Olivier Giroud mette la sua maglia all’asta: “Aiutiamo i cristiani perseguitati in Armenia” (Sportface 22.11.24)

Olivier Giroud scende in campo al fianco dei cristiani perseguitati in Oriente, in particolare quelli dell’Armenia. L’attaccante francese ex Milan ha annunciato di aver messo all’asta la maglia dei Los Angeles con la quale ha vinto la US Open Cup per offrire un supporto ai “fratelli e alle sorelle” di fede cristiana. “Sono molto orgoglioso e onorato di mettere all’asta questa maglia speciale – ha confidato sui suoi social network prima della vendita avvenuta mercoledì scorso a beneficio di L’Œuvre d’Orient – Ho indossato questa maglia il 25 settembre durante la finale della Coppa degli Stati Uniti. Siamo diventati campioni e quindi questa maglia ha un valore speciale ai miei occhi. Spero che sarete generosi in favore dei nostri fratelli e sorelle cristiani perseguitati in Oriente, e più particolarmente in Armenia”.

I Los Angeles FC vinsero la finale contro lo Sporting Kansas City per 3-1 e l’ex milanista sbloccò il match, realizzando il gol dell’1-0. Giroud è un cristiano praticante, e ha più volte confessato di avere la Bibbia sul comodino come principale lettura. “Ho fede, credo in Dio – le sue parole -. So che nulla ci accade per caso, ma che Gesù ha dei progetti per ognuno di noi”.

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Trenta imprese dell’Armenia in visita nelle Marche (Cronache Marche 22.11.24)

Macerata- Dal 25 al 27 novembre una delegazione armena composta da 30 rappresentanti di imprese nei settori della moda e del fashion sarà nelle Marche per una missioneorganizzata dal Centro per la Cooperazione e lo Sviluppo tra l’Italia e l’Armenia (CCIAM) e
l’Armenian Business Association (ABA L’obiettivo è promuovere la cooperazione bilaterale, esplorare opportunità di mercato e condividere know-how tecnico.

Il programma include visite a realtà produttive locali, con un focus sulla prestigiosa “Shoes Valley”. Momento centrale sarà
la conferenza pubblica del 25 novembre a Macerata, con interventi di rappresentanti istituzionali e associativi italiani e armeni.

Durante l’incontro, interverranno Francesca Orlandi, presidente di LINEA – Azienda speciale della Camera di Commercio per la moda e calzature, sarà presente anche un diplomatico armeno delegato dell’Ambasciata Armena in Italia, e i rappresentanti delle associazioni Armenian Business Association (ABA) e Centro per la Cooperazione e lo Sviluppo tra l’Italia e l’Armenia (CCIAM) Narek Karapetyan e Gohar Ghumshyan.
Nel programma della visita anche un focus sull’acquisizione di materie prime, materiali semilavorati e condivisione di know-how tecnico da parte delle imprese armene.

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Libano: Minassian (patriarca armeno), “Paese può risorgere solo in uno spirito nazionale inclusivo, lontano da calcoli ristretti e interessi personali” (SIR 22.11.24)

In occasione della Festa dell’Indipendenza libanese, che si celebra oggi 22 novembre in ricordo della liberazione nel 1943 dal mandato francese, il patriarca di Cilicia degli armeni, Raphaël Bedros XXI Minassian, ha inviato un messaggio in cui sottolinea che “il Libano può risorgere solo in uno spirito nazionale inclusivo, lontano da ristretti calcoli e interessi personali”. Rilanciato dal sito abouna.org, il messaggio ricorda che questa Giornata cade in un tempo in cui “la nostra patria è tormentata e ferita, ha sofferto e continua a soffrire per gli effetti delle guerre, che hanno distrutto la sua struttura e gravato sui suoi figli. Il sanguinamento dei conflitti continua a lasciare il segno nei nostri cuori e nelle nostre strade, così come lo sfollamento delle famiglie e dei martiri caduti. In questo momento, dobbiamo rinnovare la nostra determinazione e volontà di ricostruire questo Paese dalle macerie del dolore, e di tenere a mente il messaggio di pace e riconciliazione che ci condurrà verso il futuro. Luminoso”. L’indipendenza, per Minassian, “non può essere ripristinata nel suo senso profondo, se lo spettro della guerra e della divisione continua a incombere sui cieli della nostra storia recente”. Citando le parole del servo di Dio, card. Gregorio Pietro XV Agagianian, Minassian ribadisce “lo spirito di dialogo e di unità”, incarnato dal porporato, ed esorta ad “adottare questo approccio che è ciò di cui abbiamo bisogno oggi più che mai per ripristinare la coesione nazionale e intraprendere il cammino di un’autentica riconciliazione”. A riguardo “l’assenza di un presidente della Repubblica – rimarca Minassian – è una ferita aperta nel cuore del paese e un grave ostacolo alla nostra marcia verso la stabilità e la prosperità. L’elezione del presidente non è solo un diritto costituzionale, ma una responsabilità collettiva di tutti coloro che si rendono conto dell’importanza della ricostruzione delle istituzioni statali e della stabilizzazione. La vita costituzionale è la spina dorsale dello Stato, senza la quale ogni sforzo per riformare e rilanciare il paese vacilla”. Da qui l’appello a tutte le forze politiche di “mettere da parte le loro differenze e lavorare insieme per scegliere un presidente che sarà un simbolo per l’unità e il bene di tutti i libanesi. Il Libano ha bisogno di una leadership nazionale inclusiva che lavori per la pace e la comprensione interna, che rilanci le istituzioni statali e attivi il loro ruolo al servizio del popolo”. “Il Libano – conclude – può crescere solo con uno spirito nazionale lontano da calcoli ristretti e interessi personali. Abbiamo bisogno di amare la patria, non per guadagni immediati o benefici privati”.

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Dalla bagna cauda al vitello tonnato, in Armenia si gustano le eccellenze del Cuneese (Cuneocronaca 21.11.24)

CUNEO CRONACA – Yerevan ha ospitato le Giornate della Cucina Italiana, un evento dedicato alla promozione delle eccellenze gastronomiche italiane. Durante la serata principale, tenutasi presso l’Ambasciata d’Italia, è stato servito un menù che ha messo in risalto le specialità del territorio cuneese.

All’evento hanno partecipato l’Ambasciatore Alfonso Di Riso, il Consigliere Andrea Peduto, il Vice Capo Missione Alessandro Liberatori, Direttore dell’Ufficio ICE di Mosca, e Georges Mikhael, Amministratore Delegato dell’aeroporto di Levaldigi (Cuneo Airport), grande sostenitore dell’iniziativa. Tra gli ospiti d’onore anche numerose autorità armene, tra cui il Vice Primo Ministro.

A rappresentare l’Italia sono state due scuole piemontesi: l’IIS Grandis di Cuneo, con il professor Prato e l’allieva Elomri Omaima, e l’IIS Minervini di Caluso, con il professor Fausto Meli e gli studenti Lorenzo Monaco e Iman Echamouti. I loro piatti hanno conquistato anche i palati più esigenti.

Le Giornate della Cucina Italiana a Yerevan fanno parte della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, un’iniziativa internazionale realizzata grazie al supporto dell’Ambasciata d’Italia in Armenia, dell’Agenzia per il Commercio Estero (ITA), dell’Accademia Italiana della Cucina e di numerosi sponsor della Provincia di Cuneo.

Henrikh Mkhitaryan: un ambasciatore dell’Armenia tra calcio e cultura (News.sport 21.11.24)

Il centrocampista ha rivelato aspetti poco noti della sua vita e il desiderio di rappresentare il suo popolo, sottolineando l’importanza dell’intelligenza dentro e fuori dal campo.


Un calciatore con due lauree

Henrikh Mkhitaryan, intervistato dal Corriere della Sera, ha svelato un lato inedito della sua personalità, raccontando con orgoglio dei suoi successi accademici: “Ho due lauree: una in Sports management e l’altra in Economia.” Un percorso che dimostra come il talento calcistico possa convivere con un forte impegno intellettuale.

Mkhitaryan ha anche parlato della sua capacità di leggere il gioco, collegandola a una visione più ampia: “Ci sono giocatori che vedono le cose prima degli altri. Questa è intelligenza calcistica.”


Ambasciatore culturale

Uno degli obiettivi di Mkhitaryan è portare alla ribalta la cultura armena, facendosi portavoce della sua storia e tradizioni: “Conoscendo me, la gente conosce un po’ l’Armenia. Prima la confondevano con Albania o Romania, ma adesso sanno dov’è. Siamo il primo popolo a riconoscere la religione cristiana.” Inoltre, ha trovato affinità con l’Italia, paese che ama per il suo stile di vita: “Siamo simili agli italiani nel modo di vivere.”


Intelligenza dentro e fuori dal campo

Rispondendo a una domanda provocatoria sull’intelligenza, Mkhitaryan ha chiarito la sua visione: “Non credo si possa essere intelligenti in campo senza esserlo fuori. Si vede subito chi lo è davvero e chi invece finge.” Con queste parole, il giocatore evidenzia come le qualità mentali si riflettano tanto nella carriera sportiva quanto nella vita quotidiana.


Commento personale
Mkhitaryan rappresenta un esempio positivo di come lo sport possa diventare un mezzo per valorizzare la cultura e promuovere il dialogo tra popoli. La sua dedizione sia dentro che fuori dal campo dimostra che il calcio può essere uno strumento di ispirazione non solo per i tifosi, ma anche per chi cerca modelli di crescita personale e culturale.

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Quando “genocidio” viene usato a sproposito. È voler distruggere interamente un popolo (ll Giornale 20.11.24)

Genocidio è voler distruggere interamente un popolo, una nazione, un’etnia, un gruppo religioso oppure una razza: espressione, quest’ultima, ancor oggi in uso. Abbiamo scritto distruggere «interamente» e non «in parte» perché «interamente» fu l’espressione intesa per decenni e adottata in origine dall’avvocato Raphael Lemkin (polacco) che inventò appunto l’espressione «genocidio» nel 1944 per definire il genocidio armeno; lo fece in un suo libro, Axis Rule in Occupied Europe, e l’espressione fu usata per la prima volta durante il processo di Norimberga del tardo 1945: l’intenzione era fornire il diritto internazionale di strumenti idonei a garantire la tutela di un popolo, di una nazione, di un’etnia eccetera. Per comprendere quindi l’espressione «genocidio» in questa attualità dove è grande la confusione sotto il cielo (persino il cielo di San Pietro) andrebbe ricordato che fu pubblicamente Hitler, nel 1939, a dire che in Polonia bisognava ammazzare senza preoccuparsi: «Chi mai si ricorda, oggi, dei massacri degli armeni?». E invece non ne siamo ancora usciti: la nazione di Erdogan nega ancor oggi il genocidio degli armeni e nel 1980, negli Usa, fu promosso un museo sugli olocausti ma le minacce turche per escludere i riferimento agli armeni ottennero soddisfazione; nel 1982, la Turchia fece analoghe pressioni per impedire un convegno a Tel Aviv dedicato alla Shoah che doveva affrontare anche la questione armena; nel 2000, il ministro dell’Istruzione israeliano disse che il genocidio degli armeni sarebbe stato inserito nei programmi scolastici, ma la Turchia, per rappresaglia, non partecipò alla celebrazione per la nascita di Israele; nel 2006 Francia approvò una legge che punisce chi propaga teorie negazioniste sul genocidio, e questo, attenzione, mentre una durissima legge turca oggi incarcera chi solo lo menziona.

A complicare le cose, allora come oggi, fu l’Onu. Tra il 1946 e il 1948 codificò il reato di genocidio, e il passaggio che riguardava «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte» fu scambiata per una volontà di distruggere anche espressamente «in parte», e non per una volontà che banalmente non era stata soddisfatta per intero. Il messaggio nazista tuttavia era stato chiaro: l’Olocausto degli ebrei e dei rom fu delegato a motivazioni esclusivamente razziali, e si parla di etnie destinate perciò non alla sudditanza, come altre, ma alla morte e basta. Di tutti. L’Onu, col tempo, prese peraltro ad associare il reato di genocidio ai crimini di guerra e contro l’umanità, e la confusione fu ancora più grande. Ciascuna nazione, poi, apportava magari delle piccole modifiche alle Convenzione sul genocidio del 1948 (cui l’Italia aderì nel 1967) e la Francia, per esempio, incluse il reato di genocidio tra quelli commessi ai danni di «un gruppo determinato sulla base di qualsiasi criterio arbitrario». Oggi, nel marasma dottrinario, si parla di «genocidio di sviluppo» (se le vittime ostacolano un progetto economico), «genocidio dispotico» (contro gli oppositori), «genocidio retributivo» (tra gruppi che abitano uno stesso spazio) e «genocidio ideologico» (per motivi religiosi o politici).

Ed eccoci finalmente all’oggi, a Israele, i cui metodi di guerra impiegati nella Striscia di Gaza, secondo l’Onu, «hanno le caratteristiche di un genocidio» come affermato nel novembre scorso. Ma, comunque la si pensi, gli israeliani non vogliono distruggere tutti i palestinesi in quanto tali: vogliono distruggere quelli che vorrebbero distruggere Israele o che siano ritenuti complici nel volerlo fare; non è che il Mossad vada in giro per il mondo ad ammazzare tutti i palestinesi, o preveda il loro sterminio come popolo sino ad estinguerne le prevalenze genetiche. Si può certo stra-discutere dell’enorme numero di vittime civili, del rispetto dei diritti umani, di eventuali crimini di guerra: ma «genocidio», orma. è divenuto un termine d’uso comune che sottintende l’omicidio di tanta gente di uno stesso posto.

I nazisti volevano cancellare dal genere umano «tutti» gli ebrei, «tutti» i rom, «tutti» gli omosessuali e «tutti» i disabili e i malati di mente: fu questo il tentativo di genocidio. I nazisti non volevano fare lo stesso con polacchi, ucraini, russi e bielorussi: anche se ne fecero fuori una decina di milioni. Esempi più recenti? L’etnia hutu, in Ruanda, nel 1994, voleva estinguere l’intera etnia tutsi. Ma non è il caso di fare elenchi, sarebbero sterminati e comunque giustamente discutibili. Il problema è che, oggi, c’è chi vorrebbe trasformare l’espressione genocidio nell’equivalente de «l’assassinio di qualsiasi persona o popolo da parte di un governo», traducibili anche come «democìdio». E nonostante il Novecento sia stato già definito come «il secolo dei genocidi», le scienze moderne si stanno ingarellando nel retrodatare tutti i «genocidi» sin dall’alba dell’uomo moderno, quando l’homo Sapiens (teoria diffusa) compì il primo genocidio della Storia spazzando via tutti i Neanderthal, anche se impiegò 10mila anni; sino a tempi teoricamente anche più bui, quando spagnoli e portoghesi fecero fuori (complici le malattie) 70 milioni di nativi americani su ottanta, o, restando al Messico, dissolsero 24 milioni di messicani lasciandone vivi solo un milione; per non parlare della strage di aborigeni in Australia, del solo africano su quattro sopravvissuto nella tratta oceanica dall’Africa alle Americhe. Tutto per scoprire che il peggiore dei reati non è neppure un reato, ed è scandalosamente in uso anche alle scimmie antropomorfe a noi più vicine: e si può chiamare missione di pace, intervento umanitario, operazione di polizia internazionale: ma resta e si chiama guerra.

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Le paure degli armeni dopo la pulizia etnica in Nagorno Karabakh (Internazionale 20.11.24)

Nel 2023, l’invasione del Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian ha riportato la regione, abitata da secoli da armeni e già teatro di un sanguinoso conflitto dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sotto il controllo del governo di Baku. La guerra ha provocato l’esodo forzato di oltre 120mila persone verso il sudest dell’Armenia. Il paese si trova così ad affrontare un’emergenza umanitaria e finanziaria senza precedenti, dovendo garantire casa, cibo e assistenza sanitaria a migliaia di rifugiati.

Intanto, dopo il cessate il fuoco mediato dalla Russia, i negoziati di pace tra Armenia e Azerbaigian per la definizione del confine tra i due paesi restano molto complicati e una nuova escalation non si può escludere.

Il video reportage di Cecilia Fasciani, Alberto Zanella e Clara Leonardi.

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Da sapere
Trent’anni di guerra

Al momento della nascita dell’Unione Sovietica il territorio del Nagorno Karabakh fu assegnato alla repubblica dell’Azerbagian, anche se abitato in larghissima maggioranza da armeni.

Con la disgregazione dell’Urss, nel 1991, le repubbliche sovietiche diventano stati indipendenti e il 2 settembre la regione annuncia la secessione dall’Azerbagian, autoproclamandosi repubblica dell’Artsakh (non riconosciuta dalla comunità internazionale). Il 26 novembre l’Azerbaigian annulla il regime di autonomia per la regione, dando inizio alla fase più intensa del conflitto per il controllo dell’area, conosciuto come guerra del Nagorno Karabakh (1991-1994), che provoca circa 30mila morti e centinaia di migliaia di profughi, soprattutto azeri, costretti a fuggire dalla regione in Azerbaigian.

Il cessate il fuoco del 1994 firmato a Biškek, capitale del Kirghizistan, è una vittoria per l’Armenia, che prende anche il controllo di una parte dei territori azeri al confine con il Nagorno Karabakh.

Il conflitto rimane latente fino alla “guerra dei quattro giorni”, nel 2016, che si conclude con la mediazione della Russia.

Il 27 settembre 2020 un’offensiva azera scatena la seconda guerra del Nagorno Karabakh, un’intensa escalation militare di 44 giorni che si conclude con la vittoria dell’Azerbaigian. Baku riconquista alcuni territori persi nel 1994 e anche diverse aree della repubblica dell’Artsakh. Il cessate il fuoco è siglato il 10 novembre, sotto la supervisione di Mosca.

Nel 2022 nuovi scontri armati riaccendono le tensioni sui confini. Nell’estate del 2023 Baku blocca le vie d’accesso alla regione, provocando una crisi umanitaria. Il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian attacca il Nagorno Karabakh, bombardando la capitale Stepanakert e i territori circostanti. Il giorno successivo arriva la resa armena e si raggiunge un accordo per un cessate il fuoco. Nei mesi successivi la comunità armena terrorizzata abbandona la regione. Centoventimila profughi vengono accolti nella vicina Armenia.

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L’Armenia dopo le elezioni americane (Osservatorio Balcani e Caucaso 20.11.24)

Nei rapporti Armenia e Stati Uniti non sono previsti nell’immediato sostanziali cambiamenti rispetto a quanto già avviato negli ultimi quattro anni, anche se Trump in campagna elettorale si è speso per gli armeni del Karabakh

20/11/2024 –  Marilisa Lorusso

La seconda guerra per il Nagorno Karabakh è esplosa mentre era in corso la prima presidenza di Donald Trump. Allora come adesso, gli Stati Uniti erano uno dei tre co-presidenti – insieme a Francia e Russia – del gruppo di Minsk, il cui obiettivo dichiarato era una risoluzione pacifica del conflitto.

Il peso del gruppo di Minsk era allora molto differente da oggi: dopo la svolta militare del conflitto, le fratture all’interno di questa triade per la guerra in Ucraina, e la denuncia della sua legittimità di esistere da parte dell’Azerbaijan, di fatto il gruppo esiste solo sulla carta.

Nel 2020 la situazione era differente: i triumviri lavoravano in stretta coordinazione, e il gruppo era strutturato con uno staff permanente che concordava le proprie mosse. All’esplosione della guerra la prima reazione era arrivata da Parigi, seguita da Washington e poi da Mosca, che in voce univoca avevano chiesto un immediato stop ai combattimenti.

Donald Trump aveva effettivamente negoziato un cessate il fuoco, poi però totalmente ignorato dai belligeranti, oltre a non essere stato comunicato agli stessi altri co-presidenti. La prima presidenza Trump, nel conflitto fra Armenia-Azerbaijan e l’allora secessionista Nagorno Karabakh, pareva essere al traino degli altri co-presidenti, con la Russia che era uscita dal conflitto con il ruolo protagonista di mediatore unico.

La presidenza Biden, nell’interludio fra Trump 1 e Trump 2, si è ritagliata un ruolo di sostanza nella mediazione del conflitto imprimendo un proprio marchio nell’approccio di risoluzione negoziata di un accordo di pace: essere facilitatori di incontri bilaterali.

Sotto l’auspicio dell’amministrazione statunitense uscente sono stati creati gli spazi per incontri bilaterali, senza un mediatore presente, fra le parti a differenza per esempio dell’approccio russo che vede il mediatore sempre presente e quanto concordato a triplice firma, con la Russia come garante.

Fermo restando il fatto dolente: nessuno dei tre co-presidenti è riuscito a impedire l’atto finale della guerra e l’esodo della popolazione armena del Karabakh.

I rapporti Armenia-USA (e UE)

La scelta armena di ri-strutturare la propria sicurezza nazionale con un approccio multilaterale e non esclusivo ha favorito un intensificarsi del dialogo con gli USA. Da parte statunitense c’è stata apertura in questo senso sia in via bilaterale, sia in coordinazione con i partner europei.

L’apice di questa cooperazione è stato il vertice USA-UE-Armenia del 5 aprile 2024, che ha suggellato e dato nuovo impulso ad un anno di intensi scambi diplomatici fra le parti. Per l’Armenia le istituzioni più coinvolte sono state il Primo ministro, il ministero degli Esteri e il consiglio di Sicurezza nella persona di Armen Grigoryan che ha incontrato spesso delegazioni americane e ha visitato gli States in più occasioni.

Sono stati vari i capitoli di cooperazione aperti, e di questo uno in particolare ha disturbato molto tanto la Russia quanto il suo alleato strategico (dal 2022), l’Azerbaijan: la cooperazione militare.

Da quest’anno un consigliere militare americano sarà presente in Armenia (un civile, dipendente del dipartimento di Stato, non della Difesa), come esperto incaricato di fornire consulenza nella riforma delle forze armate e del sistema di difesa. Si sono poi tenute diverse forme di esercitazioni e workshop su vari aspetti della messa in sicurezza del paese, fra le quali la Eagle Partner.

C’è poi il grosso capitolo della cooperazione e dell’assistenza economica americana. A giugno c’è stato il secondo incontro del Strategic Dialogue Capstone. Sia in via diretta, sia attraverso varie agenzie – fra cui USAID – l’amministrazione Biden ha notevolmente incrementato la disponibilità finanziaria di supporto all’Armenia. USAID, pesantemente attaccata sia a Tbilisi che a Baku ha trovato in Yerevan l’unico partner bendisposto verso i suoi rappresentanti ed interventi nel Caucaso del Sud.

Trump 2

Alcuni dei pacchetti finanziari approvati per l’Armenia si estendono per tutto il 2025, per cui è improbabile che nell’immediato ci sarà un netto cambiamento di quanto è stato avviato negli ultimi quattro anni. E la domanda ovviamente è se ci sarà un cambiamento, se si tornerà a una Washington meno pro-attiva con l’Armenia, se si continuerà nel seminato, o se si rafforzerà la cooperazione.

L’Armenia è ad oggi il paese nella regione più dichiaratamente interessato a intensificare e approfondire la collaborazione euro-atlantica. La Georgia sembra aver fatto una netta retromarcia, mentre l’Azerbaijan è interessato a incrementare la cooperazione economica, lasciando però fuori dal quadro i capitoli dei diritti umani e società civile.

L’Armenia vuole il riconoscimento delle proprie credenziali di paese che ha investito nello sviluppo democratico e del diritto, e vuole le tutele che ha scoperto – malamente – di non avere.

Il governo di Nikol Pashinyan ha un forte bisogno di ricompattare il consenso rispetto alle sue scelte, anche attraverso un sostanziale boom economico che allevi la drammatica povertà nel paese e aiuti a digerire una sconfitta militare di portata epocale.

Le congratulazioni del primo ministro armeno  a sono state tempestive e benauguranti: “Le mie più sentite congratulazioni a Donald Trump per la sua impressionante vittoria come 47° Presidente degli Stati Uniti. Presidente-eletto, non vedo l’ora di lavorare con lei per costruire relazioni bilaterali strategiche Armenia-USA basate sui nostri valori, priorità e interessi condivisi.”

In campagna elettorale Donald Trump si è fatto protettore dei cristiani e ha scritto sul social network Truth  : “Kamala Harris NON HA FATTO NULLA mentre 120.000 cristiani armeni venivano orribilmente perseguitati e sfollati con la forza in Artsakh [armeno per Nagorno-Karabakh]. I cristiani in tutto il mondo non saranno al sicuro se Kamala Harris sarà Presidente degli Stati Uniti. Quando sarò Presidente, proteggerò i cristiani perseguitati, lavorerò per fermare la violenza e la pulizia etnica e ripristineremo la PACE tra Armenia e Azerbaijan”.

In campagna elettorale, si sa, ogni voto conta, e solo il tempo mostrerà se questa appassionata dedizione alla causa dei karabakhi e alla pace con Baku serviva per ingraziarsi il voto armeno, o se Donald Trump è disposto veramente a portare avanti un braccio di ferro con la Russia per l’Armenia.

Il rapporto Mosca-Yerevan ha avuto a lungo caratteristiche di esclusività, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza militare. Ora che Yerevan è aperta a altre opzioni, Mosca mostra tutto il suo nervosismo, sia sull’acquisto di armi da paesi NATO che sulla collaborazione militare con Washington.

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L’istituto Grandis di Cuneo ai Giorni della Cucina Italiana in Armenia (La Guida 20.11.24)

Tra gli ospiti di quest’anno alle Giornate della Cucina Italiana a Yerevan in Armenia c’è anche l’istituto Grandis di Cuneo con il professor Prato e l’allieva Elomri Omaima. L’inauiguirazione dell’evento si è tenuta presso il bar italiano Martini Royal. All’evento erano presenti anche il Consigliere dell’Ambasciata d’Italia Andrea Peduto, Vice Capo Missione, e Alessandro Liberatori, Direttore dell’Ufficio di Rappresentanza a Mosca dell’ICE.
Oltre al Grandis ospiti dell’edizione ci sono l’Istituto superiore Minervini di Caluso col il prof. Meli Fausto e gli allievi Monaco Lorenzo, Echamouti Iman che hanno presentato autentici piatti italiani, hanno condiviso i segreti per preparare i tradizionali tagliolini, agnolotti e panna cotta, che hanno preparato e fatto assaggiare agli ospiti. “I tagliolini sono una pasta bolognese fatta con farina e uova. Non c’è acqua, solo uova. Questo piatto è fatto a mano, utilizzando solo ingredienti naturali. La panna cotta, servita per dessert, è dolce, ma non troppo. Questo è un dessert che è conosciuto in molti paesi del mondo. Lo prepariamo con caramello e fragole per evidenziarne il gusto delicato” hanno spiegato i componenti del Team Piemonte. E quando gli è stato chiesto qual è la base della cucina italiana, hanno risposto che la cosa principale è il messaggio: “Il cibo unisce le persone a tavola, crea i momenti migliori e regala ricordi caldi. Questo è ciò che vogliamo condividere con il mondo”.
Le Giornate della Cucina Italiana a Yerevan si svolgono nell’ambito dell’iniziativa internazionale Settimana della Cucina Italiana nel Mondo e sono organizzate con il supporto dell’Ambasciata d’Italia in Armenia, dell’Agenzia per il Commercio Estero ITA, dell’Accademia Italiana della Cucina e di numerosi altri sponsor della Provincia di Cuneo.

L’Unione Europea guarda al Caucaso: €10 mln all’Armenia per l’efficienza energetica (Energiaitalia 20.11.24)

A completamento di un precedente prestito da 25 mln di Euro della Banca europea per gli investimenti (BEI), l’Unione Europea garantirà all’Armenia altri 10 mln, per l’efficientamento energetico.

L’Unione Europea guarda al Caucaso

Le misurre volte efficientamento energetico dell’Armenia – nel settore edilizio – potranno contare sul sostegno dell’Unione Europea (UE), in virtù di un finanziamento da 10 mln di Euro.

La linea di credito completerà un precedente prestito da 25 mln che la Banca europea per gli investimenti (BEI) aveva concesso a Yerevan (la capitale armena) lo scorso anno. La municipalità di Yerevan utilizzerà il finanziamento per ristrutturare oltre 100.000 metri quadri (m²) di edifici, rivalorizzandoli.

Nello specifico, l’accento è stato posto sulla riduzione del consumo energetico e delle emissioni di anidride carbonica (CO₂). Secondo i piani iniziali, saranno ristrutturati sei policlinici e trentadue asili.

Il nuovo valore degli edifici

Le misure chiave del pacchetto di finanziamenti sosterranno il montaggio dei nuovi involucri degli edifici, la sostituzione delle finestre e l’installazione di caldaie più efficienti. Inoltre, si procederà all’assemblaggio di sistemi solari per l’acqua calda e l’illuminazione a risparmio energetico. Oltreché minimizzare gli sprechi, sarà garantita una migliore abitabilità degli edifici.

Al contempo, l’impegno delle istituzioni comunitarie nei confronti dello Stato asiatico, nel Caucaso meridionale, ha rimarcato la precisa volontà di rafforzare quelle direttrici geoeconomiche. La mole dei lavori che ha pianificato l’Armenia, per altro, potrebbe anche attrarre diversi investitori esteri.

La pluralità delle iniziative energetiche per l’Armenia

L’iniziativa è infatti allineata al Piano economico e di investimento dell’Unione Europea per il Partenariato orientale. Il tutto, in ossequio al contributo attivo nei confronti di ‘Green Yerevan‘ e alla transizione energetica nazionale. È inoltre del progetto Global Gateway della Commissione europea.

L’insieme di queste iniziative ha offerto un sostegno attivo alle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e alle misure di sviluppo sostenibile.

Lo ha ribadito anche il Ministro delle Finanze armeno Vahe Hovhannisyan che ha spiegato: “Il progetto sosterrà gli obiettivi ambientali ed economici a lungo termine dell’Armenia. Si favorirà il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di carbonio e il potenziamento delle infrastrutture pubbliche. Contestualmente si miglioreranno i servizi pubblici essenziali, come la sanità e l’istruzione”.

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