Vardavar, la Trasfigurazione dell’Armenia (Asianews 10.07.24)

Una delle feste più importanti del cristianesimo armeno richiama nel nome l’antica abitudine di lavarsi con l’acqua di rose. Per questo – nel tempo più caldo dell’anno – viene permesso a tutti il gesto giocoso di bagnarsi a vicenda che i bambini attendono con ansia. Un gesto di purificazione sentendosi parte di un’unica famiglia, sentimento agognato in questo tempo di grandi conflitti nel Paese.

Erevan (AsiaNews) – Gli abitanti dell’Armenia hanno festeggiato domenica 7 luglio una delle ricorrenze più popolari, quella del Vardavar, la solennità della Trasfigurazione del Signore secondo il calendario della Chiesa Apostolica. La festa segna il tempo più caldo a queste latitudini e si prolunga per tutta l’ottava successiva, assumendo di questi tempi anche un significato di riunificazione sociale e di orgoglio patriottico, soprattutto da quando la Chiesa nazionale ha assunto un esplicito ruolo politico di opposizione al governo, sotto la guida dell’arcivescovo Bagrat Galstanyan e la benedizione del katholikos Karekin II.

A due settimane dalla Pasqua, il Vardavar è considerata una delle feste principali dei cristiani monofisiti della tradizione armena, insieme al Natale, il Battesimo, la Risurrezione di Gesù, l’Assunzione (Dormizione) della Madre di Dio e l’Esaltazione della Croce vivificante del Signore. La Chiesa armena si separò da quella bizantina e romana in occasione del Concilio di Calcedonia del 451, e conserva anche per questo tradizioni liturgiche molto antiche, dopo aver ispirato il primo regno cristiano, una decina d’anni prima della conversione di Costantino.

Il titolo di Vardavar risale alla radice Vard, la “rosa” in armeno, riportando nei rituali cristiani l’antica abitudine di lavarsi con l’acqua di rose, che risale al culto della dea dell’amore e della bellezza Astkhik, a cui si rivolgeva la passione del dio del fuoco Vaagn, e che spargeva su tutte le terre armene l’acqua di rose per far fiorire l’amore. Questa pratica viene attribuita cristianamente proprio all’ascesa di Cristo al monte Tabor insieme agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, trasfigurandosi davanti a loro quando “il suo volto brillò come il sole, e le sue vesti divennero candide come la luce”, secondo il racconto dei vangeli sinottici.

Nelle pubbliche celebrazioni viene permesso a tutti senza limitazioni lo spargimento reciproco dell’acqua, un gesto giocoso che i bambini attendono con ansia, e che gli adulti assecondano facendosi bambini a propria volta. Oltre all’acqua, nel Vardavar è previsto il rilascio in aria delle colombe, per indicare la fine del Diluvio universale e la salvezza della famiglia di Noè sul monte armeno dell’Ararat, oggi in territorio turco. I vestiti e le capigliature in questo giorno vengono adornati con dei fiori, per trasfigurarsi a propria volta nella luce della fede e delle tradizioni.

Gli armeni girano con secchi, brocche, bottiglie, bicchieri e pistole ad acqua, spruzzando ogni passante come saluto di fraternità, senza che nessuno possa offendersi, perché l’acqua di questo giorno è considerata purificante e curativa, e permette di sentirsi parte di un’unica famiglia, sentimento molto agognato in questi tempi di grandi conflitti e divisioni tra il popolo. Anche il cibo di questa settimana è il sacro Matakh, il “sacrificio di misericordia” al cui banchetto si invitano i più poveri e sofferenti, una mensa di beneficenza all’aperto a cui tutti si associano per cuocere alla brace carne di agnello e di volatili. Il dessert è costituito da mele cotte sopra il fuoco con vari ingredienti, il dolce tradizionale armeno del Nazuk.

Anche il tempo atmosferico in questi giorni si unisce alle tradizioni, con i primi veri caldi estivi alternati da intense piogge benedicenti, tutto secondo le autentiche ispirazioni. La festa condivisa sottolinea in modo ancora più evidente il vero contenuto del confronto tra le diverse anime dell’Armenia, come tra la Chiesa e il governo; il premier Nikol Pašinyan ripete spesso infatti che si deve costruire un’Armenia moderna e adeguata alle sfide del presente, il katholikos Karekin II richiama invece al rispetto della storia e delle tradizioni, per non consegnare la terra sacra ai nemici della fede e del popolo armeno.

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Azeri d’Armenia, tra scomparsa e rivendicazioni (Osservatorio Balcani e Caucaso 09.07.24)

La popolazione azera dell’Armenia è gradualmente scomparsa nel corso del XX secolo: non sono però finite le rivendicazioni di Baku e degli esuli, che sognano di tornare in quello che chiamano “Azerbaijan occidentale”. Seconda parte del nostro dossier

09/07/2024 –  Marilisa Lorusso

Nell’Armenia indipendente la percentuale di azeri è dello 0%. La comunità “tatara” che viveva nei khanati di Yerevan e del Karabakh si era già assottigliata nel periodo imperiale russo, ma è stata la dissoluzione sovietica e l’emergere degli stati nazionali con le relative guerre e ambizioni territoriali a segnare la scomparsa dell’intera comunità.

Gli azeri figurano al 9% della popolazione dell’Armenia nel 1926, al 10% nel 1939, per poi declinare intorno al 5 o 6% nel 1979  . La comunità risultava ridotta al 2,6% nell’ultimo censimento sovietico del 1989, fino ad appunto allo 0% attuale.

I pochissimi azeri o persone di origine azera rimaste in Armenia sono membri di coppie miste o frutto di coppie miste. Tendenzialmente hanno adottato un cognome armeno, e.g. quello materno, e mantenuto un profilo basso. Anche i toponimi sono stati armenizzati e – progressivamente – la memoria delle comunità scomparse è stata rimossa dalla mappa dei luoghi, insieme alle memorie fisiche quali monumenti, moschee ecc.

Oltre l’invalicabile confine, in Azerbaijan, la nutrita comunità degli esuli “azeri d’Armenia” – stimata di più di 150mila persone (erano 161mila gli azeri in Armenia nel 1979  ) si è oggi organizzata. Gli stessi esuli si riferivano all’Armenia come all’”Azerbaijan occidentale”. Dall’inizio degli anni 2000 la definizione si è diffusa, insieme alla tendenza a reintrodurre nelle mappe prodotte in Azerbaijan i toponimi azeri.

Dal 2005 esiste l’associazione “Ritorno nell’Azerbaijan Occidentale”, nata per sostenere la creazione di una repubblica autonoma nel territorio armeno e con un governo in esilio.

Un programma politico

Dopo la seconda guerra del Nagorno Karabakh la stessa presidenza azera ha adottato e incoraggia l’idea che larga parte dell’Armenia non esista, che sia Azerbaijan. Quindi gli azeri rivendicano il diritto di rientrare (o re-impossessarsi) di quelle che ritengono proprie terre ancestrali.

Il governo azero ha cominciato con maggiore insistenza a diffondere pubblicazioni e video che ritraggono l’Armenia moderna come Azerbaijan occidentale. Già un catalogo del 2007 del ministero della cultura e del turismo ha presentato una mappa che etichetta la Repubblica di Armenia attuale come antica terra “turco-oghuz—Azerbaijan occidentale  ”. Nel 2018 il governo ha iniziato a promuovere attivamente l’idea di Yerevan, capitale dell’Armenia, come centro abitato di origini azere  .

Il 24 dicembre 2022 il presidente azero Ilham Aliev ha incontrato un gruppo di intellettuali del cosiddetto Azerbaijan occidentale. In questa occasione ha tenuto un discorso manifesto  della visione di Baku:

“L’Azerbaijan occidentale è la nostra terra storica, […] Purtroppo, come hanno fatto in Nagorno Karabakh, gli armeni hanno raso al suolo tutti i nostri monumenti storici e religiosi [..]. Volevano cancellare il patrimonio storico del popolo azero ma non ci sono riusciti. […]”, ha dichiarato Aliev.

Per il presidente azero, nel 1918 la neonata Repubblica Democratica dell’Azerbaijan avrebbe consegnato “la nostra città storica, Iravan [İrəvan], all’Armenia”. Una decisione che ha definito “imperdonabile”, seguita da altre decisioni punitive nei confronti dell’Azerbaijan prese da nuovo potere sovietico, che hanno assegnato la provincia di Zangezur [Syunik] all’Armenia.

Altre ingiustizie territoriali sarebbero seguite negli anni ‘80 del secolo scorso: “Gli azeri furono deportati dalle loro terre storiche nell’Azerbaijan occidentale. Sappiamo tutti e ricordiamo bene quella storia. Conosciamo anche il numero di luoghi in cui vivevano gli azero – più di 170 villaggi erano abitati esclusivamente dagli azeri.”.

Dalle parole alle violazioni di cessate il fuoco

Dalle parole ai fatti: con la presa del Nagorno Karabakh e delle regioni limitrofe le zone economiche dell’Azerbaijan sono state riorganizzate in 14 regioni economiche. Le aree riconquistate sono definite del Karabakh e del Zangezur orientale, che presuppone che la regione armena di Syunik sia il Zangezur azero occidentale.

Ovviamente questo causa le obiezioni dell’Armenia, nonché i suoi allarmi sulle rivendicazioni territoriali dell’Azerbaijan. Obiezioni che non scalfiscono la retorica di stato, come dimostrano le parole di Aliev nel pieno della campagna per le presidenziali 2024 in una intervista  che ha causato mal di testa in numerose cancellerie.

“Dopo la sovietizzazione nell’aprile 1920, nel novembre successivo, il governo sovietico ha preso la parte più grande del Zangezur occidentale dall’Azerbaijan e l’ha consegnata all’Armenia. […] C’è una mappa della Repubblica Popolare dell’Azerbaijan e su di essa c’è il Zangezur – non orientale o occidentale, tutto il Zangezur era territorio dell’Azerbaijan […] L’ultima cessione di terre del genere è stata fatta nel maggio 1969. A quel tempo, le nostre terre furono date all’Armenia in parti, e da un’area di circa 100.000 chilometri quadrati – sto parlando del territorio della Repubblica Popolare dell’Azerbaijan – scese a 86.600 chilometri quadrati.”

Dopo le parole di Aliev, nel gennaio 2023, il portavoce della Comunità dell’Azerbaijan Occidentale, Ülviyyə Zülfiqar, ha dichiarato che la Comunità aveva condotto un censimento della popolazione per più di 150 dei 300 insediamenti in cui vivevano gli azeri. Il censimento si concentrava principalmente su coloro che sono stati espulsi tra il 1988 e il 1991. La maggior parte era ancora viva e in possesso di documenti di identità, compresi documenti che confermavano la proprietà di beni nella Repubblica Socialista Sovietica Armena  .

Le violazioni di cessate il fuoco denunciate dall’Azerbaijan nel giugno del 2024 (e smentite dall’Armenia) si concentrano proprio in questa area, chiaramente oggetto di rivendicazioni, strutturate e minacciose nei confronti del processo di pace.

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Sulla strada abbiamo un altro nome (Liberopensiero 08.07.24)

Il primo fortunato romanzo di Laura Cwiertnia

Sulla strada abbiamo un altro nome è il primo romanzo della scrittrice Laura Cwiertnia edito da Mar dei Sargassi, una casa editrice giovane che dà voce a nuove correnti letterarie. Con una scrittura efficace e diretta, l’autrice introduce argomenti piuttosto forti come il genocidio, la fame, le lotte di un popolo.

L’intrigante trama

 

 

Tra la Germania e l’affascinante Armenia si svolge la vicenda del romanzo, semplice e complicata allo stesso tempo, di tre generazioni di donne combattenti, piccole eroine dei giorni nostri che affrontano la povertà, la fame, il genocidio. Infatti, il tempo presente, è spesso incalzato da un passato non facile ma che ha contribuito sempre e comunque per un futuro migliore.

Anche la protagonista del romanzo, Karla (o Karlotta) ha origini armeno-tedesche e la sua storia si apre su uno scenario abbastanza complicato come quello della morte di sua nonna Maryam, matriarca della famiglia. Maryam avrebbe dovuto consegnare un bracciale a una donna misteriosa di cui Karla non ha mai sentito parlare e sarà la ricerca di questa donna che la porterà in Armenia a fare i conti con le sue origini, con la consapevolezza di un genocidio che ha segnato tre generazioni di donne a partire dalla sua bisnonna Armine e con i complicati rapporti che la protagonista stessa ha con il padre. Tutto ciò la riporterà a casa come una donna, con consapevolezze sempre nuove e con l’orgoglio di tante lotte alle spalle che le hanno dato anche tante vittorie.

L’identità di minoranze etniche come gli armeni è messa a dura prova. I protagonisti sono costretti a nascondere le loro origini, a cambiare i propri nomi e cognomi, per cui in pubblico, sulla strada cioè, essi hanno un altro nome. Anche a distanza di tempo sono costretti a edulcorare le loro vicende per essere accettati ma il genocidio resterà nella mente anche quando non lo si è vissuto in prima persona.

La giovane scrittrice dietro le pagine

 

Laura Cwiertnia è una giovane redattrice armeno-tedesca che ha messo in campo le sue numerose conoscenze per la realizzazione del suo primo romanzo che è, a tutti gli effetti, un monito per non dimenticare un tema così efferato come un genocidio e tanto delicato da commuovere il lettore che qui si identifica con le lotte contro la fame, con la sensazione di sentirsi esclusi e soli al mondo, con un’identità che tutti i personaggi di questo romanzo continuano a sentire forte dentro di sé ma che per l’odio degli altri sono costretti a nascondere.

La giovane autrice è stata ospite del rinomato Salone del libro di Torino e di altre numerose iniziative private atte a promuovere il romanzo.

Per non dimenticare

Candele commemorative per il genocidio descritto nel romanzo
Candele commemorative per il genocidio armeno Fonte immagine: Pixabay

 

Molto spesso si danno per scontate tante, troppe cose. Un tetto sopra la testa, il lavoro, una famiglia, persino la propria identità. Non è stato sempre così in passato quando popoli e generazioni hanno dovuto combattere per ogni piccola conquista, per i diritti, e nel caso di alcuni popoli come quello Armeno, anche per la propria identità. Perché a causa dell’odio, il genocidio resta una ferita aperta nel cuore di quelle minoranze etniche che l’hanno vissuto in prima persona.

Inoltre, molte vicende di questo tipo vengono taciute o comunque, si tende a parlarne poco. La scrittrice invece, sente il bisogno di portare alla luce quello che è stato, anche e soprattutto se di tempo ne è trascorso, in modo che le nuove generazioni siano fiere di quelle che le hanno precedute e che la vicenda sia posta all’attenzione globale.

Nel romanzo di Laura Cwiertnia gli armeni, da cui lei stessa discende, non sono delle vittime ma ne escono vincitori ed esortano ad una rivincita, a una presa di posizione. Perché l’odio non porta da nessuna parte ma il coraggio non solo viene ricordato ma riesce anche a costruire un futuro migliore.

Simona Esposito

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Armenia: primo piano sulle molteplici attività ed esperienze outdoor (Travelquotidiano 08.07.24)

Non soltanto turismo culturale, ma anche una consistente offerta di attività outdoor: l’Armenia punta i riflettori su una natura spettacolare che consente di spaziare fra voli in parapendio sopra le acque del lago Sevan alle zipline nelle foreste di Yenokavan; oppure tra fiumi e laghi dove praticare rafting, kayak e paddleboarding, senza tralasciare percorsi escursionistici e arrampicate montane. E con l’arrivo della stagione invernale la destinazione diventa un paradiso innevato, perfetto per sci, snowkiting e pattinaggio sul ghiaccio.

Mete ideali per il parapendio sono il lago Sevan e il bacino artificiale di Azat; per gli amanti delle emozioni forti, le zipline di Byurakan e Kapan offrono panorami spettacolari su vette e valli. L’annuale festival delle mongolfiere in ottobre regala una vista panoramica unica su laghi, canyon e montagne. La funivia “Ali di Tatev”, la più lunga del mondo con i suoi 5,7 km, collega Halidzor al monastero di Tatev, offrendo vedute a 360° sulla profonda gola del Vorotan.

Il rafting nel canyon di Debed promette emozioni forti tra gole e acque impetuose. Il bacino di Azat è perfetto per il SUP o il kayak, mentre il lago Sevan, il più grande del paese, è ideale per uscite in barca o per andare a vela circondati da montagne che superano i 2000 m.

Gli appassionati di escursionismo e trekking possono esplorare i sentieri che attraversano l’Armenia, compresi quelli nelle aree protette come il Parco Nazionale Dilijan, o percorrere il tratto armeno del Transcaucasian Trail, il percorso escursionistico a lunga distanza che attraversa campi di fiori selvatici e il corso dei fiumi. Chi ama l’alpinismo può praticarlo sul monte Khustup, sulla cima nord dell’Aragats, la vetta più alta del paese (4040 m) o sul monte Aramazd. Per gli amanti della mountain bike, il Boo Mountain Bike Park a Vanadzor offre percorsi avventurosi. La gola di Hrazdan, le scogliere rocciose di Gnishik e il “Canyon “dell’inferno”, offrono sfide entusiasmanti e paesaggi unici per l’arrampicata.

Infine, da metà dicembre, le montagne si coprono di neve, perfette per il snowkiting nella regione di Shirak. Tsaghkadzor è un comprensorio sciistico con piste per tutti i livelli, mentre Yeghipatrush sta sviluppando un complesso sportivo ideale per gli appassionati di sport invernali, mentre chi pratica sci di fondo può visitare Ashotsk. Il lago Arpi durante l’inverno ghiaccia e diventa una pista di pattinaggio naturale.

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Il custode di Villa Albrizzi Marini e il ricordo del genocidio armeno (La Tribuna 08.07.24)

Padre Martiros Gevorgyan, monaco armeno esordisce così: “Io sono figlio di sopravvissuti del 1915”. Un custode silenzioso di villa Albrizzi Marini che ha voluto affidare un patrimonio inestimabile a dei giovani volenterosi. “Un giorno dei ragazzi sono venuti qui per chiedermi se potevano fare una pista per mountain bike nel parco e io ho detto sì. Ora hanno restaurato tutta Villa Albrizzi Marini. (Video intervista Elia Cavarzan)

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DALL’ARMENIA/ Diario di un pellegrino nella “patria” della memoria cristiana (Il Sussidiario 08.07.24

Le impressioni di un pellegrinaggio in Armenia, terra cristiana sempre sull’orlo della sparizione, vittima dell’odio, e perciò dall’identità fortissima

armenia chiesa fede 1 pozza1280 640x300 (foto M. Pozza)

È un paese piccolissimo l’Armenia: meno di 30mila kmq, per tre milioni di abitanti. Un popolo sovraccarico di memoria: è la terra di pietra che, leggenda vuole, Dio scelse come luogo di ripartenza con il suo scudiero Noè. Un popolo di commercianti poliglotti, di viaggiatori, poeti, mistici, contadini che, oggi, abita un decimo di quella che era storicamente la terra di Armenia: i suoi confini, rosi e rosicati dalla violenza e dagli stermini, sono continuamente rimodificati.

È un popolo sempre sull’orlo della sparizione: la Chiesa, sotto le purghe sovietiche, ha pagato un prezzo pesante. La terra di un genocidio molto più letale di quello ebreo: qui, trent’anni prima di Auschwitz e Birkenau, si tentò di cancellare il popolo armeno. Non solo: si tentò, poi, di cancellare dalla storia il tentativo fatto di cancellare il popolo armeno. Doppio genocidio: della carne e della memoria. Non l’appresi a scuola – che non me lo raccontò – ma dalle pagine di una voce d’Armenia: “In quella lontana, solare giornata di maggio lei e i suoi familiari, piccoli e grandi, sono stati giudicati e trovati colpevoli di esistere – scrive Antonia Arslan –: Dio si è velato” (La masseria delle allodole).

Quasi un milione e mezzo di armeni sterminati. Ancora oggi il suo destino staziona tra secoli di persecuzioni, stenti, diaspora, vita errante, pogrom. Non esiste l’armeno, esiste l’armeno di Turchia, di Francia, d’America. “Siamo sempre armeni a metà” dice la nostra guida Arminè, citando il loro poeta Ghevorg Emin. L’Armenia è una nazione costretta a sviluppare per forza una sua identità, compressa com’è tra Paesi ingombranti come la Turchia, la Russia, l’Iran, l’Azerbaijan. Minacciata e scampata, sempre col rischio di sparire, l’identità ne esce giocoforza potenziata.

Non è facile parlare dell’Armenia, degli armeni: presa a pugni dalla storia, il rischio è oscillare tra il timore ossequioso e la retorica sdolcinata: “Vi chiedo la cortesia, adesso che ritornate, di non ricordarci come ‘quelli del genocidio’, ma ricordateci per la bellezza che i vostri occhi hanno visto” ci chiede la guida. Un pellegrinaggio, il nostro, non un viaggio: al turista interessa forzare gli occhi e la memoria, al pellegrino sta a cuore il suo cuore. Viaggia per rimescolare il cuore, che poi aprirà gli occhi e alimenterà la memoria.

Ci aiuta la bellezza che, qui, è isolata, sobria, semplice, come attesta la presenza dei suoi monasteri: Khor Virap, Novarank, Geghard, Tatev. Monasteri che non sono solo un’attrazione ma rappresentano l’identità di questa terra che, prima tra tutte, ha abbracciato il cristianesimo come religione ufficiale: correva l’anno 301. Gregorio l’Illuminatore, che qui è padre della Chiesa e della memoria, per 13 anni fu tenuto prigioniero in un pozzo a Khor Virap: il re, Tiridate III, schifava il cristianesimo e i seguaci venivano perseguitati ferocemente. La sorella, dopo un sogno fatto, lo costrinse a liberarlo e Tiridate, guarito dopo essere stato ammalato, per riconoscenza si convertì al cristianesimo, la consacrò religione di Stato.

Sono luoghi, i monasteri che restano, tutt’oggi, come fari silenziosi nell’assolata terra di Armenia. Qui il pellegrino fiuta ben presto che la storia si misura in millenni: ci troviamo in quella parte di mondo definita “la culla dell’umanità”. Ci muoviamo tra le tracce più antiche della storia umana. Il faro più voluminoso, l’Ararat, il monte sacro: il destino vuole che sia beffardamente al di là del confine (chiuso) con la Turchia. Vicinissimo e lontanissimo: intimo e forestiero. Disegnato persino sul cognac.

A Yerevan arriviamo e ripartiamo: è la capitale, forse la meno densa di storia tra tutte le città armene. Forse anche un po’ kitsch con i suoi mattoni rosa, è opera degli armeni della diaspora: han fatto fortuna altrove e poi sono ritornati. Attorno alle sue fontane, i viali e le piazze brulicano di gente, il chiacchiericcio dura ore, si tira fino a notte fonda: se sei stato ad un passo dal perdere tutto, non hai né il tempo né la voglia di portare rancore oppure di odiare. Ti siedi e racconti la storia all’ospite viziandolo con carne alla griglia, foglie di vite ripiene di carne tritata, zuppe dense a base di maiale o di manzo, i ravioli. Deliziandolo col lavash, il pane piatto, sottile, morbido.

L’impressione, ai miei occhi pellegrini, è che l’armeno sia la sentinella dell’Europa cristiana: sopra loro c’è sempre un carico di nubi dal quale incombono bombe, odio, voglia di stermino. Gli armeni, però, ci sono ancora: c’è voluto tempo perché i sopravvissuti tornassero, ma ce l’hanno fatta a ritornare. Ce la rifaranno sempre: è destino dei popoli massacrati non cedere mai completamente al loro massacro. Quando qualcuno, nel secolo scorso, fece notare a Hitler che sterminare milioni di ebrei non sarebbe passato inosservato, lui disse: “Chi, ancora oggi, ricorda lo sterminio armeno con tutto quello ch’è accaduto attorno?”. Fu il più grande smacco del Führer tedesco: non si può cancellare un popolo, né la sua memoria.

L’ha attraversata Senofonte l’Armenia, l’abbiamo attraversata anche noi: a ciascuno ha detto cose diverse. Presentando le stesse pietre. Potenza della bellezza che, angosciata, conquista il cuore. Come una rosa strapazzata dal vento. L’Armenia è una rosa: “La rosa migliore è quella tormentata e sofferta”, scrisse un poeta di queste zone.

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ARMENIA. INTERVISTA CON IL VICEMINISTRO AGLI ESTERI PARUYR HOVHANNISYAN (Notizie Geopolitiche 07.07.24)

a cura di Silvia Boltuc * –

Il panorama geopolitico dell’Armenia ha subito cambiamenti significativi dopo la presa del Nagorno-Karabakh/Artsakh da parte dell’Azerbaigian nel settembre 2023. Sebbene persistano i solidi rapporti storici con l’Iran e la Georgia, le crescenti relazioni di Yerevan con l’Unione Europea e gli Stati Uniti riflettono le aspirazioni del Paese di una più profonda integrazione con le istituzioni occidentali.
Sullo sfondo di queste dinamiche Yerevan cerca di bilanciare le relazioni con la Russia, il suo alleato storico, con l’imperativo di diversificare i suoi partner senza compromettere la stabilità regionale.
Sul fronte turco, l’Armenia continua a perseguire la normalizzazione dei rapporti con Ankara ed a portare avanti le negoziazioni con l’Azerbaigian per raggiungere una pace duratura.
In questo contesto abbiamo intervistato Paruyr Hovhannisyan, vice-ministro degli Affari esteri della Repubblica di Armenia, per discutere la politica regionale ed estera di Yerevan.

– Dal nostro ultimo incontro nell’ottobre 2022, il Caucaso meridionale ha subito cambiamenti significativi, tra cui la conquista del Nagorno-Karabakh/Artsakh da parte dell’Azerbaigian nel settembre 2023. Può fornirci più dettagli su questa questione e sul confronto tra Baku e Yerevan?
“La regione ha subito un processo di pulizia etnica, con la maggior parte della popolazione armena autoctona che ha lasciato le terre abitate dai suoi antenati per oltre due millenni. Solo pochi armeni sono rimasti, ma non abbiamo informazioni sul loro stato.
Questi eventi hanno indubbiamente influenzato le prospettive per i colloqui di pace. Infatti, le negoziazioni sono state sospese per diversi mesi, per poi essere riprese con un incontro a Berlino il 28-29 febbraio 2024, tra i ministri degli esteri armeno e azero, rispettivamente Ararat Mirzoyan e Jeyhun Bayramov, alla presenza del ministro degli esteri tedesco Annalena Baerbock. Questo incontro ha fatto seguito ai colloqui a Monaco tra il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ed il presidente azero, Ilham Aliyev. Un altro incontro tra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian si è tenuto il 10-11 maggio 2024 ad Almaty, in Kazakistan.
Nonostante le numerose sfide, lo scambio delle bozze degli accordi di pace è continuato.
In riferimento a tali negoziazioni è iniziato anche il processo di delimitazione dei confini con chiaro riferimento alla Dichiarazione di Alma Ata del 1991, la quale afferma che i confini delle ex repubbliche sovietiche dovrebbero essere adottati come confini ufficiali, garantendo così l’integrità territoriale di ciascun paese. Ciò è particolarmente importante per l’Armenia che ha dovuto affrontare continue minacce di attacco alla sua sovranità territoriale.
Le commissioni per la delimitazione dei confini hanno elaborato e presentato la regolamentazione dei lavori per l’approvazione dai rispettivi governi, con la speranza che vengano approvate nella data prevista del 1 luglio 2024.
Progressi sono stati fatti anche su una bozza di trattato di pace, con la nona versione recentemente inviata dalla parte armena all’Azerbaigian. Restano solo pochi elementi da definire. L’accordo di pace è più vicino alla sua sottoscrizione di quanto non lo sia mai stato prima.
Per quanto riguarda l’apertura delle comunicazioni, abbiamo recentemente partecipato ad una conferenza sulla connettività tra l’Asia centrale ed il Caucaso meridionale organizzata dal ministero degli esteri italiano a Roma. La disponibilità del nostro Paese ad aprire tutte le rotte di trasporto ed esplorare ulteriori possibilità in materia di scambio energetico è stata accolta positivamente. Nel corso dell’incontro, abbiamo presentato un progetto denominato ‘Crocevia della Pace’ in cui proponiamo di fare del Caucaso meridionale un collegamento tra l’Asia Centrale e l’Europa, e la proposta ha ricevuto il favore dei partecipanti. Speriamo altresì che questo progetto venga incluso nel più ampio piano europeo denominato ‘Global Gateway’.
In sintesi, sono stati fatti progressi sulla bozza del trattato di pace, sulla delimitazione dei confini e sulle aspettative per l’apertura delle comunicazioni. Tuttavia, restano alcune questioni ancora irrisolte, in particolare alla luce delle recenti richieste del presidente dell’Azerbaigian riguardo a modifiche alla costituzione armena e allo scioglimento del Gruppo di Minsk. Queste richieste sono difficili da soddisfare e sollevano preoccupazioni sull’effettivo interesse di Baku a concludere un accordo di pace. Sebbene siano stati fatti progressi significativi con la mediazione dell’Europa e degli Stati Uniti, infatti, stabilire una pace duratura nella regione richiede un impegno genuino da tutte le parti coinvolte.
Dal punto di vista dell’Armenia, c’è un indubbio desiderio di migliorare le relazioni con l’Azerbaigian e normalizzare i rapporti con la Turchia. Tuttavia, le recenti dichiarazioni di Baku creano impedimenti significativi e sollevano dubbi sulla reale volontà dell’Azerbaigian a perseguire la pace”
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– L’Armenia è da sempre percepita come un alleato storico della Russia. Alla luce degli eventi recenti, in particolare riguardanti il Nagorno-Karabakh/Artsakh, abbiamo visto che Yerevan sta ampliando il suo ventaglio di partner. Come sta lavorando l’Armenia per migliorare le sue relazioni con l’Occidente, in particolare con l’Europa e gli Stati Uniti?
“Effettivamente c’è una notevole frustrazione riguardo le recenti posizioni della Russia. Nell’ultimo anno i peacekeeper russi erano l’unica presenza militare nel Nagorno-Karabakh/Artsakh, eppure la regione è stata lasciata priva di armeni, a eccezione di pochissimi. Questo solleva seri dubbi sull’efficacia delle missioni di peacekeeping russe.
Prima dell’offensiva militare dell’Azerbaigian ci sono state provocazioni significative, inclusi il blocco del Nagorno-Karabakh e la chiusura del Corridoio di Lachin, che hanno aumentato le tensioni. Nonostante questi eventi, i peacekeeper russi non hanno preso misure efficaci per affrontare la situazione.
La frustrazione ha raggiunto il culmine anche nel 2022 quando il territorio sovrano dell’Armenia è stato attaccato. Yerevan ha fatto appello a Mosca bilateralmente e all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) nel suo complesso, aspettandosi una difesa da questa alleanza. Tuttavia, c’è stata esitazione e prioritizzazione dell’Azerbaigian come partner importante, portando l’Armenia a mettere in dubbio l’affidabilità stessa di questa organizzazione. Di conseguenza, abbiamo sospeso la nostra partecipazione alle attività della CSTO e abbiamo evitato incontri ad alto livello all’interno della coalizione, innescando una serie di riflessioni sullo stato di salute ed il livello di parità delle relazioni fra i singoli stati membri.
Sul fronte occidentale c’è, invece, un notevole slancio nelle relazioni dell’Armenia con l’Unione Europea e gli Stati Uniti. L’Europa è stata storicamente un sostenitore primario della trasformazione del nostro paese, il più grande donatore ed un importante partner commerciale. Attualmente sono in corso sforzi per sviluppare nuove priorità di partenariato volte ad avvicinare Yerevan il più possibile a Bruxelles. Raggiungere la massima integrazione con l’Europa e utilizzare tutti gli strumenti disponibili in tal senso è l’obiettivo chiaro dell’Armenia. Lo status di candidato per la Georgia è servito, indubbiamente, come un importante precedente in questo senso.
Allo stesso modo, le relazioni con gli Stati Uniti stanno avanzando. L’11 giugno 2024 si è tenuto a Yerevan un altro round del Dialogo Strategico USA-Armenia (USASD). Durante questo incontro, è stata delineata una visione per approfondire i legami bilaterali, che sarà formalizzata in un memorandum d’intesa, elevando il dialogo a livello di Commissione di partenariato strategico. Sono state altresì discusse numerose aree di interesse comune.
Le attuali dinamiche delle relazioni di Yerevan con Bruxelles e Washington sono senza precedenti. Questo si estende anche alle relazioni con i singoli stati membri dell’Europa. Questo periodo segna una fase eccezionalmente attiva di cooperazione e interazione con questi due grandi partner occidentali, superando tutti i livelli di precedente coinvolgimento”
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– Considerando l’adesione dell’Armenia all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) e all’Unione Economica Eurasiatica (EAEU), due importanti organizzazioni che vedono la partecipazione russa, Mosca in che modo rimane un partner fondamentale per il vostro Paese?
L’Armenia non vede il suo rapporto con Mosca come conflittuale. Cerchiamo di mantenere relazioni sane e reciprocamente vantaggiose con tutti i partner, inclusa la Russia, data la nostra prossimità territoriale e la sua importanza come attore regionale ed internazionale.
Il mercato eurasiatico, in particolare i nostri legami con i paesi dell’ex Unione Sovietica come lo sono ad esempio Russia e Kazakistan, rimangono cruciali per l’Armenia e la sua economia.
Allo stesso tempo, miriamo a diversificare la nostra economia e le nostre politiche, con lo scopo ultimo di migliorare la nostra resilienza. Per un piccolo paese senza sbocco sul mare come il nostro è naturale utilizzare tutte le opportunità disponibili in tal senso. Anche il Kazakistan, per esempio, uno dei paesi più ricchi di risorse naturali, sta perseguendo una politica estera multivettoriale. Questa strategia dovrebbe essere compresa e rispettata da tutti i vicini ed i partner. Questo è l’approccio generale che stiamo adottando”
.

– Esiste il rischio che l’Armenia possa perdere il sostegno internazionale sia degli alleati tradizionali come la Russia, che dei potenziali nuovi partner come l’Occidente, per via delle forti relazioni di questi ultimi con l’Azerbaigian nel settore energetico?
“Il settore energetico è sicuramente significativo e influenza le agende di molti paesi e le attività di lobbying. Tuttavia altri fattori come la stabilità regionale, la democrazia ed altri settori dell’economia, sono altrettanto cruciali.
Sebbene il fattore energetico giochi un ruolo importante, non può essere l’unica base per gli interessi di lobbying e le relazioni internazionali. I rapporti storici dell’Armenia con diversi attori europei, l’influenza della diaspora armena ed altri fattori rilevanti, contribuiscono al nostro posto nel contesto internazionale. Inoltre, come ho già menzionato, l’Armenia si presenta geograficamente come connessione naturale strategica tra l’Asia Centrale, il Caucaso meridionale e l’Europa.
Non vediamo il nostro paese come un’arena di competizione o rivalità tra potenze globali. Il nostro obiettivo, esemplificato dal progetto ‘Crocevia della Pace’, è di promuovere pari opportunità e mantenere relazioni sane con tutti i vicini. Miriamo a coltivare relazioni più strette con l’Europa grazie a standard e approcci condivisi, ma in maniera non conflittuale.
Il nostro obiettivo è introdurre ulteriori opportunità per la cooperazione regionale, non provocare o disturbare altri paesi. Le nostre politiche sono guidate dalla necessità di difendere i nostri interessi nazionali e garantire sviluppo e pace per la nostra popolazione, che ha urgentemente bisogno di stabilità e prospettive di sviluppo.
Questo approccio riflette la narrativa del governo attuale, che ha raccolto un notevole favore. I progressi che abbiamo fatto nei tentativi di pace, anche in circostanze difficili, dimostrano la sincerità della nostra agenda. La diversificazione è essenziale per la nostra sopravvivenza e i nostri sforzi non sono diretti contro nessun altro paese, ma piuttosto verso la creazione di condizioni favorevoli per l’Armenia in questi tempi turbolenti”
.

– In una precedente intervista con SpecialEurasia, il presidente Vahagn Kachaturyan ha discusso la normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Turchia. Dopo quasi due anni qual è lo stato attuale di questo processo?
“Abbiamo costantemente perseguito la normalizzazione delle relazioni con Ankara e ci sono stati alcuni sviluppi positivi a riguardo. Dopo il devastante terremoto in Turchia, l’Armenia è stata tra i paesi che hanno fornito assistenza umanitaria, inviando aiuti e soccorritori. Successivamente, il ministro degli esteri armeno Ararat Mirzoyan ha visitato Ankara.
Ci sono stati molteplici scambi a livello di ministri degli esteri, così come tra i primi ministri e i presidenti, e incontri tra rappresentanti speciali. Abbiamo concordato alcune misure relativamente piccole e siamo impegnati a migliorare le relazioni.
Tuttavia, spesso sentiamo che queste relazioni dipendono eccessivamente dai nostri colloqui con l’Azerbaigian, che rimane un ostacolo significativo.
Da parte nostra, abbiamo compiuto sforzi sostanziali per dimostrare il nostro impegno. Dato che la Turchia è il nostro più grande vicino, normalizzare le relazioni senza precondizioni è cruciale.
Speriamo di avere ora migliori opportunità per stabilire la pace e accelerare questo processo, in particolare nell’implementazione di accordi come l’apertura delle frontiere per i cittadini di paesi terzi e, infine, l’apertura completa delle frontiere.
Il nostro confine comune, uno dei pochi confini chiusi rimanenti dall’era della Guerra Fredda, è bloccato dal 1993, con brevi aperture l’11 e il 14 febbraio per la consegna degli aiuti umanitari in seguito al terremoto. Tuttavia, il confine rimane chiuso, riflettendo un retaggio del passato che speriamo di cambiare
”.

– Come valuta l’attuale stato delle relazioni tra Armenia e Iran nel contesto regionale?
“Attualmente il sostegno dell’Iran ai confini e all’integrità territoriale dell’Armenia è molto apprezzato. Inoltre, l’Iran svolge un ruolo significativo nella connettività regionale e nel settore energetico, che è cruciale per noi in questa situazione incerta.
Il rapporto tra Yerevan e Teheran esemplifica le relazioni di buon vicinato, che ci sforziamo di mantenere. Abbiamo numerosi progetti congiunti a vari livelli e scambi continui che riflettono un desiderio comune di migliorare la stabilità regionale. A questo riguardo la nostra cooperazione è particolarmente stretta, soprattutto dato l’attuale contesto geopolitico.
L’Iran, insieme alla Georgia, funge da sbocco vitale per l’Armenia, poiché i nostri confini con la Turchia e l’Azerbaigian rimangono chiusi. Il nostro confine comune è, infatti, uno dei nostri principali collegamenti con il mondo esterno.
Vari progetti regionali dal Mar Nero al Golfo Persico e potenziali iniziative di connettività che coinvolgono l’Iran potrebbero avere un interesse significativo non solo per l’Armenia ma anche per l’Europa.
Teheran non si è mai opposta alle nostre aspirazioni di rafforzare i legami con Bruxelles. Anche la nostra cooperazione con la NATO, come paese non membro, non ha posto alcun problema. È fondamentale sottolineare che questa partnership esterna con la NATO mira a modernizzare le nostre capacità difensive, raggiungere standard più elevati e impegnarsi in un dialogo politico, senza però prendere di mira alcun paese della regione.
C’è rispetto reciproco per le sensibilità di ciascuno e, nonostante le sfide, siamo sempre riusciti a trovare un’intesa
”.

– Il presidente Vahagn Khachaturyan ha recentemente sottolineato l’importanza della stretta e amichevole relazione dell’Armenia con la Georgia, fondata sulla fiducia reciproca e su un’amicizia secolare tra i loro popoli. Come descriverebbe l’attuale stato delle relazioni tra Yerevan e Tbilisi?
“Abbiamo firmato un Memorandum di ‘Partenariato Strategico’ il 26 gennaio 2024, elevando le nostre relazioni ad un nuovo livello.
Come per l’Iran, Armenia e Georgia condividono rapporti millenari. A parte una breve escalation di confine nel 1918 dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i nostri paesi non sono mai stati in guerra.
Storicamente, come due nazioni cristiane circondate da grandi imperi musulmani come gli Ottomani ed i Persiani, oltre ai Selgiuchidi e agli Arabi, il nostro difficile contesto geopolitico ha favorito la cooperazione piuttosto che il conflitto. Questa esperienza condivisa ha portato a forti legami tra i nostri stati.
Sebbene ci sia una competizione occasionale in alcune aree, ciò è normale per paesi limitrofi. Nel complesso, le nostre relazioni sono sempre state sane.
Recentemente, interessi comuni in materia di democrazia e una prospettiva di integrazione europea ci hanno avvicinato ancora di più. Affrontiamo preoccupazioni e sfide di sicurezza simili e condividiamo la necessità di diversificare le nostre politiche e le nostre opzioni.
Inoltre c’è una significativa comunità armena che vive pacificamente in Georgia, rafforzando ulteriormente il nostro legame. Il Paese serve anche come nostra principale via di trasporto, con i suoi porti nel Mar Nero che sono vitali per il nostro commercio.
La candidatura di Tbilisi per l’adesione all’Unione Europea ha influenzato anche le nostre ambizioni europee. Date le nostre limitazioni geografiche, la Georgia è il nostro unico collegamento terrestre che abbiamo con l’Europa, rendendo la loro candidatura cruciale per le nostre stesse aspirazioni.
Inoltre, nonostante i progetti infrastrutturali congiunti con l’Azerbaigian, Tbilisi ha mantenuto una posizione neutrale nella regione. Ha facilitato gli sforzi di pace, ad esempio organizzando un incontro tra i ministri degli esteri armeno e azero il 16 luglio 2022. Il Paese è sinceramente interessato a stabilire la pace tra Yerevan e Baku e a normalizzare le relazioni armeno-turche, essendo consapevole dell’impatto regionale di potenziali nuovi conflitti.
In sintesi, le nostre relazioni con la Georgia sono basate su legami reciproci, interessi comuni e un desiderio condiviso di risolvere le controversie in tempi difficili. La nostra cooperazione sta crescendo in tutti i campi”.

* Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia..

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I Paesi del Caucaso Meridionale alla ricerca di una pace stabile in alternativa alla colonizzazione atlantista (K. Askerkhanov) (FarodiRoma 06.07.24)

Tutti e tre i grandi vicini dei paesi del Caucaso meridionale sono attori politico-militari nella regione del GME.
Tutti e tre i paesi del Caucaso meridionale, Armenia, Azerbaigian e Georgia, hanno attraversato una fase di confronto politico-militare tra loro o con altri vicini. Nei paesi del Caucaso meridionale ci sono persone al potere che lottano per una pace duratura.
A parte il fatto che:
– Il modello globale della “Pax Americana” è in declino e, come dimostra la storia, è accompagnato da una serie di guerre in tutto il mondo.
– i processi che si verificano nella BBB determinano il futuro non solo della regione, ma sono di natura civilizzata.
– sullo sfondo delle guerre e del crollo del tessuto della “Pax Americana” globale, si stanno già formando nuove connessioni, e forse alleanze, che, da un lato, dovrebbero compensare i costi della distruzione dell’attuale sistema economico modello, e dall’altro emergono i contorni di un nuovo mondo.
I paesi del Sud stanno diventando partner di quelle grandi entità economiche emergenti che comprendono i rischi derivanti dal crollo della Pax Americana.

Avendo una vasta esperienza nell’interazione con popoli e culture diverse, ho avuto l’opportunità di osservare, analizzare e sintetizzare. Una qualità ha sempre attirato la mia attenzione: il modo in cui una persona, un’azienda, un paese affronta sfide e minacce nuove e sconosciute. L’esperienza e la conoscenza non sono condizioni sufficienti per affrontare l’ignoto e il pericoloso. Mi sono reso conto che abbiamo ancora bisogno di volontà e di persone che la pensano allo stesso modo. La combinazione di questi fattori aumenta significativamente le possibilità di successo, non solo di un individuo, ma dell’intera comunità.
Sono venuto a questo simposio dall’Azerbaigian. Nel Caucaso meridionale, e questo è un posto unico sotto molti aspetti, ci sono tre stati indipendenti: Armenia, Azerbaigian e Georgia. Siamo circondati da tre grandi vicini: Iran, Turchia e Russia, che da molti secoli partecipano attivamente agli eventi del Grande Medio Oriente (GME). Sono essenzialmente uno degli attori più importanti nei processi politici, che hanno subito una forte accelerazione dopo il 7 ottobre 2023.

Nel corso del XX secolo, i paesi del Caucaso meridionale si sono trovati due volte in guerra, quando è crollato prima l’impero russo nel 1917, e poi l’URSS nel 1991. A differenza di quel periodo, già ai nostri giorni i paesi del Caucaso meridionale risolvono in gran parte in modo indipendente i problemi relativi alla creazione dei principi di un mondo post-conflitto. Abbiamo superato la fase storica del confronto militare e stiamo attivamente cercando vie per una pace sostenibile. Coloro che detengono il potere nei paesi del Caucaso meridionale sono persone che hanno ricevuto il mandato di farlo dai loro popoli. Tuttavia, i recenti eventi in Georgia e Armenia sollevano preoccupazioni. Gli interessi di attori esterni possono portare alla destabilizzazione della regione.
Una pace duratura nella nostra regione offre opportunità per accelerare lo sviluppo economico e la prosperità dei popoli. Si stanno già formando nuove rotte di trasporto internazionali, ad esempio “Ovest-Est” e “Nord-Sud”, che stanno cambiando e avvicinando i nostri paesi. La futura partecipazione dei nostri paesi a tali progetti globali spingerà i paesi del Caucaso meridionale verso l’integrazione economica, possibilmente verso la formazione di un mercato comune.
Processi regionali. Ciò che osserviamo nel Caucaso meridionale si sta verificando sullo sfondo di quello che può essere chiamato il crollo della “Pax Americana”.
Come la storia ci insegna, l’uscita dalla scena del dominion, e parliamo dell’egemonia statunitense nel mondo a partire dalla metà del XX secolo, porta a tutta una serie di guerre in tutto il mondo. Allo stesso tempo, sullo sfondo della destabilizzazione globale, nei paesi del Caucaso meridionale si osserva esattamente il quadro opposto.
Comprendiamo che ciò che accade nel Grande Medio Oriente determinerà il futuro non solo di questa regione, ma di tutta la civiltà umana.

Sullo sfondo di eventi enormi e su larga scala, questo non è ancora stato notato nel mondo, nuove connessioni e forse alleanze; Queste nuove connessioni aiutano a ridurre gli effetti negativi del crollo della Pax Americana. Da un lato alcuni paesi stanno creando nuove relazioni per proteggersi dai costi dell’attuale modello economico globale e, dall’altro, sta emergendo una strategia per cercare i contorni di un nuovo modello post-americano. mondo.
Credo che sia necessario analizzare attentamente gli eventi per cogliere in tempo i contorni di un mondo nuovo, ancora in gran parte misterioso.

Secondo me, i paesi del Caucaso meridionale sono uno di questi posti. Dove questo nuovo mondo assume connotazioni concrete. Credo che la nostra regione stia creando condizioni favorevoli per le attività delle multinazionali e delle grandi società straniere. Allo stesso tempo, siamo sulla soglia dell’emergere di grandi aziende nazionali con le quali interagiranno le società internazionali. L’Azerbaigian non è nella posizione di osservatore passivo. Il mio Paese è un attore proattivo, energico e fiducioso, sia in campo politico che economico.

Kamil Askerkhanov, Azerbaigian, analista economico e specialista in teoria del management. Intervento al Convegno del PANAP a Bratislava sul tema “Possibile contributo dei paesi del Caucaso meridionale al raggiungimento di una pace stabile nella regione”.

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I 5 migliori libri di cucina armena (Notiziescientifiche 06.07.24)

Questi libri esplorano le tradizioni culinarie e il patrimonio culturale armeni con una vasta gamma di ricette e approfondimenti storici.

Di cosa parlano i libri di cucina armena

La cucina d’Armenia di Sonya Orfalian è un’esplorazione dettagliata delle tradizioni culinarie armene. Il libro presenta oltre 130 ricette tradizionali, ciascuna accuratamente documentata con istruzioni precise per ingredienti, preparazione e metodi di cottura. Oltre alle ricette, Orfalian fornisce un ricco contesto storico e culturale, tra cui aneddoti, leggende e vita quotidiana in Armenia.

Anoush linì! di Verjin Manoukian si addentra nelle antiche tradizioni culinarie dell’Armenia. Descrive l’uso meticoloso di cereali, legumi, frutta e prodotti del bestiame. Le ricette, accompagnate da spiegazioni semplici e dettagliate, evidenziano i benefici per la salute e i sapori dei piatti armeni. Questo titolo non offre solo una guida pratica alla cucina, ma anche un apprezzamento più profondo del patrimonio culinario armeno.

Libri in inglese

Armenian Food di Irina Petrosian e David Underwood offre un viaggio culinario completo attraverso l’Armenia. Gli autori mescolano narrazioni storiche, leggende e storie di fatto per presentare un ricco arazzo della cultura gastronomica armena. Il libro esplora antiche favole, influenze sovietiche sulla cucina e usanze armene uniche come “nutrire” i morti. Con ricette autentiche e aneddoti culturali, questo libro è una risorsa preziosa per chiunque sia interessato alle tradizioni armene.

The Armenian Table Cookbook di Victoria Jenanyan Wise offre 165 ricette tradizionali e contemporanee, catturando l’essenza dei sapori armeni con un tocco moderno. Il libro include capitoli dettagliati sugli ingredienti armeni essenziali, yogurt, maza, pane, insalate, pilaf e piatti di carne. Ogni capitolo è introdotto da commenti e consigli. È una guida alla cucina armena. Il tocco personale di Wise e le ricette di famiglia aggiungono profondità e autenticità a questa raccolta.

The Cuisine of Armenia di Sonia Uvezian presenta 375 ricette che mettono in risalto le diverse e ricche tradizioni culinarie dell’Armenia. Da kebab e verdure ripiene a squisiti dolci, questo libro copre un’ampia gamma di piatti armeni. Uvezian include informazioni storiche, menu e un glossario. Fornisce una guida alla cucina armena. Questo titolo è una risorsa definitiva per chiunque sia interessato a esplorare la cucina armena, con ricette che spaziano dai piatti tradizionali preferiti alle creazioni innovative ispirate alla cultura armena.

Lista dei migliori libri di cucina armena su Amazon

Qui sotto la top list dei 5 migliori libri di cucina armena che sono presenti su Amazon:

 

 

1.La cucina d’Armenia. Viaggio nella cultura culinaria di un popolo

 


La cucina d'Armenia. Viaggio nella cultura culinaria di un popolo

TitoloLa cucina d’Armenia
SottotitoloViaggio nella cultura culinaria di un popolo
ISBN-13: 978-8879289825
Autore: Sonya Orfalian
Editore: Ponte alle Grazie
Edizione: quarta (1 gennaio 2000)
Pagine: 272
Recensioni: vedi
Formato: copertina flessibile

Prezzo: 17.67 EUR su Amazon.it   (dal 07/07/2024 7:31 CEST – Avviso)


 

 

 

2.Anoush linì! Ricette e tradizioni della cucina armena

 


Anoush linì! Ricette e tradizioni della cucina armena

TitoloAnoush linì! Ricette e tradizioni della cucina armena
ISBN-13: 978-8896923313
Autore: Verjin Manoukian
Editore: Trenta Editore
Edizione: 1 gennaio 2012
Pagine: 180
Recensioni: vedi
Formato: copertina flessibile

Prezzo: — su Amazon.it   (dal 07/07/2024 7:31 CEST – Avviso)


 

 

 

3.Armenian Food: Fact, Fiction & Folklore

 


Armenian Food: Fact, Fiction & Folklore

TitoloArmenian Food
SottotitoloFact, Fiction & Folklore
ISBN-13: 978-1411698659
Autori: Irina Petrosian, David Underwood
Editore: Lulu.com
Edizione: 19 aprile 2006
Pagine: 252
Recensioni: vedi
Formato: copertina flessibile
Note: in inglese

Prezzo: 15.16 EUR su Amazon.it   (dal 07/07/2024 7:31 CEST – Avviso)


 

inglese

 

 

4.The Armenian Table Cookbook: 165 treasured recipes that bring together ancient flavors and 21st-century style

 


The Armenian Table Cookbook: 165 treasured recipes that bring together ancient flavors and 21st-century style

TitoloThe Armenian Table Cookbook
Sottotitolo165 treasured recipes that bring together ancient flavors and 21st-century style
ISBN-13: 978-1905570706
Autore: Victoria Jenanyan Wise
Editore: Clairview Books
Edizione: New edition (3 ottobre 2013)
Pagine: 320
Recensioni: vedi
Formato: copertina flessibile
Note: in inglese

Prezzo: 27.22 EUR su Amazon.it   (dal 07/07/2024 7:31 CEST – Avviso)


 

inglese

 

 

5.The Cuisine of Armenia

 


The Cuisine of Armenia

TitoloThe Cuisine of Armenia
ISBN-13: 978-0970971678
Autore: Sonia Uvezian
Editore: The Siamanto Press
Edizione: Revised (31 luglio 2001)
Pagine: 496
Recensioni: vedi
Formato: copertina flessibile
Note: in inglese

Prezzo: 18.23 EUR su Amazon.it   (dal 07/07/2024 7:31 CEST – Avviso)


 

inglese

 

Tabella riepilogativa dei migliori libri di cucina armena

 

 

 

 

 

 

Titolo Autore Edizione Pagine
La cucina d’Armenia. Viaggio nella cultura culinaria di un popolo Orfalian, Sonya 2000 272
Anoush linì! Ricette e tradizioni della cucina armena Manoukian, Verjin 2012 180
Armenian Food: Fact, Fiction & Folklore Petrosian, Irina; Underwood, David 2006 252
The Armenian Table Cookbook: 165 treasured recipes that bring together ancient flavors and 21st-century style Jenanyan Wise, Victoria 2013 320
The Cuisine of Armenia Uvezian, Sonia 2001 496

 

Lo sviluppo del mondo è in stallo perchè l’Occidente vuol mantenere il dominio ad ogni costo, ma non è più in grado di farlo per ragioni oggettive (Karine Gevorgyan) (FarodiRoma 05.07.24)

Vedo la situazione attuale nel mondo in questo modo: si sta accelerando verso una situazione di stallo con rischi estremi di risolversi in una forza maggiore combinata con l’uso di mezzi di distruzione non convenzionali, come armi nucleari, biologiche e chimiche, in un contesto di diminuzione nella capacità di contrastare le catastrofi naturali.
I confronti emergenti sono caratterizzati dall’azione di scenari inerziali di tutti i partecipanti ai processi.

Allo stesso tempo, alcuni (il cosiddetto Occidente, guidato dagli Stati Uniti) vogliono mantenere il dominio ad ogni costo, ma non sono più in grado di farlo per ragioni oggettive: a causa del catastrofico deterioramento degli strumenti di gestione e della crescente contraddizioni tra strati interni.
Le misure adottate creano difficoltà, ma non portano agli obiettivi dichiarati. Quindi, la confisca dei beni russi aiuterà l’Occidente? Piuttosto, intensificherà la distruzione nel sistema di interazione internazionale.
Considerando il peso del debito degli Stati Uniti, con un debito pubblico enorme, qualsiasi sfiducia nell’affidabilità degli investimenti in titoli americani può portare ad un grave aumento del costo del suo servizio. Se i beni verranno comunque confiscati, la Russia avrà qualcosa di cui rispondere. In Russia sono stati congelati diverse decine di miliardi di dollari appartenenti a società americane o a persone giuridiche ad esse affiliate.
Allo stesso tempo, è evidente l’intenzione dei detentori dell’offerta di dollari, non garantita da beni reali, di trovare modi per impossessarsi di quei beni reali, come terreni, immobili e risorse naturali. In questa situazione, l’Ucraina e il Medio Oriente sono diventati il ​​campo di battaglia. I rischi non sfuggono alle istituzioni non statali come la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena.
Il calo del livello di fiducia nei politici e nei media non contribuisce a mantenere il dominio del formato Pax Americana.

I paesi non occidentali (gli altri) non hanno una strategia unificata per vincere e mantenere le loro posizioni, riponendo le loro speranze nella tattica di esaurire la controparte in modo reattivo. Il processo di istituzionalizzazione dei formati procede lentamente. Intendo i BRICS.

Medio Oriente e Caucaso meridionale
Dinamica crescente nei processi di cambiamento nell’ordine mondiale con crescenti conflitti nella “major league”, spargimenti di sangue in Medio Oriente, tendenze crescenti del coinvolgimento dell’Europa in uno scontro militare con la Russia e una diminuzione del livello di interazione commerciale ed economica tra i Paesi dell’UE e la Cina creano per i Paesi del Caucaso meridionale da un lato rischi elevati e dall’altro nuove opportunità.

Il primo è dovuto all’impegno delle autorità e delle società rispetto a scenari e progetti precedenti, interni ed esterni, che hanno già ridotto al minimo catastrofico le possibilità di azioni consolidate di tutti e tre i soggetti. Soprattutto Azerbaigian e Armenia. Le azioni della leadership georgiana indicano la loro riluttanza a trovarsi in una zona di turbolenza politica.
A livello diplomatico è stato avviato il processo di “soluzione pacifica”, delimitazione e demarcazione, approvato dall’intera “major league”. Mosca, Washington, Pechino, Londra e Bruxelles sostengono questo processo. Per scopi diversi. Tuttavia, ricordo una battuta a margine della Società delle Nazioni caduta nell’oblio: “Se vuoi la guerra, parla di pace”. Ed ecco perché. La leadership armena, “su richiesta di Baku”, sta effettuando la demarcazione senza la necessaria procedura di legittimazione a livello parlamentare e registrazione presso il Ministero della Giustizia.
L’“installazione di dissuasori” e lo sminamento hanno provocato in Armenia il movimento di protesta “Tavush in nome della Patria”, guidato dall’arcivescovo Bagrat. I già citati dettagli giuridici “noiosi” sui cittadini indignati che chiedono le dimissioni del governo di Nikol Pashinyan per molte altre ragioni interne non interessano più al momento. Tuttavia, anche con un cambio di potere, i problemi esterni non scompariranno.
Sembrerebbe che il corteo vittorioso dell’Azerbaigian sia in marcia. Tuttavia, le “piccole cose” menzionate lasciano intravedere la possibilità di una nuova guerra, nella quale un alleato come la Turchia non sarà in grado di fornire al paese lo stesso sostegno. Perché? L’argomento è separato e affascinante. Tra l’altro, a causa dell’emergente attualizzazione del fattore curdo.

La seconda riguarda le “nuove opportunità”. Ad essi è associata la prospettiva di formare una grande zona monetaria ed economica con l’infrastruttura logistica del progetto Nord-Sud. L’unica cosa che resta da fare è fermare i processi inerziali avviati dai progetti precedenti e sviluppare un formato di interazione in cui non ci saranno perdenti.

Sul conflitto Iran-Israele

Nel 1979, il nuovo governo iraniano dichiarò il “regime sionista” nemico della “Rivoluzione Islamica”. Da allora c’è stato un conflitto tra Iran e Israele. Si noti però che da quarantacinque anni nessuno al mondo propone di creare un formato diplomatico per risolverlo! Anche adesso, dopo lo scambio vero e proprio di colpi diretti, c’è solo una “reazione”: giusto o sbagliato, trattenersi, astenersi… Perché?
Credo che questo sia il risultato di una serie di calcoli errati da parte della leadership israeliana .
Inizialmente, gli Stati Uniti e lo stesso Israele non ne erano interessati fino agli anni 2000, poiché era il loro principale partner nella regione del Vicino e Medio Oriente; È importante notare qui che il fattore israeliano ha consentito agli Stati Uniti di rafforzare la propria posizione nella macroregione ricca di petrolio e di aumentare la propria influenza sull’ambiente dei prezzi in quest’area.
Credevano che i “fondamentalisti islamici” iraniani sarebbero caduti nell’arcaismo e nell’impotenza tecnologica. Si sbagliavano. Permettetemi di ricordarvi che nel 2023 Bloomberg è stato costretto ad ammettere che l’Iran è entrato nella top ten dei paesi tecnologicamente più sviluppati al mondo.

Il 2001 – Afghanistan e il 2003 – l’invasione dell’Iraq sono stati motivi di riflessione per la leadership israeliana. Tuttavia. Alla fine del 2001 a Mosca, esperti, giornalisti, deputati israeliani informati e persino l’ex capo del Mossad, venuto a discutere la questione: quali conseguenze avrebbe avuto l’operazione in Afghanistan per Russia e Israele, non hanno considerato questa formulazione di la questione era rilevante e parlava solo della “riva occidentale del fiume Giordano” ”
Dal 2003, l’Iran ha metodicamente e progressivamente rafforzato le sue posizioni in Iraq, Siria, Libano e Yemen. Il fattore Isis (vietato in Russia) avrebbe dovuto impedirlo, ma lo ha solo accelerato.

Permettetemi di ricordarvi che in Israele credevano che questi radicali non fossero pericolosi per il Paese, al contrario, le loro azioni in Iraq e Siria non hanno fatto altro che indebolire i nemici di Israele, e in primo luogo dell’Iran; A proposito. Credo che la “risposta” della Russia all’Occidente in relazione alle sue azioni in Ucraina sia stata l’annessione della Crimea (2014) e la creazione di una base militare in Siria, dove dal 2011 il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRGC) ha aiutato Bashar al -Assad resterà. Nonostante tutte le difficoltà e le contraddizioni, ciò ha contribuito al riavvicinamento tra Mosca e Teheran.
Gli israeliani non si sono allarmati per il fatto che il petrolio è diventato per la prima volta dal 2009 il principale prodotto di esportazione degli Stati Uniti , il che ha oggettivamente ridotto il valore di un bene come Israele per gli Stati Uniti. Con il rischio di sbarazzarsene in futuro . Henry Kissinger ha accennato a questo nel 2012: “Tra dieci anni non ci sarà più Israele”.

Obama ha concluso un accordo sul nucleare con l’Iran, al quale Tel Aviv si è categoricamente opposta. Trump lo ha fatto a pezzi e ha addirittura riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele. E ora Biden sta nuovamente migliorando le relazioni con l’Iran. E il vicepresidente Kamala Harris ha effettivamente sostenuto i palestinesi nell’attuale aggravamento. Allora perché l’attuale governo di Washington sta minando Israele?

C’è un’ipotesi che Washington (Obama-Biden) abbia deciso di unire il mondo arabo, ma sotto gli auspici di Londra, che dal 19° secolo ha combattuto con successo per il potere in Medio Oriente con l’Impero Ottomano. E l’unica cosa che può unire gli arabi divisi è l’idea di combattere Israele. In questo modo Londra ripristinerebbe di fatto l’”Impero britannico” in contrapposizione all’Unione Europea , che sta diventando sempre più difficile da governare.
La Primavera Araba, durante la quale radicali come i Fratelli Musulmani salirono al potere in molti paesi. Parallelamente, si è verificata un’attiva islamizzazione dell’Europa, che è stata costretta ad accogliere milioni di rifugiati.
Ma nel 2016 Trump è salito al potere negli Stati Uniti e ha iniziato a rafforzare Israele. La Primavera Araba è fallita e gli islamisti in Siria e Iraq sono stati sconfitti.

Karine Gevorgyan, intervento al Convegno di Bratislava promosso dal PANAP

Nella foto: la professoressa Gevorgyan, politologa, orientalista
Nata nel 1956 a Mosca. Nel 1980 si è laureata presso l’Istituto dei Paesi asiatici e africani dell’Università statale di Mosca. Ha lavorato come redattrice presso la redazione principale di letteratura orientale della casa editrice Nauka, nel dipartimento CIS dell’Istituto di studi orientali dell’Accademia russa delle scienze.
Dal 1993 – esperto del Consiglio Supremo, dal 1994 – esperto del Comitato per gli affari della CSI della Duma di Stato russa. Dal 2007 – capo del dipartimento di scienze politiche della rivista “East” (Oriens) del Centro editoriale accademico “Scienza” dell’Accademia delle scienze russa.

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