Visita in Libano del cardinale Parolin (Osservatore Romano 02.07.24)

Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, accompagnato da Mons. Marco Formica, Officiale della Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali della Segreteria di Stato, ha compiuto un viaggio in Libano, dal 23 al 27 giugno 2024, per visitare le opere assistenziali dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, e per esprimere vicinanza al popolo libanese.

L’Em.mo Segretario di Stato è giunto all’aeroporto internazionale Rafic Hariri di Beirut domenica 23 giugno, ed è stato ricevuto da S.E. il Sig. Abdallah Bou Habib, Ministro degli Affari Esteri ed Espatriati, e da S.E. Mons. Paolo Borgia, Nunzio Apostolico in Libano.

Inoltre lo hanno accolto il Sig. Marwan Sehnaoui, Presidente dellʼAssociazione Libanese dei Cavalieri dell’Ordine Malta, S.E. la Sig.ra Maria Emerica Cortese, Ambasciatore dell’Ordine di Malta in Libano, e Mons. Giovanni Bicchierri, Segretario della Nunziatura Apostolica in Libano.

Erano presenti anche S.E. Mons. Hanna Alwan, M.L., Vicario Generale del Patriarcato Maronita, S.E. Mons. Robert Krikor Badichah, I.C.P.B., Vescovo Ausiliare dell’Eparchia Patriarcale degli Armeni Cattolici, una rappresentanza dellʼUnione dei Superiori Maggiori dei religiosi e delle religiose, e alcuni fedeli laici.

Il giorno seguente, il Segretario di Stato si è recato al Centro Agricolo di Mejdlaya, dove i volontari hanno presentato i progetti agro-alimentari promossi dall’Ordine di Malta per la ripresa economica e sociale di quella regione. Successivamente, si è recato al Centro socio sanitario di Khaldieh e poi alla Casa per anziani Beit Al Inaya Al Ilahiya dove ha salutato gli ospiti. Ha quindi visitato la cucina comunitaria mobile, La Rue du Partage, intrattenendosi con i volontari.

Nel pomeriggio, presso la Chiesa di San Giuseppe, il Cardinale Parolin ha celebrato la S. Messa solenne di San Giovanni Battista, patrono dell’Ordine di Malta, in occasione del 40° anniversario della fondazione dell’Associazione libanese dell’Ordine di Malta in Libano. Erano presenti alcune alte cariche dello Stato e numerosi membri dellʼAssociazione, con i quali il Cardinale si è intrattenuto dopo la Celebrazione Eucaristica. Nell’omelia, ha ricordato la necessità di essere testimoni cristiani credibili a livello personale, familiare, e comunitario, ed ha esortato la Chiesa in Libano a « mantenere vivo ed efficace il messaggio del “vivere-insieme”, che è caratteristico del Paese dei Cedri».

Martedì 25 giugno, l’Em.mo Segretario di Stato si è recato presso il centro d’accoglienza per persone diversamente abili di Chabrouch, dove si è intrattenuto con gli ospiti della struttura, ascoltando le testimonianze sulle attività di assistenza e parlando con i volontari della loro esperienza.

In tarda mattinata, ha raggiunto la sede del Patriarcato Maronita a Bkerke per incontrare S.B. il Card. Bechara Boutros Al-Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, S.B. Youssef Absi, Patriarca di Antiochia dei Greco-melchiti, S.B. Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni, S.E. Mons. César Essayan, Vicario Apostolico di Beirut dei Latini, e alcuni Vescovi maroniti.

All’incontro e al pranzo erano presenti anche Sua Santità Aram I Kehishian, Catholicos della Chiesa armena apostolica di Cilicia, S.E. Elias Audi, Metropolita greco-ortodosso di Beirut, i rappresentanti di altri Patriarcati e Capi delle Chiese, come pure lo Sheikh Abdel Latif Deryan, Gran Mufti Sunnita della Repubblica Libanese, lo Sheikh Sami Abi El-Mouna, Capo spirituale dei Drusi, lo Sheikh Ali Qaddour, Capo del Consiglio degli Alawiti, e molti altri, tra cui alcuni esponenti politici dei partiti cristiani. Al termine, i Capi religiosi hanno ribadito il loro impegno di preghiera per la fine della guerra, lanciando un appello per la pace.

La giornata si è conclusa con la visita al Santuario di San Charbel ad Annaya, dove il Cardinale Parolin ha celebrato i Vespri con la Comunità dei Monaci dell’Ordine Libanese Maronita e una numerosa rappresentanza dei religiosi e delle religiose del Libano, che ha poi salutato. Nell’omelia il Cardinale ha esortato i religiosi e le religiose ad aiutare le famiglie libanesi in difficoltà, soprattutto nel settore dell’educazione. La serata si è conclusa con un momento di preghiera alla tomba di San Charbel, dove Sua Eminenza ha affidato alla sua intercessione le intenzioni del Papa, della Chiesa universale e di quella libanese, e ha pregato per la pace nel mondo.

Mercoledì 26 giugno, il Cardinale ha celebrato l’Eucaristia presso il Santuario di Notre Dame du Liban e, successivamente, ha fatto visita al Centro sanitario di San Giovanni Battista di Ain El Remmaneh, tenuto dall’Ordine di Malta, che funziona come dispensario. Si è intrattenuto con i medici e il personale sanitario, e con i pazienti, esortandoli alla speranza.

Successivamente, l’Em.mo Segretario di Stato è stato ricevuto da S.E. il Sig. Nabih Berry, Presidente dellʼAssemblea Nazionale, a Ain el-Tineh, e poi si è recato al Palazzo del Grand Serail, dove ha incontrato S.E. il Sig. Najib Mikati, Primo Ministro dimissionario. Erano presenti per parte libanese S.E. il Sig. Henri Khoury, Ministro dimissionario della Giustizia, il Sig. Mahmoud Makkieh, Segretario Generale del Consiglio dei Ministri dimissionario, il Sig. Hani Chemaitelly, Segretario generale del Ministero per gli Affari Esteri ed Espatriati, ed alcuni Consiglieri del Primo Ministro. Al Grand Serail, l’Em.mo Segretario di Stato ha rilasciato una dichiarazione alla stampa, auspicando la pace nella regione e chiedendo che si arrivi all’elezione del Presidente della Repubblica libanese il prima possibile.

Sua Eminenza ha fatto ritorno in Vaticano il giovedì 27 giugno, portando con sé i volti e le speranze del popolo libanese e il loro grande desiderio di raggiungere una stabilità istituzionale, economica e sociale, cosa davvero urgente.

Nelle 20 mila parole messe in fila dal G7 non c’era spazio per scrivere “Armenia” (Tempi.it 02.07.24)

La dichiarazione finale del G7 è composta di 19.842 parole. Apro il mio tablet sul bordo del lago di Sevan. Sono venuti a trovarmi alcuni amici cacciati dall’Artsakh (Nagorno-Karabakh), desertificato della sua popolazione indigena dagli invasori giunti dall’Azerbaigian tirando cannonate su Stepanakert e su tutti i villaggi abitati. Una espulsione totalitaria equivalente al genocidio, qualcosa di così disumano da spaccare le ossa della mia anima.

Ma so che tutto questo è stato vissuto dolorosamente anche da tanti italiani, a differenza del loro governo e del Parlamento (maggioranza e opposizione, presenzialisti e assenteisti). Tutti adoratori della Costituzione, questi politici, e tutti a citare l’articolo 11 che «ripudia la guerra». Ma ci dev’essere un post-scriptum riservato, che si passano tra loro le generazioni di potenti: non c’è scritto che bisogna ripudiare chi fa la guerra e annienta poveri cristi, purché in cambio stipino di gas …

 

PAOLO COSSI SUL FILO INVISIBILE DELLE MONTAGNE (Lo Scarpone 30.06.24)

“Sono Paolo, scrittore di Storie disegnate”, così si presenta il friulano Paolo Cossi sul suo profilo Instagram. Fumettista, disegnatore, illustratore pluripremiato, tradotto in varie lingue e apprezzato a livello internazionale, il 44enne Paolo Cossi vive in un paesino ai piedi delle Prealpi pordenonesi, in un luogo circondato dalla natura e vicino alle montagne tanto amate, tra le quali ha maturato una parte essenziale delle sue esperienze formative e dalle quali ha tratto ispirazione per raccontare diverse storie. Una di queste riguarda il genocidio armeno, argomento al quale il disegnatore ha già dedicato due libri e su cui sta preparando il terzo: “Una ventina di anni fa – ci racconta – conobbi un alpinista e viaggiatore bellunese, Tito De Luca, che organizzava spedizioni sull’Ararat. Accadde a Forni di Sopra, dove si trovava assieme a Franco Miotto. De Luca organizzava spedizioni sull’Ararat, che era presidiato dai militari turchi, rischiando l’arresto: ci andava travestito da pastore e sotto falso nome. Un personaggio affascinante che mi ha permesso di raccontare la sua storia e quella della montagna sacra agli Armeni”. Il libro uscirà in Francia e sarà imperniato sulla figura del militare tedesco Armin Wegner, testimone diretto di quel genocidio: “Racconterò per immagini il suo periodo italiano: Wegner fu mandato al confino in Italia e poi visse a Stromboli, pieno di incubi perché era stato torturato dai nazisti. È l’unico al mondo considerato “giusto da due popoli”, quello armeno e quello ebraico.”

Originario della campagna pordenonese (San Cassiano di Brugnera) Cossi trascorre dal 2000 in poi una decina di anni tra le Dolomiti Friulane, vivendo in particolare a Erto – nei primi tempi senza acqua né luce – poi a Cimolais e ad Andreis, luoghi nei quali stringe forti legami di amicizia con Mauro Corona e con il poeta Federico Tavan: da entrambi trarrà ispirazione per alcuni suoi libri illustrati. Ad Andreis, luogo di nascita di Tavan, Cossi ha tra l’altro fondato e realizzato nel 2016 l’Archivio del Fumetto d’alta quota, oggi a lui intitolato, che raccoglie circa seimila volumi in varie lingue: un piccolo tesoro tra montagne selvagge. Tra i monti friulani Cossi si avvicina al mondo dell’arrampicata: “In Valcellina ho conosciuto diversi montanari. In quegli anni a Erto convogliavano anche tanti esponenti dell’alpinismo e della scrittura: ho conosciuto, tra gli altri, Manolo, Alessandro Gogna, Franco Miotto, Erri De Luca,- a cui inizialmente devo esser stato piuttosto antipatico perché gli dissi che assomigliava a Terence Hill con i baffi -, Andrea Gobetti”.

© Paolo Cossi

Grazie a Gobetti, che lo avvicina all’alpinismo, inizia una collaborazione con Alp, rivista per la quale realizza delle storie a puntate, e sarà lo stesso Gobetti a introdurlo alla speleologia: “Una volta mi ha detto ‘Vieni a provare il sotterraneo mondo’ e mi ha portato in Marguareis (Piemonte, al confine con la Francia). Ci sono stato dieci giorni e ne sono uscito terrorizzato. Però, per passare il tempo, in quel giorni ho fatto tante caricature degli speleo nelle varie situazioni”. Saranno proprio quelle caricature, qualche anno più tardi, a coinvolgerlo in una avventura molto speciale, portandolo a conoscere il regista del pluripremiato film Il buco, Michelangelo Frammartino: “Si trovava in Marguareis per cercare elementi per il suo film e ha notato i miei disegni appesi nella capanna che gli speleologi usano come da campo base: ‘Li ha fatti uno speleo molto bravo, un friulano’, gli dissero e così, anche se non ero per niente un bravo speleo, mi hanno ingaggiato come tale, facendomi poi fare un corso ad hoc in Calabria.” Nel film, oltre ad aver realizzato i disegni di scena, Cossi impersona proprio uno speleologo acquerellista, quello che deve disegnare il rilievo della grotta del Bifurto.

Quell’esperienza sul set sarà poi foriera l’anno successivo di un altro coinvolgimento cinematografico su terreni impervi perché Cossi verrà ingaggiato come aiuto scenografo e storyboarder, nel film Soldato Peter, dei registi Gianfilippo Pedote e Giliano Carli, uscito nel 2023, dove ha fatto anche da comparsa tra i soldati allo sbando. Il film è ambientato sull’Altopiano di Asiago durante la Prima Guerra Mondiale e racconta la storia del soldato ungherese Peter Pan, realmente esistito, che diserta e si mette in cammino per raggiungere il mare attraverso i monti: “Mi sono anche dilettato a costruire un mostro gigante di quindici metri che doveva sembrare un cumulo di rottami di guerra, ma spostando l’inquadratura doveva sembrare una bestia: l’ho costruito imparando a saldare e ho usato materiali di scarto di sfasciacarrozze, resti di bombe, fucili ed elmetti”.

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Nagorno Karabakh 2020, il modello della guerra moderna (Insider Over 30.06.24)

Il 19 settembre 2023, dopo quasi un anno di stallo, l’Azerbaigian ha ripreso l’offensiva contro la repubblica autoproclamata del Nagorno-Karabakh, ignorando le norme del diritto internazionale. In sole ventiquattr’ore, l’Artsakh ha cessato ogni resistenza, deposto le armi, e questa rapida sconfitta ha segnato la conclusione di un processo accelerato dai 45 giorni di intensi combattimenti avvenuti alla fine del 2020 nella medesima regione. Questo conflitto, studiato a posteriori, mette in evidenza la superiorità permessa da un alto grado di padronanza tecnologica in una guerra moderna ad alta intensità, in particolare l’uso di droni e dei social media. Oltre a questo aspetto contingente, gli armeni hanno perso questa guerra quando hanno perso la loro libertà di azione, mentre gli azeri hanno prevalso grazie alla concentrazione dei loro sforzi e alla rapidità della loro campagna.

Una terra contesa

Il Nagorno-Karabakh copre una superficie di 11.000 km² e ha una popolazione di 150.000 abitanti. Con un’altitudine media di 1.100 metri, foreste dense e una rete stradale poco sviluppata, il terreno ricorda molto le Prealpi francesi. È importante notare che il paese è collegato all’Armenia da un solo accesso asfaltato: il corridoio di Lachin. Pertanto, dipende logisticamente da questo unico asse di rifornimento.

Alla dissoluzione dell’URSS nel 1991, il Nagorno-Karabakh dichiara la propria indipendenza. Per riacquistare il controllo su questa regione, le autorità azere inviano truppe, dando inizio a una guerra che durerà fino al 1994, anno in cui viene raggiunto un cessate il fuoco. Le difficili negoziazioni per una risoluzione definitiva del conflitto, condotte nel contesto del Gruppo di Minsk, conducono a un equilibrio precario: nel 2016, le ostilità riprendono durante la guerra dei Quattro Giorni, scatenata da un’offensiva azera che si rivela però infruttuosa. In assenza di reali negoziati diplomatici, tutte le condizioni sono mature per una ripresa dei combattimenti.

 

 

Squilibrio delle fforze alla vigilia del conflitto

Alla vigilia dei combattimenti, Armenia/Artsakh e Azerbaigian avevano forze terrestri comparabili. Tuttavia, l’equipaggiamento militare di Baku era decisamente superiore a quello del suo avversario. Ad esempio, l’Azerbaigian possedeva quattro volte più carri armati. Baku aveva anche una maggiore quantità e qualità di mezzi aerei, con un netto vantaggio nel campo dei droni. Più in generale, il budget della difesa di Baku era quasi sei volte superiore a quello dell’Armenia.

L’offensiva azera del 2020

Il 27 settembre 2020, l’Azerbaigian avvia un’offensiva. I combattimenti iniziano con bombardamenti di artiglieria e attacchi di droni. In poche ore, la difesa antiaerea armena è quasi completamente annientata. Nei giorni successivi, il parco blindato armeno viene sostanzialmente messo fuori combattimento in tutta la profondità del suo dispositivo difensivo. L’offensiva terrestre azera concentra i suoi sforzi nel sud.

Dopo 44 giorni di intensi combattimenti, le truppe azere raggiungono Shusha, la porta d’accesso al corridoio di Lachin. Tuttavia, la vittoria non è ancora completa, soprattutto perché l’Azerbaigian sta esaurendo le sue scorte di munizioni. Inoltre, la Russia non desidera una vittoria azera che permetterebbe alla Turchia di consolidare la sua influenza nella regione. Dopo molteplici appelli alla cessazione delle ostilità, la distruzione di un elicottero russo il 9 novembre fornisce il pretesto per imporre un cessate il fuoco. Mosca schiera quindi una forza di interposizione.

In definitiva, le perdite ammontano a circa 25.000 morti per ciascuna parte, ovvero più di 100 morti al giorno. Anche i danni agli equipaggiamenti sono significativi. Praticamente tutti i carri armati, l’artiglieria e i lanciarazzi armeni sono stati distrutti. Le perdite sono minori per gli azeri, ma essi perdono praticamente tutti i loro droni.

 

 

Il Nagorno-Karabakh e le sue debolezze

Il sistema difensivo del Nagorno-Karabakh ha giocato un ruolo significativo nella perdita della libertà d’azione armena. Esso consisteva in una doppia linea di difesa: una situata alla frontiera e l’altra circa 20 km più arretrata. Queste erano costituite da semplici trincee di pietra e posti di combattimento. Questo dispositivo statico era completato da una divisione blindata capace di chiudere eventuali brecce. La principale vulnerabilità di questo sistema statico era la sua debolezza di fronte agli attacchi aerei, in particolare a causa dell’efficacia dei droni mentre le difese aeree armene erano ormai fuori uso.

Per questo motivo, già al quarto giorno dell’offensiva, il controattacco armeno con una divisione blindata si è concluso con un fallimento: 80 carri armati e decine di veicoli blindati sono stati distrutti. In pochi giorni, le truppe armene sono state immobilizzate da attacchi che colpivano tutto il territorio. Sotto la costante minaccia dei droni, sono diventate incapaci di rinforzare e sostenere le unità in combattimento. Di conseguenza, ogni posizione difensiva ha combattuto isolatamente, fino alla sua distruzione o all’esaurimento delle munizioni, di fronte all’inesorabile avanzata azera.

Isolamento dell’Armenia e Impatto della Guerra Psicologica

Oltre a queste difficoltà materiali, il Nagorno-Karabakh e l’Armenia si sono trovati privi di risorse nei campi cognitivi sia a livello locale che internazionale. Sul terreno, il continuo sorvolo dei droni e gli attacchi che colpivano tutto il Nagorno-Karabakh, comprese le aree urbane, hanno avuto un effetto devastante sul morale dei militari e dei civili. Un parallelo impressionante può essere tracciato con la disfatta francese del 1940. A questo proposito, è interessante notare la somiglianza del suono del drone israeliano HAROP con quello delle sirene del bombardiere Stuka tedesco della stessa epoca.

 

 

La campagna di influenza dell’Azerbaigian

L’Armenia si trova rapidamente isolata anche sul piano immateriale. Questo isolamento è dovuto principalmente alla comunicazione aggressiva e sistematica dell’Azerbaigian, che mira a minare la volontà di combattere delle forze armene e della loro popolazione, oltre a ridurre il loro sostegno internazionale. Baku conduce una campagna di influenza sui social network, mostrando la disfatta armena attraverso video di droni. Anche la stampa e le organizzazioni non governative di tutto il mondo vengono coinvolte, con visite organizzate per denunciare gli attacchi missilistici armeni nelle aree urbane.

Di fronte a un nemico privo di libertà d’azione, l’Azerbaigian concentra saggiamente i suoi sforzi fino a ottenere la vittoria. Per raggiungere questo obiettivo, Baku effettua una diversione attaccando con un corpo d’armata a Nord del Nagorno-Karabakh, ma il suo sforzo principale rimane concentrato al sud. Qui impiega il suo 2° Corpo d’armata, composto da cinque brigate meccanizzate. Dopo una settimana di offensiva, il 5° Corpo d’armata, inizialmente in riserva, viene impegnato nella stessa area. Successivamente, il 3° Corpo d’armata si aggiunge come rinforzo. Così, 30-40 gruppi tattici interarma sono impegnati contro 20 gruppi armeni su un fronte di 50 chilometri. Baku concentra quindi una forza considerevole e sostituisce continuamente le sue truppe, mentre gli armeni si esauriscono senza possibilità di rinforzi o sostituzioni.

Il terreno dell’offensiva azera

Il terreno scelto per l’offensiva è una zona meno montuosa del nord dell’Artsakh. Questo permette all’Azerbaigian di dispiegare i suoi carri armati, veicoli blindati e artiglieria a supporto della fanteria. La manovra iniziale prevede la conquista di tutto il sud del Nagorno-Karabakh fino al confine armeno, seguita da una convergenza delle forze su Shusha, la porta d’ingresso del corridoio di Lachin e la via d’accesso alla capitale, Stepanakert. Si osserva quindi una marcata concentrazione degli sforzi verso questa città fortificata, che alla fine cade, segnando la fine dei combattimenti.

Oltre alla concentrazione degli sforzi, la campagna è caratterizzata dalla sua rapidità. Gli azeri eseguono operazioni audaci e riescono ad accelerare bruscamente il ritmo delle operazioni. Questo è reso possibile principalmente da due fattori di superiorità operativa: la cooperazione e la massa.

Il modello turco di Ricognizione-Attacco

La cooperazione è potenziata dall’adozione del modello turco di complesso “ricognizione-attacco”. Infatti, il comando e controllo, i mezzi e i modi d’azione azeri consentono una sinergia tra droni, truppe di terra, artiglieria e guerra elettronica. Questo sistema è particolarmente efficace poiché opera in profondità nel dispositivo armeno, anche quando le condizioni meteorologiche impediscono ai droni di sorvegliare, colpire o guidare i tiri. Questo è reso possibile da alcune centinaia di commandos, noti anche come “sabotatori”, probabilmente addestrati in Turchia, che si infiltrano nelle linee nemiche. Questi uomini guidano i tiri dell’artiglieria e forniscono informazioni tattiche al resto delle truppe di terra. È importante notare che l’obiettivo di queste squadre non è distruggere bersagli ad alto valore strategico, ma sostenere direttamente l’offensiva terrestre.

L’incremento della massa

Le forze azere aumentano la loro “massa” in diversi ambiti grazie a un significativo volume di equipaggiamenti importati dall’estero. Ad esempio, utilizzano 600 lanciarazzi multipli, dieci volte più degli armeni. Inoltre, questo materiale è spesso più moderno. Baku dispone di carri armati T-90, mentre Stepanakert possiede T-72 più vecchi. La massa è aumentata anche grazie ai droni. Gli armeni non ne possiedono, mentre l’Azerbaigian utilizza una trentina di droni militari, tra cui dieci droni turchi TB2 Bayraktar e circa 200 droni suicidi HAROP israeliani. Infine, la Turchia ha attivamente sostenuto il suo partner inviando truppe ausiliarie: circa un migliaio di mercenari dell’Esercito Nazionale Siriano (ANS), finanziati ed equipaggiati dalla Turchia, sarebbero stati inviati per combattere. L’invio di queste truppe ausiliarie permette di disporre di uomini esperti, con modalità d’azione non convenzionali, che possono essere persi senza che ciò abbia un impatto sulle famiglie azere.

Il ritorno della guerra ad alta intensità

I combattimenti del 2020 nel Nagorno-Karabakh segnano il ritorno della guerra ad alta intensità alle porte orientali dell’Europa. Questo conflitto è caratterizzato dalla sua ampia visibilità sui social network e dall’uso predominante dei droni in battaglia, anticipando in parte la guerra russo-ucraina iniziata da Mosca il 24 febbraio 2022. Tuttavia, questo conflitto presenta delle peculiarità dovute alla natura del terreno, fortemente montuoso e scarsamente popolato, e quindi non rappresenta un modello ideale per la maggior parte degli scontri contemporanei. In molte delle guerre moderne, le aree urbane sono sempre più dense e numerose, come nel caso dell’Ucraina.

Tecnologie e ambiente Urbano

Una direzione da prendere è il fatto Che le zone urbane tendono a “livellare le tecnologie”. In questi ambienti chiusi, la rapidità delle operazioni e il vantaggio offerto dai droni e dalle azioni in profondità diventano meno rilevanti. In effetti, nei contesti urbani densi, la guerra assume caratteristiche diverse. La velocità delle operazioni, pur rimanendo cruciale, deve essere integrata con tecniche avanzate di combattimento urbano e una maggiore capacità di resistere alle perdite. Le operazioni in ambienti urbani richiedono un’estrema coordinazione tra le varie unità e una rapida capacità di adattamento alle condizioni variabili del campo di battaglia.

Droni e infowar, le novità della guerra

Un aspetto cruciale del conflitto del Nagorno-Karabakh nel 2020 è stato l’uso esteso dei droni, che hanno conferito un significativo vantaggio all’Azerbaigian. I droni non solo sono stati impiegati per sorveglianza e raccolta di informazioni, ma anche per attacchi mirati. Questa integrazione dei droni nel piano di battaglia ha permesso all’Azerbaigian di mantenere una pressione costante sulle forze armene, compromettendo il loro morale e la loro capacità operativa.

L’esperienza del Nagorno-Karabakh ha inoltre dimostrato come la guerra moderna si combatta non solo sul campo ma anche attraverso i media e i social network. La guerra dell’informazione è diventata un fronte cruciale. L’Azerbaigian ha abilmente utilizzato le piattaforme di social media per diffondere immagini e video dei propri successi militari, esercitando una pressione psicologica sui combattenti armeni e sull’opinione pubblica internazionale. Al contrario, l’Armenia si è trovata spesso in una posizione di difesa, cercando di contrastare la narrazione azera con comunicazioni meno efficaci.

Supporto internazionale e potenze regionali

Il ruolo della comunità internazionale e delle potenze regionali è stato anch’esso determinante nel conflitto del Nagorno-Karabakh. La Turchia ha fornito un supporto cruciale all’Azerbaigian, offrendo equipaggiamenti militari avanzati e assistenza logistica. Questo sostegno ha permesso a Baku di mantenere un vantaggio tecnologico e tattico durante il conflitto. La Russia, pur mantenendo una posizione ufficialmente neutrale, ha svolto un ruolo di bilanciamento, intervenendo diplomaticamente per imporre un cessate il fuoco e prevenire una vittoria totale dell’Azerbaigian, che avrebbe potuto rafforzare eccessivamente l’influenza turca nella regione.

Implicazioni strategiche

Le implicazioni strategiche del conflitto del Nagorno-Karabakh sono molteplici. Da un lato, ha dimostrato l’importanza della superiorità tecnologica e della capacità di condurre operazioni integrate e rapide. Dall’altro, ha evidenziato la necessità di strategie di difesa flessibili, in grado di rispondere a minacce asimmetriche e tecnologicamente avanzate. Inoltre, il conflitto ha sottolineato l’importanza di mantenere la coesione interna e di assicurarsi il sostegno internazionale, elementi che possono influenzare in modo decisivo l’esito delle guerre moderne.

Lezioni per le future operazioni militari

Il conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 offre un caso di studio significativo per comprendere le dinamiche dei conflitti contemporanei. Dimostra come la combinazione di tecnologia avanzata, tattiche innovative e una strategia di informazione aggressiva possa determinare il successo militare. Inoltre, mette in luce le vulnerabilità dei sistemi difensivi tradizionali di fronte a nuove forme di guerra. Le lezioni apprese da questo conflitto saranno probabilmente rilevanti per le future operazioni militari e per la definizione delle politiche di difesa delle nazioni.

Necessità di una difesa dinamica e flessibile

In secondo luogo, il conflitto evidenzia la necessità di una difesa dinamica e flessibile. Le forze armene, affidandosi a un sistema difensivo statico, non sono riuscite ad adattarsi rapidamente alle tattiche azere, rimanendo vulnerabili agli attacchi aerei e alle incursioni di commando. Questo indica che le strategie difensive future dovranno integrare una maggiore mobilità e la capacità di rispondere rapidamente alle minacce emergenti.

Importanza della guerra dell’informazione

Il ruolo cruciale dell’informazione e della guerra psicologica non può essere sottovalutato. L’uso strategico dei media e dei social network da parte dell’Azerba igian per diffondere propaganda e demoralizzare le forze armene ha avuto un impatto significativo sul conflitto. Ciò sottolinea l’importanza di sviluppare capacità di comunicazione efficaci e di contrastare le operazioni informative nemiche. Le nazioni dovranno investire in tecnologie e strategie per gestire la guerra dell’informazione, garantendo che le loro narrazioni siano convincenti e resilienti contro la propaganda avversaria.

Il sostegno internazionale e le alleanze regionali hanno avuto un ruolo determinante nel conflitto del Nagorno-Karabakh. La Turchia, con il suo supporto materiale e strategico, ha aiutato l’Azerbaigian a mantenere un vantaggio tecnologico e operativo. Al contempo, la neutralità strategica della Russia ha impedito una vittoria completa da parte azera, mantenendo un equilibrio nelle dinamiche regionali. Questo mette in evidenza l’importanza delle relazioni internazionali e delle alleanze nel determinare gli esiti dei conflitti.

Il conflitto ha anche dimostrato l’importanza del supporto civile e del morale. La popolazione civile del Nagorno-Karabakh ha sofferto enormemente a causa degli attacchi aerei e delle incursioni di droni, il che ha avuto un impatto diretto sul morale delle forze armate. Le future strategie militari dovranno considerare non solo la protezione delle infrastrutture civili, ma anche il mantenimento del supporto e del morale della popolazione. Questo potrebbe includere misure di difesa civile, evacuazione tempestiva e campagne di informazione per sostenere il morale pubblico.

Protezione contro le minacce aeree

L’esperienza del conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 evidenzia diverse sfide specifiche che le forze armate moderne dovranno affrontare. Una di queste è la protezione contro le minacce aeree avanzate, in particolare i droni. La capacità di neutralizzare tali sistemi sarà cruciale per mantenere la superiorità aerea e proteggere le truppe a terra. Tecnologie come i sistemi di difesa aerea a corto raggio, le armi a energia diretta e le contromisure elettroniche saranno fondamentali per contrastare queste minacce.

Resilienza delle comunicazioni

Un’altra sfida riguarda la resilienza delle comunicazioni e dei sistemi di comando e controllo. Durante il conflitto, la capacità dell’Azerbaigian di coordinare efficacemente le operazioni tra diverse unità e piattaforme tecnologiche ha avuto un ruolo chiave. Questo richiede un’infrastruttura di comunicazione robusta, in grado di resistere a interferenze e attacchi elettronici. Le forze armate future dovranno investire in sistemi di comunicazione resilienti e flessibili per garantire che le operazioni possano continuare senza interruzioni.

Logistica e sostenibilità pperativa

La logistica rappresenta un altro aspetto critico. La dipendenza del Nagorno-Karabakh da un singolo corridoio di rifornimento ha mostrato quanto possa essere vulnerabile una rete logistica limitata. Le forze armate devono assicurarsi che le loro operazioni possano essere sostenute attraverso multiple linee di rifornimento e avere capacità logistiche rapide e adattabili. L’uso di veicoli autonomi, droni logistici e sistemi di gestione avanzata delle forniture può migliorare notevolmente la resilienza logistica.

Conclusione

Il conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 offre lezioni preziose su vari fronti. Sottolinea l’importanza della superiorità tecnologica, la necessità di difese dinamiche, il ruolo chiave della guerra dell’informazione e il peso delle alleanze internazionali. Questi elementi saranno cruciali per le future operazioni militari e le politiche di difesa.

In un contesto in cui le guerre diventano sempre più complesse e multidimensionali, i paesi dovranno adattare le loro strategie per affrontare queste nuove sfide. La lezione principale del conflitto del Nagorno-Karabakh è che la preparazione e l’adattabilità sono essenziali per il successo, e che l’innovazione tecnologica deve essere accompagnata da una strategia chiara e flessibile.

Alla luce di queste considerazioni, le forze armate di tutto il mondo stanno probabilmente riesaminando le loro dottrine e capacità per rispondere meglio alle nuove forme di guerra. Il futuro della difesa vedrà probabilmente un’ulteriore integrazione di tecnologie avanzate, una maggiore enfasi sulla guerra dell’informazione e una maggiore attenzione alle dinamiche delle alleanze internazionali. Il conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 serve quindi non solo come esempio di come le guerre possono essere combattute oggi, ma anche come indicatore delle direzioni future della strategia e delle operazioni militari.

Le lezioni apprese dal Nagorno-Karabakh serviranno come guida per migliorare le dottrine militari e preparare meglio i paesi alle sfide della guerra moderna.

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Le tensioni a Erevan viste da Mosca (Asianews 28.06.24)

Secondo il politologo russo Dmitrij Trenin con un cambiamento ai vertici l’Armenia non troverebbe più alleati a Occidente; gli Usa si farebbero da parte, e l’Azerbaigian e la Turchia sarebbero liberi di fare i conti da soli con un governo armeno rivoltoso. L’importante per Mosca è che “non si formi un altro fronte non amichevole”.

Mosca (AsiaNews) – Le relazioni tra Russia e Armenia hanno raggiunto negli ultimi tempi un livello di tensione mai sperimentato prima, considerata la storica riconoscenza di Erevan all’impero che salvò almeno una parte degli armeni dal genocidio, e che permise una convivenza piuttosto tranquilla anche ai tempi sovietici, quando la repubblica armena rimaneva una delle più impermeabili alla russificazione socialista. Un noto politologo russo, il professor Dmitrij Trenin, membro del Consiglio russo per gli affari internazionali del Cremlino, ha commentato l’evoluzione di questa situazione su Novosti-Armenia.

In diverse interviste, l’esperto ha sostenuto che l’Occidente non è in grado di compensare le dimensioni del sistema di sicurezza dell’Armenia, che sono sempre state assicurate dalla Russia. Gli armeni peraltro ritengono che proprio la Russia abbia fatto crollare tale sistema negli ultimi anni, non proteggendo l’Armenia dall’Azerbaigian durante gli scontri per il Nagorno Karabakh, venendo meno ai suoi impegni di alleato, mentre i russi temono che gli ondeggiamenti del governo di Erevan possano portare contingenti della Nato sul territorio armeno, dando inizio a un’altra gravissima crisi.

Trenin ricorda che la vittoria dell’Armenia nella prima guerra del Karabakh nel 1994, a condizioni molto favorevoli, fu resa possibile proprio dal sostegno della Russia. Nei quasi trent’anni successivi, prima della nuova guerra degli azeri, i russi hanno fatto tutto il possibile per risolvere ogni motivo di conflitto per via diplomatica, e sembrava che le parti fossero vicine a un accordo, ma “non è colpa della Russia se poi questo è saltato”. A suo parere, gli armeni hanno rifiutato di sfruttare le tante possibilità che grazie a Mosca le erano state offerte prima del 2020.

Attualmente, senza voler rivangare il passato, “i pericoli potenziali per l’Armenia vengono dall’Azerbaigian e dalla Turchia”, e secondo il politologo “se dovessero occuparsi di questo gli Stati Uniti, certamente non ci sarebbero colonne di carri armati turchi ai confini, ma l’Armenia sarebbe comunque costretta a piegarsi agli interessi della Turchia”. Tutto questo verrebbe presentato come “un rafforzamento della pace e della stabilità nella regione”, e gli americani si farebbero garanti di questa situazione affermando di “voler aiutare il progresso economico dell’Armenia”.

D’altra parte bisogna tenere conto dell’instabilità politica interna dell’Armenia, come la nascita di un nuovo movimento popolare di opposizione, il “Tavowš in nome della Patria” guidato dall’arcivescovo Bagrat Galstanyan, in cui molti reagiscono contro i continui cedimenti nei confronti dei Paesi vicini. Ci potrebbe essere quindi un cambiamento ai vertici del Paese, “o attraverso le elezioni, o con una sollevazione popolare”, e allora l’Armenia non troverebbe più alleati a Occidente; gli Usa si farebbero da parte, e l’Azerbaigian e la Turchia sarebbero liberi di fare i conti da soli con un governo armeno rivoltoso. Secondo il politologo “probabilmente non si andrebbe a un conflitto di grande portata, ma ci sarebbero nuove pressioni e azioni militari in varie zone dell’Armenia e dei suoi confini”.

Nell’intervista si avverte che “ci sarebbero anche coloro che si aspettano l’aiuto dell’Iran”, che non sopporterebbe la crescita dell’influenza turca sulla regione, che è già notevole. Finora Teheran mantiene un atteggiamento non ostile ad Ankara, ma anche questo equilibrio potrebbe rompersi, per l’allergia iraniana a ogni forma di alleanza con gli americani (tramite la Turchia) e con Israele (tramite l’Azerbaigian), anche se “l’Iran ha problemi ben più grossi da risolvere, che non lo status dell’Armenia”. Trenin non ritiene che “l’unica alternativa sia fare dell’Armenia un vassallo della Russia”, sia perché sarebbe impossibile, sia perché nessuno in Russia vuole veramente questo; l’importante per Mosca è che “non si formi un altro fronte non amichevole, lasciando che gli avversari geopolitici possano inghiottire l’Armenia”.

Il Procuratore Generale Militare presso la Corte Suprema di Cassazione in visita in Armenia (Ministero della Difesa 28.06.24)

Il Procuratore generale militare presso la CassazioneMaurizio Block, si è recato in Armenia, nell’ambito del programma di cooperazione giudiziale ied è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Vahagn Kharturyan.
Il Presidente armeno ha espresso soddisfazione per il rapporto di amicizia e vicinanza tra i due Paesi e, relativamente al campo giuridico, ha sottlineato l’importanza di garantire l’autonomia dei giudici e dei pubblici ministeri per una giustizia trasparente ed effettiva, nell’ambito del processo di avvicinamento ai principi democratici, ispirato al rispetto delle libertà fondamentali. Nell’incontro con il Procuratore generale Anna Vardapetyan è stato illustrato dal Procuratore Block l’ordinamento penale italiano, evidenziando le differenze tra i due ordinamenti. L’incontro si è concluso con il cordiale e reciproco auspicio di proseguire la collaborazione in materia penale rafforzando i rapporti tra le Procure generali dei due Paesi.

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Papa Francesco: nomina mons. Ante Jozić nunzio apostolico in Georgia e Armenia (28.06.24)

Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Georgia e Armenia mons. Ante Jozić, finora nunzio apostolico in Bielorussia. Ne dà notizia oggi la Sala Stampa della Santa Sede.

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Le tensioni a Erevan viste da Mosca (Asianews 28.06.24)

Mosca (AsiaNews) – Le relazioni tra Russia e Armenia hanno raggiunto negli ultimi tempi un livello di tensione mai sperimentato prima, considerata la storica riconoscenza di Erevan all’impero che salvò almeno una parte degli armeni dal genocidio, e che permise una convivenza piuttosto tranquilla anche ai tempi sovietici, quando la repubblica armena rimaneva una delle più impermeabili alla russificazione socialista. Un noto politologo russo, il professor Dmitrij Trenin, membro del Consiglio russo per gli affari internazionali del Cremlino, ha commentato l’evoluzione di questa situazione su Novosti-Armenia.

In diverse interviste, l’esperto ha sostenuto che l’Occidente non è in grado di compensare le dimensioni del sistema di sicurezza dell’Armenia, che sono sempre state assicurate dalla Russia. Gli armeni peraltro ritengono che proprio la Russia abbia fatto crollare tale sistema negli ultimi anni, non proteggendo l’Armenia dall’Azerbaigian durante gli scontri per il Nagorno Karabakh, venendo meno ai suoi impegni di alleato, mentre i russi temono che gli ondeggiamenti del governo di Erevan possano portare contingenti della Nato sul territorio armeno, dando inizio a un’altra gravissima crisi.

Trenin ricorda che la vittoria dell’Armenia nella prima guerra del Karabakh nel 1994, a condizioni molto favorevoli, fu resa possibile proprio dal sostegno della Russia. Nei quasi trent’anni successivi, prima della nuova guerra degli azeri, i russi hanno fatto tutto il possibile per risolvere ogni motivo di conflitto per via diplomatica, e sembrava che le parti fossero vicine a un accordo, ma “non è colpa della Russia se poi questo è saltato”. A suo parere, gli armeni hanno rifiutato di sfruttare le tante possibilità che grazie a Mosca le erano state offerte prima del 2020.

Attualmente, senza voler rivangare il passato, “i pericoli potenziali per l’Armenia vengono dall’Azerbaigian e dalla Turchia”, e secondo il politologo “se dovessero occuparsi di questo gli Stati Uniti, certamente non ci sarebbero colonne di carri armati turchi ai confini, ma l’Armenia sarebbe comunque costretta a piegarsi agli interessi della Turchia”. Tutto questo verrebbe presentato come “un rafforzamento della pace e della stabilità nella regione”, e gli americani si farebbero garanti di questa situazione affermando di “voler aiutare il progresso economico dell’Armenia”.

D’altra parte bisogna tenere conto dell’instabilità politica interna dell’Armenia, come la nascita di un nuovo movimento popolare di opposizione, il “Tavowš in nome della Patria” guidato dall’arcivescovo Bagrat Galstanyan, in cui molti reagiscono contro i continui cedimenti nei confronti dei Paesi vicini. Ci potrebbe essere quindi un cambiamento ai vertici del Paese, “o attraverso le elezioni, o con una sollevazione popolare”, e allora l’Armenia non troverebbe più alleati a Occidente; gli Usa si farebbero da parte, e l’Azerbaigian e la Turchia sarebbero liberi di fare i conti da soli con un governo armeno rivoltoso. Secondo il politologo “probabilmente non si andrebbe a un conflitto di grande portata, ma ci sarebbero nuove pressioni e azioni militari in varie zone dell’Armenia e dei suoi confini”.

Nell’intervista si avverte che “ci sarebbero anche coloro che si aspettano l’aiuto dell’Iran”, che non sopporterebbe la crescita dell’influenza turca sulla regione, che è già notevole. Finora Teheran mantiene un atteggiamento non ostile ad Ankara, ma anche questo equilibrio potrebbe rompersi, per l’allergia iraniana a ogni forma di alleanza con gli americani (tramite la Turchia) e con Israele (tramite l’Azerbaigian), anche se “l’Iran ha problemi ben più grossi da risolvere, che non lo status dell’Armenia”. Trenin non ritiene che “l’unica alternativa sia fare dell’Armenia un vassallo della Russia”, sia perché sarebbe impossibile, sia perché nessuno in Russia vuole veramente questo; l’importante per Mosca è che “non si formi un altro fronte non amichevole, lasciando che gli avversari geopolitici possano inghiottire l’Armenia”.

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Sulle tracce del patrono. Pellegrinaggio in Armenia, terra di San Mercuriale (Il Resto del Carlino 27.06.24)

Il vescovo Corazza è tornato dal viaggio al quale hanno partecipato 50 forlivesi, visitata anche la Georgia. “Il battesimo ci unisce: siamo un popolo solo”.

Sulle tracce del patrono. Pellegrinaggio in Armenia, terra di San Mercuriale

Sulle tracce del patrono. Pellegrinaggio in Armenia, terra di San Mercuriale

Il vescovo, mons. Livio Corazza, è tornato dal pellegrinaggio diocesano che ha guidato in Armenia e Georgia dal 14 al 21 giugno. Al viaggio, organizzato dall’Ufficio diocesano per i pellegrinaggi di cui è responsabile Mariella Leoni, hanno partecipato 50 forlivesi, tra cui don Enrico Casadio, parroco di Meldola, e don Nino Nicotra, parroco di San Mercuriale, intitolata al primo vescovo di Forlì, originario proprio dell’Armenia. “Siamo partiti sulle orme di San Mercuriale – afferma mons. Corazza – e siamo tornati portando nel cuore l’amore per i popoli armeno e georgiano e l’impegno di non dimenticarli, nel nome del Santo Patrono di Forlì. Il popolo armeno, la prima nazione che ha scelto di farsi battezzare, ha pagato con il sangue la sua fede e la sua unità. Il momento più drammatico del nostro pellegrinaggio è stata la preghiera silenziosa al memoriale del genocidio del 1915 che provocò un milione e mezzo di morti”. Tra le tappe del viaggio, Yerevan, il sito archeologico di Zvartnots con i resti della cattedrale di San Gregorio l’Illuminatore, Echmiadzin, cuore religioso della nazione e sede del Katolicos, la più alta autorità religiosa del Paese. In Georgia sono stati visitati il monastero di Jvari a Mtskheta, la cattedrale di Svetitskhoveli e Tblisi, dove nella chiesa cattolica è stata celebrata la messa presieduta dal mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, originario di Verona. “Mi ha colpito una sua frase: noi cattolici abbiamo il compito di ricordare a tutti i cristiani che apparteniamo ad una sola Chiesa, attraverso il battesimo che ci unisce tutti: siamo un popolo solo. Dopo 1800 anni siamo tornati per ringraziare gli armeni di averci donato la fede in Gesù Cristo attraverso San Mercuriale, vogliamo stare vicino ai suoi connazionali, ricordandoci che siamo tutti fratelli”.

Papa: dalla Terra Santa al Karabakh, ‘Chiese martiriali’ più forti della guerra (Asianews 27.06.24)

Il pontefice ha ricevuto questa mattina i partecipanti alla plenaria della Roaco, elencando le aree dilaniante da conflitti e violenze in Medio Oriente e nell’Europa dell’est. L’appello per le aree che si stanno spopolando dei cristiani e la preoccupazione pastorale per i territori della diaspora. La guerra una “avventura insensata e inconcludente”. “Urgente cessate il fuoco, con la guerra nessuno sarà vincitore”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Le Chiese orientali “vanno amate” perché custodiscono “tradizioni spirituali e sapienziali uniche” che hanno molto da dire “sulla vita cristiana, sulla sinodalità e sulla liturgia” come insegnano i padri antichi, i Concili, il monachesimo. Tuttavia, questa è una “bellezza ferita” perché sono “schiacciate da una croce pesante” che le ha trasformate in “Chiese martiriali” in particolare in Terra Santa dove la situazione è “drammatica”. È quanto ha sottolineato papa Francesco questa mattina, ricevendo in Vaticano i partecipanti alla 97ma Assemblea plenaria della “Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali” (Roaco), che si è svolta a Roma dal 24 al 27 giugno. Dove “tutto è iniziato” ha proseguito il pontefice riferendosi alla guerra di Israele contro Hamas a Gaza, “dove gli Apostoli hanno ricevuto il mandato di andare nel mondo ad annunciare il Vangelo oggi i fedeli di tutto il mondo sono chiamati a far sentire la loro vicinanza”.

Nella riflessione il papa si rivolge ai cristiani nel mondo, esortandoli a “incoraggiare” i confratelli in Terra Santa e Medio oriente “ad essere più forti della tentazione di abbandonare le loro terre, dilaniate dai conflitti”. Riferendosi allo spopolamento laddove è nato il cristianesimo parla di “situazione brutta”, di “dolore” provocato dalla guerra che è “ancora più stridente e assurda nei luoghi dove è stato promulgato il Vangelo della pace”. Rivolgendosi a chi “alimenta” i conflitti traendone “ricavi e vantaggi” Francesco lancia un appello: “Fermatevi!”. “È urgente cessare il fuoco, incontrarsi e dialogare – afferma – per consentire la convivenza di popoli diversi […] per un futuro stabile” perché con la guerra “insensata e inconcludente” tutti sono “sconfitti”.

Dopo aver salutato il card. Claudio Gugerotti, i superiori del Dicastero e i membri delle Agenzie che compongono l’assemblea, il papa allarga il discorso ad altre aree di tensione e conflitto: fra queste la Siria, il Libano (ma è “l’intero” Medio oriente in fiamme), e ancora il Caucaso, il Tigray e l’Ucraina “per la quale – ricorda – prego e non mi stanco di invitare a pregare”. “Proprio lì, dove vivono buona parte dei cattolici orientali, le barbarie della guerra – osserva – imperversano in modo efferato”. “E noi, fratelli e sorelle, non possiamo – ha proseguito il pontefice – restare indifferenti. L’Apostolo Paolo ha messo nero su bianco la raccomandazione, ricevuta dagli altri Apostoli, di ricordarsi dei più bisognosi tra i cristiani […] È Parola ispirata da Dio e voi della Roaco siete le mani che danno carne a questa Parola: mani che portano aiuto, risollevando” o alleviando “le sofferenze dei nostri fratelli e sorelle orientali”.

Invitando a “continuare a sostenere le Chiese orientali cattoliche” e a essere “di stimolo” per il clero e i religiosi, papa Francesco vuole ringraziare “perché rispondete a chi distrugge ricostruendo; a chi priva di dignità restituendo speranza; alle lacrime dei bambini con il sorriso di chi ama; alla logica maligna del potere con quella cristiana del servizio. I semi che voi piantate – afferma. nei terreni inquinati dall’odio e dalla guerra germoglieranno, ne sono sicuro. E saranno profezia di un mondo diverso, che non crede alla legge del più forte, ma alla forza di una pace non armata”.

Il papa ha poi affrontato la questione degli sfollati e la situazione umanitaria della regione del Karabakh, per la quale ha ringraziato mons. Gevork Saroyan, della Chiesa apostolica armena, per la sua presenza in questi giorni. “Oggi tanti cristiani d’Oriente, forse come mai prima, sono in fuga da conflitto o migrano in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori: moltissimi, perciò, vivono in diaspora” sottolinea papa Francesco toccando un’ulteriore questione aperta che la Chiesa deve oggi affrontare. Il riferimento è alla “cura pastorale” di quanti “risiedono fuori dal loro territorio proprio” e che, in alcuni casi “a causa delle massicce migrazioni degli ultimi decenni, annoverano la maggior parte dei fedeli fuori dal loro territorio tradizionale”. Essi devono affrontare scarsità di sacerdoti e luoghi di culto, e rischiano di essere privanti anche della stessa “identità religiosa”. “Sono grato alle diocesi latine che accolgono fedeli orientali e rispettano le loro tradizioni; invito a prendersi cura di loro, perché questi fratelli e sorelle – conclude il papa – possano mantenere vivi e saldi i loro riti. E incoraggio il Dicastero a lavorare su questo aspetto, anche definendo principi e norme che aiutino i Pastori latini a sostenere gli orientali cattolici della diaspora”.

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Il Papa: in Ucraina si liberino i prigionieri e si rimpatrino i bambini E ricorda crisi nel Karabakh (Askanews)


Il Papa: urgente cessate il fuoco, fermatevi! Con la guerra nessuno sarà vincitore (Vaticannews.va)