Armenia: amb. Di Riso ricevuto dal presidente Khachaturyan (Ansa 07.06.24)

(ANSA) – ROMA, 07 GIU – In occasione della Festa della Repubblica Italiana, l’Ambasciatore Alfonso Di Riso è stato ricevuto nei giorni scorsi dal Presidente della Repubblica di Armenia Vahagn Khachaturyan.Il Presidente Khachaturyan si è congratulato con l’Ambasciatore Di Riso ed ha espresso i suoi migliori auguri al Popolo e al Governo italiano. Durante il colloquio si è discusso di agenda per un ulteriore rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi in ambito politico, economico e culturale. E’ stato infine sottolineato l’importante ruolo dei voli diretti tra Italia e Armenia per lo sviluppo delle relazioni economico-commerciali e per la crescita del turismo.

Traumi transgenerazionali tra Yerevan, Brema, Istanbul e Gerusalemme (Micromega 06.06.24)

Sulla strada abbiamo un altro nome” è l’esordio letterario di Laura Cwiertnia, un viaggio a ritroso nel tempo che, partendo da un sobborgo operaio di Brema, ci conduce fino a Gerusalemme, Yerevan e Istanbul. Si distingue per sensibilità e intelligenza nel trattare un tema difficile – sempre presente ma taciuto per larga parte del racconto – come quello del genocidio armeno. Lo fa lontana dal riduzionismo identitario, e libera da quell’ossessione dell’origine geografica così presente nella letteratura contemporanea.

Simone Zoppellaro 

L’esordio letterario della giornalista tedesco-armena Laura Cwiertnia è un romanzo destinato a lasciare un segno. Da poco tradotto in italiano dall’editore Mar dei Sargassi, Sulla strada abbiamo un altro nome cresce dentro di noi pagina dopo pagina lento come un albero, un albero i cui frutti sono il corpo e le sue ferite. Questo viaggio a ritroso nel tempo che, partendo da un sobborgo operaio di Brema ci conduce fino a Gerusalemme, a Yerevan e Istanbul, si distingue per sensibilità e intelligenza nel trattare un tema ostico – sempre presente ma taciuto per larga parte del racconto – come quello del genocidio armeno.
Quattro generazioni a confronto e quattro città, descritte senza compiacimenti o orpelli orientaleggianti, si susseguono in un romanzo in cui il protagonista è il silenzio, affrontato in un corpo a corpo che è il motore stesso della narrazione. In parte romanzo di formazione, ma anche e soprattutto un’opera lontana da ogni riduzionismo identitario, libera da quell’ossessione per l’origine (il cui rovescio spesso è il vittimismo) cui non è estranea tanta letteratura di oggi. Come scriveva pochi giorni fa Jhumpa Lahiri sul Guardian: “Comprendo che non vogliamo che le cose risultino false, che siano vere, ma c’è poi il passaggio dall’autenticità all’idea di purezza, e quindi ciò che non è autentico o puro sarebbe in qualche modo corrotto: questa è la zona di pericolo”.
In questa trappola, Cwiertnia non cade. Non mente al lettore e punta diritto al suo obiettivo, quello di una disamina del tema del trauma transgenerazionale, che si accompagna, come scrive Sivan Gaides, giornalista di Haaretz, a un “profondo senso di sradicamento”. Un tema ormai ben noto grazie a studi riferiti alla Shoah e ad altri genocidi, che ci dimostrano come – persino grazie alla trasmissione genetica, secondo alcune ipotesi – il trauma possa giungere alle tre generazioni successive.
Se il tema del silenzio è riscontrabile nelle biografie di sopravvissuti e testimoni degli orrori del Novecento, spicca nel romanzo il tema dei nomi rimossi, riferito sia a antroponimi che a toponimi. Un tema che noi italiani conosciamo se non altro per l’orrida opera di italianizzazione linguistica imposta a sudtirolesi durante il fascismo, che in alcuni casi raggiunse persino le lapidi dei cimiteri. Qui, oltre alle città e villaggi armeni spazzati via dal genocidio del 1915, abbiamo il fenomeno dell’autocensura linguistica e identitaria, che accompagnò nei decenni seguenti i cosiddetti “hidden Armenians”. Un fenomeno assai vasto, come ho constatato di persona nella stessa Istanbul, e di cui molto si discusse in Turchia in seguito a quella straordinaria stagione di solidarietà che seguì l’assassinio del giornalista turco-armeno Hrant Dink nel 2007, prima che il nuovo, terribile giro di vita imposto da Erdogan facesse ripiombare la questione nel silenzio.
Se ormai è imponente la produzione narrativa e cinematografica sul genocidio armeno (trattandosi della Germania, impossibile non segnalare quel film straordinario che è Il padre di Fatih Akin del 2014, fra i migliori in assoluto), il romanzo di Cwiertnia ha il pregio di affrontare due pagine di storia meno note, ma assai significative.
La prima è quella del pogrom di Istanbul del 1955, quando anche armeni ed ebrei furono colpiti, insieme ai greci, primo bersaglio di quelle violenze che produssero morti, stupri, e la distruzione sistematica di abitazioni e negozi, oltre che di cimiteri e chiese. Considerando che il genocidio armeno si protrasse ancora fino al 1923, facile immaginare il terrore che si impadronì degli armeni in quei giorni di settembre.
La seconda, che è in parte conseguenza della prima, è la migrazione di molti armeni di Turchia verso la Germania, all’interno della vicenda più nota dei Gastarbeiter. Una minoranza nella minoranza dunque che, al pari di quella curda, che ha trovato in Germania la possibilità di riscoprire e coltivare un’identità che per lungo tempo, a causa del nazionalismo turco, era stata di forza rimossa.
Ricordo ancora con sorpresa come, chiedendo ad un amico, Diradur Sardaryan, pastore apostolico armeno del Baden-Württemberg, quale fosse l’origine e provenienza della sua comunità, questi iniziasse il suo racconto parlando dei lavoratori turchi arrivati a Stoccarda a partire dal 1961. Una storia nota e famigliare, per noi italo-tedeschi, che abbiamo condiviso lo stesso destino. A appena pochi anni da quel pogrom, molti armeni ne approfittarono per fuggire da una Turchia considerata, non a torto, ancora ostile alle minoranze.
Pagine importanti, raccontate con una penna che non cerca facili ammiccamenti ed è estranea a ogni indulgere sulla violenza. Per la nostra generazione, che ha conosciuto le grandi tragedie del Novecento in primis grazie alle riduzioni hollywoodiane, non è una cosa scontata. Ricordo ancora la prima lettura di Primo Levi, che mi colpì nella pacatezza e nel distacco con cui affrontava, da un punto di vista narrativo, l’esperienza di Auschwitz. Il tutto, sia detto per inciso, a vantaggio della potenza del racconto. Ebbene, Cwiertnia arriva da questa linea ormai minoritaria, lontana da facili effetti ed emozioni, e per questo capace ancora di scavarci dentro – e non si potrebbe immaginare cosa migliore.

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Resoconto e immagini | Sulle tracce degli armeni a Salerno e in Italia (Arcidiocesi di Salerno (05.06.24)

Di seguito il resoconto e le immagini dell’evento del 25 maggio scorso, quando si è tenuta la presentazione de “L’antica iscrizione del Duomo di Salerno: sulle tracce degli armeni a Salerno e in Italia”, iniziativa volta a valorizzare l’incisione in lingua armena che si trova sullo stipite sinistro della porta centrale della Cattedrale di Salerno, organizzata dall’Ufficio Cultura e Arte dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, in collaborazione con la Fondazione Alfano I. 


SEGNI DI UN CAMMINO: L’ANTICA ISCRIZIONE DEL DUOMO DI SALERNO

L’iniziativa dell’Ufficio Cultura e Arte verso il Giubileo

Dar voce al patrimonio storico e culturale cristiano del nostro territorio è tra gli obiettivi principali del servizio pastorale offerto dall’Ufficio Cultura e Arte. L’iniziativa realizzata il 25 maggio scorso – giorno importante per la chiesa salernitana, che celebra il “suo” san Gregorio VII – è stata concepita per restituire ufficialmente alla comunità ecclesiale e cittadina un elemento a dir poco significativo del suo legame storico e spirituale con la figura apostolica di san Matteo. Inoltre, sul piano del turismo, risulta estremamente interessante focalizzare l’attenzione del visitatore su un particolare tanto evidente quanto, finora, per nulla considerato. Stiamo parlando dell’iscrizione posta sullo stipite sinistro della cornice lapidea del portale mediano della nostra cattedrale, recante un messaggio profondamente personale e diretto, scritto in lingua armena. Impressa nel marmo dall’epoca medioevale, l’incisione è stata oggetto, nel tempo, di approfondimenti da parte di diversi studiosi, tra cui ricordiamo il noto archeologo gesuita Raffaele Garrucci (1812-1885).

L’Ufficio Cultura e Arte ha affidato una nuova analisi del testo al professor Matteo Crimella, docente di Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano) e studioso di lingua armena, già ospite delle Giornate Matteanedi Salerno, occasione in cui il biblista ha potuto notare l’iscrizione e osservarla da vicino. La traduzione, al termine del suo studio, risulta essere precisamente la seguente: «Santo Apostolo, abbi pietà dell’anima di Daniele e di me pellegrino. Amen». Dunque, evidentemente, il soggetto autore del messaggio è un pellegrino che si trovava a Salerno per venerare le reliquie dell’apostolo Matteo.

 

Un evento in due momenti: inaugurazione e conferenza

L’evento del 25 maggio si è sviluppato in due momenti, nell’arco della mattinata. Il primo si è svolto dinnanzi all’iscrizione, spiegando e raccontando il contenuto al pubblico presente. È stato presentato il pamphlet bilingue curato dall’Ufficio Cultura e Arte, pubblicato dall’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno con il patrocinio morale della Fondazione Alfano I. Il titolo è “Segni di un cammino. L’antica iscrizione sul portale del Duomo di Salerno” (ora disponibile presso la biglietteria del Duomo). Il nostro arcivescovo, Mons. Andrea Bellandi, contestualmente, ha scoperto e inaugurato il piedistallo descrittivo realizzato dall’Ufficio Cultura e Arte, dotato di doppio QRCODE, in italiano ed inglese, che rimanda al testo dell’opuscolo.

Il secondo momento ha avuto luogo in cattedrale, dove l’ospite d’eccezione, Mons. Levon Zekiyan, Arcieparca di Costantinopoli degli Armeni, ha tenuto la conferenza dal titolo “Sulle tracce degli armeni a Salerno e in Italia”. Già docente di Lingua e Letteratura armena all’Università Ca’ Foscari di Venezia (insegnamento da lui fondato nel 1976), docente di Teologia e Spiritualità della Chiesa armena al Pontificio Istituto Orientale di Roma e Consultore della commissione speciale di studi sull’Oriente Cristiano presso la Congregazione per le Chiese orientali, Mons. Zekiyan è autore di numerosi, importanti saggi storici sul popolo armeno, tra cui si rammentano Gli Armeni in Italia (1990) e I processi formativi della coscienza d’identità dell’Armenia Cristiana e l’emergere di una chiesa etnica (2004). La sua presenza all’evento culturale di Salerno e l’elogio espresso personalmente agli autori dell’opuscolo pubblicato giungono come una soddisfacente conferma della validità del lavoro portato a termine e della serietà nell’offerta culturale diocesana.

 

Giubileo è cultura

L’iniziativa ha voluto mettere in luce l’aspetto del pellegrinaggio di fede, insito in quel messaggio impresso sul marmo da un cristiano del medioevo in cerca di salvezza e pace. Passato e presente si ritrovano, così, uniti nella dimensione di “popolo in cammino”, caratteristica di tutta la storia della fede, a partire dall’esperienza biblica.

Il Giubileo del 2025, con il suo motto Peregrinantes in Spem, ci invita a intraprendere il grande pellegrinaggio ecclesiale nel segno della grazia divina e della “speranza che non delude”, poiché risiede in Cristo Risorto, nostro Salvatore. La speranza possiede caratteristiche universali: Tutti sperano, nessuno escluso, come è stato spesso ribadito nell’ambito dell’imminente evento giubilare.

L’iniziativa del 25 maggio, attraverso la valorizzazione dell’iscrizione armena, ha dato risalto proprio all’aspetto del cammino nella speranza, rispondendo alle attese del Giubileo in merito al coinvolgimento attivo delle chiese particolari nelle attività pastorali culturali[1]. Inoltre, la pubblicazione dell’opuscolo bilingue e la collocazione del piedistallo descrittivo donano un grande supporto al turismo culturale e religioso, favorendo l’impegno per la realizzazione di una cultura dell’incontro, che mostri l’importanza di sentirsi una sola grande famiglia di nazioni, unita dal desiderio di conoscenza reciproca e di bene comune. Come espresso dal Dicastero per l’Evangelizzazione sul tema “Turismo e pace”: «lo scambio culturale tra i popoli, che trova nel turismo una sua forma privilegiata, si può trasformare anche in un concreto impegno per la pace»[2].

 

Lorella Parente
Direttrice Ufficio Cultura e Arte

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Misteriose sepolture prestoriche scoperte in Armenia (Scienze Notizie 05.06.24)

Un team internazionale di ricercatori ha portato alla luce i resti di una donna adulta e di due bambini sepolti sotto un monumento di basalto noto come pietra del drago nel sito di Lchashen in Armenia .

Le pietre del drago, “pietre del serpente” o Vishapakar sono stele preistoriche di basalto scolpite con immagini di animali, trovate prevalentemente in Armenia e nei suoi dintorni. Il loro nome deriva dall’antico folklore armeno e nessuno sa veramente perché siano chiamate Pietre del Drago. Ne sono stati documentati circa 150. Più di novanta nella Repubblica d’Armenia, i restanti in zone limitrofe. Variano in altezza da circa 150 a 550 cm. Gli archeologi hanno identificato tre tipi di pietre del drago: quelle con incisioni che ricordano i pesci (piscis); quelli che somigliano a resti di bovidi, come capre, pecore, mucche, ecc. (vellus); e pietre del drago ibride, che combinano i due tipi. La scoperta a Lchashen offre una nuova prospettiva, poiché la stele alta tre metri e mezzo con l’immagine di un bue sacrificato (tipo vellus) è stata ritrovata sopra una sepoltura risalente al XVI secolo a.C. Uno dei siti archeologici più significativi dell’Armenia, Lchashen è noto per la sua profusione di manufatti dell’età del bronzo. Gli scavi di questo sito hanno portato alla luce molti manufatti, tra cui intricate strutture funerarie, strumenti metallici e ceramiche. Questo è, tuttavia, il primo caso di sepoltura scoperta in prossimità di una pietra del drago, cosa insolita visti i contesti funerari regionali. Questo legame tra la sepoltura dei bambini e un monumento molto stimato solleva la possibilità di un significato rituale o simbolico attualmente poco chiaro. La pietra fu scoperta nel 1980. Dopo un primo esame della pietra in situ, essa e altri materiali scavati dal luogo di sepoltura furono trasportati alla Riserva-Museo Storico-Archeologico di Metsamor. Conteneva artefatti, ossa di animali e resti di uno scheletro umano (che si ritiene fosse quello di una donna adulta). Sfortunatamente, le ossa della donna sono ormai scomparse. Secondo quanto riferito, furono inviati in Russia negli anni ’80 per ulteriori esami e da allora non sono più stati ritrovati. Ma rimangono le ossa dei due neonati, conosciuti come Dragon1 e Dragon2. Non venivano nemmeno menzionati nelle prime pubblicazioni su questo tumulo. I due bambini, di età compresa tra 0 e 2 mesi, avevano resti ben conservati. Le analisi del DNA antico su questi resti hanno mostrato che si trattava di parenti di secondo grado con sequenze mitocondriali identiche, indicando una stretta relazione. I profili genetici degli antenati di queste persone hanno rivelato anche punti in comune con altri popoli dell’età del bronzo della zona, offrendo importanti spunti sulla composizione genetica delle popolazioni preistoriche del Caucaso.

Questa scoperta ha molteplici implicazioni. In primo luogo, il collegamento tra le sepolture e le pietre del drago solleva la possibilità che questi monumenti servissero a uno scopo diverso dalla decorazione o dal ricordo, come rituale o funerario. Come spiegano i ricercatori: “L’evento previsto dalla sepoltura è comunque eccezionale, sia dal punto di vista genetico che dal punto di vista archeologico. Nell’Armenia della tarda età del bronzo in generale e a Lchashen in particolare, le sepolture di bambini sono rare e la sepoltura di due neonati combinata con una stele monumentale è unica”. Le stele venivano talvolta usate per contrassegnare le tombe nel Caucaso meridionale, ma nessuna delle 454 tombe dell’età del bronzo scavate a Lchashen era contrassegnata da alcun tipo di stele, hanno scritto i ricercatori nel loro articolo. Solo questa tomba era contrassegnata da una pietra di drago. La presenza di resti infantili sotto un simile monolite solleva anche interrogativi sulle pratiche funerarie e sulle credenze legate alla morte e all’aldilà nella società dell’età del bronzo in Armenia.

Lo studio è pubblicato sul Journal of Archaeological Science: Reports

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ARMENIA-ISRAELE: STORIA DI UN RAPPORTO TESO E DIFFICILE (Iari 05.06.24)

Sin dalla sua indipendenza, l’Armenia ha sviluppato un rapporto particolare con Israele. Le cause sono diverse e continano a essere fonti di tensioni.

Storia delle relazioni diplomatiche tra i due paesi

In seguito alla disgregazione dell’URSS, l’Armenia ha stabilito ufficialmente le proprie relazioni diplomatiche con Israele il 4 aprile 1992. Dal 1993 al 2007 l’ambasciata israeliana in Georgia ha assolto il compito di ambasciata in Armenia, e dal 2007 in poi l’ambasciata è stata spostata a Gerusalemme. Analizzando il corso delle relazioni tra i due paesi si è notato, negli anni, un progressivo deterioramento.

La questione del Nagorno-Karabakh

Un ruolo di grossa rilevanza è stato giocato dalla guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 in cui ha partecipato l’Armenia, sostenendo la repubblica dell’Artsakh, contro l’Azerbaijan.

Le tensioni in questa area tra Armenia ed Azerbaijan risalgono al 1992, quando scoppiò un conflitto in questa regione, ufficialmente parte dell’Azerbaijan ma abitata etnicamente per la maggioranza da armeni. La guerra terminò nel 1994 con l’accordo di Bishkek in cui entrambe le parti accettarono l’entrata in vigore di un cessate il fuoco. Tuttavia, non fu trovato un vero accordo di pace e tuttora non ne esiste uno tra i due paesi. Il risultato è stato il costituirsi della “Repubblica dell’Artsakh”, sostenuta diplomaticamente e militarmente dall’Armenia. L’Azerbaijan, invece, ha continuato a riconoscere il Nagorno-Karabakh come parte integrante del proprio territorio. La questione assunse le caratteristiche di un conflitto congelato, destinato a esplodere nuovamente a più riprese nei decenni successivi.

Israele in questo conflitto ha giocato un ruolo non indifferente, sostenendo militarmente l’Azerbaijan. È possibile notare, infatti, che nel decennio 2011-2020 si è registrato un incremento del 27% dell’export di armi verso l’Azerbaijan. In particolare, nel periodo 2016-2020 Israele è risultato essere il maggiore esportatore di armamenti verso l’Azerbaijan (69%), utilizzati dall’Azerbaijan nel conflitto del 2020 con la Repubblica dell’Artsakh e negli scontri di frontiera avvenuti con l’Armenia. Nel 2023 sono stati registrati dei voli dalla base militare israeliana di Eilat diretti all’aeroporto di Baku. Il sostegno di Israele all’Azerbaijan non è passato inosservato in Armenia che ha richiamato nel 2020 l’ambasciatore israeliano, chiedendo spiegazioni riguardanti la vendita di armamenti all’Azerbaijan. Inoltre, il presidente della repubblica dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, in quel periodo ancora sostenuta militarmente e diplomaticamente dall’Armenia, accusò Israele di essere complice del genocidio messo in atto dall’Azerbaijan contro gli armeni del Nagorno-Karabakh.

I fattori Iran e Turchia

Le relazioni tra i due paesi sono state anche influenzate da due attori che hanno grossi interessi nella zona: Iran e Turchia.

L’Iran, infatti, ha ottimi rapporti con l’Armenia sia culturali che economico-commerciali. L’Iran sostiene l’Armenia perché dalla sua prospettiva una possibile vittoria dell’Azerbaijan potrebbe scatenare un desiderio irredentista nella minoranza azera (16% della popolazione) che vive all’interno del paese. Ciò potrebbe avere come conseguenza una ribellione nella regione dell’Azerbaijan orientale in prospettiva di un’unificazione con la “patria” azera. Il sostegno iraniano all’Armenia spinge per questa ragione Israele a sostenere l’Azerbaijan poiché l’Iran è il nemico numero uno(ricambiato). Avere come alleato l’Azerbaijan non solo è stato ed è anche anche adesso utile ad Israele per premere sull’Iran, ma gli ha dato la possibilità, in questi anni, di poter effettuare operazioni di intelligence anti-iraniane dall’interno dell’Azerbaijan. Ciò è dimostrato dal fatto che, in cambio degli armamenti israeliani, l’Azerbaijan ha concesso ad Israele delle basi operative in cui stabilire la propria presenza per possibili operazioni dei servizi segreti israeliani.

Anche la Turchia gioca un ruolo non indifferente nei rapporti tra i due paesi. Attualmente, uno delle principali problematiche che intercorrono tra Armenia e Turchia è la questione del genocidio armeno. La questione rimane una ferita profonda nella memoria armena, mentre la Turchia ne nega l’esistenza. Sul sito del Ministero degli Esteri turco è possibile consultare un documento in cui è spiegato il punto di vista turco sulla questione del genocidio e le motivazioni per cui non lo riconosce ufficialmente. Questa posizione ha anche influenzato i rapporti tra Israele ed Armenia, a causa della decisione della Knesset (parlamento israeliano) di non riconoscere ufficialmente il genocidio per non incrinare i rapporti economici, diplomatici e di interesse che intercorrono tra i due paesi. Tra questi, un dossier molto importante per Israele è la Siria, nella quale tra i diversi attori coinvolti c’è anche la Turchia. Avere problemi con essa potrebbe ostacolare le operazioni militari che Israele ha tenuto in questi anni in Siria. Tuttavia, recentemente, sulla questione del genocidio è parso esserci un cambio di traiettoria da parte di Israele, che sembra più propenso a riconoscerlo. La motivazione di questo cambiamento è dovuta, però, al fatto che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato recentemente che avrebbe mandato tutti i documenti necessari alla Corte Internazionale di Giustizia per supportare l’accusa di genocidio che pende su Israele.

La questione palestinese e la situazione della diaspora armena

I recenti avvenimenti del 7 ottobre 2023, il lancio di un’operazione militare da parte di Hamas e la conseguente risposta militare di Israele possono aver influito sulla decisione dell’Armenia di votare a favore della risoluzione ONU ES-10/21 in cui si richiedeva, tra i tanti punti, ad Israele di cessare le operazioni militari nella striscia di Gaza e di adempiere ai suoi obblighi umanitari ed internazionali. Anche il sostegno israeliano all’Azerbaijan potrebbe aver giocato un ruolo nel prendere questa decisione. Altre motivazioni potrebbero essere: il timore di ciò che potrebbe comportare l’operazione militare a Gaza e i problemi che sta vivendo in Cisgiordania la minoranza armeno-palestinese, all’interno del quartiere armeno di Gerusalemme (territorialmente parte della Cisgiordania). Le recenti tensioni che si sono verificate tra i coloni israeliani e gli armeni “palestinesi” non danno buoni segni.

Possibile evoluzione dei rapporti tra i due paesi

Le premesse iniziali, dei rapporti tra i due paesi, sembravano buone ma non sono andate come ci si aspettava. È probabile che in futuro la situazione non migliori e che l’Armenia decida di intraprendere azioni più dure nei confronti di Israele. Ad esempio, ci potrebbe essere una presa di posizione netta contro Israele con una condanna in sede ONU oppure una rottura dei rapporti diplomatici o anche con un ulteriore avvicinamento all’Iran, per esempio, ospitando forze militari iraniane all’interno delle sue basi militari tramite accordi ufficiali tra i due paesi.

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Sono scemo a confidare che sia l’Europa a salvare l’Armenia dai piani turco-azeri? (Tempi 05.06.24)

 

Mi appare improvvisamente, datato 20 maggio, un messaggio su X. È firmato, in inglese, dall’appena insediato nella sua sede caucasica Luca Di Gianfrancesco, e non vi offenderete se fornisco la traduzione dettata da Google alla mia ignoranza molokana: «Sono orgoglioso di servire il nostro paese come ambasciatore d’Italia a Baku. Ambasciata e Ice (Istituto Commercio estero) lavoreranno insieme per rafforzare le relazioni tra Italia e Azerbaigian in tutti i settori di interesse comune per costruire ponti tra i due paesi».

Per prima cosa gli affari? Non sono tanto ingenuo da non sapere come funzionano le cose del mondo. Le cose del mondo sono i “ponti” costruiti sul traffico delle merci, gas e tecnologie, e va bene. Ma le cose mondo sono soprattutto le persone, la loro libertà, il diritto di vivere nella loro terra senza esserne strappate via come animali infetti. Per lasciare spazio a forniture che aumenteranno forse il Pil ma se comportano …

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«Berna deve sostenere la società civile iraniana e gli armeni del Nagorno Karabakh» (Bluewin.ch 04.06.24)

La Svizzera deve sostenere la società civile iraniana nella lotta per i diritti delle donne e i diritti umani e aiutare quella armena in seguito al conflitto scoppiato nel Nagorno Karabakh.

È quanto chiede il Consiglio nazionale che ha approvato oggi due atti parlamentati in materia depositati dalla sua Commissione di politica estera.

Iran

Per quanto riguarda l’Iran, con 117 voti contro 62 e 5 astenuti, la Camera del popolo ha accolto una mozione in una versione modificata dagli Stati che chiede un sostegno alla società civile nella lotta per i diritti umani e delle donne, ma non vuole la ripresa integrale delle sanzioni dell’Unione europea (Ue) contro il regime di Teheran. Gli Stati avevano fatto altrettanto in settembre.

In un primo tempo, il Nazionale – contro il parere del Consiglio federale – avrebbe voluto che la Svizzera riprendesse tutte le sanzioni decise dall’Ue contro il regime iraniano. Ma la Camera dei Cantoni ha poi attenuato il testo nella sua forma accolta oggi anche da quella del popolo.

Il Parlamento chiede al Consiglio federale di adottare misure, «ragionevoli e appropriate», per sostenere la società civile iraniana. La situazione delle donne e dei diritti umani in Iran è catastrofica, ha dichiarato Fabian Molina (PS/ZH) a nome della commissione.

Il socialista zurighese fatto riferimento alla morte, nel settembre 2022, di Mahsa Amini, una giovane donna curda che ha perso la vita dopo essere stata arrestata per aver violato il codice di abbigliamento. La sua morte ha provocato manifestazioni su larga scala, che sono state represse con spargimento di sangue.

Svizzera ha ruolo di potenza protettrice

Oggi l’UDC si è opposta invano alla mozione. Le donne in Iran sono innegabilmente discriminate e torturate. Ma la Svizzera svolge un ruolo speciale, grazie al suo mandato di potenza protettrice e al suo statuto di Paese neutrale, ha dichiarato Monika Rüegger (UDC/OW). Ma il plenum non l’ha seguita.

Anche il consigliere federale Ignazio Cassis si è detto favorevole al testo nella sua forma modificata. È proprio per non compromettere il ruolo di Berna quale potenza protettrice, che si deve rinunciare alla seconda richiesta della mozione, ossia quella di riprendere interamente le sanzioni dell’Unione europea contro membri del regime iraniano.

La situazione in Iran rimane critica, ha riconosciuto il ministro degli Esteri, e il numero di incarcerazioni ed esecuzioni è in aumento. Nell’attuale contesto, qualsiasi sostegno diretto alle organizzazioni della società civile attive nel campo dei diritti umani le espone a rischi significativi di rappresaglie, non ha nascosto il ticinese.

Nagorno Karabakh

Il secondo atto parlamentare, un postulato – adottato tacitamente -, chiede al Governo di redigere un rapporto che indichi quali misure Berna può intraprendere per contribuire alla liberazione dei prigionieri di guerra armeni ancora detenuti in Azerbaigian e ottenere garanzie per la sicurezza di quelli rimasti nel Nagorno Karabakh.

La Confederazione è anche invitata a fornire sostegno agli oltre 100’000 cittadini armeni originari del Nagorno Karabakh «che sono stati costretti a rifugiarsi in Armenia e che si ritrovano in una situazione precaria con poco aiuto internazionale», afferma il testo del postulato.

Nella sua presa di posizione, il Consiglio federale – che raccomandava l’adozione del postulato – ricorda come la Svizzera sia presente da tempo nella regione. Il nostro Paese finanzia inoltre le operazioni in Armenia e Azerbaigian del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), che si occupa in particolare della questione dei prigionieri e fornisce sostegno alle persone rimaste in loco.

Con l’adozione del presente postulato, il Consiglio nazionale ha parzialmente dato seguito a una petizione del «Comité Suisse-Karabagh», che chiedeva, oltre all’invio di aiuti umanitari, anche il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione degli Armeni del Nagorno-Karabakh e una sanzione economica e diplomatica dell’Azerbaigian per i crimini di guerra commessi.

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LA SVIZZERA DEVE SOSTENERE LA SOCIETÀ CIVILE IRANIANA E GLI ARMENI DEL NAGORNO KARABAK (Ticinonews)


CN: sostenere società civile iraniana e armeni del Nagorno Karabakh (Swissinfo)

Scintille fra Baku e Parigi (Osservatorio Balcani e Caucaso 03.06.24)

Incrinati con la guerra per il Nagorno Karabakh, i rapporti tra Azerbaijan e Francia si sono ulteriormente deteriorati dopo la rinnovata cooperazione militare tra Armenia e Francia. E ora Parigi accusa Baku di approfittare della crisi in Nuova Caledonia per interferire negli affari francesi

03/06/2024 –  Marilisa Lorusso

I rapporti Baku-Parigi hanno conosciuto un progressivo deterioramento sullo sfondo della riconquista del Karabakh, ma anche del quadro più grande e complesso dei rapporti Ankara-Parigi. Se questo ultimo capitolo meriterebbe una trattazione a sé stante, per il primo va ricordato che la Francia era uno dei co-mediatori del Gruppo di Minsk, di cui oggi il presidente azero Ilham Aliyev chiede a gran voce il formale scioglimento.

Dall’inizio della guerra nel 2020, e nei tre anni che hanno segnato la progressiva scomparsa del Nagorno Karabakh, l’Eliseo ha sollecitato l’accesso libero delle organizzazioni umanitarie alle aree colpite dal conflitto e ha insistito sulla necessità di una forza di interposizione e sul dialogo tra secessionisti armeni e Baku.

La Francia ha dimostrato il suo impegno nel dispiegamento della missione civile di monitoraggio dell’Unione Europea in Armenia. Nonostante il nervosismo dell’Azerbaijan per il supporto francese a Yerevan, Parigi ha cercato di mantenere un ruolo negoziale.

Tuttavia, le relazioni tra Parigi e Baku sono tali da aver reso impraticabile una triangolazione negoziale. Nel 2023 si è tenuto un unico incontro esplorativo a cinque (Baku, Yerevan, Bruxelles, Berlino e Parigi), ma l’Azerbaijan ha poi rifiutato di partecipare al vertice di Granada, riducendo il formato a quattro, e in qualsiasi altro formato che prevedesse la presenza francese.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il lancio della cooperazione militare Yerevan-Parigi: l’Armenia è passata dall’acquistare il 90% delle proprie armi dalla Russia a meno del 10%: dopo la debacle militare del Karabakh, con armi pagate alla Russia e mai arrivate, Yerevan si è attivata per differenziare i propri fornitori, e fra questi c’è la Francia.

A febbraio, per la prima volta nella storia, un ministro della Difesa francese  si è recato a Yerevan e fra i recenti contratti c’è la vendita del radar Ground Master.

I radar Ground Master, che rilevano varie minacce aeree compresi i droni, hanno diverse portate: il GM 400 Alpha 500 chilometri e il GM 200 250-350 chilometri. L’Armenia ha comprato tre GM 200. Il produttore Thales, di proprietà dello Stato francese e di Dassault Aviation, è il principale in Europa  e si colloca al terzo posto a livello mondiale dietro Lockheed Martin e Raytheon.

Il nervosismo azero sta aumentando esponenzialmente e Baku ha aperto un fronte di guerra verbale a tutto campo contro la Francia, in ogni forum e in ogni occasione, accusando Parigi di colonialismo e promuovendo una campagna di decolonizzazione contro di essa.

Nuova Caledonia, ma non solo

Come riportato da tutte le principali testate mondiali, una crisi sta attraversando la Nuova Caledonia, collettività francese d’oltremare che è passata sotto il controllo di Parigi dal 1853.

Dopo una serie di referendum che hanno sempre visto sempre visto sconfitte le forze indipendentiste, anche a causa del loro reiterato boicottaggio del voto, una riforma elettorale nell’isola nell’Oceano Pacifico sudoccidentale ha infiammato le strade, con conseguente dichiarazione dello stato di emergenza e l’intervento dell’esercito in questi giorni.

Non è la prima volta che la questione dell’indipendenza assume la forma di lotta violenta, ma è la prima volta che l’Azerbaijan è coinvolto.

A gennaio un giornalista azero è stato arrestato in Nuova Caledonia. Ad aprile il parlamento azero ha firmato un memorandum  di cooperazione con il corrispondente congresso della Nuova Caledonia. Il ministro francese degli Interni e dei Territori d’Oltremare Gérald Darmanin, ha descritto le azioni dell’Azerbaijan come “un’interferenza estremamente dannosa”.

Con l’inizio della sommossa, il Gruppo che si occupa a Baku delle questioni dei territori d’Oltremare francesi ha rilasciato una dichiarazione di condanna dell’operato di Parigi.

Gérald Darmanin ha ribadito  le sue accuse di interferenza azera negli affari francesi e aggiungendo: “L’Azerbaijan sta cercando di utilizzare la questione caledoniana (…) per rispondere alla difesa degli armeni e al massacro degli armeni da parte del potere azero. (…) Questi ‘protocolli politici’ firmati tra alcuni rappresentanti separatisti e la dittatura azera non sono ovviamente possibili nel senso politico del termine, e non sono nemmeno moralmente accettabili (…). È deplorevole che alcune figure separatiste vedano l’Azerbaijan come un’ancora di salvezza. Questo accordo solleva interrogativi sul profondo desiderio di un certo numero di gruppi che hanno preso l’Azerbaijan come modello politico – che non deve essere quello che dovrebbe svilupparsi in Nuova Caledonia”.

Il Ministero degli Esteri azero ha definito tali dichiarazioni “del tutto inaccettabili”. Il 21 maggio la senatrice francese Valérie Boyer ha twittato  a favore del congelamento dei beni azeri in Francia, come precedentemente votato dal Senato nel 2022, e ha suggerito che tali beni fossero utilizzati per riparare significativi danni materiali in Nuova Caledonia. Ha anche chiesto la solidarietà dell’Unione europea taggando Ursula von der Leyen nel suo messaggio.

Ma non c’è solo la Nuova Caledonia nel mirino di Baku. È stato formato anche un gruppo di supporto del parlamento azero per i Corsi, poiché Baku ha anche ingaggiato una campagna  per l’indipendenza della Corsica e lo stesso presidente Aliyev ha ricordato in svariate occasioni la questione corsa.

E il 30 maggio scorso il Milli Majlis (parlamento azero) ha ospitato una conferenza dal titolo “Il diritto alla decolonizzazione della Polinesia francese: sfide e prospettive”  alla presenza di una delegazione composta da membri dell’Assemblea della Polinesia francese e da rappresentanti del partito indipendentista “Tavini huiraatira” (che ha vinto 38 dei 57 seggi dell’Assemblea della Polinesia francese durante le elezioni legislative dell’aprile 2023)

Francesi in Azerbaijan

Contestualmente all’aumento della tensione fra Baku e Parigi cambiano anche le condizioni per la presenza francese in Azerbaijan.

Fra dicembre e gennaio una “rete di spionaggio francese” è finita nel mirino delle autorità di Baku, e due diplomatici francesi  sono stati dichiarati persona non grata ed espulsi dal paese, misura poi reciprocata da Parigi  con due funzionari azeri.

Legato a questa accusa di spionaggio è l’arresto dell’imprenditore francese Martin Ryan  che operava a Baku ed era peraltro grande sostenitore della cooperazione con l’Azerbaijan.

Ryan è da dicembre nelle carceri del paese, e nonostante i tentativi dell’Eliseo di ottenerne la scarcerazione la sua detenzione, ad aprile, è stata prolungata di altri 4 mesi  .

Nello stesso mese è stato reso noto che la scuola di lingua francese di Baku  , il Bakı Fransız Liseyi, interromperà le sue attività. Fondata nel settembre 2013 per fornire istruzione agli stranieri francofoni e agli azeri che desiderano studiare il francese, la scuola attualmente conta 200 studenti.

Una lettera è stata inviata ai genitori degli studenti a nome della direzione per rendere noto che l’istruzione continuerà fino a fine anno scolastico, ma il liceo non sarà operativo dalla ripresa delle lezioni dopo le vacanze estive.

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“L’Isola Armena a Venezia: San Lazzaro degli Armeni, un Tesoro Culturale nell’Incanto della Laguna”. Recensione a cura di Alessandria today (Italianewsmedia 02.06.24)

L’Isola Armena di San Lazzaro degli Armeni, sospesa tra l’arte e la storia nella laguna di Venezia, è il fulcro di un patrimonio culturale straordinario, narrato con maestria nel resoconto appassionato e informativo che s’intitola “L’Isola Armena a Venezia.”

Grazie a questo libro, il lettore è trasportato attraverso i secoli, dall’epoca dei benedettini di Sant’Ilario alla sua trasformazione in lebbrosario, rifugio per i poveri e accogliente dimora per i domenicani espulsi da Creta. Tuttavia, è il Settecento che segna un punto di svolta cruciale quando la Repubblica di Venezia concede l’isola a un gruppo di monaci armeni in fuga da Modone, nel Peloponneso.

La figura chiave di Mechitar, sepolto nella chiesa dell’isola, emerge come un architetto fondamentale della rinascita della letteratura armena e del rafforzamento della comunità di San Lazzaro. Il suo contributo alla restaurazione del monastero e alla creazione di una biblioteca indipendente, oltre all’istituzione di una tipografia, è raccontato con eloquenza.

San Lazzaro, durante l’invasione napoleonica, resta inviolata grazie al suo status di accademia di scienze, conferendole protezione imperiale. La narrativa si snoda attraverso i corridoi della pinacoteca, del museo e della biblioteca, custodi di oltre 170.000 volumi, tra cui 4.500 manoscritti. Il legame con il resto del mondo si manifesta in reperti archeologici, dipinti e persino una mummia egizia dell’800 a.C., arricchendo l’isola di una varietà di tesori.

Il libro presenta anche il prezioso lavoro dei monaci, custodi di roseti che danno vita a una marmellata speciale, la vartanush, tramite una ricetta armena. La descrizione dei dettagli culinari aggiunge un tocco di autenticità e connessione con la vita quotidiana sull’isola.

In conclusione, “L’Isola Armena a Venezia” è una guida appassionante e dettagliata attraverso uno dei gioielli culturali della laguna di Venezia. Un viaggio che porta i lettori a immergersi nella storia, nell’arte e nella spiritualità di San Lazzaro degli Armeni, evidenziando l’importanza di preservare e celebrare il ricco patrimonio dell’isola.

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La commissaria Simson elogia il regime di Aliyev, PPE: “Preoccupazione per diritti umani”. (Sardegnagol 02.06.24)

La Commissione europea continua a imbarazzare l’Unione europea attraverso le dichiarazioni dei suoi commissari. A cadere sotto la lente del Parlamento europeo, recentemente, l’intervento della commissaria per l’Energia Kadri Simson tenuto in occasione della sessione inaugurale del Consiglio consultivo del corridoio meridionale del gas.

Un discorso, come ricordato dalle eurodeputate del Partito Popolare Europeo, Anja Haga e Miriam Lexmann, nel corso del quale l’esponente della Commissione von der Leyen si è congratulata con il presidente Aliyev dell’Azerbaigian per la sua rielezione, definendo l’Azerbaigian un partner fidato che ha il pieno sostegno dell’Unione Europea.

Dichiarazioni improbabili, secondo le due eurodeputate del PPE: “Il Parlamento ha recentemente e ripetutamente espresso la sua preoccupazione per la situazione dei diritti umani in Azerbaigian e per le politiche aggressive del regime azero contro l’Armenia, che hanno portato anche alla pulizia etnica della regione del Nagorno-Karabakh dal settembre 2023″.

Condotte, recentemente, che hanno portato gli stessi eurodeputati/e a chiedere attraverso una risoluzione, approvata con 491 voti favorevoli, 9 contrari e 36 astensioni, una revisione delle relazioni dell’Ue con l’Azerbaigian e la sospensione dei negoziati sul partenariato Ue-Azerbaigian e sull’attuale protocollo d’intesa energetico con Baku. Il Parlamento, infatti, ha invitato l’UE a intraprendere una revisione globale delle sue relazioni con Baku e a ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di gas azero e, in caso di aggressione militare o attacchi ibridi contro l’Armenia, a bloccare completamente le importazioni dell’Ue di petrolio e gas dall’Azerbaigian: “Sviluppare un partenariato strategico con un Paese come l’Azerbaigian – ricordano dal Parlamento europeo – che viola palesemente il diritto internazionale e gli impegni internazionali e ha un allarmante record in materia di diritti umani, è incompatibile con gli obiettivi della politica estera dell’Ue”.

Altro che pieno sostegno dell’Unione al Paese caucasico come dichiarato dalla Kadri Simson. Esponente, alla luce della recente fuga degli armeni dal Nagorno-Karabakh, le cui affermazioni condivise nel corso del Consiglio consultivo del corridoio meridionale del gas di marzo 2024 non possono che confermare un notevole livello di disagio e di incorerenza della Commissione verso il tema dei diritti umani.

Diritti, come dichiarato in una nota del Parlamento europeo, che sono stati violati per gli oltre 100mila armeni costretti a fuggire dall’enclave dopo l’ultima offensiva azera. Un esodo forzato, secondo la risoluzione del Parlamento europeo, sul quale bisogna indagare per approfondire sugli abusi commessi dalle truppe azere che potrebbero costituire crimini di guerra.

“Esprimendo una seria preoccupazione per le dichiarazioni irredentiste e provocatorie del presidente Ilham Aliyev e di altri funzionari azeri che minacciano l’integrità territoriale dell’Armenia, gli eurodeputati mettono in guardia Baku da ogni potenziale avventurismo militare e chiedono alla Turchia di frenare il suo alleato, condannando, inoltre, il coinvolgimento della Turchia nell’armamento dell’Azerbaigian e il suo pieno sostegno alle offensive di Baku sia nel 2020 che nel 2023”, si legge ancora nella nota del Parlamento europeo. Uno statement decisamente in contrasto con il presunto “pieno sostegno dell’Ue all’Azerbaigian” dichiarato dalla Kadri Simson.

Commissione europea che ha però dichiarato di aver ripetutamente invitato l’Azerbaigian a rispettare i propri obblighi internazionali, criticando inoltre la detenzione di oppositori politici e giornalisti”, come dichiarato dall’Alto Rappresentante dell’Ue Josep Borrell.

“L’UE – ricorda ancora Borrell – ha invitato l’Azerbaigian a garantire i diritti degli armeni nel Karabakh, compreso il diritto di ritornare alle proprie case senza intimidazioni e discriminazioni”. Al momento, però, in Armenia si sta consumando una importante crisi umanitaria verso la quale poco possono fare le risorse stanziate dall’Ue, circa 17 milioni di euro.

La Commissione europea, sempre per il tramite dell’Alto rappresentante, ha poi avvertito la necessità di ribadire l’importanza dell’accordo energetico con l’Azerbaigian, il Protocollo d’Intesa sull’Energia, per “ridurre la dipendenza dalla Russia” e “diversificare le proprie fonti energetiche”.

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