Armenia, arcivescovo contro il governo (Italia Oggi 04.07.24)

Sulla scena politica dell’Armenia è comparsa una nuova figura. Ha la barba lunga, l’abito bianco e guida le proteste contro il premier Nikol Pashinyan. Il principale oppositore del governo armeno si chiama Bagrat Galstanyan, 53 anni, arcivescovo di Tavows, provincia di 135mila abitanti nota agli appassionati di trekking per i suoi sentieri panoramici.

L’arcivescovo ribelle che mira a diventare premier dell’Armenia Galstanyan è stato temporaneamente sospeso dagli incarichi pastorali su sua stessa richiesta, il che non gli impedisce di scendere in piazza con i paramenti e gli arredi ecclesiastici per guidare il movimento «Tavows in nome della patria», che si coagula attorno a gruppi e sigle politiche di ogni provenienza, anche ideologicamente molto distanti dalla Chiesa e dalla religione, ma tutti favorevoli a rafforzare i legami con la Russia di Vladimir Putin.

Galstanyan è un monaco della tradizione orientale. E non ha altra famiglia «al di fuori della Chiesa e del popolo». L’arcivescovo non nasconde le sue ambizioni di assumere il ruolo di primo ministro dopo aver rovesciato il «traditore» Pashinyan.

Galstanyan non si limita ad arringare le folle, ma le esorta a prendere d’assalto i palazzi del potere, com’è accaduto qualche giorno fa, quando i manifestanti hanno cercato di rinchiudere il premier e i deputati nel palazzo dell’Assemblea nazionale. La polizia è dovuta ricorrere alla forza per disperdere i contestatori, ma il sacerdote rivoluzionario, presente alle proteste, non è stato sfiorato.

Il Paese è diviso tra la maggioranza che sostiene il primo ministro e l’opposizione guidata dal monaco

L’Armenia è dilaniata da un conflitto interno tra le forze di maggioranza che sostengono Pashinyan, favorevoli ai colloqui di pace con l’Azerbaigian, e l’opposizione guidata da Galstanyan, che pretende di difendere i territori di confine.Secondo i funzionari di Accordo civile, il partito del premier, dietro alle rivolte ci sarebbe il patriarca della Chiesa armena, Karekin II, che avrebbe dato la sua benedizione (in tutti i sensi) a Galstanyan per rovesciare il potere con ogni mezzo, e pazienza se non sarà il più democratico.

La Chiesa esortava il governo a eliminare il Nagorno Karabakh

Lo scorso anno la Chiesa armena aveva esortato il governo a proseguire la battaglia contro gli azeri sul Nagorno Karabakh, da cui l’esercito era stato ritirato dall’esecutivo di Pashinyan per evitare una guerra totale tra Armenia e Azerbaigian.

Il premier Pashinyan contro i vescovi Il primo ministro ha definito i vescovi «agenti provocatori» che «vogliono portare di nuovo la guerra». E ha promesso che la faccenda verrà risolta «entro due o tre mesi». Pashinyan si affida alle rievocazioni storiche: davanti al parlamento ha giurato che non accadrà più come all’epoca dei bizantini, quando i patriarchi fomentarono guerre e conflitti facendo pressione sugli imperatori a Bisanzio.

La rilettura della storia è una caratteristica delle guerre del terzo millennio: mentre Putin cerca di ristabilire i fasti del passato in Russia, Pashinyan insiste nel proporre una nuova Armenia, che non sia un’imitazione di quella antica o medievale.

«Se i rapporti della Chiesa col governo sono cattivi», ha detto il premier armeno Nikol Pashinyan citando un brano delle lettere di San Paolo, «allora saranno cattivi anche i rapporti della Chiesa con Dio». Un messaggio non troppo velato per l’arcivescovo rivoluzionario.

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Fano Jazz by the sea batte il ritmo. Musicisti da ogni angolo del mondo (Resto del Carlino 04.07.24)

E’partito il conto alla rovescia della 32esima edizione del Fano Jazz by the Sea. Si comincia sabato 20 dall’Arco d’Augusto con “The Next Movement” per proseguire con i sei concerti sul main stage della Rocca Malatestiana, fino ad arrivare agli appuntamenti alla ex Chiesa di San Francesco e alla Pinacoteca San Domenico, per arrivare alla Spiaggia di Sassonia con il suggestivo concerto all’alba (domenica alle 5 all’ex Anfiteatro Rastatt), senza dimenticare il Jazz Village. Alla Rocca si comincia domenica alle 21,30 con Richard Bona e Alfredo Rodriguez, coadiuvati dal batterista Michael Olivera. La sera dopo sarà la volta di Dhafer Youssef. Martedi 23 luglio toccherà al trio del pianista di origine armena Tigran Hamasyan. Novità assolute per il Festival saranno Ana Carla Maza e Daniel Garcia. Venerdi 26, toccherà chiudere il ciclo ai rinnovati The Bad Plus, ovvero al bassista Reid Anderson e al batterista Dave King, cofondatori del gruppo, affiancati dal sassofonista Chris Speed e dal chitarrista Ben Monder, quest’ultimo partner di David Bowie nel suo album Blackstar.

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Genocidio armeno, licenza revocata a una radio turca (Cds 04.07.24)

Una radio turca indipendente, condannata per aver permesso a un ospite di discutere del “genocidio armeno” del 1915, si è vista revocare la licenza dal Consiglio turco per la radiodiffusione (RTÜK).

“RTÜK ha annullato la licenza di Açik Radyo. Il motivo è che la sua direzione non ha rispettato la sospensione di cinque giorni (di uno dei suoi programmi) per ‘incitamento all’odio e all’ostilità’, ha annunciato sulla rete sociale X Ilhan Tasci, membro di RTÜK , nominato dall’opposizione.

Didem Gençtürk, coordinatore dei programmi della radio indipendente con sede a Istanbul, ha confermato questa decisione all’Afp.

 

Açik Radyo, che trasmette da quasi trent’anni e si proclama “aperto a tutte le voci e a tutti i colori”, è stato condannato a fine maggio a una multa e al divieto di trasmettere per cinque giorni il suo programma in cui, ad aprile Il 24, un ospite è tornato sui massacri degli armeni perpetrati nel 1915 dalle truppe ottomane, definendoli “genocidio”, come molti storici.
Nella sua decisione, l’Alto Consiglio turco dell’audiovisivo aveva criticato l’emittente per non aver “tentato di correggere le dichiarazioni dell’ospite”.
Il genocidio armeno è riconosciuto come tale dai governi o dai parlamenti di molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Italia, Francia e Germania. Il numero degli armeni morti è stimato tra 600.000 e 1,5 milioni.
La Turchia, nata dallo smantellamento dell’Impero Ottomano nel 1920, continua a rifiutare questo termine e si riferisce a “massacri” accompagnati da una carestia, in cui morirono da 300.000 a 500.000 armeni e altrettanti turchi.
In un comunicato diffuso dopo la condanna, la radio ha ricordato di “aver sempre difeso la libertà di pensiero e di espressione e la libertà di stampa”.

“Nessuna espressione nel programma sanzionato ha superato (questi) limiti”, ha affermato.

“La decisione (…) del Consiglio Superiore dell’Audiovisivo nei confronti di @acikradyo è chiaramente contraria all’articolo 26 della Costituzione, che regola la libertà di pensiero e di espressione”, ha reagito su X il sindacato turco dei giornalisti del TGS.

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La tragedia che non c’è (Korazym 04.07.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.07.2024 – Renato Farina] – La “dichiarazione” finale del G7 è composta di 19.842 parole (in inglese, compresi titoli e titoletti). Apro il mio tablet sul bordo del lago di Sevan. Sono venuti a trovarmi alcuni amici cacciati dall’Artsakh (Nagorno-Karabakh), desertificato della sua popolazione indigena dagli invasori giunti dall’Azerbajgian tirando cannonate su Stepanakert e su tutti i villaggi abitati. Una espulsione totalitaria equivalente al genocidio: nullificare la presenza di un popolo nella sua terra, con tanto di fagotti dei morti sulle spalle, qualcosa di così disumano da spaccare le ossa della mia anima.

Ma so che tutto questo è stato vissuto dolorosamente anche da tanti Italiani, a differenza soprattutto del loro Governo, e del loro Parlamento (maggioranza e opposizione, presenzialisti e assenteisti). Tutti adoratori della Costituzione, questi politici, e tutti a citare l’articolo 11 che “ripudia la guerra”. Ma ci dev’essere un postscriptum riservato, che si passano tra loro le generazioni di potenti: non c’è scritto che bisogna ripudiare chi fa la guerra e annienta poveri cristi, purché in cambio stipino di gas i nostri serbatoi, e di caviale certi tipetti, e di denaro le nostre fabbriche di cannoni e aerei tattici militari per trasferire paracadutisti di reparti d’assalto sui petti di sciagurate minoranze Cristiane…

Sono ingiusto a non fare distinguo. Non tutti i parlamentari e non tutti i ministri e i sottosegretari hanno sacrificato gli Armeni dell’Artsakh alla ragion di Stato (ma val la pena sopravviva uno Stato che ha ragioni così miserabili per campare, al punto da accarezzare massacri e pulizie etniche purché gli autori siano bravi fornitori? Per me no, ma chi sono io per giudicare e magari al loro posto fare lo stesso?).

Non tutti hanno chiuso gli occhi, ci sono pochi meravigliosi deputati e senatori coraggiosi, oltre a qualche Nicodemo che nel silenzio dissente. Oso qualche nome: Centemero, Formentini, Zampa, Pozzolo, Orsini, Malagola, Fassino e se dimentico qualcuno, scriva che – se sono ancora vivo – rimedierò.

Speranze tradite

Ho letto la dichiarazione finale firmata da Capi di Stato e Premier del G7. Ho usato i dispositivi dell’intelligenza calcolatrice che permettono di scrutare il succo dei testi. Avevo moderate speranze di trovare un impegno per tutelare la piccola culla delle memorie Cristiane, un luogo che non è simbolico e basta, ma palpitava. Uso il passato!

Il Nagorno-Karabakh era abitato da centoventimila Cristiani. Nel settembre del 2020 l’Azerbajgian sostenuto dai Turchi si era già preso metà del territorio. La Russia e la Bielorussia, che avrebbero dovuto intervenire in base ai trattati sottoscritti con l’Armenia, hanno lasciato fare. Putin si è mosso solo a novembre, quando migliaia di soldati e civili Armeni erano ormai stati uccisi come sagome del lunapark da droni israeliani infallibili.

Nel 2022, quattro giorni prima dell’aggressione all’Ucraina, lo Zar Vladimir e il dittatore dell’Azerbajgian Ilham Aliyev hanno firmato un trattato di cooperazione, che ha consentito alla Russia di triangolare gas e petrolio con l’Occidente tramite il simpatico tiranno il cui padre Heydar fu vice di Breznev e colonna asiatica del KGB.

Nel 2023, dopo uno stillicidio di attacchi e assassinii, e l’assedio utile per far morire i bambini di fame, il colpo finale. In centomila espropriati della loro essenza furono costretti, per non essere schiavizzati o appesi ai pali, ad andarsene nella Repubblica di Armenia. L’Italia era corsa in soccorso del vincitore sin dai primi giorni del 2023 firmando un accordo per la “modernizzazione” (citazione dalla dichiarazione ufficiale del governo di Baku) delle forze armate azere.

Nelle circa 20mila parole messe in fila dal G7 non c’era spazio per scrivere “Armenia”

Ed ecco il G7 a presidenza italiana. Speravamo in Giorgia Meloni, ma forse l’essersi affidata a Elisabetta Belloni come sherpa per fissare accordi, non è stata una grande idea, almeno per noi disgraziati Cristiani del Caucaso. Non deve essere stata una gran trascinatrice per la buona causa delle minoranze religiose e razziali.

Avevamo sperato nella presenza al G7 di Borgo Egnazia dello Stato più amico di noi Armeni che esista in Occidente, almeno sulla carta: in Francia circa 750mila suoi cittadini sono “armenians de France”; ma dovrebbero esserlo anche gli USA e il Canada, nazioni in cui i miei fratelli assommano a un milione e mezzo.

Risultati? Siamo invisibili, siamo inesistenti. Esiste anche un genocidio che bassa attraverso la soppressione del problema, l’impiparsene.

Tra i circa 20mila lemmi ho provato a far contare al computer alcune parole chiave. Innanzitutto nomi propri di Stati o territori: Russia 61, Ucraina 57, Cina 29, Nord Corea 14, Palestina 13, Israele 11, Iran 11, Gaza 9, Libia 6, Armenia 0, Nagorno-Karabakh 0, Azerbajgian 0. Nomi per problematiche: Cambiamento climatico/clima 53, Gender 25, Diritti umani 24, Dignità umana 3, Migrazioni/migranti 38, Inquinamento 12, Plastica 9, Libertà 13, Libertà religiosa 0, Persecuzione 1, Persecuzione religiosa 0.

Come si vede, l’Armenia e la sparizione di una nazione Cristiana dalle cartine geografiche in Caucaso non sono un problema che interessi i grandi. Qui batterò ancora qualche colpo in alfabeto Morse, o vi siete stancati anche voi?

Il Molokano

Questo articolo è la versione integrale di quanto è stato pubblicato sul numero di luglio 2024 di Tempi in formato cartaceo e sulla edizione online Tempi.it [QUI].

Postilla

Il titolo del Molokano di luglio 2024 del carissimo amico Renato Farina porta alla memoria il Neverland (l’isola che non c’è) in Peter Pan, l’opera celebre di J. M. Barrie del 1904, che è la metafora della positività della ricerca dell’utopia o dell’ideale, senza però illudersi che questo sia pienamente raggiungibile nel mondo reale.
Da spalatore di nuvole, come Fred Vargas e il suo Adamsberg [QUI], continuo a sognare l’ideale, che un giorno gli Armeni potranno vivere in pace nelle loro terre ancestrali; un’utopia, visto come sono state ridotte dai Turchi nei secoli le terre armene, e continuano a prendersene fette con il sistema del taglio del salame; una speranza Cristiana in una pace che il mondo non ci può dare: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Gesù è il Principe della pace, l’unico che può portarci la vera pace [V.v.B.].

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Nagorno Karabakh, guerre e sfollati (Osservatorio Balcani e Caucaso 03.07.24)

Un mini dossier in tre puntate per rendere conto delle popolazioni colpite dai conflitti per il Nagorno Karabkah e che sono sfollate dalle aree che abitavano, anche se non coinvolte direttamente nei combattimenti. Prima puntata

03/07/2024 –  Marilisa Lorusso

I conflitti per il Nagorno Karabakh hanno comportato un massiccio esodo delle popolazioni che abitavano l’area, inclusa quella non direttamente interessata dai combattimenti. Prima sono scappati gli azeri dal Karabakh e zone limitrofe e poi, specularmente, gli armeni nel 2023, gli azeri dall’Armenia, gli armeni dall’Azerbaijan.

Questi svasi di popolazione, drammatici, tragici, si sono inseriti in contesti di progressiva divisione di gruppi etno-linguistici dalla miscela tipica degli imperi multinazionali e delle migrazioni e conformazioni demografiche locali, e riguardano diverse centinaia di migliaia di persone. Numeri quindi molto elevati per la relativamente ridotta demografia dell’area.

Delle comunità preesistenti le storie nazionali hanno largamente rimosso il ricordo, fino a negare la presenza storica di intere culture nei territori che ora corrispondono agli stati repubblicani.

Questa storia, che è soprattutto una storia di sfollamento e dolore individuali e collettivi, potrebbe finalmente giungere a una ricomposizione, a un assai postumo risanamento, ora che la geografia politica dell’area fra Armenia e Azerbaijan va chiarificandosi e forse, a grande fatica, stabilizzandosi e normalizzandosi.

Purtroppo anche questo possibile ridare spazio alle comunità di sfollati e ai rientri è intossicato dall’odio e dalla retorica dello scontro. Il discorso del rientro delle popolazioni sta piuttosto diventando uno strumento di appropriazione territoriale a posteriori e di revanscismo.

Un governo in esilio

Mentre continua il Grande Ritorno, cioè il rientro degli azerbaijani nelle zone riconquistate da Baku, la comunità degli esuli armeni rimane totalmente fuori dal territorio. Il numero di quanti hanno accettato di diventare cittadini azerbaijani rimane bassissimo, e limitato di fatto alle poche unità che non erano riuscite ad evacuare al momento della resa del 2023. Gli armeni del Karabakh sono quindi quasi nella totalità in Armenia, a parte circa tremila persone, ma i dati sono approssimativi, che dall’Armenia si sono spostate in altri paesi.

Di questa popolazione di circa 100mila sfollati, la stragrande maggioranza rimane in Armenia con un documento di protezione provvisorio, una esigua minoranza ha accettato la cittadinanza armena.

Formalmente il governo dell’Artsakh (Nagorno Karabakh in armeno) esiste ancora. Il previsto scioglimento di tutti gli organi governativi è stato cancellato da un contro-decreto a inizio gennaio 2024, quando il presidente de facto Samvel Shahramanyan ha reso nota la decisione di annullare il decreto sulla dissoluzione. La decisione è stata firmata il 10 dicembre 2023 e una copia è stata inviata al primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan.

Shahramanyan ha deciso di non renderla pubblica  , tenendo conto delle minacce e delle speculazioni espresse dalle autorità armene riguardo all’attivismo possibile dei rappresentanti dell’Artsakh come qualcosa che potrebbe mettere in pericolo la sicurezza dell’Armenia e ostacolare il processo di firma del trattato di pace.

I deputati del Parlamento dell’Artsakh alla fine del 2023 avevano convocato una sessione segreta e deciso di creare un comitato e si erano impegnati a portare avanti attività a difesa dei diritti della comunità che aveva loro dato un mandato, in tempi ben diversi da quelli attuali.

Il 18 gennaio 2024 l’ex ministro degli Esteri dell’Armenia (1998-2008) Vartan Oskanian ha annunciato che avrebbe presieduto e coordinato il lavoro del nuovo Comitato per la difesa del diritto al rimpatrio collettivo del popolo dell’Artsakh e dei loro altri diritti fondamentali.

Il Comitato è stato istituito in collaborazione con le principali forze politiche del Nagorno Karabakh. La missione principale del Comitato è quella di sostenere e perseguire il diritto al rimpatrio collettivo del popolo degli armeni in Nagorno Karabakh con garanzie internazionali per il loro re-insediamento sicuro, protetto e dignitoso.

Secondo le parole di Oskanian  l’obiettivo di una pace duratura nella regione rimane irraggiungibile se un segmento del popolo armeno viene sradicato dalla propria terra, e viene imposto all’Armenia un concetto coercitivo di pace con la minaccia imminente di ulteriori perdite. Una pace duratura e stabile può essere realizzata solo attraverso una risoluzione completa che coinvolge il ripristino dei diritti del popolo del Karabakh.

Oskanian e altri membri del comitato si sono incontrati a febbraio con i rappresentanti dell’Assemblea parlamentare dell’Artsakh  per parlare di rimpatri, di garanzie di sicurezza internazionali e dell’autodeterminazione degli armeni del Karabakh nonostante “il disarmo e l’occupazione” che sono stati definiti temporanei.

Un territorio altrui

Mentre la comunità di armeni del Karabakh quindi si organizza e crea organi per un eventuale rimpatrio, il Nagorno Karabakh diventa effettivamente territorio altro rispetto a quello in cui vivevano.

Il Grande Ritorno sta dando vita a nuovi insediamenti, green village completamente ricostruiti con l’intenzione di divenire il fiore all’occhiello dell’Azerbaijan. Sono state inaugurate nuove grandi infrastrutture, incluse quelle aeroportuali, e la memoria della comunità precedentemente insediata – illegalmente, ricorda Baku – rimossa.

A gennaio è stato smantellato il complesso dedicato ai caduti armeni nelle guerre del Karabkh: terroristi secondo Baku  , le cui spoglie devono lasciare il territorio dell’Azerbaijan e essere trasferiti in Armenia. Di nuovo non c’è pace nemmeno per i morti, e i cimiteri del Karabakh  prima epurati dalla memoria azera, ora sono epurati da quella armena.

Distrutto anche il parlamento armeno di Stepanakert, tornata Khankendi, e il pantheon degli eroi in città. Ed è anche il patrimonio religioso a subire il processo di lustrazione: a Shusha è stata rasa al suolo  la chiesa di Giovanni Battista, nota con il nome Kanach Zham.

La politica della ruspa ha sollevato preoccupazioni  anche a livello internazionale, cui Baku risponde che nessuno è intervenuto quando il processo era diretto contro la memoria storica azera. Alla riconquista, l’Azerbaijan si è trovato davanti a un territorio stravolto rispetto a quello abbandonato, ed è chiaro che l’ascia di guerra non è sepolta sulla questione della cancellazione culturale.

Ospiti scomodi

Non c’è pace per i morti, ma nemmeno per i vivi. Lo status degli armeni del Karabakh in Armenia è complesso, e la questione è stata politicizzata. Il leader dell’opposizione, gli ex presidenti Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan – che a marzo hanno firmato una dichiarazione congiunta con i rappresentanti del Karabakh contro il governo di Nikol Pashinyan – cavalcano l’onda della frustrazione e strumentalizzano  la questione del non-rientro in Karabakh.

I rapporti del governo armeno con i rappresentati del Karabakh sono gelidi: nessun contatto diretto. È chiaro che per Yerevan è una questione estremamente spinosa ospitare sul proprio territorio un governo in esilio fortemente revanscista mentre cerca di portare a termine un trattato di pace.

Inoltre c’è una questione politica che si trascina da prima della guerra e che è sfociata adesso in una tensione latente, cioè il fatto che l’allora Stepanakert e Pashinyan non siano mai stati in buoni termini.

Pashinyan è il primo capo di esecutivo d’Armenia eletto non membro del “clan del Karabakh” e non ha mai avuto lo stesso rapporto dei suoi predecessori, che erano karabakhi, con il governo de facto. Ed è quindi un continuo rintuzzare il governo Pashinyan, da una parte, e una spigolosità verso le rivendicazioni politiche karabakhi in Armenia dall’altro.

Un malanimo che non fa bene a una comunità di sfollati, ma nemmeno alla coesione del paese che dovrà con ogni probabilità continuare ad assorbire e integrare la comunità karabakhi, visto che i requisiti per un rientro consensuale e pacifico, inclusivo di differenze culturale e che sia una vera riconciliazione appare molto remoto, e non in agenda da nessuna delle parti.

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Perché gli armeni sono fuggiti dal Nagorno Karabakh (Socialnews 03.07.24)

È ufficiale la dissoluzione della Repubblica del Nagorno Karabakh dal primo gennaio 2024, che, su una popolazione di circa 120.000 persone, ha portato 110.000 armeni residenti nella regione a fuggire in Armenia.

Il Nagorno Karabakh è una piccola regione montuosa del Caucaso meridionale situata tra l’Armenia ad ovest e l’Azerbaijan ad est. Nonostante si sia autoproclamato indipendente dall’Azerbaijan negli anni ‘90, fa formalmente parte del territorio azero – in cui vivono principalmente musulmani sciiti di lingua turca -, ma è abitato da popolazioni di etnia armena – quasi tutti cristiani. Chiamato anche Repubblica del Artsakh (in lingua armena), già dal XX secolo è conteso da Azerbaijan – che pedantemente vuole impossessarsi ed annettere questo territorio al proprio Stato – ed Armenia – che vuole mantenere la propria integrità territoriale e garantire l’autodeterminazione del proprio popolo.

Questi dissapori hanno causato per decenni scontri e violenze senza quasi mai raggiungere una tregua prolungata e proficua: uno dei primi conflitti risale al 1905, ma è con la caduta dell’Impero russo che gli scontri si fanno più aggressivi. In seguito all’indipendenza sia della Repubblica Democratica dell’Azerbaijan sia della Repubblica di Armenia nel 1918, entrambi gli stati rivendicano la regione del Nagorno Karabakh, che entra a far parte della Repubblica Federale Democratica Transcaucasica (Stato composto da Azerbaijan, Armenia e Georgia). Passano pochi anni e nel 1921 Stalin, in accordo con la Turchia, assegna il Nagorno Karabakh e Naxçıvan – entrambe armene – all’Azerbaijan.

Proseguono le dispute e i conflitti, ed è negli anni ’90 che la brutalità e la coercizione si fanno più acute. Dopo il crollo dell’URSS, nel 1992 scoppia la prima guerra del Nagorno Karabakh, che si protrae per ben due anni e miete più di 30.000 vittime. Vince l’Armenia due anni dopo e il Nagorno Karabakh diventa una repubblica de facto indipendente (la Repubblica del Artsakh), anche se non verrà mai formalmente riconosciuta dalla comunità internazionale e dall’Azerbaijan. Quest’ultimo perde il controllo di una parte del territorio, ma non si dà per vinto e nell’aprile del 2016 si scontra per quattro giorni contro gli armeni e si impossessa di alcuni territori a nord-est e a sud-est del Nagorno Karabakh. La sua netta superiorità tattica-militare si evince sia durante la seconda guerra del Nagorno Karabakh nel 2020 – con la quale occupò la parte meridionale della regione – sia alla fine del 2022, quando assedia l’Armenia: chiude il corridoio di Lachin – l’unica strada al confine che collega il Nagorno Karabakh alla Repubblica di Armenia –  e di conseguenza blocca l’entrata di merci e beni anche di prima necessità.

La comunità internazionale assente, è del tutto silente. Nessuno interviene, nemmeno i peacekeeper russi insediati al confine. E non finisce qui. Il momento clou è l’offensiva azera del 19 e 20 settembre del 2023: in ventiquattro ore l’Azerbaijan, sostenuto dalla Turchia di Erdogan, lancia un’operazione militare lampo “antiterrorismo” nel Nagorno Karabakh. Dopo solo un giorno di combattimenti, gli armeni si arrendono, l’Azerbaijan vince e la Repubblica del Nagorno Karabakh si dissolve.

Dal primo gennaio 2024 il Nagorno Karabakh non è più uno Stato indipendente e gli armeni in pratica sono costretti a fuggire. Nessuno li ha obbligati, anzi il governo dell’Azerbaijan a parole si è dimostrato aperto ad accoglierli, ma nei fatti è un regime non così democratico e non così rispettoso delle libertà e dei diritti specialmente delle minoranze; si tratta piuttosto di uno Stato autoritario e repressivo nei confronti della popolazione armena. Si parla di esodo forzato quasi completo, di sfollamento di massa di migliaia di karabakhi che temono per la loro incolumità; addirittura l’UE lo definisce come una pulizia etnica nel Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaijan. Quasi la totalità dei karabakhi sono diventati profughi. Dei più dei 100.000 armeni fuggiti, più di 26.000 sono bambine e bambini, ovvero il 30% dei rifugiati. È ciò che riferisce Save the Children a fine 2023, che lancia l’allarme per un’adeguata assistenza umanitaria, sicurezza e protezione del futuro dei civili, in particolare dei più piccoli. Molti di loro si sono rifugiati nel campo profughi a Goris e a Kornidzor, in Armenia. Non c’è stato un vero e proprio tentativo di riconciliazione e un intervento repentino e sufficiente anche da parte di altri attori internazionali, la Russia in primis. A novembre si terrà la Cop29 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) a Baku, capitale dell’Azerbaijan. Circa 200 paesi parteciperanno. Chissà se ci sarà uno spiraglio per i negoziati e per un dialogo tra l’Azerbaijan e l’Armenia, e se in questi collaboreranno anche l’Unione Europea e la Russia.

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GIUSTIFICARE IL GENOCIDIO (Mangialibri 03.07.24)

Il genocidio armeno è l’inizio degli orrori del Novecento. Appare anche evidente la sua interconnessione con la Shoah ebraica. Ciò che hanno subito gli armeni è la sorgente della concretizzazione di una ideologia e poi di una politica che si è nutrita di sangue umano per imporre all’umanità un pensiero malato. Un sogno di dominio di despoti sulla realtà, della Realpolitk. L’Europa in questo ha avuto una grande responsabilità, avendo tradito la sua cultura, girandosi molto spesso dall’altra parte. La Realpolitik è intrinsecamente pericolosa per il destino dell’umanità. Il suo fondatore Cartesio, nella seconda parte del Discorso sul metodo, descrive i due principi cardine di questa “ideologia” che consiste nella consapevolezza che lo sviluppo dell’essere umano sia di per sé primitivo e che per superarlo sia necessario “un singolo artefice che ci renderà quasi signori e padroni della natura”. Una porta spalancata alla tirannia. Il Metz Yeghèrn, il grande male, ha reso reali plasticamente i due principi guida di Cartesio. Un preciso movimento a forbice per distruggere un ordine insieme naturale e antico, composto di famiglie, persone, villaggi e città in cui si parlava l’armeno, si pregava in armeno e si viveva da armeni per rimpiazzarlo con un nuovo ordine e una storia inventata per sete di conquista. Uno schema che si ripeterà pedissequamente di nuovo con la Shoah del popolo ebraico…

In un momento storico come quello attuale dove spesso si sproloquia di presunti genocidi senza alcuna cognizione di causa né attinenza alla realtà, è illuminante questo monumentale saggio dello storico tedesco Stefan Ihrig sui collegamenti e le interconnessioni tra il Metz Yeghérn e la Shoah. Somiglianze spesso ignorate, trascurate o peggio silenziate. L’occhio dell’autore si focalizza naturalmente sulla sua Germania, con un focus sulla politica estera di Bismarck e Guglielmo II, volta a espandere la grandezza tedesca. Uno schema che si ripeterà ai tempi del Terzo Reich. Genocidi veri e propri che talvolta vengono negati o giustificati anche adesso in Europa. Il libro mette in evidenza le somiglianze ideologiche tra la Germania al termine degli anni Venti, la Turchia di Ataturk e l’Italia mussoliniana. Nonostante l’argomento, lo stile del libro è vivace e sempre corroborato da una grande documentazione. Gli spunti di riflessione proposti sono originali e contribuiscono a svelare molte teorie “giustificazionaliste” dietro cui si cela semplicemente del vecchio e stantio razzismo.

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Baku-Yerevan: come uscire dall’impasse costituzionale (Osservatorio Balcani e Caucaso 02.04.24)

Nel preambolo dell’attuale costituzione armena si parla di riunificazione col Nagorno Karabakh: l’Azerbaijan insiste perché venga modificata, il premier armeno Pashinyan prende tempo, e l’impasse continua a pesare sulla possibile normalizzazione delle relazioni tra Baku e Yerevan

02/07/2024 –  Onnik James Krikorian Yerevan

All’inizio del mese scorso, il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha affermato che è improbabile si arrivi ad un accordo per normalizzare le relazioni con l’Armenia, a meno che quest’ultima non modifichi la propria Costituzione. Nello specifico, si tratterebbe di eliminare il controverso preambolo dell’attuale Costituzione armena in cui si fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del 1990, basata su una decisione congiunta del 1989 sulla “riunificazione della Repubblica socialista sovietica armena e della regione montuosa del Karabakh”.

Il premier armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto che il preambolo sottintende rivendicazioni territoriali sull’Azerbaijan, e quindi dovrebbe essere rimosso, anche se ancora non si sa quando.

Yerevan ha infatti messo in chiaro di non apprezzare le sollecitazioni su quella che considera una questione interna. Per Baku invece la questione della modifica della Costituzione armena riguarda anche la sicurezza dell’Azerbaijan e Yerevan, fallendo nel riconoscerlo, ignora la causa scatenante del conflitto tra i due paesi. Nonostante il suo scioglimento all’inizio di quest’anno, gli ambienti revanscisti armeni continuano a rivendicare non solo l’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO), ma anche sette regioni adiacenti.

A complicare ulteriormente la situazione è l’atteggiamento dell’opposizione armena, secondo cui le dichiarazioni rilasciate da Pashinyan sin dall’anno scorso riguardo alla riforma costituzionale sarebbero frutto di pressioni. I funzionari di Yerevan accusano l’Azerbaijan di voler impedire – con le sue richieste di modificare la Costituzione armena – il raggiungimento di un accordo tra i due paesi. La parte azerbaijana sostiene invece che Pashinyan stia cercando di guadagnare tempo per riarmarsi.

La questione della Costituzione non è però così semplice. La logica alla base delle modifiche, proposte da Pashinyan sin dal 2019, riguarda il futuro del paese. Gli emendamenti, adottati con i referendum del 2005 e del 2015, erano stati viziati da accuse di brogli massicci e dati sull’affluenza gonfiati. Il secondo plebiscito era stato interpretato come uno stratagemma con cui il predecessore di Pashinyan, Serzh Sargsyan, aveva tentato di mantenere il potere assumendo la carica di primo ministro alla scadenza del suo secondo mandato presidenziale nel 2018. Le proteste, che ne erano seguite, avevano portato al potere la leadership attuale.

Di conseguenza, la popolazione armena non si riconosce nella Costituzione, che dovrebbe essere il fondamento dello stato. A ciò si aggiunge un diffuso disimpegno politico e sentimento di apatia. Per introdurre qualsiasi modifica costituzionale è necessario il sostegno di oltre il 50% dei votanti, con un’affluenza alle urna superiore ai 25% degli aventi diritto. Che si tratti di una grande sfida è emerso anche dalle elezioni amministrative nella capitale Yerevan dello scorso anno: l’affluenza si era fermata al 28%, oltre 15 punti percentuali in meno rispetto al 2018, e la leadership al potere se l’è cavata con il 32,57% dei voti.

Quindi, Pashinyan si trova in una posizione difficile. Un eventuale rifiuto degli emendamenti costituzionali da parte degli elettori potrebbe essere visto come una minaccia alla pace. Allo stesso modo potrebbe essere frainteso anche un referendum in cui le modifiche verrebbero approvate, senza però raggiungere il quorum.

Se da un lato è vero che alcuni media hanno parlato della richiesta di emendare la Costituzione armena come di una condizione per la firma di un accordo tra Yerevan e Baku, è anche vero che alcuni analisti di Baku la vedono diversamente, suggerendo che l’impegno a introdurre modifiche costituzionali possa essere incluso nel testo dell’accordo di pace, qualunque esso sia. James Sharpe, già ambasciatore britannico in Azerbaijan, ha osservato come una disposizione di questo tipo sia stata inserita nell’Accordo del Venerdì Santo del 1999 tra il Regno Unito e l’Irlanda per porre fine al conflitto nordirlandese.

Fahrid Shafiyev, presidente del Centro di analisi delle relazioni internazionali con sede a Baku, ha suggerito che l’impegno [di Yerevan] a emendare la Costituzione entro un anno dalla firma dell’accordo di pace, se venisse incluso nel testo del accordo, potrebbe essere accettabile, anche se il lasso di tempo potrebbe rivelarsi troppo breve. Pashinyan infatti deve ancora coinvolgere l’opinione pubblica in una discussione informata sulla necessità e sui benefici della pace.

Ad oggi il governo armeno non ha rilasciato alcuna dichiarazione al riguardo. Lo scorso 19 giugno i media hanno invece riportato una notizia inaspettata, secondo cui un mese prima Pashinyan avrebbe chiesto al Consiglio per le riforme costituzionali di redigere una nuova costituzione entro la fine del 2026. I componenti del Consiglio – secondo quanto riferito dai media – avrebbero dichiarato di non esserne stati informati e di non sapere nemmeno quando si riuniranno nuovamente. Baku non si è ancora fatta sentire sulla vicenda.

Sta di fatto però che gli analisti azerbaijani hanno dato vita ad un dibattito maturo, e lo stesso non si può dire per i loro colleghi armeni. Anche Rasim Musabekov, deputato del parlamento di Baku, ritiene che Pashinyan potrebbe perdere il potere se il referendum dovesse fallire. Il governo armeno – sostiene Musabekov – potrebbe però rivolgersi alla Corte costituzionale per valutare la legittimità del preambolo. Se la Corte lo dovesse giudicare illegittimo, un ostacolo verrebbe superato. Poi in un secondo momento, la questione potrebbe essere affrontata attraverso una riforma costituzionale.

Pur considerandolo ancora a rischio, Baku non ha fretta di firmare un accordo. Per Pashinyan invece la posta in gioco è più alta. Volendo provare a giustificare le azioni finora compiute, che vengono viste come concessioni unilaterali, alle prossime elezioni il premier armeno dovrà mostrare di aver raggiunto risultati tangibili nella sua agenda di pace, ampiamente promossa. Gli Stati Uniti e l’Unione europea restano ottimisti riguardo alla possibilità di raggiungere a breve un accordo. Anche l’Azerbaijan è ottimista, ma solo se prima verrà superata l’impasse costituzionale.

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Perché in Artsakh/Nagorno-Karabakh non ci sono più Armeni? (Korazym 02.07.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.07.2024 – Vik van Brantegem] – Il rapporto speciale di Freedom House Perché non ci sono più Armeni nel Nagorno-Karabakh documenta come gli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh siano stati intenzionalmente sottoposti ad attacchi regolari, intimidazioni, privazione dei diritti fondamentali e di condizioni di vita adeguate e sfollamenti forzati da parte dello Stato azerbajgiano. La missione d’inchiesta di Freedom House insieme a diverse organizzazioni internazionali identifica numerose e gravi violazioni del diritto internazionale da parte del governo azerbajgiano nella sua campagna pluriennale contro il territorio dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh.

 

Il rapporto di Freedom House esamina la situazione della popolazione di etnia armena che viveva nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh nel periodo che inizia con la seconda guerra del Nagorno-Karabakh dei quaranta giorni nel 2020 e attraverso l’offensiva militare azera contro il Nagorno-Karabakh nel settembre 2023 e le sue conseguenze.

Si tratta di un riepilogo iniziale di un rapporto completo ed esteso che sarà pubblicato in seguito. Attraverso uno sforzo internazionale di accertamento dei fatti che ha incluso centinaia di interviste a testimoni e dati open source, l’analisi mira a rispondere al motivo per cui non ci vivono Armeni nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh nel maggio 2024. Documenta come le persone di etnia armena nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh siano state intenzionalmente sottoposti regolarmente ad attacchi, intimidazioni, privazione dei diritti fondamentali e di condizioni di vita adeguate e sfollamenti forzati. Le prove dimostrano che lo Stato azerbajgiano ha agito secondo una strategia globale e metodicamente implementata per svuotare l’Artsakh/Nagorno-Karabakh della sua popolazione etnica armena e della sua presenza storica e culturale.

Questo rapporto conoscitivo è stato preparato congiuntamente da Freedom House, International Partnership for Human Rights, Democracy Development Foundation, Helsinki Citizens’ Assembly – Vanadzor, Protection of Rights without Borders NGO, Law Development and Protections Foundation, e Truth Hounds. Media Diversity Institute ha condotto l’indagine e la verifica open source. Talin Hitik ha fornito un supporto sostanziale nella redazione del riassunto e del rapporto più ampio. Anoush Baghdassarian ha dato un contributo significativo alla redazione di diverse sezioni del rapporto più ampio. La metodologia e i questionari sono stati preparati dalla Democracy Development Foundation, dalla International Partnership for Human Rights e da Truth Hounds. La missione conoscitiva è stata resa possibile con il sostegno di Open Society Foundations e Freedom House. La missione conoscitiva è stata coordinata dalla Democracy Development Foundation.

 

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In Memoria di un Fratello Amato, Lettera dall’Armenia. La Vita dopo la Vita. (Stolum Curiae 02.07.24)

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione questa bellissima lettera ricevuta da un’amica armena, T. M. Buona lettura e meditazione.

§§§

 

La vita e il battesimo di Artur

 Mio fratello era il più piccolo della famiglia. Quando è nato, nel nostro quartiere hanno fatto una grande festa. A quei tempi, in Armenia, che fosse nato un maschio dopo due femmine era una grandissima notizia. È cresciuto viziato, era il figlio del direttore generale di una delle fabbriche più grandi dell’Armenia, con 7000 mila impiegati. Lo chiamavano “il figlio del capo’’. Lo amavano tutti tantissimo … la famiglia, parenti, i vicini di casa. Era solare: ovunque andava, portava gioia, allegria, aveva sempre un sorriso sul suo bel faccino da birichino. Quando eravamo piccoli, tutti i bambini del quartiere uscivano fuori a giocare insieme.
Artur ogni tanto spariva e allora andavamo a cercarlo in decine di persone: Artur, Artur, dove sei … – si sentivano dappertutto le voci strillanti di quelli che lo cercavano.Mi ricordo come mi batteva il cuore, quando cercavamo Artur. Ci preoccupavamo tantissimo. Poi usciva da un nascondiglio, aveva la faccia così dolce, che si faceva fatica a sgridarlo.
 Aveva un cuore molto buono, chiedeva i soldi a mio padre e faceva dei regali alle persone o dava i soldi a chi ne aveva bisogno.
Mi voleva tantissimo bene, raccontava a tutti di me…: “Mia sorella è così, mia sorella è cosà…’’. Era molto orgoglioso di me. Incontro spesso gli amici, conoscenti di Artur che mi dicono: “Artur parlava sempre di te…” . Era anche molto protettivo con me, come tanti fratelli armeni. Mi ricordo che era venuto a trovarmi in Svizzera, eravamo a San Gallo e ha notato che un ragazzo mi fissava a lungo, gli si è avvicinato e ha cominciato con un tono severo a dirgli delle cose in armeno. Il ragazzo svizzero si è spaventato, ha chiesto 10 volte scusa. “Entschuldigung, Entschuldigung…” – continuava a dire.
Guai se qualcuno diceva una parolaccia in un ristorante, un luogo pubblico in mia presenza … Come hai osato a dire una parolaccia in presenza di una donna. Poi finivano con litigare, fino a picchiarsi …
 Amava moltissimo la natura. Mi ricordo che stavamo andando per la Svizzera Centrale in auto, la strada Zurigo-Lugano, nel Canton Svitto, era così commosso dalla bellezza, e mi dice: – Fermati …. Avevamo anche fame. Gli ho proposto di andare in un ristorante, ma non ha voluto. È andato in un piccolo negozio, ha preso pane e formaggio (per gli armeni pane e formaggio è il cibo principale) e mi ha detto: “Seguimi’’. Ci siamo messi in mezzo alla natura, sotto un albero, sull’erba … in mezzo alle colline stupende, mucche al pascolo, un paesaggio mozzafiato… e il miglior cibo – pane e formaggio. Non mi dimenticherò mai quel pane e formaggio…
 Amava i bei vestiti, le cose belle, i buoni ristoranti … non gli bastavano mai i soldi. Quando ho lavorato il primo anno alla Duferco, a Lugano, ho messo da parte 5000 CHF e li ho dati tutti a lui. Gli facevo tantissimi regali. Era felice come un bambino tutte le volte, quando apriva i pacchi …
 Artur era molto vero: non aveva ombre nascoste, esprimeva tutto, la sua rabbia, il suo amore, la sua bontà, le sue fatiche, non nascondeva niente… e anche se era viziato, si occupava sempre degli altri. Sapeva volere bene alle persone. Sorella – mi diceva (mentre faceva il militare nei villaggi di confine coll’Azerbaijan), quella famiglia di contadini fa tantissima fatica, lavorano troppo e poi con tre figli, devono lavare tutto a mano. Bisogna procurargli una lavatrice ….
 Il Battesimo di Artur
 Artur con il suo carattere finiva sempre nei guai. Un giorno mi sono detta che bisogna battezzarlo. Tante persone che hanno vissuto durante l’Unione Sovietica non erano battezzate. In quelle settimane era a Mosca. Io non potevo volare in quel momento, ma ho parlato con la mia dottoressa e volevo così tanto che si battezzasse, che ho preso il rischio e sono andata a Mosca …
 Il giorno dopo siamo andati nella Chiesa Armena di Mosca. Abbiamo incontrato il prete e ho chiesto il Battesimo per Artur. Il sacerdote ha cominciato parlare ad Artur dei peccati …. “che non bisogna commettere peccati …etc”. E Artur gli dice: Caro Prete, parli , come se tu fossi senza peccati… Il sacerdote si è arrabbiato moltissimo per queste parole e ci buttati fuori.
Io era molto triste e anche lui era triste, perché mi vedeva triste. Al ritorno l’ho sgridato molto, perché non doveva permettersi di parlare così con un sacerdote e lui ascoltava in silenzio… Il giorno dopo con tantissima fatica, ore, ore nel traffico di Mosca, io non mi sentivo bene e poi faceva un caldo terribile …. Arriviamo in chiesa, il sacerdote quando ci vede, ci invita di andar via, non ci lascia nemmeno dire una parola. Era ancora arrabbiato. E noi siamo tornati di nuovo tristi dove abitavamo.
 Il terzo giorno chiedo ad Artur di provarci di nuovo. Lui, con il suo carattere, non sarebbe mai tornato da uno che l’ha mandato via, ma il suo amore per me era più del suo orgoglio ferito … Sempre con molta fatica, dopo ore di traffico, siamo arrivati alla Chiesa Armena. Ho detto ad Artur che deve chiedere subito perdono per come si è comportato. Il sacerdote voleva dire qualcosa, ma Artur l’ha interrotto, dicendo: Caro Prete, vedi io voglio battezzarmi per mia sorella. E anche tu puoi battezzarmi per lei … e poi vedi che non sta bene (facevo fatica a respirare, ero tutta rossa). Il sacerdote ha guardato alla mia faccia sofferente e ha detto: “Va bene, lo facciamo per lei …”
E così il mio Artur ha ricevuto il battesimo. Abbiamo chiesto all’autista del papà di fare da padrino …. Eravamo molto felici. Il giorno dopo con i miei angeli custodi ho preso il volo per la Svizzera. Andato tutto bene … Ero molto grata …
 La morte di Artur e la Vita dopo la Vita 
14 anni fa, esattamente un anno dopo il battesimo di Artur, proprio questo giorno, ero appena tornata dal mio solito viaggio in Armenia. Non mi ero ancora ripresa dal lungo viaggio e non erano passate 24 ore che ricevo una chiamata … mio fratello Artur ha lasciato questo mondo. Aveva 28 anni. Quando ho sentito la notizia, ho pianto per diverse ore, ininterrottamente. Appena ho trovato un po’ di forza, ho preso il biglietto per tornare con il prossimo volo in Armenia. Poi mi sono calmata un po’ e ho cominciato a chiamare uno per uno tutti i miei amici cristiani e a chiedere loro di pregare per Artur. Ho chiamato i miei amici sacerdoti e ho chiesto delle messe per lui. Con tutte le mie forze, volevo che arrivassero in Cielo, e per questo chiedevo più preghiere possibili per Artur.
 Poi, verso le 8 o le 9 di sera, mi sono sdraiata per riposarmi un po’. Ero sola a casa. E d’improvviso davanti a me vedo tantissime teste… come se ci fosse una lunga coda. Non potevo vedere il volto di nessuno, avevano le teste girate dall’altra parte, tranne quella di Artur.
 -“Sorella”, ho sentito la voce di Artur.
 ⁃ Artur, sei tu?
 ⁃ Sì, sì, sono io. Grazie mille per così tante preghiere, mi hanno aiutato molto ad andare avanti nella coda, di accorciare la strada. – è la prima cosa che mi ha detto. Poi ha continuato: ⁃ Dì alla famiglia di non preoccuparsi per me. E se ho offeso qualcuno, chiedigli di perdonami. Poi ho sentito lingue diverse e ho capito che Artur le capiva.
 ⁃ Artur, ma tu non conosci le lingue straniere, come fai a capirle adesso?
 ⁃ Cara sorella, adesso capisco tutte le lingue.
 ⁃ Hai visto i nonni?
 ⁃ Non ancora….
 Controllavo i miei occhi per vedere se avevo gli occhi aperti o se stavo sognando… erano aperti. Diverse volte durante la notte Artur venne e disse qualcosa. Ogni volta iniziava con la parola “Kur” (sorella). Non mi chiamava mai per nome, mi chiamava sempre ‘kur gian’ cara sorella. Mi sono svegliata la mattina, ma non c’era più né Artur né la lunga coda.
 Sono andata all’aeroporto, c’era ancora il volo diretto Zurigo – Yerevan. Sono salita sull’aereo, ero ancora sotto shock per quello che ho visto, pensavo: “Forse sono troppo stanca, forse mi sono immaginata tutto quanto?” L’aereo è decollato, accanto a me era seduto un uomo con una camicia nera.L’ho guardato e gli ho fatto la domanda.
 ⁃ Ma Lei crede che c’è la vita dopo la vita?
 ⁃ Certo che ci credo, ne sono sicuro, se non ci fosse, la vita qua non avrebbe senso – mi ha risposto questo perfetto sconosciuto.
 ⁃ Ma Lei crede che mio fratello, che è morto 2 giorni fa, è venuto a parlarmi ieri?
 ⁃ Certo che ci credo. Noi non possiamo comunicare con loro, ma loro possono.
 ⁃ E perché mio fratello è venuto da me, perché non è andato dai miei genitori, da altri parenti.
 ⁃ I motivi possono essere due. Forse tuo fratello è venuto da te perché sapeva che tu l’avresti preso sul serio con la tua sensibilità e fede. O forse, Dio ha voluto darti una consolazione, rassicurarti che questa non è la fine…
 Abbiamo parlato così per tre ore e lo sconosciuto con la camicia nera ha risposto a tutte le mie domande… Come se mi dicesse: “Guarda che non sei pazza, è proprio giusto così”. Stavamo già scendendo dall’aereo, e ho chiesto allo sconosciuto in camicia nera.
 ⁃ A proposito, cosa fa Lei nella vita?
 ⁃ A proposito, sono un Arcivescovo… mi ha risposto lui.
 Mi ha detto il suo nome e mi ha dato il suo numero di telefono. Mi ha regalato un libro, poi mi ha detto che anche sua sorella è morta all’età di 20 anni…. e infine che viene tutti gli anni a Zurigo per una conferenza.
 Sicuramente questo evento mi ha cambiato la vita. Certo, anche prima credevo che ci fosse una vita dopo la vita, ma dopo quello che è successo con Artur non solo ci credo, ma so che c’è.
 Quando sono arrivata a casa nostra a Yerevan, c’erano centinaia di persone in coda davanti alla porta, che erano venuti a salutare Artur. Montagne e montagne di fiori, una quantità indescrivibile. Amo tantissimo i fiori, ma i fiori che avevano portato per Artur mi provocavano un immenso dolore… non li potevo vedere. Poi ho visto Artur con la faccia bella, serena nella bara, che avevano messo nel salotto. Tutti piangevano, urlavano, strillavano … Sono quasi svenuta e due amici che mi accompagnavano mi hanno tenuta, così non sono caduta ….
 Ho capito una cosa molto importante grazie ad Artur: che quando le persone lasciano questo mondo, non possono fare nulla per se stesse, per la propria anima. Ma noi possiamo. Con tutto il mio cuore desideravo aiutare Artur ad arrivare in Paradiso il prima possibile. Non c’è stato un giorno in cui non ho pregato per Artur al mattino.Quando non viaggiavo e appena potevo andavo al bellissimo Santuario di Einsiedeln, dove vivono i monaci, e chiedevo la messa per Artur. Non esisteva il freddo, la pioggia, la grandine… un metro di neve, la stanchezza che mi avrebbe fermato di andare a pregare per Artur.
 Bussavo alla porta dei monaci di Einsiedeln, aprivano e quando mi vedevano, dicevano subito:
 ⁃ Ja, guten Morgen, eine Messe für Bruder Artur- diceva il frate appena mi vedeva. (⁃ Buongiorno! Una messa per il fratello Artur. Lo sapevano già, senza che io dicessi qualcosa.)
 E così anno dopo anno … Sempre la preghiera, sempre la messa per Artur. Erano passati 3-4 anni, quando un giorno ho sentito un grandissimo sollievo nel mio cuore, una grande pace, un messaggio spirituale difficile da descrivere. Ho capito che Artur aveva raggiunto la dimora celeste, era presso Dio.
 Mi manca molto Artur, mi manca moltissimo mio fratello che è una persona importantissima nella mia vita, ma il mio cuore è sereno, so per certo che, se Dio vuole, ci incontreremo di nuovo. È la stessa cosa che accade quando sono in Svizzera e mi mancano tante persone che sono in Armenia: ma so che quando andrò in Armenia le rivedrò. Così mi manca Artur… spero che lo rivedrò.
 E lo dico sempre a chi mi sta vicino. “Quando lascerò questo mondo, non piangete per me, ma pregate e fate gesti di carità….” E poi alle persone che amo moltissimo dico anche: “Cerchiamo di vivere questa vita così che possiamo ritrovarci nello stesso posto quando sarà finita!’’
 Abbiamo seppellito Artur lontano dalla città, in mezzo alla natura bellissima, con le colline stupende, le mucche al pascolo, a 4-5 ore dalla capitale, a due km dalla frontiera. Come piaceva a lui. Vado a trovarlo sempre, tutte le volte che sono in Armenia… Anche se i turchi sparano o se le strade di montagna sono giacciate … i bambini di quei villaggi, dove è sepolto Artur, mi regalano tanti fiori, li porto a lui e ad un ragazzo di 20 anni ucciso dai turchi, che sta accanto a lui….
Artur mi ha fatto vedere la strada per il Paradiso. Stavo cercando di aiutare la sua anima, invece lui mi ha fatto vedere la strada per la salvezza della mia anima…
 Dopo quel grande sollievo che ho sentito per lui, è cominciato il nuovo percorso della mia vita “Il Germoglio’’: con due amici ticinesi abbiamo fondato l’associazione il Germoglio a Lugano. Migliaia, migliaia di gesti di carità abbiamo fatto e facciamo con il “Germoglio’’. Lo scopo del Germoglio è di aiutarci passo dopo passo ad avvicinarci al Signore.
 Ho capito che in Paradiso arriveremo per la Misericordia Divina, ma il modo per esprimere il nostro amore per Gesù è trattare bene il prossimo. Il gesto di carità nei confronti del nostro prossimo che soffre, che è in difficoltà, è la possibilità di esprimere il nostro amore per il Signore…. Per me non c’è un modo più chiaro e più semplice di questo…
 E come dice San Paolo: “Tutto è per un Bene per quelli che amano Gesù’’. E anche una cosa così dolorosa per la mia vita come la morte del fratellino Artur mi ha aiutato a scoprire un Bene immenso … Suona impossibile, ma è così …. Per un’enorme MISERICORDIA DIVINA.