragilissima “intesa”, è
appesa ad un filo. Gli azeri sono strettissimi alleati della Turchia di Erdogan,
con i quali i rapporti diplomatici si sono deteriorati a causa dell’appoggio che il
governo turco ha dimostrato nei confronti di Hamas, dopo l’attacco del gruppo
terroristico ad Israele, il 07 ottobre 2023. Altresì, la piccola comunità amena
presente a Gerusalemme, è coinvolta in una crisi senza precendenti con le
autorità politiche di Gerusalemme e con i coloni israeliani, che vogliono
occupare alcuni zone di prorietà armena. Durnate il mese e mezzo della prima
guerra nel Nagorno Karabakh combattuta tra il 27 settembre e 10 novembre
2020, in cui gli azeri riconquistarono buona parte dei territori che aveva perso a
vantaggio dell’Armenia negli anni Novanta, emerse con chiarezza chi erano gli
alleati degli azeri. Il conflitto provocò almeno cinquemila morti e si interruppe
con l’armistizio imposto dalla Russia agli armeni, militarmente sconfitti. Un
gran numero di armeni fuggì dalle zone conquistate dagli azeri e da quelle
passate sotto il controllo della stessa Russia, che dispiegò duemila uomini come
forza di interposizione. L’Azerbaigian ebbe il sopravvento nell’offensiva perché
sostenuto dalla Turchia, sua stretta alleata, che lo avrebbe rifornito sia di forze
mercenarie provenienti dalla Siria, sia di tecnologie avanzate, come i droni.
Ma anche Israele fu indirettamente coinvolto nel conflitto. Questo appoggio
però, segnò ulteriolmente una profonda frattura con il popolo armeno. Secondo
il Sipri di Stoccolma, il principale centro di ricerca sugli armamenti, nel periodo
2014-2018, Israele è stato l’ottavo esportatore mondiale di armi, con il 3,1 per
cento del giro d’affari mondiale, e, dopo l’India, il principale acquirente di armi
israeliane è stato proprio l’Azerbaigian, che rifornisce una quota considerevole
dei consumi israeliani di gas e petrolio. Questo Paese, che fino al 1992 era parte
dell’Urss, è di lingua e cultura appartenente all’area turca, e in maggioranza è
musulmano sciita. Ma, come scriveva il Times of Israel nel marzo 2019:
“L’Azerbaigian è visto come un importante alleato dello Stato ebraico, poiché
condivide un confine con la nemesi di Israele, l’Iran”. Dunque, le relazioni
diplomatiche fra Armenia e Israele non sono semplici. I rapporti diplomatici tra
Tel Aviv e Yerevan (indipendente dal 1992), infatti, non si sono consolidati
come si potrebbe immaginare e lo Stato ebraico ha mantenuto relazioni di basso
profilo. Ma ad aumentare la delusione degli armeni, desiderosi di vedere
riconosciuto a livello internazionale il loro tragico passato storico, vi è anche il
rifiuto dello Stato ebraico di compiere questo passo, anche se le forze di
opposizione nella Knesset hanno più volte cercato di far approvare
ufficialmente il riconoscimento. Come abbiamo potuto notare, le guerre che
insagiunano il Medio Oriene e la vicina Asia, sono collegate tra di loro. I fuochi
da spegnere sono tantissimi. E come ha ripetuto il Patriarca Pizzaballa, per
giungere alla pace, per donare ai popoli violentati e offesi la serenità e
necessario partire dal basso, affinchè si possano spegnere le divisioni e
finalmente camminare insieme uniti nella fraternità.

Salvatore Lazzzara

Vai al sito

Concerto a Treviso per ricordare il genocidio degli Armeni (Enordest 24.04.24)

Armellino in fiore è il titolo dell’evento che vuole commemorare il dramma del genocidio degli armeni avvenuto il 24 aprile 1915. Sarà un viaggio ipnotico, un intreccio senza tempo di storia e memoria. Il prossimo 4 maggio, alle ore 21, all’Auditorium Santa Caterina (Piazzetta Mario Botter 1, Treviso), Artur Zakiyan si esibirà intrecciando l’essenza ipnotica della musica etnica armena al fascino immortale della musica classica contemporanea, con cadenze rilassanti d’influenza new age.

Il concerto per non dimenticare il genocidio degli Armeni, il libro e la mostra

L’esibizione si inserisce in un programma che include anche la presentazione del libro Il genocidio degli armeni di Sandra Fabbro Canzian, prevista il 24 aprile alle ore 17 presso il Museo civico di Treviso “Luigi Bailo”, in Sala Vittorio Zanini e la mostra dell’artista Ararat Sarkissian, che sarà inaugurata alle 17 e aperta al pubblico dal 19 aprile al 12 maggio presso lo stesso Museo, nelle sale espositive temporanee al pianterreno.

Entrambi gli eventi sono a ingresso libero.

A portare in città gli appuntamenti è il Comune di Treviso insieme all’Unione Armeni d’Italia

Il concerto è organizzato dall’associazione nusica.org attiva dal 2012 nella realizzazione di eventi a carattere culturale e in particolare di concerti di musica jazz, con il patrocinio del Consolato Onorario della Repubblica di Armenia in Venezia in collaborazione con Gayane Sahakyan, Fondazione “Feder Piazza” e Galleria Antikyan.

L’evento è supportato inoltre da  Jane Demirchian, mecenate armena. Nel solco di un percorso musicale iniziato sotto la guida del nonno Christopher, rinomato percussionista e fondatore della prestigiosa scuola di strumenti a percussione in Armenia, e dopo un lungo perfezionamento negli USA, Zakiyan si abbevera alla fonte della migliore tradizione musicale classica, coniugando innovazione e modelli antichi, in un viaggio sensoriale che celebra il patrimonio culturale del suo Paese.

Chi apre il concerto

Ad aprire il concerto sarà Baykar Sivazliyan, Presidente dell’Unione degli Armeni d’Italia. Politico, turcologo e armenista, dirigente politico della Diaspora armena, che terrà un discorso in commemorazione del genocidio.

(Biglietti: ingresso € 15,00, in vendita su OOH.EVENTS e in loco, previa disponibilità. Per info: +39 3274610693, staff@nusica.org)

Vai al sito

Il Genocidio degli armeni: la memoria non basta più (Spondasud 24.04.24)

(BRUNO SCAPINI) – Il 24 aprile di ogni anno ricorre la commemorazione del Genocidio degli armeni. Il primo Genocidio del XX secolo che ha colpito con assurda ferocia un popolo già dalla Storia sacrificato molte volte sull’altare della violenza. Ma non per sua colpa, perché aggressivo, insocievole o incline alla perpetuazione del male, bensì per sua mera sfortuna, quella di trovarsi in una terra di insediamento storico ambita da altre nazioni  quale crocevia di strade, di interessi strategici e di transiti tra continenti. Oggi, come ieri, l’Armenia è ancora a rischio. A rischio è non solo la sua indipendenza come Stato, alla luce degli esiti delle ultime guerre perdute, o la prospettiva di una ripresa economica, ma anche, e soprattutto, la sopravvivenza della sua idea-sostanza di Nazione.  Sì perché proprio l’identità del suo popolo sta ancor oggi subendo la più vergognosa delle vessazioni sia a seguito dell’atteggiamento dei Paesi occidentali, indifferenti alle cause armene in nome di un mercimonio tra interessi energetici e libertà, sia a causa della politica di espansione seguita dai suoi irruenti e combattivi vicini, la Turchia e l’Azerbaijan.  A ricordarci quanto questi Paesi siano inaffidabili e spietati, soccorrono in fondo le parole pronunciate dallo stesso Erdogan a riguardo dell’Armenia.

”Dovremo continuare l’opera dei nostri padri!” ha dichiarato solo recentemente il Presidente turco facendo ben intendere il suo riferimento intenzionale al Genocidio!

Ma a scongiurare altri simili misfatti per il futuro, la memoria evidentemente non basta.  Non basta più. Sì, il ricordo della grande tragedia resta sempre elemento fondamentale quale traccia storica, quale prova del misfatto compiuto, ma non sembra più sufficiente come fonte di insegnamento alle nuove generazioni al fine di evitare che altre tragedie abbiano ancora a verificarsi. Se guardiamo al corso politico attuale, infatti, facilmente noteremo che mai come in questi nostri tempi l’umanità sta attraversando uno dei periodi più bui e angoscianti dell’età moderna. A nulla è servito sopravvivere alle due Guerre Mondiali: l’uomo non ne ha tratto alcun insegnamento.  Dopo una fase di apparente recupero di civiltà, allorché sotto la bandiera della dignità della persona umana, le Nazioni Unite hanno inaugurato un’era di civilizzazione del mondo attraverso l’affermazione delle libertà e dei diritti umani, si è già tutto rapidamente dimenticato; ed ecco che oggi, tra i lasciti ascosi dei due conflitti mondiali, ci ritroviamo una terza guerra del pari spietata, ma combattuta a frammenti in ogni angolo del Pianeta e ad un costo altissimo di vite umane.

La memoria non basta più. Il corso storico odierno è costellato di violenze, di guerre, di uccisioni e di genocidi. Ce ne offre ampia evidenza proprio la cronaca quotidiana. E anzi, la facilità con cui si predica la morte, sembrerebbe quasi convincerci dell’intento spregevole e subdolo di alcuni  a volerla banalizzare, come fosse un passatempo, un trastullo letale, in cui la posta in gioco è la nostra stessa vita. Se allarghiamo poi lo sguardo al di là delle guerre e delle uccisioni di massa e osserviamo quel che accade nell’ambito interno dei nostri ordinamenti, ebbene, anche qui il gioco della morte sembra prendere il sopravvento. Si legifera per l’eutanasia, per l’aborto facile, per la cremazione liquida… Perfino la pubblicità delle pompe funebri ridicolizza il momento solenne del trapasso come fosse un semplice banale salto in un’altra vita cui giungere cosmeticamente ineccepibili.

Non è forse questa la “cultura della morte” che oggi si impone con prepotenza? E a scongiurarne il sopravvento sembra ancora una volta che la memoria del passato non basti più. Occorre un supplemento d’anima per contenere questo viaggio verso l’abisso, e il Genocidio degli armeni questo ce lo dovrebbe insegnare!

Sì, continuiamo pure a commemorare questi misfatti della Storia. C’è sempre un senso nel farlo, se non altro per compiangere le vittime. Ma per contenere il dilagare della imperante “cultura della morte” occorrerà ben altro.  Sarà necessario un serio ripensamento sugli esiti di questo nefando corso politico per comprenderne la direzione; un ripensamento che ci induca a credere in una possibile vittoria del Bene.  Ed è nostra convinzione che solo con una partecipazione attiva, diretta e personale all’azione di contenimento di questa nefanda cultura del male potremo garantire la restaurazione dei valori perduti della vita.  La memoria, dunque, non basta più a scongiurare altri Genocidi, occorre un serio e avvertito impegno civico da parte di noi tutti.

Vai al sito

24 Aprile 1915, Inizio del Genocidio Armeno. 24 Aprile 2024, Pulizia Etnica in Nagorno Karabakh/Artsakh. (Stilum Curiae 24.04.24)

Cari amici e nemici di Stilum Curiae il 24 aprile del 1915 a Costantinopoli aveva iniziato il primo genocidio del secolo scorso, quello contro gli armeni, il Metz Yeghèrn, il Grande Male. Oggi quel dramma si ripropone con la pulizia etnica di centoventimila armeni dal Nagorno Karabakh/Artsakh. Offriamo alla vostra attenzione questo comunicato della Comunità armena di Roma, in ricordo di questa data tragica.

§§§

24 APRILE 1915 – 24 APRILE 2024

109°ANNIVERSARIO DEL GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO

Anche quest’anno, il 24 aprile, noi, italiani di origine armena ed armeni in Italia, raccolti insieme alle comunità cittadine e alle Istituzioni italiane, siamo chiamati a rispondere alla domanda: perché fare memoria del Genocidio subito dagli Armeni nel 1915?

Il primo pensiero non può che andare alle vittime innocenti dell’immane tragedia del Metz Yeghern: a loro, contro l’ostinato e criminale silenzio che vorrebbe rimuovere il loro ricordo, va restituita la giusta luce, quella di martiri che si sono offerti al destino di morte senza perdere la propria umanità e di testimoni, anche per le nostre coscienze, di valori di fede e cultura che nemmeno la furia dei carnefici riuscì a cancellare.

Ma la memoria serve, soprattutto, a noi vivi, perché è a noi che viene affidato un compito: custodire e salvare quei valori, con un impegno che non possiamo lasciare ai sopravvissuti, ormai tutti scomparsi, né solo ai loro discendenti. Sono valori che ci appartengono come uomini e trovano la sintesi più vera nel diritto di ogni persona, gruppo, popolo di mantenere la propria identità, fisica e spirituale, e di avere un futuro nella libertà e nella sicurezza.

In un contesto internazionale quale quello attuale, così segnato da conflitti sanguinosi, instabilità ed incertezza, scegliere questa prospettiva significa guardare anche agli eventi che accadono oggi senza piegarsi alla logica dei rapporti di forza e delle convenienze, ritrovare il coraggio di testimoniare contro le ingiustizie, indagando le complessità dei fatti e dando voce a chi non ce l’ha, contro ogni retorica e ipocrisia.

Non possiamo, allora, in questa giornata, non ricordare e sentirci tutti vicini ai 120 mila Armeni vittime dell’occupazione militare da parte dell’esercito dell’Azerbaijan del territorio dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh). Dopo il drammatico epilogo a settembre dello scorso anno, essi sono stati costretti ad abbandonare la terra in cui erano insediati da secoli.

Il silenzio che è seguito a quel dramma rischia di renderci conniventi con l’atteggiamento minaccioso del Governo azero nei confronti dell’identità stessa del popolo armeno e con la sua volontà, già realizzata in altri territori, di procedere alla sistematica distruzione delle tracce della sua esistenza.

Ricordare è, dunque, un’assunzione di responsabilità collettiva che si rinnova a presidio di valori che fondano la nostra convivenza civile.

Se crediamo che la forma delle cose sia nella loro durata, forse è in questo che possiamo ritrovare il senso di questa ricorrenza: il cammino è lungo ma è una sfida che è giusto raccogliere insieme.

Coordinamento organizzazioni e associazioni armene in Italia

Vai al sito