Chi sono i LADANIVA, Armenia/ Significato della canzone Jako, seconda semifinale Eurovision 2024 (Il Sussidiario 09.05.24)

L’Armenia ha partecipato per la prima volta all’Eurovision Song Contest nel 2006 piazzandosi a un dignitoso ottavo posto. Non ha mai vinto la kermesse, ma ha un ottimo record di qualificazioni per la finale. Nel 2008, la cantante Sirusho ha vinto il Marcel Bezençon Fan Award per la sua canzone QéléQélé. Quest’anno per l’Eurovision 2024, alla seconda semifinale di giovedì 9 maggio, si presenta con una coppia esplosiva, i LADANIVA, un duo folk che porta un pezzo in armeno, Jako, che farà certamente ballare la platea di Malmö.

LADANIVA, chi sono i rappresentanti dell’Armenia, in gara all’Eurovision 2024

LADANIVA sono un duo musicale armeno che ha fatto della fusione di sonorità tradizionali e moderne, la propria firma musicale. Dal 2019, questo giovane duo ha trasformato le proprie radici della cultura e della tradizione armena con la loro musica e nelle loro performance coinvolgenti.
Il nome LADANIVA è un connubio tra “Lada”, un’antica divinità armena della fertilità, e “Niva”, che significa “bene” in lingua armena. Questo nome incarna l’essenza del duo, che mira a celebrare la ricchezza della cultura armena e a portare avanti la sua eredità attraverso la musica e la danza.

La loro musica è caratterizzata da una combinazione di strumenti tradizionali armeni, come il duduk e il saz, e influenze moderne che creano un suono unico e coinvolgente che è allo stesso tempo autentico e innovativo. I LADANIVA hanno raggiunto la fama nazionale e internazionale con una serie di album e singoli di successo che hanno catturato l’attenzione del pubblico in tutto il mondo.

Gli artisti hanno espresso la loro emozione nel rappresentare l’Armenia, definendola un’opportunità per essere di ispirazione a molti altri artisti. Hanno manifestato l’entusiasmo e l’importanza di portare un messaggio di gioia e celebrazione attraverso la loro esibizione, che hanno anticipato essere molto grintosa e colorata.

LADANIVA, significato della canzone Jako, in semifinale all’Eurovision 2024

Più che una canzone, Jako è un’esperienza sensoriale che celebra la ricchezza e la bellezza della cultura armena. La traccia inizia con una melodia incalzante che cattura l’orecchio dell’ascoltatore, introducendo una serie di ritmi tradizionali armeni che si mescolano con sonorità moderne ed elettroniche, creando un’atmosfera coinvolgente e avvolgente.

Il termine Jako significa “balla” in armeno, e la canzone invita l’ascoltatore a lasciarsi trasportare dal ritmo travolgente e dalle melodie incantevoli. È una celebrazione della gioia della vita e della forza della comunità, e un omaggio alla tradizione musicale armena che ha radici profonde nella storia e nella cultura del Paese. Le percussioni ritmiche, i flussi melodici e le armonie vocali si combinano per creare un’esperienza sonora che è allo stesso tempo emozionante e rinfrescante.

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A Cosenza una targa per ricordare il genocidio degli armeni (Ansa e altri 09.05.24)

L’Amministrazione comunale di Cosenza ha ricordato il genocidio degli armeni del 1915.

E lo ha fatto collocando una targa “a perenne memoria di un milione e 500 mila martiri” e come “atto di sensibilità nei confronti della comunità armena calabrese e cosentina”.
“Un gesto simbolico, ma importante – ha affermato il sindaco della città Franz Caruso in occasione della cerimonia – e che, nel ricordare quel genocidio compiuto durante la prima guerra mondiale, deve riaccendere i riflettori su una pagina di storia che non dovrà mai più ritornare.

Chi non ha storia non ha futuro. E la storia serve a diffondere nelle nuove generazioni la cultura della non violenza”.
Alla cerimonia, presenti rappresentanti istituzionali, politici e studenti delle scuola cittadine, ha partecipato l’ambasciatrice plenipotenziaria dell’Armenia, Tsovinar Hambardzumy. “Non è casuale – ha detto ancora il sindaco – aver scelto piazza Cappello per la cerimonia di oggi, perché questa piazza, dove siamo cresciuti, porta il nome di Paolo Cappello, un martire del fascismo, un socialista vittima dello squadrismo fascista. E come, durante la seconda guerra mondiale, la dittatura fascista affiancò il nazifascismo che si rese responsabile del genocidio contro gli ebrei, nella prima guerra mondiale si consumò, ad opera dei turchi, il genocidio nel quale persero la vita circa un milione e mezzo di armeni”.
“La storia serve a ricordare – ha sostenuto ancora Caruso – cosa il Novecento ha rappresentato. Essere qui oggi significa avere l’opportunità di conoscere una parte della storia, molto negativa, contro la quale noi ci schieriamo per perseguire la pace e dimostrare una volta di più la nostra contrarietà ad ogni forma di violenza”.
L’ambasciatrice Hambardzumy, ha espresso apprezzamento per l’iniziativa e ha sottolineato come “la collocazione della targa commemorativa per noi armeni, ma anche per tutto il mondo, non solo onora la memoria delle vittime del genocidio, ma ha anche lo scopo di impedire e prevenire il ripetersi di ulteriori crimini contro l’umanità”.


Cosenza ricorda il genocidio degli Armeni: collocata una targa in Piazza Cappello (IlDispaccio)


Cosenza, targa per ricordare il genocidio degli armeni. Caruso: “dire no a ogni violenza” (QuiCosenza)


Ricordato a Cosenza il genocidio degli armeni del 1915 (Nuovosud)


Cosenza, una targa ricorda il sacrificio degli armeni (CosenzaChannel)


 

Laura Ephrikian da attrice di successo a volontaria in Africa. “Una famiglia armena” è la sua autobiografia (Nonsolocontro 09.05.24)

Una donna di incredibile dolcezza, ma forte e coraggiosa. Determinata e consapevole di ogni parola pronunciata con estrema pacatezza, ma con la risolutezza di chi sa esattamente quello che sta dicendo. E’ stata una sopresa a metà, almeno per me, Laura Ephrikian che conoscevo principalmente come attrice degli anni ’60, ’70 e non solo nei leggeri “Musicarelli”. Arrivando da una famiglia amante del teatro avevo potuto ammirarla anche in opere teatrali importanti come “Il mercante di Venezia” o “La Cittadella” di Cronin, lei che era uscita dalla prestigiosa Accademia di Giorgio Strehler.

Non avevo mai letto un suo libro e quando mi sono trovata tra le pagine di “Una famiglia armena” presentato a Borgaro ieri, giovedì 8 maggio al ristorante La Perla (per motivi di campagna elettorale non in una sede istituzionale) ho compreso quanto grande sia questa piccola donna, alla soglia ormai degli 84 anni che compirà a giugno.

Una donna che ha calcato le scene è stata diva in TV, ma non ha mai dimenticato quelle origini armene. Una donna capace di parlare con pacatezza di una terra e di un popolo da sempre sofferente per i soprusi che ha patito e che tuttora patisce e che è stato vittima del genocidio del 1915. Un milione di persone uccise senza un perchè, vittime di quella follia umana di cui il ‘900 è stato protagonista in prima fila.

La sua di ieri è stata una lezione di storia, carica di emozione, ma anche di profondissima umanità che ha colpito il pubblico presente che non ha potuto far altro se non ascoltare in religioso silenzio quelle parole così profonde, portandosi a casa un peso sul cuore. Perchè pensare alle persecuzioni, come quella che ha subito suo nonno Akop, tra i fortunati che sono riusciti a fuggire da quel inferno per ricominciare una nuova vita in Italia, non ha potuto non riportarci alla mente le immagini che ogni giorno vediamo in TV di barconi carichi di esseri umani che fuggono o almeno tentano di sfuggire ad un tragico destino.

Immagini che come ha voluto evidenziare il sindaco Claudio Gambino, presente con l’assessore Eugenio Bertuol, sono quasi diventate un’abitudine ed evitiamo di chiederci “perchè” e spesso siamo infastititi, quando, peggio, non vorremmo neppure vedere o sapere.

Ed ecco che allora il racconto di Laura, così intenso, non può non colpirci come una coltellata al cuore, ma soprattutto farci riflettere.

Ma questa donna così forte, non si è limitata a raccontare quelle origini di cui è fiera e quel cognome così strano, modificato ai tempi in cui faceva l’attrice e recuperato inseguito con l’orgoglio delle proprie radici, ma ha voluto far partecipe il pubblico anche della “Sua Africa” che non è quella dei safari e dei villaggi turistici. Il suo è il Kenya della povertà estrema, della mancanza di acqua e di bambini che spesso non hanno nulla da mangiare. Ecco che allora la multiforme e poliedrica Laura, attrice e diva in un tempo ormai lontano, si è trasformata in una volontaria che a quei villaggi offre tutto quello che può e da cui, nonostante l’età, non può mai star per troppo tempo lontana.

Tutto questo è molto di più è questa incredibile donna che dopo il successo e il matrimonio con Gianni Morandi ha scelto di occuparsi dei suoi figli, Marianna e Marco, e ancora si reinventata come pittrice, arredatrice, scrittrice e volontaria. Un esempio da seguire e un libro da leggere tutto d’un fiato.

Ecco perchè per me Laura Ephrikian è stata una sopresa a metà: leggendo quelle pagine avevo già capito che mi sarei trovata di fronte ad una persona eccezionale, ma ieri ho scoperto che lo è ancor di più di quanto avrei mai potuto immaginare. Una donna che grazie alle sue opere contribuisce a rendere il mondo un posto migliore.

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Quel che resta dell’Armenia (Elle 08.05.24)

Nell’anniversario del genocidio ordinato dal governo turco il 24 aprile 1915, Sonya Orfalian, figlia della diaspora, racconta il senso profondo del suo lavoro di scrittrice e della sua nostalgia

“In seguito all’esodo forzato, parte della mia famiglia sopravvissuta al genocidio armeno è arrivata in Palestina, a Gerusalemme. Poi, il cammino verso una vita degna, in libertà, è continuato, e sono diverse le città in cui abbiamo trovato rifugio. Una di queste è Tripoli in Libia, dove sono nata come rifugiata palestinese. Un’altra meravigliosa città oltremare è Roma, dove, ancora una volta in seguito a un evento storico, la rivoluzione di Gheddafi, sono infine approdata. Qui ho aggiunto una tappa al percorso dei miei antenati e ho trovato rifugio come profuga armena, in quanto figlia di sopravvissuti al genocidio. Non è semplice da spiegare”. Sonya Orfalian, figlia della diaspora armena e scrittrice, inizia così il racconto della sua rocambolesca e romantica storia, accogliendoci nella casa romana piena di libri, musica e spezie, dove vive col suo compagno, il compositore Riccardo Giagni.

Il termine genocidio non è a casoil giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, che aveva coniato il temine per designare l’Olocausto degli ebrei, si era ispirato esplicitamente al “grande male”, lo sterminio di un milione e mezzo di armeni, la metà della popolazione dell’Armenia storica, di cui fu responsabile il Governo turco. Poi il racconto prosegue: “Il mio popolo è stato vittima di un genocidio a tutt’oggi negato dalla Turchia e, devo dire con gran dispiacere, anche da Israele. Da allora, sulle terre che furono nostre non restò nessun armeno, né donna né uomo”. La storia racconta che il 24 aprile 1915 la retata e l’eliminazione di circa 250 intellettuali armeni di Istanbul, notabili, artisti, preti, delegati al parlamento, diede avvio allo sterminio che durò fino al 1922. Il 24 aprile è pertanto diventato il Giorno della memoria del genocidio degli armeni. “Tutti i capifamiglia e gli uomini abili erano rastrellati e uccisi immediatamente o costretti ai lavori forzati, trattati come bestie da soma. Le donne, i bambini e i vecchi venivano deportati, costretti a marciare senza meta, senza cibo né acqua, nei deserti della Siria. La soldataglia che accompagnava queste carovane della morte era armata solo di lame, per risparmiare le pallottole e le armi che venivano usate al fronte per la prima guerra mondiale. Alcuni deportati venivano spinti nei dirupi dove scorrevano i corsi d’acqua, che si avvelenavano con i loro corpi. A volte le donne preferivano gettarsi nei precipizi di loro volontà piuttosto che essere violentate. Altre erano condotte in schiavitù nelle case dei villaggi”, aggiunge Sonya Orfalian.

Questo non significa però che la cultura armena sia stata definitivamente cancellata, anzi: “All’interno delle famiglie dei sopravvissuti è rimasta viva e si è tramandata negli anni. Anch’io ho sempre lavorato intorno alle mie radici pubblicando libri con le nostre bellissime fiabe tradizionali come A cavallo del vento (Argo ed., 2017) , raccontandole al posto di chi non poteva più farlo. Poi ho scritto della nostra cultura culinaria La cucina d’Armenia (Ponte alle Grazie, 2009), di quel focolare domestico che hanno tentato di spegnere e che però è rimasto sempre acceso nelle case degli armeni in diaspora. Le donne, attraverso la loro dedizione alla famiglia, cucinando per nutrire i bambini sopravvissuti insieme a loro, sono riuscite anche a tramandare la nostra cultura: dalla porta della cucina entrano tantissime tradizioni che riguardano la vita sociale del nostro popolo con i piatti dei giorni delle feste, dei santi, delle ricorrenze che hanno a che fare col ciclo naturale delle stagioni, entrano i canti”, ricorda la scrittrice.

Classifica libertà di stampa, l’Italia peggiora: Armenia e Tonga fanno meglio di noi (Money.it 08.05.24)

Il rapporto 2024 sulla libertà di stampa di Reporter sans frontier vede l’Italia al 46° posto, peggiorando di cinque posizioni rispetto all’anno precedente.

Classifica libertà di stampa, l’Italia peggiora: Armenia e Tonga fanno meglio di noi

Classifica libertà di stampa, dov’è l’Italia? Stando al World Press Freedom Index 2024, l’annuale rapporto sulla libertà di stampa di Reporter sans frontier, il nostro Paese non sembrerebbe passarsela molto bene peggiorando di sei posizioni rispetto al 2023.

Il World Press Freedom Index è una classifica annuale in cui viene valutata la situazione dei vari Paesi, esclusi quelli più piccoli, relativa alla libertà di stampa focalizzandosi soprattutto sulle pressioni e gli attacchi diretti ricevuti dai media.

La classifica 2024 sulla libertà di stampa stilata da Rsf vede l’Italia al 46° posto – su 180 Paesi presi in esame – di questa speciale graduatoria: nel 2023 invece era al 41° posto.

La libertà di stampa in Italia continua a essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, soprattutto nel Sud del Paese, nonché da vari piccoli gruppi estremisti violenti – si legge nel rapporto -. I giornalisti denunciano anche i tentativi da parte dei politici di ostacolare la loro libertà e di coprire i casi giudiziari attraverso una ‘legge bavaglio’”.

Due sarebbero così le criticità maggiori per quanto riguarda la situazione della stampa in Italia: l’aspetto economico – ovvero gli stipendi dei giornalisti – e quello politico, visto il legame strettissimo che da noi c’è tra i partiti e una buona fetta dei media.

Classifica libertà di stampa: Italia al 46° posto

Questo è il responso del World Press Freedom Index 2024, una sorta di classifica in merito alla libertà di stampa in tutto il mondo.

  • 1 Norway 91.89
  • 2 Denmark 89.6
  • 3 Sweden 88.32
  • 4 Netherlands 87.73
  • 5 Finland 86.55
  • 6 Estonia 86.44
  • 7 Portugal 85.9
  • 8 Ireland 85.59
  • 9 Switzerland 84.01
  • 10 Germany 83.84
  • 11 Luxembourg 83.8
  • 12 Latvia 82.9
  • 13 Lithuania 81.73
  • 14 Canada 81.7
  • 15 Liechtenstein 81.52
  • 16 Belgium 81.49
  • 17 Czechia 80.14
  • 18 Iceland 80.13
  • 19 New Zealand 79.72
  • 20 Timor-Leste 78.92
  • 21 France 78.65
  • 22 Samoa 78.41
  • 23 United Kingdom 77.51
  • 24 Jamaica 77.3
  • 25 Trinidad and Tobago 76.69
  • 26 Costa Rica 76.13
  • 27 Taiwan 76.13
  • 28 Suriname 76.11
  • 29 Slovakia 76.03
  • 30 Spain 76.01
  • 31 Moldova 74.86
  • 32 Austria 74.69
  • 33 Mauritania 74.2
  • 34 Namibia 74.16
  • 35 Dominican Republic 73.89
  • 36 North Macedonia 73.78
  • 37 Seychelles 73.75
  • 38 South Africa 73.73
  • 39 Australia 73.42
  • 40 Montenegro 73.21
  • 41 Cabo Verde 72.77
  • 42 Slovenia 72.6
  • 43 Armenia 71.6
  • 44 Fiji 71.23
  • 45 Tonga 70.11
  • 46 Italy 69.8
  • 47 Poland 69.17
  • 48 Croatia 68.79
  • 49 Romania 68.45
  • 50 Ghana 67.71
  • 51 Uruguay 67.7
  • 52 Chile 67.32
  • 53 Ivory Coast 66.89
  • 54 Belize 66.85
  • 55 United States 66.59
  • 56 Gabon 65.83
  • 57 Mauritius 65.55
  • 58 Gambia 65.53
  • 59 Bulgaria 65.32
  • 60 Liberia 65.13
  • 61 Ukraine 65
  • 62 South Korea 64.87
  • 63 Malawi 64.46
  • 64 Sierra Leone 64.27
  • 65 Cyprus 63.14
  • 66 Argentina 63.13
  • 67 Hungary 62.98
  • 68 OECS 62.83
  • 69 Congo-Brazzaville 62.57
  • 70 Japan 62.12
  • 71 Comoros 61.47
  • 72 Andorra 61.44
  • 73 Malta 60.96
  • 74 Nepal 60.52
  • 75 Kosovo 60.19
  • 76 Central African Republic 60.12
  • 77 Guyana 60.1
  • 78 Guinea 59.97
  • 79 Botswana 59.78
  • 80 Niger 59.71
  • 81 Bosnia-Herzegovina 58.85
  • 82 Brazil 58.59
  • 83 Panama 58.55
  • 84 Qatar 58.48
  • 85 Eswatini 58.31
  • 86 Burkina Faso 58.24
  • 87 Thailand 58.12
  • 88 Greece 57.15
  • 89 Benin 56.73
  • 90 Northern Cyprus 56.72
  • 91 Papua New Guinea 56.02
  • 92 Guinea Bissau 55.95
  • 93 Haiti 55.92
  • 94 Senegal 55.44
  • 95 Zambia 55.38
  • 96 Chad 54.81
  • 97 Tanzania 54.8
  • 98 Serbia 54.48
  • 99 Albania 54.1
  • 100 Madagascar 54.07
  • 101 Israel 53.23
  • 102 Kenya 53.22
  • 103 Georgia 53.05
  • 104 Angola 52.44
  • 105 Mozambique 52.42
  • 106 Maldives 52.36
  • 107 Malaysia 52.07
  • 108 Burundi 51.78
  • 109 Mongolia 51.34
  • 110 Ecuador 51.3
  • 111 Indonesia 51.15
  • 112 Nigeria 51.03
  • 113 Togo 50.89
  • 114 Mali 50.56
  • 115 Paraguay 50.48
  • 116 Zimbabwe 50.31
  • 117 Brunei 50.09
  • 118 Tunisia 49.97
  • 119 Colombia 49.63
  • 120 Kyrgyzstan 49.11
  • 121 Mexico 49.01
  • 122 Lesotho 48.92
  • 123 Democratic Republic of Congo 48.91
  • 124 Bolivia 48.88
  • 125 Peru 47.76
  • 126 Singapore 47.19
  • 127 Equatorial Guinea 46.49
  • 128 Uganda 46
  • 129 Morocco / Western Sahara 45.97
  • 130 Cameroon 44.95
  • 131 Kuwait 44.66
  • 132 Jordan 44.3
  • 133 El Salvador 44.01
  • 134 Philippines 43.36
  • 135 Hong Kong 43.06
  • 136 South Sudan 42.57
  • 137 Oman 42.52
  • 138 Guatemala 42.28
  • 139 Algeria 41.98
  • 140 Lebanon 41.91
  • 141 Ethiopia 41.37
  • 142 Kazakhstan 41.11
  • 143 Libya 40.59
  • 144 Rwanda 40.54
  • 145 Somalia 39.4
  • 146 Honduras 38.18
  • 147 Bhutan 37.29
  • 148 Uzbekistan 37.27
  • 149 Sudan 35.73
  • 150 Sri Lanka 35.21
  • 151 Cambodia 34.28
  • 152 Pakistan 33.9
  • 153 Laos 33.76
  • 154 Yemen 33.67
  • 155 Tajikistan 33.31
  • 156 Venezuela 33.06
  • 157 Palestine 31.92
  • 158 Türkiye 31.6
  • 159 India 31.28
  • 160 United Arab Emirates 30.62
  • 161 Djibouti 30.14
  • 162 Russia 29.86
  • 163 Nicaragua 29.2
  • 164 Azerbaijan 27.99
  • 165 Bangladesh 27.64
  • 166 Saudi Arabia 27.14
  • 167 Belarus 26.8
  • 168 Cuba 25.63
  • 169 Iraq 25.48
  • 170 Egypt 25.1
  • 171 Myanmar 24.41
  • 172 China 23.36
  • 173 Bahrain 23.21
  • 174 Vietnam 22.31
  • 175 Turkmenistan 22.01
  • 176 Iran 21.3
  • 177 North Korea 20.66
  • 178 Afghanistan19.09
  • 179 Syria 17.41
  • 180 Eritrea 16.64

Come si può vedere l’Italia è al 46° posto per quanto riguarda la classifica della libertà di stampa. Giusto per rendere l’idea, siamo appena dietro a Tong, Fiji e Armenia. In classifica però siamo davanti agli Stati Uniti, dove il livello di libertà dell’informazione sarebbe peggiore rispetto all’Italia soprattutto per quanto riguarda l’aspetto della sicurezza dei giornalisti.

Libertà di stampa nell'Unione europea per RsfLibertà di stampa nell’Unione europea per Rsf Fonte rsf.org

Se però prendiamo in considerazione l’Unione europea, l’Italia è diciannovesima tra i ventisette Stati membri, con la Grecia che farebbe peggio di tutti in materia di libertà di stampa.

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Come è messa la libertà di stampa?

Alla base del dossier c’è un questionario che è stato inviato alle organizzazioni partner di Reporter sans frontier, oltre che ai suoi 150 corrispondenti in tutto il mondo e a diversi giornalisti, giuristi e attivisti per i diritti umani.

La classifica è stata stilata seguendo cinque criteri: contesto politico, quadro normativo, contesto economico, contesto socioculturale e sicurezza. Per ogni voce è stato dato un punteggio che va da 0 a 100.

L’Italia con un punteggio medio di 69.8 si trova nella fascia “soddisfacente”. Se guardiamo al 2021 quando eravamo stati accreditati di un punteggio di 76.61, appare evidente il peggioramento.

In particolare l’Italia nel report 2024 brilla poco negli indicatori economici, dove non raggiungiamo la sufficienza, e in quelli politici dove ci sarebbe stato un passo indietro rispetto allo scorso anno. Siamo migliorati invece per quanto riguarda la sicurezza , anche se il divario con la stampa del Nord Europa resta sempre molto ampio.

Armenia. La politica estera svizzera è chiamata in causa (Cath.ch 08.05.24)

La commissione Giustizia e pace dei vescovi svizzeri in un comunicato rende noto che l’Armenia, la più piccola repubblica del Caucaso meridionale, affronta nuove minacce dopo l’espulsione di circa 150.000 armeni dal Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, il quale rivendica un corridoio nel sud dell’Armenia per ottenere un accesso diretto alla sua exclave Naxçıvan. Per evitare che la situazione sfoci in un ulteriore conflitto militare, la politica estera svizzera deve assumere una posizione più decisa in favore di una soluzione pacifica del conflitto.

La Commissione nazionale svizzera Giustizia e Pace e la rete delle Commissioni europee Giustizia e Pace sono preoccupate per le attuali tensioni nel Caucaso meridionale. In qualità di membro del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la Svizzera si dovrebbe impegnare per i diritti umani e il rispetto del diritto internazionale. Questa appartenenza comporta anche una responsabilità politica. Se la Svizzera vuole essere all’altezza delle proprie aspirazioni, dei propri interessi e del suo rapporto ultracentenario con la popolazione armena, deve assumere un ruolo più impegnato in politica estera.

Nel corso di discussioni e scambi con ONG, organizzazioni umanitarie ed esperti politici sul campo, Giustizia e Pace ha osservato che, nonostante le concessioni sostanziali fatte dall’Armenia nei negoziati di pace in corso, le posizioni dure e inasprite dell’Azerbaigian rimangono invariate. La minaccia di ulteriori interventi militari è nell’aria. L’Azerbaigian è sostenuto dalla Turchia, mentre la Russia non onora i suoi obblighi di alleanza nei confronti dell’Armenia dal 2020. Ciò rende la situazione sul terreno una polveriera.

La risposta dell’Armenia alla situazione precaria di lunga data è di rivolgersi sempre più all’Europa, in particolare all’UE, a partire dal 2020. Anche la Svizzera ha dichiarato ufficialmente la propria disponibilità ad avvicinarsi all’Armenia da una prospettiva politica europea.

Per Giustizia e Pace, i seguenti aspetti della politica estera svizzera sono di primaria importanza dal punto di vista dell’etica della pace.

Il Consiglio federale e, se competente, il Parlamento dovrebbero:

  • insistere sull’attuazione di tutte le decisioni e raccomandazioni pertinenti della Corte internazionale di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione al conflitto tra Armenia e Azerbaigian;
  • adoperarsi per il rilascio di tutti i prigionieri di guerra e degli ostaggi detenuti dalle autorità azere arbitrariamente e, secondo il diritto internazionale, illegalmente;
  • fare pressione su entrambe le parti, in particolare sull’Azerbaigian, per risolvere tutte le questioni in sospeso esclusivamente attraverso negoziati e con mezzi pacifici, nel pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di ciascun Paese e del diritto internazionale. Occorre astenersi dall’uso della forza e dalla minaccia della forza;
  • adoperarsi per garantire che l’Azerbaigian si astenga da discorsi di odio discriminatorio e da continue dichiarazioni istigatorie volte a denigrare la comunità etnica armena;
  • fornire ai circa 150.000 rifugiati e sfollati in Armenia un’assistenza per l’integrazione e l’avviamento economico commisurata alla tradizione umanitaria e alle risorse finanziarie della Svizzera;
  • perseguire l’obiettivo di un ritorno sicuro, volontario e permanente di tutti gli armeni sfollati dalla loro patria del Nagorno-Karabakh e contribuire a far sì che possano condurre una vita libera da paure, intimidazioni e discriminazioni nella loro patria;
  • contribuire attivamente a garantire che una missione guidata dall’UNESCO, composta da esperti internazionali e locali indipendenti, abbia accesso al Nagorno-Karabakh per documentare lo stato degli antichi siti di fede cristiana e garantirne la conservazione;
  • contrastare qualsiasi altra violazione da parte dell’Azerbaigian che non tenga conto delle rivendicazioni dell’Armenia all’integrità territoriale secondo il diritto internazionale, alla rinuncia alla forza armata richiesta a livello internazionale e alla protezione delle minoranze, con mezzi legali, economici e politici i più rigorosi possibili, comprese sanzioni mirate contro i responsabili.

Con una simile posizione, la politica estera svizzera può contribuire, nel proprio interesse, in modo credibile e preventivo a uno sviluppo più stabile e pacifico del Caucaso meridionale.

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L’antica iscrizione del Duomo di Salerno: sulle tracce degli armeni a Salerno e in Italia” (CronacheSalerno 08.05.24)

L’Ufficio Cultura e Arte dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, in collaborazione con la Fondazione Alfano I, ha organizzato “L’antica iscrizione del Duomo di Salerno: sulle tracce degli armeni a Salerno e in Italia”, iniziativa volta a valorizzare l’incisione in lingua armena che si trova sullo stipite sinistro della porta centrale della Cattedrale di Salerno. L’appuntamento è per sabato 25 maggio 2024, presso il Portico del Duomo, alle ore 11:30. Per l’occasione, sarà presentato l’opuscolo bilingue che racconta e descrive il significato dell’iscrizione lasciata da un pellegrino armeno giunto a Salerno per venerare le Reliquie di San Matteo Apostolo. In programma, inoltre, l’inaugurazione di una colonnina descrittiva che consentirà ai visitatori di interpretare l’incisione.

A seguire, dunque, la conferenza in Cattedrale tenuta dall’Arcieparca di Costantinopoli degli armeni, Monsignor Levon Zekiyan, luminare di storia e spiritualità armena che si soffermerà sulla presenza del popolo armeno a Salerno e in Italia. All’incontro, interverranno l’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, Sua Eccellenza Monsignor Andrea Bellandi, il Sindaco di Salerno Vincenzo Napoli, la Teologa, nonché promotrice dell’evento, la professoressa Lorella Parente e il Vicepresidente della Fondazione Alfano I, Don Ugo De Rosa.

“La Conferenza di Monsignor Boghos Lévon Zékiyan, Arcivescovo cattolico turco e, dal 21 marzo 2015, Arcieparca di Costantinopoli degli armeni, si terrà in occasione della presentazione di un opuscolo, curato dal Direttore  dell’Ufficio Cultura e Arte dell’Arcidiocesi  professoressa Lorella Parente, in cui si offre la traduzione dell’iscrizione scritta in lingua armena, opera, probabilmente, di un pellegrino devoto a Matteo, il Santo Apostolo, le cui spoglie riposano nella Cattedrale –annuncia S.E. Monsignor Bellandi – L’opera di trascrizione e traduzione, ovviamente complessa, si deve alla profonda competenza del Professor Don Matteo Crimella, docente di Sacra Scrittura e studioso di lingue antiche della Facoltà Teologica di Milano”.

“Indubbiamente, tale lavoro contribuisce ad offrire un ulteriore elemento di conoscenza e valorizzazione di quel patrimonio inestimabile di arte, spiritualità e cultura di cui la nostra Cattedrale è affascinante custode e testimonianza da quasi due millenni. – ha aggiunto l’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno – E che intendiamo rendere ancora più fruibile non solo ai fedeli salernitani, ma anche ai sempre più numerosi turisti e visitatori che accorrono ogni giorno a visitare il luogo più sacro della nostra città”, ha concluso S.E. Monsignor Bellandi.

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Curiosità: opuscolo bilingue e conferenza con l’Arcieparca di Costantinopoli degli armeni sull’antica incisione al Duomo (Salernotoday)


 

Slovacchia, il premier Fico: ‘Saremo ponte tra l’Azerbaigian e l’UE’ (Euractiv 08.05.24)

Durante il suo primo viaggio al di fuori dell’UE dopo la sua rielezione dello scorso anno, il primo ministro Robert Fico ha dichiarato che la Slovacchia vuole fare da ponte tra l’Azerbaigian e l’Unione europea. Ha visitato l’Azerbaigian nella speranza di sostenere l’economia slovacca e rafforzare le relazioni bilaterali.

“La Slovacchia vuole diventare un ponte tra l’Azerbaigian e l’Unione europea”, ha dichiarato Fico durante la conferenza stampa congiunta di martedì, alla quale ha partecipato anche il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, invitando Aliyev a visitare Bratislava.

“Vogliamo anche offrire all’UE informazioni obiettive sulla situazione nel vostro Paese”, ha aggiunto.

Il presidente dell’Azerbaigian, da parte sua, ha detto che la visita “rappresenta un nuovo capitolo nelle relazioni Slovacchia-Azerbaigian” e spera che il “percorso congiunto avrà molto successo”.

“Voi (Azerbaigian) siete un Paese sovrano e quando si parla di sovranità siete una nazione esemplare”, ha detto Fico ad Aliyev, aggiungendo che cercherà di applicare lo stesso approccio affinché anche la Slovacchia possa “condurre una politica estera sovrana”.

Aliyev ha anche notato che le aziende slovacche hanno iniziato a operare nel Nagorno-Karabakh: “Abbiamo parlato del funzionamento delle aziende slovacche nei territori liberati del Karabakh. Abbiamo un villaggio intelligente costruito da un’azienda slovacca”, ha detto il presidente.

“Il lavoro che verrà svolto dagli esperti slovacchi nei territori liberati, basato sui concetti di ‘smart city’ e ‘smart village’, che è all’altezza degli standard più moderni, porterà gioia alle persone che vi ritorneranno”, ha aggiunto il capo di Stato.

L’Armenia e l’Azerbaigian hanno combattuto due guerre per la regione del Nagorno-Karabakh all’inizio degli anni ’90 e nel 2000. Nel settembre dello scorso anno, le forze azere hanno lanciato un’offensiva, spingendo migliaia di armeni del Karabakh a fuggire in Armenia.

Taglio del gas russo

Durante la visita di Stato, Fico è stato accompagnato dal ministro dell’Economia slovacco Denisa Saková, dal ministro della Difesa Robert Kaliňák e dal ministro degli Esteri Juraj Blanár, oltre che da diversi uomini d’affari slovacchi.

Bratislava e Baku hanno discusso di una nuova cooperazione rafforzata in vari settori, tra cui la difesa e l’industria energetica.

“Attualmente l’Azerbaigian esporta gas in otto Paesi. Spero che la Slovacchia diventi il nono”, ha dichiarato Aliyev in una conferenza stampa.

Saková ha concordato che la Slovacchia “farà ogni sforzo per importare gas dall’Azerbaigian alla Slovacchia, in modo da diversificare le forniture e tagliarci fuori dal gas russo”.

Abbiamo la convinzione che saremo in grado di stabilire una cooperazione nel campo delle forniture di gas alla Slovacchia e all’Europa centrale e orientale”.

Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è rivolta all’Azerbaigian nel luglio dello stesso anno, proponendo un accordo per aumentare le importazioni di gas naturale e sostenere l’espansione di un gasdotto.

L’obiettivo è quello di trovare fonti alternative di gas naturale per ridurre la dipendenza del blocco dall’energia russa.

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Armenia, un viaggio memorabile nella terra di monasteri (Ilgiornale 07.05.24)

La piccola nazione caucasica è stata “culla del Cristianesimo”. Manoscritti millenari e chiese antiche, ma anche natura, musica e una produzione vinicola risalente a 6100 anni fa

Testo e foto di Anna Maria Catano

Sorprendente Armenia.

Altipiani infiniti, paesaggi e montagne a perdita d’occhio, monasteri antichissimi, albicocchi, ciliegi, melograni. E l’Ararat con le sue cime innevate che simboleggia la storia millenaria e tormentata di questa piccola Repubblica caucasica dal cuore europeo. Indipendente dal 1991, stretta tra Turchia, Georgia e Azerbaigian.

Al mattino l’augurio è “Buona luce”, l’accoglienza all’ospite un dovere.

Un viaggio in Armenia, nel Caucaso meridionale, è un’esperienza memorabile, alla scoperta in una terra ancora vergine nonostante la sua millenaria cultura. Ma anche una meta turistica sicura che garantisce ogni tipo di confort e divertimento.

L’Armenia, questa sconosciuta.

L’Armenia storica era il Regno dei Tre mari (circa centomila km quadrati), la Cilicia d’epoca medievale. Ridotta oggi a soli trentamila km quadrati e senza sbocco al mare.

Eppure l’Armenia è stata la culla della Cristianità, religione di Stato dal 301 d.C., ben dodici anni prima dell’editto di Costantino. La prima Chiesa Cristiana Apostolica.

Simbolo religioso e storico dell’Armenia è il monte Ararat, attualmente in territorio turco.

Fu Stalin nel 1921, in epoca di dominio sovietico, a cedere quel territorio alla Turchia. Ma la vista, lo spettacolare panorama delle due cime innevate – il Grande Ararat (5165 metri) e il Piccolo Ararat (3914 metri) – si gode prevalentemente dal versante armeno. Dal monastero di Khor Virab, in particolare, la montagna è visibile in tutta la sua maestosità e bellezza. A testimonianza del legame indissolubile con il luogo dove, secondo la Bibbia, approdò l’arca di Noè dopo il diluvio universale. Fu tra gli altri Marco Polo a sostenere che si fosse incagliata proprio sull’Ararat. In tempi moderni spedizioni archeologiche confermarono la tesi.

Monasteri millenari, Libri Sacri.

“Non c’è futuro senza memoria”. Per secoli la parola d’ordine degli armeni fu: “Salvate i bambini e i Libri Sacri. Anche a rischio della vita”. Dai tempi di san Gregorio, fondatore della Chiesa Apostolica Armena. Così, grazie all’astuzia dei monaci, molti monasteri, arroccati in luoghi impervi e privi d’immagini per non urtare la furia iconoclasta dei vicini musulmani, evitarono la distruzione. Trasformati in magazzini o depositi prima sotto la dominazione ottomana e poi a causa dei sovietici che rasero al suolo larga parte delle chiese esistenti nel Paese.

Alcuni di quei mirabili monasteri in pietra oggi sono patrimonio Unesco. Come i khatchkar, croci scolpite nella pietra, incredibilmente simili ai ricami delle donne, che si vedono un po’ ovunque. Nelle abitazioni private, nei cimiteri, nelle pubbliche piazze.

Il monastero di Geghard, fondato nel IV secolo è in parte scavato nella roccia: qui c’era una lancia, portata dall’apostolo Taddeo, che trafisse il costato di Cristo. E poi il complesso di Khor Virap. E il pozzo, a sei metri di profondità, in cui San Gregorio l’Illuminatore, San Gregorio Armeno per gli italiani, fu imprigionato.

Spettacolare anche il Tempio di Garni, di architettura ellenistica, vicino alla gola del fiume Azat come la “Sinfonia di pietre”, inconsuete, impressionanti formazioni rocciose a forma di canne d’organo.

Yerevan, la capitale, città rosa perché costruita con il tufo locale dalle mille sfumature, è oggi un cantiere a cielo aperto. Ma anche luogo d’incontri, di movida, di vita notturna nei caffè alla moda e nei ristoranti gourmet che circondano Piazza della Repubblica. Lo stile architettonico è retaggio sovietico, la pavimentazione della grande piazza ripropone gli intrecci dei tappeti tradizionali armeni. Mentre le fontane danzanti si muovono a ritmo di musica. Nel museo di Storia dell’Armenia è conservato un calzare in cuoio risalente a 5000 anni fa ma resterete a bocca aperta davanti agli straordinari manoscritti antichi – più di 20 mila –  conservati nel Matenadaran, la Biblioteca, la più grande collezione di manoscritti in lingua armena al mondo. Opere iscritte nel Registro Internazionale della Memoria del Mondo dell’Unesco. Vangeli risalenti al V secolo, miniature preziose, codici antichissimi salvati a rischio della vita dalle incursioni ottomane. Testi in armeno, in greco, in ebraico, in persiano. Trattati di teologia, alchimia, astrologia, musica, geografia, medicina.

E poi salite alla Cascade, la monumentale scalinata in pietra bianca da cui s’ammira l’intera città. Nei giardini sottostanti sono esposte opere d’arte contemporanea. Il più grande spazio verde della capitale è però il Parco della Vittoria su cui troneggia Madre Armenia, un’enorme statua alta 22 metri con la spada in mano che guarda corrucciata verso il confine turco. Ospita un museo militare e la tomba del milite ignoto. E non perdetevi il Gum Market, il variopinto mercato coperto di frutta secca e spezie.

E qual suono vellutato e melanconico può esprimere meglio del piccolo duduk la nostalgia del popolo armeno? Il duduk, strumento a fiato simile all’oboe, costruito in legno di albicocco, è patrimonio Unesco. Karen Hakobyan, classe 1961, nato da una famiglia di musicisti, li costruisce e li suona. Il suo duduk è stato scelto per la colonna sonora di film famosi, Il Gladiatore e le Cronache di Narnia.

Karen narra anche la storia di un pianoforte abbandonato in strada, dall’inusuale colore rosso. Secondo una lettera ritrovata sembra appartenesse ai Romanoff, zar di Russia. E che fosse stato donato ai reali del Belgio prima di andar perduto. Così gli stessi sovrani, stupiti da questa vicenda, si sono recati in Armenia per rendere onore al pianoforte rosso e per sentirlo suonare assieme al duduk.

Tra Armenia e Italia l’amicizia è profondaAntonio Montalto, siciliano, già console, da trent’anni vive a Gyumri, l’Alexandropoli amata dalla zarina, moglie di Nicola I. Ha creato ospedali e maternità in Armenia e nel Nagorno Karabakh (quest’ultima bombardata dagli azeri nella guerra del 2020). Ha organizzato scuole di formazione in vari settori, artigianato e turismo culturale, scambi tra ospedali armeni e italiani e con le università. Oggi, in particolare, ha fondato una scuola di ceramica. “L’artigianato armeno è tra i migliori al mondo”, sostiene. Ultima sua iniziativa, oltre al recupero di case e palazzi per salvaguardare la bellezza dell’architettura tradizionale, è “Un turista, un libro”. Ovvero una piccola biblioteca di libri italiani. “Credo nella felicità e nel Paradiso in terra”, conclude.

Artigianato ed enogastronomia. Da secoli in Armenia si produce il pane lavash, sottile come un lenzuolo, cotto senza lievito in focolari interrati e dell’ottimo vino locale. In una grotta archeologica Areni-1 si visita una cantina vinicola datata a 6100 anni fa. La prima dell’umanità.

 “Mantenere la memoria”, sostiene Antonia Arslan, scrittrice, “è ciò che gli armeni chiedono”. E dunque un viaggio in questa terra straordinaria non può non concludersi sulla “collina delle rondini” al Memoriale del Genocidio armeno perpetrato dai Giovani Turchi nel 1915. Un periodo terribile, quello della prima pulizia etnica del Ventesimo secolo – non l’unico della storia armena che ha conosciuto dominazioni ottomane e sovietiche e recentemente la guerra con gli azeri – ma certamente il più drammatico. Per ricordare un milione e mezzo di persone mandate a morire nel deserto è stato costruito un Memoriale in pietra grigia. Dodici piastre inclinate su una fiamma perenne che il 24 aprile, Giornata del ricordo e festa nazionale, viene ricoperta da una montagna di fiori. Fino a scomparire alla vista. Accanto una grande stele alta 44 metri. Simbolo della rinascita e della forza del popolo armeno.

Per maggiori informazioni:

www.armenia.travel

@Tourism Committee of Armenia

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L’Armenia nuovo pomo della discordia nel conflitto tra est e ovest (Pressenza 07.05.24)

Abbandonata dalla Russia, l’Armenia cerca alleati in Occidente: un gesto altamente esplosivo.

Il vertice tra politici di alto livello dell’UE, degli USA e dell’Armenia, tenutosi il 5 aprile a Bruxelles, aveva lo scopo di dimostrare al mondo intero la solidarietà dell’Occidente nei confronti dell’Armenia. «Siamo qui per riaffermare il sostegno transatlantico alla sovranità, alla democrazia, all’integrità territoriale e alla resilienza socio-economica dell’Armenia», si legge nella dichiarazione congiunta, distribuita in precedenza ai media.

«Fianco a fianco con l’Armenia»

L’incontro, a cui hanno partecipato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il Segretario di Stato americano Antony Blinken, l’Alto rappresentante della politica estera dell’UE Joseph Borrell e il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, ha destato scalpore tra i governi di Russia, Turchia e Iran, le potenze della regione. Mosca ha parlato di un «atto ostile». E Teheran ha giurato di non permettere che «i complotti occidentali minino la sicurezza nella regione».

Le dichiarazioni pubbliche di Bruxelles non hanno sottolineato un’alleanza politica, ma solo economica: l’UE è «fianco a fianco» con l’Armenia, ha dichiarato von der Leyen, e ha annunciato un pacchetto finanziario quadriennale di 270 milioni di euro per il Paese. «Condividiamo la visione del popolo armeno per il futuro e vogliamo che l’Armenia prenda il suo posto come nazione forte e indipendente che vive in pace con i suoi vicini», ha aggiunto il Segretario di Stato americano. Anche lui ha fatto riferimento principalmente al sostegno economico degli Stati Uniti, che quest’anno raddoppierà quasi fino a 65 milioni di dollari.

L’Armenia, la più piccola repubblica del Caucaso meridionale, è perennemente minacciata dal suo potente vicino, l’Azerbaigian. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan si era recato a Bruxelles perché sperava innanzitutto di ricevere serie garanzie di sicurezza dai suoi interlocutori occidentali. Tuttavia, tali garanzie non sono arrivate, almeno non ufficialmente.

Pashinyan si è comunque detto fiducioso: l’incontro ad alto livello è stato considerato un chiaro segnale «dell’approfondimento del partenariato dell’Armenia sia con gli Stati Uniti che con l’Unione Europea». È una dichiarazione che esprime la possibilità di cambiare radicalmente la geopolitica della regione.

Il più fedele alleato di Mosca nel Caucaso meridionale

L’Armenia è stata l’alleato più fedele della Russia nel Caucaso negli ultimi cento anni. Ciò era dovuto principalmente a ragioni di autoconservazione: come ogni popolo che ha vissuto l’orrore del genocidio, gli armeni hanno un fortissimo desiderio di sicurezza. Dopo il genocidio del 1915-1917, quando i Giovani Turchi fecero uccidere oltre 1,2 milioni di armeni dell’Impero Ottomano, il popolo armeno ha sempre associato questa sicurezza esclusivamente alla Russia. Il loro credo era: solo un’Unione Sovietica forte o, meglio, una Russia forte, avrebbe potuto salvare gli armeni da un nuovo annientamento fisico. Così, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Armenia, unica repubblica del Caucaso meridionale, ha concesso a Mosca il diritto di avere basi militari sul suo territorio. Oggi circa 10.000 soldati russi sono di stanza in Armenia.

Il credo armeno è stato seriamente intaccato quando l’Azerbaigian, con il sostegno della Turchia, ha lanciato un’offensiva militare alla regione a maggioranza armena del Nagorno Karabakh nell’autunno del 2020, mentre la Russia è rimasta in disparte. Secondo una breve dichiarazione di Mosca, gli obblighi di alleanza della Russia erano circoscritti al solo territorio dell’Armenia. L’esercito armeno è stato poi sconfitto sul campo di battaglia.

La svolta di Mosca

Due anni dopo, l’Azerbaigian ha nuovamente sferrato un grave attacco, questa volta all’interno del territorio sovrano dell’Armenia, causando al suo vicino notevoli perdite territoriali e umane. Per la Russia e l’alleanza militare OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), guidata da Mosca, si trattava di un caso di alleanza, ma ancora una volta nessuno dei due ha reagito. Non hanno neanche condannato l’aggressione senza scrupoli dell’Azerbaigian.

Mosca ha davvero cambiato schieramento geostrategico, come sostengono noti osservatori in Armenia e all’estero? La realtà è che un giorno prima che le truppe russe invadessero l’Ucraina, la Russia e l’Azerbaigian avevano firmato un accordo di «cooperazione strategica» globale tra i loro Paesi. Come risultato di questa “cooperazione strategica”, la Russia avrebbe utilizzato la rete di gasdotti dell’Azerbaigian e della Turchia dopo il 2022 per immettere i suoi materiali energetici sanzionati nel mercato mondiale: un affare molto redditizio per tutti e tre i Paesi.

La svolta armena

Tuttavia, è probabile che nessuna delle numerose sconfitte e perdite successive al 2020 abbia ferito l’animo armeno così profondamente come la vittoria azera nella regione del Nagorno Karabakh nel settembre 2023. Infatti, dopo il massiccio attacco dell’esercito azero al Nagorno Karabakh, di fatto indifeso, l’intera popolazione di origine armena – oltre 110.000 persone in totale – è stata costretta a fuggire. Gli armeni sono stati umiliati dal fatto che il presidente azero Ilham Aliyev ha assediato e fatto patire la fame per nove mesi la regione isolata del Nagorno Karabakh, mentre Mosca ha tollerato le sofferenze della popolazione in veste di spettatore non coinvolto. «Il nostro eterno protettore, la Russia, si era improvvisamente trasformato nella nostra minaccia numero uno», afferma lo scrittore Grigor Shashikyan. «Ciò è avvenuto nel momento in cui Pashinyan ha deciso la drammatica svolta geostrategica dell’Armenia», aggiunge l’analista politico Eric Grigorian.

Nell’ottobre 2023, il Parlamento armeno ha ratificato lo «Statuto di Roma» della Corte penale internazionale, nonostante contenga un mandato di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin per presunti crimini di guerra in Ucraina. Nel febbraio 2024, l’Armenia ha annunciato che avrebbe congelato la sua partecipazione all’alleanza militare OTSC guidata da Mosca. A marzo, il capo del Consiglio di sicurezza nazionale armeno ha chiesto a Mosca il ritiro delle truppe di frontiera russe dall’aeroporto internazionale di Zvartnots, mentre il Ministero degli Esteri armeno, spinto dalle aspirazioni europee del suo popolo, ha promesso di accelerare il processo del cosiddetto «partenariato orientale» con l’UE.

Erevan sembra quindi voler superare tutte le linee rosse di Mosca. Nel 2008 – nell’ambito del partenariato orientale – all’Armenia, all’Azerbaigian, alla Bielorussia, alla Georgia, alla Moldavia e all’Ucraina è stata offerta l’opportunità di stringere legami più stretti con l’UE attraverso riforme politiche, economiche e giuridiche. Tuttavia, le guerre in Georgia e Ucraina dimostrano che la Federazione Russa non esita a usare la forza militare, se necessario, per impedire alla NATO e all’UE di espandersi fino ai suoi confini. Aveva il governo Pashinyan un’altra scelta se non quella di un confronto con Mosca? Era consapevole dei rischi derivanti dalla sua politica di rimanere senza alleati in questi tempi di guerra?

La tempesta si addensa sul Caucaso meridionale

Vartan Oskanian, ministro degli Esteri armeno tra il 1998 e il 2008, avverte di una «complicata danza Est-Ovest nel Caucaso meridionale». «La nostra situazione ha una strana somiglianza con quella dell’Ucraina. Abbiamo attraversato una prima fase di ucrainizzazione quando abbiamo perso il Nagorno Karabakh, e ora stiamo per entrare in una seconda fase in cui potremmo perdere ampie parti del territorio armeno», ha scritto Oskanian su Facebook dopo l’incontro di Bruxelles. «Le nostre alleanze si stanno sgretolando e i nostri avversari ci stanno col fiato sul collo come un branco di lupi affamati».

Oltre a Teheran e Mosca, anche Baku e Ankara hanno reagito con sdegno all’incontro di Bruxelles. Entrambi hanno descritto il coinvolgimento diplomatico di Washington e Bruxelles come una violazione della neutralità, poiché gli affari del Caucaso meridionale non riguardano né l’UE né gli USA.

Corridoio di Zangezur © freeworldmaps

A partire dal 2020, Baku e Ankara hanno rivendicato all’unanimità il cosiddetto «Corridoio di Zangezur» nel sud dell’Armenia. Quest’ultimo dovrebbe collegare la Turchia via terra con l’Azerbaigian e poi con le repubbliche di lingua turca dell’Asia centrale. L’autocrate dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sperano di realizzare un vecchio sogno: esportare la favolosa ricchezza di terre rare, energia e metalli preziosi dell’Asia centrale sul mercato mondiale, aggirando Russia, Cina e Iran e trasformando la Turchia e l’Azerbaigian in un hub per l’approvvigionamento energetico dell’Europa.

In teoria, l’Azerbaigian e la Turchia avrebbero potuto includere l’Armenia nei loro piani di utilizzo della «rotta del Zangezur», sull’esempio delle vie di trasporto merci dell’Europa occidentale, senza lunghi controlli alle frontiere ma nel rispetto dell’integrità territoriale del Paese. L’iniziativa di Erdogan e Aliyev, invece, è un progetto ultranazionalista, un progetto esclusivamente per il mondo turcofono. Pertanto, chiedono all’Armenia diritti extraterritoriali. Entrambi gli Stati non vedono nulla di riprovevole nell’uso di mezzi militari: ad Aliyev è stato chiesto, durante una conferenza dello scorso dicembre, se la pace potesse essere raggiunta attraverso la guerra: «Abbiamo dimostrato che esiste una soluzione militare al conflitto. Il conflitto nel Nagorno Karabakh è stato risolto».

«Né la regione né il mondo possono permettersi altre guerre»

La guerra in corso in Ucraina e la campagna militare dell’Azerbaigian in Karabakh sono «i due esempi più lampanti del disprezzo che gli autocrati di oggi nutrono per i diritti umani fondamentali e per le società pluralistiche», commenta la rinomata organizzazione per i diritti umani Freedom House nel suo studio Nations in Transition, pubblicato di recente. Freedom House, che ogni anno valuta le riforme politiche negli ex Stati comunisti in Europa e in Eurasia, consiglia agli Stati Uniti e all’Unione Europea di prendere in considerazione misure di dissuasione più credibili contro l’Azerbaigian. Altrimenti, l’appetito di Aliyev per ulteriori aggressioni potrebbe aumentare e destabilizzare l’Armenia, che dopo tutto è il «Paese più libero del Caucaso meridionale». Nella classifica di Freedom House, l’Azerbaigian è uno dei Paesi “meno liberi”, proprio come la Russia.

Una tempesta sta per abbattersi sul Caucaso meridionale. L’inattesa escalation del conflitto tra Israele e Iran non è di buon auspicio per l’Armenia: «Se Israele contrattacca l’Iran, la regione potrebbe facilmente trasformarsi in un campo di battaglia e noi ci saremmo proprio in mezzo», afferma lo scrittore armeno Grigor Shashikyan. Inoltre, un eventuale indebolimento dell’Iran porterebbe indirettamente a un indebolimento dell’Armenia. Nel conflitto sul Zangezur, l’Iran ha sempre sottolineato di essere l’unica potenza regionale a rispettare la sovranità dell’Armenia; inoltre, Teheran ha respinto qualsiasi modifica dei confini regionali.

Alla luce della guerra in Medio Oriente, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato un appello urgente al Consiglio di Sicurezza per una de-escalation: né la regione né il mondo possono permettersi un’altra guerra.

E’ proprio vero! In questo contesto, la politica estera svizzera farebbe bene a concentrare la propria attenzione anche sul Caucaso meridionale e sull’Iran, oltre che sulla questione ucraina. Qualsiasi escalation provocherebbe un effetto domino che potrebbe portare alla destabilizzazione dell’Armenia e della Georgia e, in ultima analisi, dell’intero Caucaso meridionale.