Centouno poesie capaci di allargare l’orizzonte e gettare ponti tra visioni immaginarie e prospettive reali, in una ricerca continua di sè, priva di qualsiasi indulgenza, capaci di cogliere e cesellare le sfumature dell’amore, della vita, del desiderio, della sconfitta, della disperazione, della felicità. C’è tutta la malinconica tenacia della cultura armena, sopravvissuta al genocidio ottomano e alle costrizioni sovietiche, dentro la raccolta poetica intitolata “Rinascita” curata e tradotta da Mariam Eremian e pubblicata da Fuorilinea (158 pagine, 16 euro). Hovannes Tumanian, Vahan Terian, Razmik Davogan, Parvyr Sevak solo per citare alcuni dei principali esponenti della poetica armena vissuti dalla fine dell’Ottocento fino al 1989, l’anno del crollo dell’impero sovietico che per tanti di loro mise fine ad un oblio imposto dal regime.
Metakse Poghosian, scomparsa nel 2014, nell’anno in cui crollava il Muro di Berlino componeva “Perchè non capiscano”, una poesia carica di fede e speranza. «E’ notte verde tra le braccia dell’abete/ si accendono le luci come stelle/ noi ci guardiamo, sorridiamo latenti/ parliamo con sguardi perchè non capiscano/ neppure ci accorgiamo di come, in silenzio/ si sfiorano in noi Anno Vecchio e Nuovo/ come bambini ci rallegriamo/ con fede raggiante accogliamo quello Nuovo/ E’ notte verde tra le braccia dell’abete/si accendono le luci come stelle/ E’ arrivata la primavera con ali d’inverno/ parliamo con stelle perchè non capiscano!»
INDIFFERENZA
Parvyr Sevak difendeva, invece, la capacità dei poeti di rivendicare la complessità della vita contro il mainstream ormai proiettato verso una dicotomia sempre più rigida, al punto da spaventare.
In un mondo diviso in bianco e nero in cui contano solo due poli soltanto e dove le parole importanti sembrano essere solo si e no” l’artista opta per l’astensione ma non si tratta di indifferenza ma di chi si oppone al conformismo e coglie le sfumature delle situazioni sociali, politiche, umane e senza trascendere dalle circostanze. «Dell’indifferenza sono il nemico/ l’irrequieto intrasigente maniacale rivale/ ma quando migliaia di capi del mondo/ contano solo due poli soltanto/ quando di migliaia di colori del mondo/ funzionano il nero e il bianco soltanto (…) E’ l’astensione che preferisco».
Parvyr Sevak, scomparso nel 1974 e uno dei più rilevanti poeti del XX secolo, scriveva che «prima di essere un genio bisogna essere innanzitutto un uomo, così come prima di essere universale, bisogna essere innanzitutto umano».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-26 14:09:052024-06-27 14:10:40Esce in Italia una raccolta di 101 poesie di poeti armeni riscoperti dopo il crollo dell'Urss (Il Messaggero 26.06.24)
EREVAN\ aise\ – Impegni di stampo culturale, ma anche politico per l’ambasciatore d’Italia a Jerevan, Alfonso Di Riso, che il 17 giugno scorso ha partecipato al pranzo con i capi delle Missioni Diplomatiche dell’Unione Europea in Armenia, offerto dal ministro degli Affari Esteri armeno, Ararat Mirzoyan.
Precedentemente, il 13 e 14 giugno, Di Riso aveva partecipato al convegno intitolato “L’Armenia e gli Armeni nel Medioevo Globale: Testi e Manoscritti”, che si è tenuto presso l’Istituto di Manoscritti Antichi “Matenadaran” di Jerevan. Organizzato in collaborazione con il progetto ArmEn (Armenia Entangled: Connectivity and Cultural Encounters in Medieval Eurasia 9th – 14th Centuries) del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), il convego è stato inaugurato dal discorso di apertura dell’ambasciatore Di Riso.
Sabato 15 giugno, poi, l’ambasciatore Di Riso si è recato in visita presso lo scavo archeologico di Aruch, svolto da ISMEO e dall’Istituto di Archelogia ed Etnografia dell’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica di Armenia. A ricevere l’ambasciatore è stato il Direttore della Missione Archeologica italo-armena, Sergio Ferdinandi. (aise)
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-26 14:03:362024-06-27 14:09:03Gli impegni dell’ambasciatore Di Riso in Armenia (Aise 26.06.24)
Nel luglio 2022, durante l’incontro sul memorandum d’intesa sull’energia a Baku con il Presidente İlham Əliyev, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva salutato il massimo vertice azero indicandolo come un “partner affidabile” dell’Ue.
Uno speech poco in linea con le narrazioni sui diritti e valori tanto pompata dalla Commissione Ue, come ricordato dall’esponente di Identità e Democrazia, Markus Buchheit: “Considerando che 100.000 armeni cristiani sono stati brutalmente sfollati dal Nagorno-Karabakh nell’autunno del 2023 e alla luce delle rinnovate minacce di guerra dell’Azerbaigian, può la Commissione far sapere se il Presidente considera ancora İlham Əliyev un partner affidabile?”.
Per l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, si tratterebbe di un “non problema” essendo il memorandum d’intesa sull’energia firmato il 18 luglio 2022 con l’Azerbaigian coerente con gli sforzi dell’UE fatti per diversificare le proprie fonti energetiche, ridurre la dipendenza dalla Russia e accelerare la diffusione della produzione di energia rinnovabile. Insomma, pecunia non olet dalle parti dell’Esecutivo von der Leyen.
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Dichiarazioni che suggeriscono una certa polivalenza di giudizio dell’Ue verso i cosiddetti regimi nei Paesi terzi. Mentre da oltre due anni, infatti, si continua a promuovere una narrazione della Federazione Russa quale “Stato canaglia”, nel frattempo si utilizza un altro metro di valutazione che, come facilmente rinscontrabile, a ben poco a che vedere con i cosiddetti valori europei.
LEGGI ANCHE:Crisi nel Nagorno-Karabakh, Arvantis: “Rivedere relazioni con l’Azerbaigian”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-25 14:20:102024-06-27 14:23:01Buchheit, “L’Azerbaigian può essere considerato partner affidabile Ue?” (Sardegnagol 25.06.24)
TBILISI – Via dalla Csto, l’organizzazione militare a guida russa. Accordi di pace con l’Azerbaijan costi quel che costi e normalizzazione dei rapporti con la Turchia. Relazioni più salde con le strutture di difesa ed economiche occidentali, fino a ipotizzare persino una richiesta di candidatura all’ingresso nell’Ue. Fuori i soldati russi dal Paese. Acquisti diversificati di armamenti. Questi gli elementi della seconda rivoluzione del premier armeno Nikol Pashinyan, dopo la prima, quella “di velluto”, che l’ha portato alla guida dello Stato del Caucaso meridionale nel 2018.
Un tentativo di trasformazione radicale dall’esito incerto, che punta a sottrarre Erevan dall’attrazione geopolitica gravitazionale della Russia, di cui fino a poco tempo fa, e per decenni, è stata l’alleato di ferro. O meglio: un fratello minore posto in tutto e per tutto sotto l’ombrello protettivo del Cremlino, ricompensato da Erevan con cieca fedeltà.
Diverse le incognite: innanzitutto la perdurante dipendenza strutturale da Mosca, che giustifica la cautela di Pashinyan nel compiere passi realmente decisivi. Come l’abbandono della Csto, l’organizzazione militare a guida russa di cui l’Armenia è membro con altre cinque repubbliche post-sovietiche. Nel settembre 2022, dopo aver ripreso il controllo, due anni prima, di parte del Nagorno-Karabakh e dei sette distretti azeri occupati da Erevan dagli anni ’90, Baku effettua incursioni militari all’interno dei confini dell’Armenia. Se la posizione neutrale della CSTO nella guerra del 2020 era stata giustificata con l’assenza di obblighi di intervento in quello che internazionalmente è riconosciuto come territorio dell’Azerbaijan, il bombardamento di postazioni armene avrebbe dovuto far scattare l’articolo 4 del Trattato di sicurezza collettiva, che prevede mutua assistenza in caso di attacco. Erevan lo invoca, la CSTO non si muove. Da quel momento, Pashinyan inizia la sua crociata: dal gennaio del 2023, l’Armenia diserta le esercitazioni militari congiunte, poi smette di presenziare ai vertici, infine a febbraio di quest’anno annuncia il “congelamento” della membership: espressione priva di significato legale ma che dà un nome a una situazione di fatto. Eppure, non se ne va.
Rispondendo a un parlamentare dell’opposizione, che chiedeva conto di questa contraddizione, il 12 giugno Pashinyan ha detto: “Andremo via, decideremo quando. Cosa pensi? Qual è il prossimo passo? Pensi che torneremo indietro? No, non c’è altra soluzione”. E mentre le agenzie di stampa internazionali battevano la notizia di quello che pareva un annuncio, il ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan si affrettava a correggere il tiro: “Se qualcuno sostiene che il primo ministro armeno abbia affermato che l’Armenia sta lasciando la CSTO, si sbaglia”. Quando la decisione verrà presa, ha chiarito, “non torneremo indietro”. Un tentativo di gettare acqua sul fuoco che esemplifica la posizione delicata di Erevan.
Per quanto manchevole, se non ostile, la “mini-Nato” russa rappresenta al momento la sua sola garanzia di sicurezza. Non solo: soldati di Mosca sono schierati sui confini armeni con Iran, Turchia e, dalla guerra del 2020, in alcune province al confine con l’Azerbaijan. Su richiesta armena, la Russia negli scorsi mesi si è ritirata dall’aeroporto della capitale e da alcune postazioni sulla frontiera azera interessate da accordi tra Erevan e Baku. Ma finché non sarà siglato un accordo di pace con l’Azerbaijan, condizione ineludibile per qualsiasi normalizzazione dei rapporti con Ankara, difficilmente l’Armenia si spingerà fino a chiedere il ritiro integrale delle forze armate russe o la chiusura della base militare di Gyumri. E la buona fede dell’Azerbaijan rappresenta la seconda incognita per Pashinyan, che nelle trattative con lo storico nemico, condotte da una posizione di estrema debolezza, si sta giocando il suo capitale politico. Dopo aver individuato una sponda nell’Occidente e non più nella Russia, il primo ministro armeno appare vicino alla firma di un epocale trattato con Baku, che porterebbe alla completa demarcazione del confine tra i due Paesi e al riconoscimento della reciproca integrità territoriale.
Eppure, la retorica bellicosa e revanscista dell’Azerbaijan, nonché i dubbi sulla capacità degli Stati Uniti e dell’Europa (acquirente di gas azero) di rappresentare un argine efficace a potenziali iniziative aggressive di Baku, stanno portando un numero crescente di armeni a nutrire dubbi sul percorso intrapreso da Pashinyan.
La tenuta della società rappresenta la terza incognita per il premier, che da settimane si trova a fare i conti con manifestazioni di piazza che ne chiedono le dimissioni. La scintilla che ha convogliato il malcontento è stata un accordo con Baku sulla delimitazione di una sezione del confine tra Armenia e Azerbaijan nella regione di Tavush, che ha portato la restituzione di quattro villaggi disabitati azeri controllati da Erevan dagli anni ‘90. A provocare diffuso malessere è stata la natura unilaterale dell’intesa: Baku occupa circa 200 km di territorio armeno, ma non è stata prevista una contropartita. Se non ci ritiriamo, aveva affermato Pashinyan, “ci sarà un’altra guerra”. Proprio da Tavush, un gruppo di residenti capitanati dall’arcivescovo locale, Bagrat Galstanyan, ha marciato in protesta verso la capitale, arrivando a Erevan il 9 maggio. Quel giorno sono scese in strada, secondo diverse stime, tra le 20 e le 35mila persone. Un numero consistente, ma che impallidisce di fronte ai 250mila manifestanti in piazza al culmine della rivoluzione del 2018. Un mese dopo, il numero dei dimostranti si era dimezzato.
Fino al 12 giugno, quando a fronte di un tentativo di irruzione in Parlamento da parte dei manifestanti, le forze dell’ordine hanno lanciato granate stordenti sulla folla, provocando un centinaio di feriti. Il movimento “Tavush for the Homeland”, che anche per oggi ha annunciato un corteo di protesta, non sembra in grado di incanalare tutto il malcontento presente nella società armena, non da ultimo per l’affiliazione con il detestato sistema di potere che ha preceduto l’attuale governo. E la narrativa nazionalista-patriottica di cui l’arcivescovo Galstanyan è portatore appare disconnessa dalla realtà. Eppure, si tratta della prima opposizione organizzata dell’era Pashinyan, la cui popolarità è in forte declino. Nei due anni che separano il Paese dalle elezioni, una reale alternativa potrebbe prendere forma.
L’ultima incognita è costituita dal conflitto in Ucraina. Il protrarsi di una guerra d’attrito continuerebbe a drenare le energie di Mosca e permetterebbe a Erevan di proseguire nel suo graduale ma costante processo di emancipazione. Al contrario, un consolidamento delle conquiste russe, a maggior ragione se accompagnato da accordi di cessate il fuoco, darebbe nuovamente al Cremlino mano libera per dedicarsi al Caucaso meridionale, regione che considera di importanza vitale.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-23 14:27:432024-06-27 14:28:37Armenia, la seconda rivoluzione di Pashinyan: ora vuole cacciare i soldati russi e sogna l’ingresso nell’Ue (La Repubblica 23.06.24)
Future collaborazioni tra la Nuova Fiera del Levante e l’Armenia
Il presidente della Nuova Fiera del Levante Gaetano Frulli ha incontrato stamane alla Fiera del Levante l’Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan.
Dopo il saluto di benvenuto il cordiale colloquio si è incentrato sulle future collaborazioni che si svilupperanno all’insegna delle secolari relazioni istituzionali, culturali ed economiche tra la città di Bari e la Repubblica d’Armenia anche in vista della prossima Campionaria (28 settembre – 6 ottobre 2024).
L’incontro si è concluso con il tradizionale scambio di doni. Il presidente Frulli ha donato una targa che rappresenta la Caravella simbolo della Fiera del Levante.
La visita dell’Ambasciatrice è stata l’occasione per partecipare insieme al presidente Frulli alla Tavola Rotonda “Armenia e Terra di Bari”. L’incontro, promosso dalla Fondazione Nikolaos, ha avuto come obiettivo il confronto sui rapporti Puglia-Armenia e su quelle che saranno le prospettive di sviluppo future volto ad implementare i settori dell’agroalimentare, del turismo, del tessile-manifatturiero e delle industrie ad alta tecnologia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-22 18:59:512024-06-27 14:13:53Visita alla Fiera del Levante dell’Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan (Corrierepl 22.06.24)
L’Armenia è una terra ricca di paesaggi mozzafiato e dalla cultura millenaria, ogni anno sono sempre di più i turisti che la scelgono come destinazione e sono costantemente in aumento anche i viaggiatori d’affari. Se state pianificando un viaggio, che sia per studio, per lavoro o per vacanza in questo Paese così affascinante, scoprirete come sia fondamentale conoscere le regole, le modalità e la validità del Visto per l’Armenia in una guida che fornirà dettagliatamente tutto ciò che vi serve sapere.
Indice
Requisiti per ottenere il Visto verso l’Armenia
La necessità di ottenere un visto per entrare in Armenia che sia per lavoro, studio o vacanza dipende dalla vostra nazionalità; in alcuni Paesi di residenza si può entrare in Armenia senza Visto per soggiorni brevi mentre in altri Paesi serve richiederlo con anticipo, vi segnaliamo una panoramica delle principali categorie. I cittadini di alcuni Paesi tra cui molti stati dell’ex Unione Sovietica, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia possono entrare in Armenia senza Visto fino ad un massimo di 180 giorni in un periodo entro i 365 giorni. I cittadini di altri Paesi inclusi quelli in Africa, in Asia e in alcune parti del Medio Oriente devono ottenere un Visto prima dell’arrivo, anche richiedendolo on line attraverso il sistema eVisa dell’Armenia.
Tipologie di Visto per entrare in Armenia
L’Armenia offre diverse tipologie di Visto a seconda della tipologia di viaggio, che voi siate turisti e vogliate scoprire il Paese per un brevissimo tempo, o che siate studenti e vi serva per studio o ancora per coloro che si recano nel Paese per motivi di lavoro e affari oppure che scegliate di visitare l’Armenia per rivedere amici e/o famiglia. Il Visto turistico sarà utile a quanti sceglieranno di visitare il Paese per un brevissimo lasso di tempo, il Visto d’affari è utile per coloro che si recano in Armenia per affari e/o lavoro, il Visto per studio è indispensabile per gli studenti che scelgono di proseguire gli studi in una istituzione armena e il Visto per visita privata tornerà indispensabile per quanti necessitano di visitare amici o famiglia in Armenia.
Modalità di richiesta del Visto per entrare in Armenia
Il metodo più semplice per richiedere e ottenere un Visto per l’Armenia e la capitale Yerevan è tramite il sistema eVista, il processo per ottenerlo è intuitivo inoltre può essere completato totalmente on line. Questi i passaggi:
Accedere al sito ufficiale: servirà visitare il sito ufficiale del governo armeno per l’eVista.
Compilare il modulo: una volta eseguito l’accesso al sito ufficiale del governo armeno, basterà inserire i propri dati personali, i dettagli del passaporto e le informazioni sul perché del viaggio in Armenia.
Caricare i documenti: vi verrà richiesto di caricare una scansione del passaporto e una fotografia recente, siate preparati.
Pagare la tassa: arrivati a questo punto, dovrete pagare la tassa del Visto utilizzando una carta di credito o altro metodo di pagamento sempre elettronico.
Ricezione del Visto: effettuate tutte le richieste ed approvata la domanda del Visto, riceverete il Visto elettronico via mail, stampatene una copia da mostrare all’arrivo in Armenia.
Richiesta del Visto per entrare in Armenia attraverso l’Ambasciata
Per quanti preferiscono o necessitano del Visto tradizionale, è possibile farne richiesta presso l’Ambasciata o il Consolato Armeno del proprio Paese. Tenete presente che questa modalità di richiesta solitamente richiede più tempo rispetto all’eVista, inoltre comporta anche la presentazione di documenti cartacei, i passaggi includono:
Prenotare l’appuntamento: dovrete contattare l’Ambasciata o il Consolato e ottenere di fissare un appuntamento personale.
Compilazione di moduli: dovrete scaricare e compilare il modulo di richiesta Visto disponibile sul sito web dell’Ambasciata o del Consolato.
Raccolta documenti: preso appuntamento e scaricato e compilato il modulo, portate con voi il passaporto, una o più fotografie recenti, la prova di fondi economici sufficienti e ogni altro documento richiesto dal sito ufficiale.
Pagamento della tassa: come per l’eVista dovrete pagare una tassa, direttamente all’Ambasciata o al Consolato.
Presentare la domanda: effettuati tutti questi passaggi, presentate la vostra domanda con tutti i documenti in ordine e il pagamento effettuato all’Ambasciata o al Consolato.
Approvazionedel Visto: ora non vi resta che attendere l’elaborazione e l’approvazione della vostra domanda, solitamente ci vogliono alcune settimane, tenetene conto se avete fretta.
Validità ed eventuale estensione del Visto per entrare in Armenia
Ora avete il vostro Visto per entrare in Armenia, che sia per studio, per lavoro o per vacanza non dimenticate che il Visto non è illimitato, la sua durata e l’eventuale estensione sono importanti. A seconda del tipo di Visto richiesto, sappiate che il Visto turistico permette un soggiorno fino a 120 giorni con la probabile estensione di ulteriori 60 giorni. Il Visto d’affari può consentire un soggiorno variabile solitamente di 120 giorni, non oltre i 180 giorni annui. il Visto per studi vede la sua durata dipendentemente dalla durata del corso di studi, con estensioni possibili sempre in base alle esigenze accademiche. Il Visto per la visita privata infine, è simile a quella per il Visto turistico, ma può variare in base alle circostanze della visita in caso ad esempio di malattie gravi.
Estensione del Visto per entrare in Armenia
Se desiderate prolungare il vostro soggiorno in Armenia, dovrete obbligatoriamente richiedere l’estensione del vostro Visto; per farlo presentate richiesta presso il Dipartimento di passaporti e visite del Ministero dell’Interno Armeno. Ricordatevi che è importante richiederne l’estensione prima della scadenza del Visto originale, questi sono i documenti che vi serviranno:
Modulo di richiesta: dovrete compilarlo con i dettagli sul perché del soggiorno e la motivazione della richiesta di prolungamento.
Passaporto: insieme al modulo vi servirà ovviamente il passaporto che dovrà essere valido per tutta la durata del soggiorno.
Prova di fondi economici: dovrete dimostrare di avere risorse finanziarie sufficienti per coprire il periodo di soggiorno aggiuntivo. A seconda del motivo della richiesta potrebbero richiedervi altri documenti, siate preparati.
Attenzione alle regole e alle restrizioni per entrare in Armenia
Ora avete tutte le informazioni necessarie per fare richiesta del Visto per entrare in Armenia, ma ricordatevi sempre che per ogni Paese che si visita, che sia per lavoro, studio o altro, è importantissimo conoscere e rispettare le regole e le eventuali restrizioni per evitare problemi legali e garantirvi un soggiorno senza complicazioni: non superate le date del soggiorno se non per cause di forza maggiore senza aver ottenuto l’estensione, assicuratevi di svolgere solo le attività consentite dal Visto ottenuto, ovunque andiate, assicuratevi sempre di avere con voi i documenti di supporto come il passaporto e una copia del Visto.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-22 18:29:202024-06-23 18:31:14Visto per l’Armenia: regole e cosa sapere prima di richiederlo (siviaggia 22.06.24)
l cinema tedesco – come quello italiano d’altronde, in modo ancor più marcato – non vive la sua stagione migliore. Non mancano però capolavori capaci di coniugare, nella migliore tradizione tedesca, radicalità estetica e rigore morale. È il caso di Landshaft di Daniel Kötter, autore capace di muoversi con sicurezza fra diversi media, dalla videoarte al teatro sperimentale – si segnala a tal proposito la collaborazione con Rimini Protokoll, una delle realtà più interessanti del panorama odierno –, un documentario che, con la sola eccezione del genio di Artavazd Peleshyan, tocca i vertici della rappresentazione per quel che riguarda l’Armenia.
Lo dirò subito: se siete in cerca di un effluvio di retorica patriottarda o religiosa, lasciate perdere. Qui siamo ad altri livelli: un film del tutto privo di retorica e, proprio per questo, capace di arrivare a un grado di realismo e a un’onestà del tutto straordinari, per chi conosce l’Armenia, e in particolare la vita di chi vive al confine di una guerra che si trascina da oltre trent’anni. Un film che non è piaciuto ad alcuni nazionalisti, come testimonia il dibattito nato a margine del festival del cinema armeno Golden Apricot, dove pure ha raccolto notevoli consensi.
In un viaggio che ci accompagna fino al villaggio frontaliero di Sotk e alla sua miniera d’oro in larga parte occupata dall’Azerbaijan dopo il 2020, Kötter si muove sui passi di Peleshyan e di Osip Mandel’štam, che nel suo splendido Viaggio in Armenia, tradotto in italiano da Serena Vitale, ci ha lasciato pagine indimenticabili per profondità e poesia. E non sarà un caso che, al pari di questo capolavoro, il film parta direttamente dalle acque stesse del lago Sevan, così ritratte dal poeta russo, che sembra guardare all’origine della vita:
Ogni giorno, alle cinque in punto, il lago pullulante di trote si metteva a bollire come se vi avessero versato una grossa presa di soda. Era una vera e propria seduta mesmerica di cambiamento del tempo, come se un medium comunicasse alla tranquilla acqua di calce dapprima una giocosa increspatura, quindi un inquieto fremito di ali di uccelli, e infine la tempestosa frenesia del Ladoga.
Come in tanti altri villaggi armeni dal Tavush al Syunik, oltre ovviamente al Karabakh prima dell’ultima guerra, definita pulizia etnica da due risoluzioni del Parlamento europeo, ci troviamo di fronte a una vita frontaliera segnata da cecchini e incursioni militari, droni che solcano un cielo perduto, murales di giovani soldati morti e un silenzio feroce interrotto di continuo da colpi di artiglieria. Ma anche di memorie: quelle positive delle amicizie con gli azeri in epoca sovietica, che mi è capitato più volte di raccogliere, e insieme quelle tragiche delle violenze terribili che in pochi mesi, durante la dissoluzione dell’Urss, le hanno cancellate.
Al centro di tutto, della vita di donne e uomini non meno che degli animali, un precario confine che attraversa e divide la miniera che dà il pane al villaggio, sempre più spopolato e impoverito; film curatissimo nella sua attenzione tanto al linguaggio che al paesaggio armeno, altro elemento non scontato che denota la comprensione raggiunta da Kötter della realtà che ritrae. Come ricorda lo studioso Igor Dorfmann-Lazarev, autore di studi seminariali, la spiritualità armena è più determinata da un legame con i suoi paesaggi, disseminati non a caso di croci di pietra e monasteri che si integrano perfettamente con il territorio, che da un’appartenenza ecclesiastica o identitaria che stenta ad affermarsi qui, a differenza di altri contesti post-socialisti.
Ma il film, e ne è consapevole il regista, ha anche un valore politico, che pur non viene mai forzato. Come scrive l’analista politico Thomas de Waal, “la guerra dell’Azerbaijan del 2020 ha infranto un modello di sicurezza europea in cui si presumeva che tutti i conflitti irrisolti in Europa dovessero essere risolti pacificamente. L’Azerbaijan ha riscritto il manuale delle regole, ha usato la forza e, per quanto lo riguarda, l’ha fatta franca”. Il risultato, ce l’abbiamo di fronte in Ucraina, e non solo. Nel 2023, il numero dei civili morti in conflitti armati è aumentato del 72% secondo dati forniti da Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Quanto – ad esempio nell’impiego di droni e nell’erodere il confine fra soldati e civili – la guerra del Karabakh anticipi l’Ucraina, è di tutta evidenza. Meno acclarato è il rischio, che è ora di iniziare a comprendere, che un simile scenario si trasformi in una prefigurazione dell’Europa che ci attende nei prossimi anni.
Premiato dalla critica tedesca come miglior documentario a Berlino, il film è stato proiettato anche in alcuni festival italiani, ricevendo anche qui riconoscimenti. Speriamo possa avere una circolazione ancor maggiore in futuro, perché senza dubbio lo merita. In un’epoca segnata da manipolazioni e identità sclerotizzate, il film di Kötter è un respiro dello spirito, un’immersione – quasi si dimentica ci sia una telecamera, nel film – in un angolo di mondo troppo spesso dimenticato e che, invece, ci riguarda più di quanto immaginiamo.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-22 14:14:042024-06-27 14:16:53LANDSHAFT di Daniel Kötter Germania, Armenia, 2023 (Gariwo 22.06.24)
Ha destato stupore nella stampa internazionale la recente dichiarazione del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan secondo cui l’Armenia lascerà l’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). L’Armenia è stata sempre considerata una roccaforte filorussa in Caucaso, e ora svolta verso l’occidente. Ma secondo il suo Primo Ministro, è stata la CSTO a lasciare l’Armenia prima che lo decidesse il paese, c’est-à-dire, è stata la Russia a lasciare l’Armenia prima che fosse la piccola repubblica ad avvertire il bisogno, sempre più esistenziale, di trovare nuovi partner e garanti di sicurezza.
È una frattura, quella armeno-russa, che si è acuita negli anni. È partita con la rivoluzione di velluto in Armenia nel 2018 che ha portato Pashinyan al potere. Per due anni il neoeletto Primo Ministro, allora eroe di una piazza che si era rivoltata contro stagnazione e corruzione, ha fatto di tutto per convincere lo storico alleato moscovita che nulla era cambiato né sarebbe cambiato nella politica estera del paese. Non era una rivoluzione di natura geo-politica, era una manifestazione di un profondo dissenso verso un regime che relegava il paese alla stagnazione politica ed economica, con povertà diffusa e una oligarchia predatoria e intoccabile. Poi sono seguiti due anni estremamente burrascosi, con una riforma dello Stato che stentava a partire, una elite interna legata a Mosca che chiaramente non aveva intenzione di essere messa da parte e ancor meno di finire in carcere, e Mosca stessa non certo soddisfatta di non aver potuto garantire la continuità di potere della classe dirigente di cui si fidava assai di più. Poi la pandemia e, nel 2020, la seconda guerra del Karabakh.
In 44 giorni l’Armenia ha perso buona parte del territorio conquistato con la prima guerra del Karabakh, e ha preso consapevolezza che gli accordi militari con la Russia non avrebbero salvato il Karabakh. Anzi, con sempre più certezza a Yerevan si dice che la luce verde alla seconda guerra Baku l’ha ricevuto da Mosca la quale in Armenia, come in Georgia nel 2008, come in Ucraina nel 2014 e nel 2022 avrebbe cercato di rovesciare un governo non considerato affidabile (o ostile) attraverso una sconfitta militare. Il 2020 ha dimostrato che non solo il Karabakh, ma la stessa Armenia non sarebbero state protette, né dalla Russia né dal CSTO. Durante il conflitto Pashinyan aveva segnalato attraverso una lettera inviata personalmente al presidente russo Vladimir Putin che la guerra aveva sconfinato nell’Armenia propria. L’intervento che ne sarebbe dovuto conseguire non si è mai materializzato.
A guerra ri-congelata, con un nuovo cessate il fuoco negoziato da Mosca – non già come alleata armena ma come terzo ed equidistante segnatario – il mancato intervento russo si è fatto ancora più evidente. Sono cominciati gli affondi territoriali di forze dell’Azerbaijan prima nel maggio del 2021 e dopo scontri sanguinari nel settembre 2022.
Dal dicembre del 2022 quanto rimaneva del Karabakh è entrato in un blocco protratto: la strada di Lachin, in base al cessate il fuoco negoziato dalla Russia sotto il controllo dei suoi peacekeepers, è stata bloccata dagli azeri che di fatto vi hanno ristabilito la propria sovranità. La strada è sempre stata il cordone ombelicale fra Armenia metropolitana e armeni del Karabakh, e l’inattività nell’esercitare il proprio mandato è stato il prologo della caduta del Karabakh e della scomparsa – nel giro di pochi giorni – della comunità armena dalla regione.
2023-2024, un biennio insanabile
Il 2023 è stato l’anno in cui questa frattura è divenuta per Yerevan insanabile. Mentre la situazione di sicurezza armena si faceva sempre più critica fra presidi militari azeri nel territorio armeno e il blocco del Karabakh, le armi acquistate non arrivavano. È stato molto chiaro in merito Pashinyan: c’è lo sforzo bellico in Ucraina, ma l’Armenia aveva pagato delle armi russe, per il 90% delle importazioni militari arrivavano dalla Russia, il paese rischiava una nuova guerra, e non arrivava quanto pattuito.
Della questione ha parlato anche molto recentemente la portavoce del ministero degli Affari Esteri russo che, alla richiesta di commentare la possibile sospensione della cooperazione militare russo-armena nella situazione attuale, ha candidamente detto: “Le forniture di prodotti militari a paesi stranieri vengono effettuate tenendo conto delle esigenze dell’operazione militare speciale, come più volte affermato dalla leadership della Federazione Russa. Le attuali restrizioni su alcuni tipi di armi ed equipaggiamenti militari hanno un impatto sulla cooperazione tecnico-militare, non solo con l’Armenia, ma anche con gli altri nostri partner”.
La riconquista del Karabakh non ha messo fine al processo di poderoso riarmo in corso in Azerbaijan, e l’Armenia si è trovata in condizione di estrema vulnerabilità. Di fatto nulla di quanto pattuito è stato erogato: né in armi, né in sostegno diplomatico, né in rispetto degli accordi. Un bilancio disastroso della scelta di relegare all’alleanza con la Russia la sicurezza nazionale.
Nel settembre 2023, in meno di 24 ore il Karabakh è caduto senza che i peacekeepers prendessero la benché minima iniziativa. E da allora altrettanto in caduta libera sono relazioni russo-armene, con Yerevan che sta progressivamente introducendo misure che a Mosca vengono percepite come chiaramente anti-russe.
L’Armenia è divenuta segnataria dello Statuto di Roma. La scelta di divenire membro non è stata dettata dalla presa di distanza da Mosca, ma dalla volontà di trovare tutela dalle violazioni durante le recenti guerre. Di fatto questo implica un possibile arresto di Putin qualora visitasse il paese. Il ministero degli Esteri russo ha protestato in più occasioni con Yerevan perché si astenesse dal procedere.
Sempre nel 2023, Anna Hakobyan, moglie del Primo Ministro, si è presentata all’incontro delle first lady e gentleman a Kyiv e ha portato, per la prima volta dall’inizio del conflitto, degli aiuti umanitari direttamente alla leadership ucraina. Un fatto che non è certo passato inosservato, poiché fino ad allora l’Armenia aveva mantenuto un profilo estremamente basso per quanto riguarda la guerra in Ucraina. Ma i rapporti fra i due paesi sono cambiati radicalmente negli ultimi due anni, e recentemente una delegazione armena ha visitato Bucha. Questo mese, infine, l’Armenia era alla Conferenza di Berlino per l’Ukraine Recovery nonché al Summit per la Pace in Svizzera. Nei incontri a latere delle conferenze Yerevan e Kyiv hanno concordato un rilancio dei rapporti bilaterali.
Ma non solo l’Ucraina: sempre a giugno per la prima volta da quando è stata introdotta dopo la guerra russo-georgiana del 2008, l’Armenia ha votato a favore del rientro degli sfollati di guerra georgiani di Abkhazia e Ossezia del Sud. Il voto non è certo passato inosservato perché sono un pugno di paesi che votano contro, e cioè gli alleati di ferro di Mosca, che questo anno sono stati Bielorussia, Burundi, Cuba, Mali, Nicaragua, Corea del Nord, Siria e Zimbabwe.
Poi c’è la lotta alla propaganda russa: a Margarita Simonyan e a un blogger di origini armene ma residente in Russia è stato impedito di entrare in Armenia. Le trasmissioni in lingua russa sono diminuite nel paese e la questione dello status del russo come lingua internazionale, protetta e preservata nei paesi ex sovietici, è un tasto molto sensibile per Mosca.
Pashinyan evita piuttosto chiaramente i rapporti con il Cremlino ed è chiaro che il protagonismo russo nel processo di pace con l’Azerbaijan non è ben accolto. Yerevan ha sbugiardato apertamente Mosca sulla sua importanza come detentrice delle mappe originali necessarie per definire e demarcare i confini armeno-azeri.
La Russia è progressivamente respinta dal Caucaso orientale e centrale. L’Azerbaijan – che vanta a questo punto un rapporto decisamente migliore che l’Armenia con Mosca – ha però rispedito al mittente la forza dei peacekeepers, senza nemmeno aspettare la scadenza di mandato del 2025. Mosca ha perso un presidio di circa duemila uomini in Caucaso. A questi vanno aggiunte le guardie di frontiera russe che l’Armenia ha deciso di rimuovere dall’aeroporto di Yerevan, Zvarnots. Questa mossa, già ufficializzata alle autorità russe competenti, ha suscitato irritazione immediata da parte di Mosca. La presenza delle guardie di frontiera russe a Zvarnots è datata 1992, ma non regolata da una specifica delega di competenze da parte del governo armeno.
C’è poi il capitolo Armenia-Unione Europea che crea uno scenario completamente nuovo: nessuno aveva mai osato ipotizzare che un membro dell’Unione Euroasiatica potesse incamminarsi verso l’integrazione nell’Unione Europea. Da Mosca già si precisa che sono due partecipazioni incompatibili.
In un contesto già estremamente teso, è arrivata una delle consuete esternazioni del dittatore bielorusso Alexander Lukashenka che, in visita a Baku, non ha fatto segreto di essere stato al corrente delle intenzioni bellicose dell’Azerbaijan contro quello che avrebbe dovuto essere un partner del CSTO, e si è complimentato per l’esito della guerra.
Si è aperto il vaso di Pandora: sono emerse una enorme quantità di informazioni e prove che la Bielorussia ha armato l’Azerbaijan e che la disfatta armena è frutto anche di una trappola militare, fra armi non consegnate ma fornite al nemico in generose quantità da parte dei propri alleati. Un quadro che ha portato alla dichiarazione di cui sopra: l’Armenia abbandonerà il CSTO. E mentre Pashinyan tuona contro Lukashenka e dichiara che non metterà più piede in Bielorussia finché c’è lui (di fatto preannunciando di non partecipare a futuri incontri del CSI e dell’Unione Euroasiatica qualora si tenessero a Minsk) – nemmeno troppo a denti stretti – si constata che Minsk non avrebbe agito senza l’ok da Mosca.
L’uscita dal CSTO, preannunciata anche se senza una data, è de facto già in corso. L’Armenia si è autosospesa, e ha sospeso anche i pagamenti all’organizzazione. Il CSTO minimizza e sostiene che ritardi di pagamenti sono già avvenute in passato, e che nulla è ancora deciso. Intanto Yerevan ha ri-orientato il proprio mercato bellico. Gli acquisti dalla Russia sono scesi dal 90% al 10%, con India e Francia nuovi fornitori di armi al paese che, da un lato, negozia la pace, dall’altro, non esclude di essere oggetto di una nuova guerra e di una nuova mutilazione territoriale.
Yerevan non ha più illusioni, e Pashinyan stesso sa che prima ancora del suo paese, è lui stesso a rischiare. All’interno dell’Armenia forze spalleggiate da Mosca, le stesse che dal 2018 spingono per una restaurazione dell’Ancient Régime pre-rivoluzionario, cercano volti nuovi perché l’impopolarità della classe politica precedente riesce comunque a essere maggiore di quella, crescente, di Pashinyan. Il primo ministro, dopo la pandemia, due guerre perse e una transizione in corso estremamente difficile, non è certo più l’eroe della rivoluzione.
La crisi armeno-russa ha, quindi, importanti ripercussioni sui confini del paese, dove l’Azerbaijan preme, forte delle spalle protette tanto dalla Russia e dalla Turchia, e all’interno, dove un leader ormai impopolare si trova a dover fronteggiare un dissenso che è sia reale, sia fomentato e legittimato da Mosca. La piazza di Yerevan che manifesta contro Pashinyan e che viene repressa, trova sponda nelle dichiarazioni del Ministero degli esteri russo, che più volte ha definito il governo Pashinyan come “corrente”, come fosse una parentesi temporanea la cui rimozione riporterebbe l’armonia nei rapporti armeno-russi.
Saranno mesi molto difficili quelli che ancora attendono l’Armenia che, nel giro di poco tempo, si è trovata a saldare il conto di errori di valutazione e illusioni coltivate unilateralmente. La dipendenza economica dall’ex alleato rimane elevatissima, le alternative militari richiedono molta audacia da parte dei paesi partner, poiché i tre poteri regionali del Caucaso – Turchia, Russia e Iran – possono essere divisi su molto, ma non sul patto d’acciaio di tenere fuori dalla regione poteri terzi. In ultimo, il travaso di russi in fuga dalla mobilitazione ha creato un ulteriore presidio economico russo nel paese.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-21 18:57:052024-06-23 18:58:54Come siamo arrivati alla frattura fra Armenia e Russia e cosa potrebbe succedere (Valigiablu 21.06.24)
L’arcivescovo Galstanyan non si limita ad arringare le folle, ma le spinge all’assalto dei palazzi del potere. Secondo molti dietro all’escalation ci sarebbe lo stesso patriarca Karekin II che denuncia la “continua politica di cedimento unilaterale” nei rappoerti con l’Azerbaigian. Mentre il premier Pašinyan definisce i vescovi “agenti provocatori” che vogliono condurre alla guerra “come ai tempi di Bisanzio”.
Erevan (AsiaNews) – La Chiesa Apostolica Armena ha assunto ormai una posizione politica esplicita di confronto con il governo di Erevan, con il rischio di una radicalizzazione sempre più violenta delle proteste di piazza, guidate dall’arcivescovo di Tavowš, Bagrat Galstanyan, che continua a ripetere che “non lasceremo le strade fino alla vittoria”, cioè fino alle dimissioni del primo ministro Nikol Pašinyan.
Galstanyan non si limita ad arringare le folle, ma le spinge all’assalto dei palazzi del potere, com’è successo nei giorni scorsi, cercando di rinchiudere il premier e i deputati in quello dell’Assemblea nazionale per costringerli poi a presentarsi davanti al “tribunale popolare” da lui stesso presieduto. La polizia ha cominciato a usare le maniere forti per disperdere i dimostranti, anche se finora l’arcivescovo rivoluzionario non è stato toccato. Pašinyan e i sostenitori della maggioranza di governo stanno però utilizzando argomenti sempre più infuocati contro gli oppositori ecclesiastici.
Secondo molte dichiarazioni dei membri del partito dell’Accordo Civile, dietro al vescovo e all’escalation delle manifestazioni starebbe lo stesso patriarca della Chiesa armena, il katholikos Karekin II, insieme a tutta la dirigenza ecclesiastica del “Sacro Ečmjadzin”, la storica sede patriarcale in periferia di Erevan. Proprio in questo centro religioso-amministrativo si riunisce quasi in seduta permanente il Consiglio spirituale superiore, l’organo sinodale del katholikos, che ha diffuso una dichiarazione dei vescovi in cui si esprime un esplicito appoggio alle “opposizioni popolari”, prendendo peraltro le distanze dalle azioni più violente dei giorni scorsi, a cui non avrebbero partecipato membri del clero.
Nel testo si denuncia la “continua politica di cedimento unilaterale di territori nazionali, giustificati da accordi di demarcazione” che ha suscitato un’ondata di indignazione e preoccupazione “sia in patria, sia nella diaspora, generando la sfiducia che porta oggi a chiedere le dimissioni del primo ministro”. A queste accuse Pašinyan risponde scagliandosi contro “tutti coloro che stanno usando i profughi dell’Artsakh per i propri interessi mercantili”, provocando i disordini di piazza. A Galstanyan che lo sfidava a scendere in piazza, il premier ha replicato con un intervento molto emotivo in parlamento: “Certo che ci incontriamo, credete che il primo ministro dell’Armenia abbia problemi a parlare con chiunque? Se avessi ritenuto utile incontrare il vescovo, lo avrei già fatto caricare su un furgone della polizia”.
Il primo ministro ha accusato direttamente Karekin II di avere “benedetto” le sommosse e gli scontri con la polizia, ciò che ha provocato le sdegnate risposte dei vescovi, “condanniamo i tentativi degli uomini al potere di scaricare sulla Chiesa la responsabilità per le proteste popolari… essi cercano invece di giustificare il proprio comportamento anticlericale, come avvenuto di recente in più occasioni”. Il riferimento è al caso del memoriale “Sardaparat” del 28 maggio scorso, quando la polizia ha tentato di escludere il katholikos dalle cerimonie ufficiali per ricordare la battaglia del 1918 degli armeni contro i turchi.
La Chiesa armena aveva esortato lo scorso anno il governo a condurre fino in fondo la battaglia contro gli azeri per il Nagorno Karabakh, da cui l’esercito fu ritirato per evitare una guerra totale tra Armenia e Azerbaigian. Ora Pašinyan chiama i vescovi “agenti provocatori” che vogliono condurre nuovamente alla guerra, ma afferma che “risolveremo questo problema tra due o tre mesi”. Ricordando eventi del lontano passato nei confronti dei bizantini, in cui la Chiesa ricopriva un ruolo cruciale nelle operazioni militari, sostiene che “oggi tutto questo non si ripeterà”, con i russi che fomentano il conflitto usando la Chiesa, come facevano da Bisanzio i patriarchi e gli imperatori.
La rilettura della storia è una caratteristica delle guerre del terzo millennio; se Putin in Russia cerca di ristabilire le glorie del passato, Pašinyan insiste nel proporre un’Armenia nuova, che non sia un’imitazione di quella antica o medievale, e le dimensioni religiose diventano decisive nel valutare queste prospettive. Come afferma il premier armeno, citando brani delle lettere di San Paolo, “voglio fare una dichiarazione solenne: se le relazioni della Chiesa con il governo sono cattive, allora saranno cattive anche le relazioni della Chiesa con Dio”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-21 18:55:262024-06-23 18:56:46Il conflitto sempre più duro tra la Chiesa e il governo in Armenia (Asianews 21.06.24)
Nato a Scutari (Turchia) nel 1880, Hrand Nazariantz fu scrittore, giornalista, intellettuale e massimo esponente della poesia simbolista in lingua armena. , Nazariantz. Per effetto della politica anti-armena che caratterizzò gli ultimi anni dell’Impero ottomano prima del genocidio di quel popolo si rifugiò in Puglia. In Italia intensificò i rapporti sia con esponenti della diaspora armena che con protagonisti della cultura italiana, francese ed inglese. Stabilitosi nella nostra città, dove gli fu assegnata la cattedra di lingua francese e inglese presso l’Istituto Nautico, Nazariantz diede vita alla periferia della città al villaggio di Nor Arax, popolato da altri esuli armeni, impiegati nell’annessa fabbrica di tappeti orientali. Nel 1953 arrivò ad un passo dal Nobel per la letteratura, poi assegnato a Winston Churchill. Si spense a Bari nel 1962… Difficile asciugare in poche parole la complessa e fertile parabola umana di quest’uomo al quale Bari, Casamassima e Conversano (le città in egli cui visse) hanno dedicato strade e lapidi. Su Naziariantz sono stati scritti saggi imponenti. Intorno alla stessa figura altri autori hanno dato vita a storie di fantasia. E’ il caso di Piero Fabris, autore di ‘La compagnia del melograno’, un romanzo edito da Radici Future. Nella storia, i genitori di una brillante giornalista ricevono un plico di documenti relativi a Hrand Nazariantz. Da ciò prende vita un vivace percorso di scoperta della dimensione cosmogonica della poesia di Nazariantz, percorso che qui viene messo in parallelo a quello che il ricercatore di Verità intraprende intorno al mistero della melagrana, questo frutto tanto caro agli antichi e ai mistici e che rappresenta l’energia vitale, la fecondità e la coesione. Ciò non meravigli, essendo il campo dei simboli l’habitat di ispirazione in cui si muove questo autore, che ama pure indagare nel mito e nella tradizione popolare, oltre che occuparsi di poesia, di teatro e di pittura (in quest’ultima veste ha esposto sia in Italia che all’estero). ‘La compagnia del melograno’ verrà presentato da Concetta Antonelli, sabato 22 giugno alle 18:00 negli spazi di Masseria Dirupo (nel territorio di Noci) nell’ambito di ‘Le pietre che parlano’, rassegna a cura della stessa Antonelli e di Michele Agostinelli ; interverrà il Prof. Kegham Jamil Boloyan. Ingresso libero. Con la presentazione del lavoro di Fabris cala il sipario su questa prima edizione di ‘Le pietre che parlano’. Bilancio più che lusinghiero per una rassegna che si è distinta per la varietà dei temi in discussione, la presenza di personalità di spicco e la felice sintonia instauratasi tra le motivazioni di partenza, ispirate al più profondo rispetto del territorio, e il calore della cornice agreste che le ha accolte.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-06-21 18:52:392024-06-23 18:54:35Hrand Nazariantz, come il melograno (Quotidianodibari 21.06.24)
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