In Iran era l’armeno, negli States l’iraniano (Ilnobilecalcio 12.08.24)

Al suo ritorno dall’Argentina dove partecipò ai Mondiali del ‘78 con la sua selezione, Andranik Eskandarian andò subito negli Stati Uniti. Non proprio la destinazione più tranquilla per questo veloce difensore iraniano avvistato dai New York Cosmos all’indomani di una partita di gala che ha contrapposto la franchigia statunitense ad una selezione mondiale a fine agosto. Invitato a vestire i colori della squadra di New York pochi giorni dopo per una partita contro il Boca Junior, andò poi in tournée, sotto forma di prestito, in tutta Europa – il tour europeo dell’autunno ’78 – con la squadra funky della NASL.

Un contratto bloccato, e poiché gli piace il continente americano, la recluta dei Cosmos debutta ufficialmente con la sua nuova maglia nel 1979. Andranik Eskandarian è però iraniano, nato il 31 dicembre 1951 a Teheran. Tanto da suscitare la curiosità e la diffidenza dei tifosi locali che alla minima occasione brandiscono lo striscione stellato. Una questione non così semplice da gestire per il nazionale iraniano, 29 presenze al suo attivo tra il 1975 e il 1978, sorpreso dall’accoglienza riservatagli ogni volta che i Cosmos viaggiano, soprattutto perché l’interessato è di origine armena con i genitori di fede cristiana, una comunità molto minoritaria nel suo paese. Eskie iediventa in un certo senso apolide, alla ricerca di un’identità, come ricorda nel profondo della sua memoria di esilio: “Quando sono arrivato negli Stati Uniti, tutti mi chiamavano iraniano. In Iran ero l’armeno e lì sono l’iraniano”. Non è facile costruirti da solo.

Nei Cosmos, abbracciato da Giorgio Chinaglia

Ora “americano al cento per cento” – non ha mai più messo piede in Iran dal suo trasferimento ai Cosmos, seguito dai suoi genitori, dai suoi due fratelli e da una sorella, pur mantenendo i contatti con gli altri due rimasti nel Paese – Andranik Eskandarian ha iniziato la sua carriera all’Ararat Tehran, il club della minoranza armena, all’alba degli anni Settanta prima di approdare al Taj due anni dopo, ribattezzato Esteghlal Cultural and Athletic Club dopo la rivoluzione islamica del 1979. Il club di punta della regione con cui segnò le prime linee del suo palmarès: il titolo nel 1975 e la coppa nel 1977. Considerato il migliore nel suo ruolo, è quindi naturale che sia uno dei 22 della lista dei convocati in terra argentina per i Mondiali.

In una “rosa” dei Cosmos di New York agli inizi degli anni Ottanta

Una prima volta per l’Iran, che è inserito nel girone della morte con Olanda, Scozia e Perù. A modo suo, Eskandarian lascia un piccolo segno nelle statistiche segnando un autogol (Scozia). Senza cadere nel ridicolo, la selezione iraniana esce comunque di scena con la soddisfazione del punto ottenuto contro gli scozzesi (1-1), forte del cammino che resta da fare per raggiungere il livello internazionale nonostante i risultati convincenti del passato: quarti di finale alle Olimpiadi di Montreal e soprattutto la vittoria nella Coppa delle Nazioni Asiatiche (1976).

Protagonista nella NASL

Due trofei da aggiungere al curriculum del difensore armeno-iraniano che pesano sulla bilancia al momento della firma del contratto con la franchigia di New York, abbagliato dalle prestazioni in Argentina e dalla partita con le stelle del mondo di fine estate che lascia in disparte Alberto Tarantini, l’altra priorità del club statunitense. Una felice coincidenza per Andranik che, dopo l’incontro di gala, ha trascorso una settimana di vacanza a New York. Il momento scelto dai dirigenti dei Cosmos per sondare le intenzioni del giocatore e formulare un accordo con quest’ultimo, a cominciare dalla partita contro il Boca Junior e da altre affinità: “Ho detto perché no? Dopotutto, è solo un’ora e mezza. Ho giocato la partita e ho dato un assist a Chinaglia. Dopo l’incontro, i sono  dirigenti sono venuti ad incontrarmi e mi hanno chiesto di non ritornare in Iran. Ho detto loro che dovevo pensarci”.

Vedette anche del calcio indoor

Una riflessione portata avanti con la moglie che non ha tardato ad esprimere il suo pensiero, nonostante alcune offerte di club europei negoziate dal suo impresario. Eskie è stato finalmente sedotto dal canto delle sirene di New York: “Il mio agente era in trattative con una squadra spagnola. Ci ho pensato, ho parlato con mia moglie e ho concluso che la scelta migliore era qui. Fin dal primo giorno sapevamo che saremmo rimasti qui”. 

Eskandarian, l’iraniano di origine armena

 

Una cotta per la Grande Mela insomma. Andranik si stabilisce definitivamente a New York e vive un’altra storia d’amore con la funky town e la sua disco team del 2000 alla quale rimane fedele fino al fallimento della lega NASL (1984), continuando l’avventura nella MISL, la formula indoor, con i Cosmos (1985) e New-York Express (1986-‘87), il nuovo nome del club per questo campionato un po’ speciale. Eskandarian concluse la sua zoppicante carriera nel 1990 con i colori dei New Jersey Eagles in un campionato traballante e privo di qualsiasi interesse.

Con il compagno e amico Hubert Birkenmeier

 

E i ricordi riaffiorano nella sua testa mentre rievoca l’avventura dei Cosmos: “Era un bellissimo sogno. Il cameratismo, l’amicizia, quel feeling con questi giocatori, non puoi dimenticarli. Resterà tutto nel tuo cuore per sempre”. Una storia d’amore mantenuta da due titoli (1980 e ‘82) e da alcuni momenti di tensione, come quel giorno di aprile 1980 a Fort Lauderdale al culmine della crisi dei 53 ostaggi americani sequestrati dagli studenti estremisti in Iran.

Andranik viene aggredito da un tifoso locale fortunatamente disarmato che irrompe in campo e lo accusa di cattiva condotta razziale: “La partita stava per finire. Faceva caldo ed ero stanco. Non ho mai avuto niente a che fare con la politica e questo ragazzo se la prende con me. Per fortuna ero vicino alla nostra panchina che è intervenuta perché questo ragazzo era matto”. Le storie (quasi) finiscono sempre male. Dopo il ritiro, Andranik si è associato al suo ex compagno di squadra Birkenmeier in un’attività di negozio di articoli sportivi. Nel frattempo il figlio Alecko è subentrato al padre nel campo della MLS.

Vai al sito

FOCUS ARMENIA La questione armena e l’Osservatore Romano (AciStampa 10.08.24)

….

Lo scorso 5 agosto, la diocesi dell’Artsakh della Chiesa Apostolica Armena ha protestato ufficialmente contro un articolo pubblicato a fine luglio dall’Osservatore Romano. Lo stesso quotidiano della Santa Sede ha ospitato l’1 agosto un dettagliato articolo di precisazioni dell’arcivescovo Khajag Barsamianliaison della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede.

Per chiarire, la diocesi di Artsakh è quella del Nagorno Karabakh. Artsakh è, infatti, l’antico nome armeno della regione. Il conflitto recente ha consegnato sotto il controllo dell’Azerbaijan il territorio del Nagorno Karabakh che si era garantito una sorta di indipendenza, pur non essendo mai riconosciuto come Stato nemmeno dalla stessa Armenia.

L’articolo cui si fa riferimento è stato pubblicato il 24 luglio, a firma della studiosa Rossella Fabiani, con il titolo: “Viaggio nell’antica Albania caucasica. Alle radici del cristianesimo”.

Gli armeni lamentano un “genocidio culturale” in atto nella regione da quando, a partire dal 1918, fu data all’amministrazione dell’Azerbaijan, e dettagliano la scomparsa di diversi manufatti cristiani nell’ultimo secolo. Da parte sua, l’Azerbaijan lamenta parimenti la scomparsa di diverse moschee da quando l’etnia armena aveva preso il controllo della regione, e sottolinea la presenza antica di una etnia “albaniana”, ricostruzione sempre negata dagli armeni.

La questione dell’articolo dell’Osservatore Romano si inserisce in questa situazione, ed ha comunque ripercussioni molto forti su una popolazione provata da anni di conflitto e spaventata dal fatto di perdere parte delle proprie vestigia cristiane. È anche una questione diplomatica, perché l’Azerbaijan ha mantenuto cordiali rapporti con la Santa Sede, la fondazione del presidente Aliyev ha finanziato importanti restauri in Vaticano ed è stata aperta anche una ambasciata presso la Santa Sede – prima c’era un ambasciatore non residente.

Ma tocca anche la parte armena, impegnata a difendere l’eredità cristiana del Paese, laddove ai contatti diplomatici dell’ambasciata di Armenia presso la Santa Sede – che è posto di prestigio nella carriera diplomatica armena – si aggiungono quelli ecumenici con la Chiesa Apostolica Armena che più volte hanno toccato il tema dell’Artsakh.

Le proteste, dunque. La diocesi dell’Artsakh della Chiesa Apostolica Armena ha rilasciato il 5 agosto una dichiarazione ufficiale in cui “considera un articolo del giornale vaticano ufficiale L’Osservatore Romano che descrive le famose chiese armene del Nagorno Karabach come ‘albaniane’ una distorsione della storia e un servizio alla propaganda azerbaijana”.

La diocesi ha sottolineato inoltre che “prima di pubblicare un articolo di propaganda, l’autore avrebbe dovuto almeno familiarizzare un minimo con gli eventi che hanno avuto luogo appena qualche mese fa, i loro motivi, e perciò la reale storia di Dadivank, Gandzasar e Kathravank (antichi monasteri armeni in Nagorno Karabakh, ndr) e cercare di capire in quale linguaggio sono le iscrizioni e perché sono armene”.

L’1 agosto, l’arcivescovo Barsamian ha risposto pubblicamente sulle pagine dell’Osservatore Romano, sottolineando che “sorprende, per esempio, la definizione geografica dell’antica Albània caucasica come il territorio che ‘si estendeva dalle montagne, a nord, al fiume Aras a sud e dal mar Caspio, a est, ai confini della Georgia (allora Iberia) a ovest’.”

La sorpresa risiede nel fatto che “si ignora l’esistenza dell’Armenia, uno degli antichi regni caucasici con cui, secondo tutte le fonti classiche e armene, confinava l’Albània. Dall’altro canto, l’estensione dell’Albània fino all’Aras (l’Arasse nelle fonti classiche) contrasta con la testimonianza di quelle stesse fonti. Esse parlano, piuttosto, di un’Albània estesa a nord del fiume Kura, dove si trovavano il centro politico e religioso del Paese, la Chiesa tradizionalmente ritenuta come prima Chiesa albana e dove sono state rinvenute le uniche sette iscrizioni albane a oggi note. Solo alla fine del IV secolo furono inglobate nel territorio albano originario le terre che si stendevano a meridione, fin verso il fiume Arasse”.

Barsamian sottolinea che “la penetrazione del cristianesimo nel Caucaso e la relazione tra le tre Chiese nazionali — albana, armena e georgiana — formatesi in quella regione è un argomento complesso, non del tutto chiarito”.

Le Chiese della regione – spiega Barsamian – fanno tutte risalire il cristianesimo caucasico al I secolo, e tutti condividono la ricostruzione storica che nota come nel IV secolo le élite adottarono il cristianesimo come religione di Stato, ma per questo “risulta singolare che si parli dell’importante scoperta dei palinsesti albani del Sinai, asserendo che essi confermano l’esistenza delle prime chiese dell’Albània caucasica già nel I secolo”, perché queste dimostrano piuttosto che “le fonti armene, in particolare lo storico Koryun, fossero nel giusto quando parlavano dell’esistenza nel Caucaso di tre alfabeti — armeno, albano e georgiano — usati per tradurre le scritture già agli inizi del V secolo”.

Barsamian nota anche la difficile convivenza tra Chiesa armena e Chiesa Albana, la quale subì una forte influenza da quella armena, e questo sin dagli inizi e non, come dice l’articolo ‘incriminato’, agli inizi del XIX secolo a seguito del trattato di Turkmenchay del 1828 e dell’abolizione della Chiesa d’Albania e la sua subordinazione a quella armena nel 1836, per volontà dello zar Nicola I.

L’arcivescovo Barsamian nota che le chiese dell’Artsakh riportate nell’articolo “portano solo iscrizioni armene che datano almeno dal XI – XII secolo, mentre non c’è traccia di iscrizioni albane? Infatti, il migliaio di iscrizioni studiate dall’orientalista Iosif Orbeli e appartenenti alla Chiesa albana citate nell’articolo, sono tutte in armeno e risalgono a molti secoli prima della presunta ‘armenizzazione’ di quella Chiesa agli inizi del 1800”.

Insomma, conclude l’arcivescovo, “trattare questi argomenti pone una questione etica, in particolare quando la storia irrompe nel presente, e bisogna fare attenzione a non alimentare ulteriormente tensioni che hanno già causato migliaia di morti e indotto decine di migliaia di armeni a lasciare la propria terra, abitata da tempi immemorabili”.

Da cosa nasce la questione armena? Dalla scelta sovietica di attribuire all’Azerbaigian le regioni contese di Nakhichevan e Nagorno- Karabakh – la prima a prevalenza azera, la seconda con una schiacciante maggioranza armena – che ha rafforzato una ostilità da Azerbaijan e Armenia presente già d prima della Rivoluzione Russa.

Nel 1988, gli armeni del Nagorno Karabakh chiesero di unirsi all’Armenia. Prima, ci furono massacri di armeni nelle città azere di Sumgait e Baku, quindi tra il 1992 e il 1994 scoppuò una guerra, che portò alla nascita dalla Repubblica Armena dell’Artsakh, non riconosciuta a livello internazionale che includeva territori in precedenza abitati da azeri.

Dopo tre decenni, l’Azerbaijan ha ripreso il controllo della regione, prima con la guerra del novembre 2020 e poi con un breve intervento militare nel settembre 2023, mentre l’intera popolazione armena del Nagorno Karabakh è stata costretta a fuggire.

Ora, negli occhi c’è il precedente del Nakhicevan, dove si parla dell’annientamento di circa 90 chiese e 10.000 khachkar, le croci di pietra caratteristiche dell’arte sacra armena.

Per quanto riguarda il Nagorno Karabakh, il programma di ricerca Caucasus Heritage Watch, realizzato dagli archeologi delle università statunitensi di Cornell e Purdue, ha documentato (dati al settembre 2023) che sui 452 siti monitorati, già 57 risultano distrutti, danneggiati o minacciati.

…..

Vai al sito

Armenia e CSTO: verso un divorzio inevitabile? (Ilcaffegeopolitico 09.08.24)

In 3 sorsi – L’Armenia considera l’uscita dalla CSTO, spinta dal mancato intervento dell’alleanza durante l’offensiva azera nel Nagorno-Karabakh e dal crescente avvicinamento all’Occidente. Le tensioni con la Russia si sono intensificate, con accuse di negligenza e sospetti di collusione con l’Azerbaijan. La storia della CSTO, nata per garantire la sicurezza collettiva nello spazio post-sovietico, è ora messa in discussione dalle recenti crisi, portando l’Armenia a rivalutare la propria posizione nell’Organizzazione.

1. L’USCITA DELL’ARMENIA DALLA CSTO

I presupposti ci sono tutti. Dalla delusione per il mancato intervento della CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) dopo l’operazione azera del settembre 2023 nella regione separatista del Nagorno-Karabakh, ritornata in mano all’Azerbaijan (che non fa parte della CSTO) dopo trent’anni di amministrazione armena, al progressivo avvicinamento dell’Armenia all’Occidente (Stati Uniti e Unione Europea), fino alla sospensione della partecipazione armena all’Organizzazione a guida russa nel febbraio di quest’anno, come annunciato dal Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan. Pashinyan ha motivato la decisione con il mancato adempimento della Russia agli obblighi di sicurezza nei confronti dell’Armenia. La Russia, dal canto suo, aveva lasciato intendere, attraverso il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev, come l’inerzia del contingente di Mosca presente in Karabakh, con funzioni di peacekeeping, fosse riconducibile alla politica estera dell’Armenia, giudicata troppo filo-occidentale.

Fig. 1 – Il premier armeno Nikol Pashinyan durante un summit della CSTO nel novembre 2022

2. LE TENSIONI CON LA RUSSIA

Per comprendere se l’instabilità sul fronte armeno porterà a una effettiva uscita del Paese dalla CSTO o se sia l’ennesima schermaglia in un rapporto difficile con la Russia, occorre analizzare i vari elementi dello scenario. Il conflitto con l’Ucraina ha esposto la Russia a tensioni interne e a un sostanziale indebolimento, mettendo a dura prova la coesione con i Paesi partner confinanti. La stessa Armenia recentemente ha preso una posizione più filo-ucraina, causata dal deterioramento dei rapporti con Mosca. Inoltre, il 12 giugno scorso, il Primo Ministro armeno ha dichiarato l’intenzione di voler lasciare la CSTO, accusando l’Organizzazione non solo di inerzia durante l’intervento azero, ma anche di aver pianificato l’attacco in accordo con l’Azerbaijan. Rilevante, poi, che lo stesso giorno, Pashinyan abbia anticipato la cessione al Paese azero di quattro villaggi di confine, scatenando proteste tra la popolazione armena.

Fig. 2 – Manifestazione anti-governativa a Yerevan contro nuove possibili cessioni territoriali all’Azerbaijan, 30 maggio 2024

3. UN PASSATO COMPLESSO E UN FUTURO INCERTO

La richiesta del Presidente azero Ilham Aliyev di modificare la Costituzione armena per eliminare tutti i riferimenti all’indipendenza del Karabakh ha bloccato le trattative di pace. Altri fattori in gioco includono la ratifica dello Statuto di Roma da parte dell’Armenia, che escluderebbe il Paese come possibile asilo politico per Putin, dato il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale. La CSTO, nata dal Trattato di Sicurezza Collettiva del 1992, include oggi Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan, Russia e Tajikistan. L’articolo 4 del Trattato prevede che un’aggressione contro uno degli Stati membri è considerata un’aggressione contro tutti, obbligando gli altri Stati a fornire assistenza militare. Tuttavia, nel caso del Nagorno-Karabakh, la CSTO ha lasciato che le ragioni di un soggetto non membro prevalessero su quelle di un Paese membro, probabilmente per punire l’Armenia per la sua politica filo-occidentale. Altro elemento caratterizzante lo scenario è la somiglianza della situazione azero-armena a quella russo-ucraina, dovuta alle rivendicazioni territoriali dell’Azerbaijan sulla regione del Nagorno-Karabakh, con la Turchia che ha appoggiato Baku. Con l’offensiva azera del 2023, l’Azerbaijan ha ripreso tutto il territorio del Karabakh, determinando l’esodo di quasi centomila armeni, andando così a intaccare la credibilità di un trattato di sicurezza che si è rivelato disfunzionale e spingendo il Governo armeno a rivalutare le proprie opzioni internazionali.

Matteo Mazzantini

Vai al sito

Le guardie russe lasciano l’aeroporto di Yerevan (Osservatorio Balcani e Caucaso 08.08.24)

Dopo trentadue anni lo scorso 31 luglio armeni e russi hanno firmato un protocollo per porre fine alla presenza delle guardie di frontiera russe all’aeroporto internazionale Zvartnots di Yerevan. Non è il ritiro di Mosca dall’Armenia ma il fatto ha un valore simbolico

08/08/2024 – Onnik James Krikorian
Nel corso di una cerimonia tenutasi lo scorso 31 luglio, Roman Golubitsky, capo dell’ufficio armeno dei servizi di sicurezza russi (FSB), ed Edgar Hunanyan, comandante del corpo delle guardie di frontiera dei servizi di sicurezza armeni (NSS), hanno firmato un protocollo per porre fine alla presenza – protrattasi per trentadue anni – delle guardie di frontiera russe all’aeroporto internazionale Zvartnots di Yerevan.

A sostituire le forze russe, a partire dallo scorso primo agosto, è la polizia di frontiera armena che negli ultimi decenni ha collaborato strettamente con la controparte russa.

La decisione di ritirare le guardie di frontiera russe dall’aeroporto di Yerevan è stata presa a maggio nel corso di un incontro tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente russo Vladimir Putin.

Pashinyan ha chiesto anche il ritiro delle forze di Mosca dal confine tra Armenia e Azerbaijan, dove gli agenti russi erano stati dispiegati, sempre su richiesta di Yerevan, dopo la guerra dei 44 giorni del 2020.

Il premier armeno ha sottolineato che la richiesta di allontanare le forze russe dall’aeroporto di Yerevan e dal confine con Azerbaijan non è per nulla motivata da ragioni geopolitiche.

Quest’affermazione sembra però essere smentita da James O’Brien, sottosegretario di Stato degli Stati Uniti per gli affari europei ed eurasiatici.

Intervenendo ad una seduta del Comitato per le relazioni estere del Senato americano, tenutasi il giorno prima della firma del protocollo a Yerevan, O’Brien ha dichiarato che la decisione di chiedere il ritiro delle forze russe dall’Armenia rappresenta “un passo coraggioso” verso una rottura con Mosca.

“Diverse migliaia […] di agenti del FSB sono stati invitati ad andarsene e questo è significativo per vari motivi”, ha affermato O’Brien.

“In parte perché presidiano il confine ad un aeroporto internazionale ed è lì che avvengono alcune operazioni di contrabbando per aggirare le sanzioni”, ha precisato il sottosegretario statunitense facendo un chiaro riferimento alla riesportazione di beni sanzionati verso la Russia. Non è chiaro però a quali dati si riferisse parlando del numero di agenti russi che dovrebbero partire.

Interpellati dai media locali sul numero di guardie di frontiera del FSB dispiegate all’aeroporto di Yerevan, i servizi di sicurezza armeni (NSS) non hanno voluto rispondere, affermando che si tratta di un “segreto di stato”.

Secondo i media, in occasione della cerimonia dello scorso 31 luglio all’aeroporto erano presenti solo “due dozzine” di agenti del FSB. Il NSS non ha precisato nemmeno se gli agenti russi ritirati dall’aeroporto dovrebbero lasciare anche l’Armenia.

I servizi armeni hanno invece citato un accordo interstatale del 1992 sulla presenza delle guardie di frontiera russe lungo il confine armeno-turco e quello armeno-iraniano. La permanenza degli agenti russi a questi confini è stata confermata a maggio da Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Incalzato dai media, Peskov ha precisato che Pashinyan non aveva mai chiesto il ritiro delle forze russe dai confini con Turchia e Iran. A differenza della decisione di dispiegare le guardie di frontiera russe a Zvartnots, basata su un accordo verbale, lo schieramento dei russi lungo i confini dell’Armenia con Turchia e Iran è fondato su accordi formali.

Ad ogni modo, il ritiro delle forze russe da Yerevan assume una valenza simbolica, pur non avendo, almeno non ancora, effetti di così vasta portata come sostiene O’Brien. Oltre alla permanenza del FSB su due delle quattro frontiere esterne dell’Armenia, Mosca controlla una base militare a Gyumri, la seconda città più grande del paese, che dovrebbe rimanere operativa fino al 2044.

Se molti hanno accolto con favore la decisione di ritirare il FSB dall’aeroporto di Yerevan, l’opposizione ritiene che il ritiro sia conseguenza di pressioni da parte dei funzionari dell’UE e degli USA per garantire che i rispettivi servizi segreti in arrivo e in partenza da Zvartnots non vengano intercettati da Mosca, come accaduto in passato. Il ritiro del FSB permette a Yerevan di attuare con maggiore efficacia le sanzioni occidentali contro la Russia, soddisfacendo così le aspettative, sempre più pressanti, di Bruxelles e Washington.

Gli alleati di Pashinyan esultano, avvertendo però che finché gli agenti russi rimarranno al confine tra Armenia e Iran, Mosca continuerà ad avere accesso, totale o parziale, al database armeno sulle persone in arrivo e in uscita dal paese. Non è ancora chiaro come questa lacuna – su cui la società civile mette in guardia dal 2015 – possa essere colmata.

La tempistica di un eventuale ritiro delle forze russe dai confini terrestri dell’Armenia con Turchia e Iran resta un’incognita, data la natura degli accordi. Nel frattempo, Pashinyan ha dichiarato di voler uscire anche dall’Organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva (CSTO), capeggiata da Mosca. Per molti si tratta di affermazioni meramente declaratorie e il premier armeno rifiuta di specificare quando possa avvenire l’uscita di Yerevan dalla CSTO.

Vai al sito

Caucaso. Nagorno-Karabakh, così l’Azerbaigian cancella la cultura armena (Avvenire 07.08.24)

Il programma di ricerca Caucasus Heritage Watch documenta che dal collasso del Nagorno-Karabakh nel settembre 2023 oltre 50 siti culturalmente armeni sono stati distrutti o danneggiati
La chiesa armena di Kanach Zham a  Shushi nel Nagorno Karabakh: il Caucasus Heritage Watch ha confermato la sua distruzione nell'aprile scorso

La chiesa armena di Kanach Zham a Shushi nel Nagorno Karabakh: il Caucasus Heritage Watch ha confermato la sua distruzione nell’aprile scorso – WikiCommons

Gli armeni e gli azeri hanno un rapporto quanto mai contrastato, a partire già dal violento conflitto scoppiato nel 1905, nel corso della prima rivoluzione russa. Altri violenti scontri seguirono al collasso dell’impero russo, tra il 1918 ed il 1920. La scelta sovietica di attribuire all’Azerbaigian le regioni contese di Nakhichevan e Nagorno- Karabakh – la prima a prevalenza azera, la seconda con una schiacciante maggioranza armena – ha rafforzato l’ostilità tra i due Paesi. La richiesta degli armeni del Nagorno-Karabakh di unirsi all’Armenia nel 1988 provocò dapprima massacri ai loro danni nelle città azere di Sumgait e Baku, quindi lo scoppio di una vera e propria guerra tra il 1992 ed il 1994, conclusasi con la nascita della repubblica armena dell’Artsakh (antico nome armeno della regione) non riconosciuta dalla comunità internazionale e costituita peraltro anche da territori in precedenza abitati da azeri. Tre decenni di trattative diplomatiche non hanno portato alcun risultato, sinché l’Azerbaigian – di gran lunga più ricco e forte dell’Armenia – ha ripreso il completo controllo della regione prima con la vittoriosa guerra del settembre-novembre 2020, poi con un breve ma sanguinoso intervento militare nel settembre del 2023. Nella pressoché completa indifferenza della comunità internazionale, l’intera popolazione armena del Nagorno-Karabakh è stata costretta a fuggire, lasciando per sempre le sue case, le sue chiese e i suoi cimiteri, rifugiandosi nella repubblica d’Armenia. La vittoria politica e militare dell’Azerbaigian è in effetti completa, ma le autorità di Baku proseguono adesso con altri mezzi il conflitto, in particolare conducendo una politica di spoliazione culturale del patrimonio armeno che ha del resto un tragico antecedente nel Nakhichevan. In questa repubblica autonoma attribuita all’Azerbaigian dalle autorità sovietiche, gli azeri hanno compiuto negli ultimi decenni un vero e proprio genocidio culturale, distruggendo l’intero patrimonio artistico armeno. Si parla dell’annientamento di circa 90 chiese e 10.000 khachkar, le croci di pietra caratteristiche dell’arte sacra armena. L’eliminazione del patrimonio artistico degli armeni ha cancellato la memoria della loro millenaria presenza in questo territorio. Ora che il Nagorno- Karabakh non esiste più occorre chiedersi se questa sorte toccherà anche alle migliaia di monumenti armeni passati sotto il controllo azero. La fonte più attendibile al riguardo è il programma di ricerca Caucasus Heritage Watch, realizzato dagli archeologi delle università statunitensi di Cornell e Purdue. Con l’ausilio della fotografia aerea, documentano che dal collasso del Nagorno-Karabakh nel settembre 2023 sui 452 siti monitorati, già 57 risultano distrutti, danneggiati o minacciati. Nonostante la gravità di queste distruzioni, non è certo che l’Azerbaigian intenda ripetere anche nel Nagorno-Karabakh la distruzione completa dei monumenti armeni compiuta nel Nakhichevan. È infatti possibile che voglia conservarli almeno in parte sulla base di una loro presunta origine “albana”. Benchè gli attuali azeri siano infatti musulmani e turcofoni, il loro discorso storico-culturale si riallaccia anche all’antico regno dell’Albània del Caucaso, abitato da popolazioni di lingua caucasica che si convertirono al cristianesimo nel IV secolo. Il territorio di questo paese – da non confondere con l’Albania nei Balcani – coincideva in parte con quello dell’attuale Azerbaigian, sebbene inizialmente si limitasse solo ai territori posti sulla riva sinistra del fiume Cura. Nel 387, in seguito alla prima spartizione del regno d’Armenia tra l’Iran sasanide e l’impero romano, le sue due province più orientali, vale a dire Artsakh e Utikh, entrarono a far parte dell’Albània caucasica. A partire soprattutto dalla cristianizzazione, avvenuta all’inizio del quarto secolo, i legami tra l’Ar-menia e l’Albania sono stati in effetti molto profondi, tanto nella sfera storica quanto in quella culturale. Secondo Koriùn (442-48) e altre fonti armene, all’inizio del quinto secolo il monaco Mesrop Mashtòts (362-440) inventò non solo l’alfabeto armeno, ma anche quello albano. La stessa storia dell’Albania cristiana ci è nota prevalentemente da fonti armene, e in particolare grazie alla Storia dell’Albania composta alla fine del X secolo da Movses Kaghankatvatsi. Tuttavia, diversamente dall’Armenia e dalla vicina Georgia, l’Albània del Caucaso fu largamente islamizzata dagli arabi già prima della fine dell’VIII secolo. In seguito la componente musulmana di questo territorio si turchizzò, mentre quella cristiana venne prevalentemente armenizzata, anche se nella piccola comunità degli udi si preserva ancora oggi in Azerbaigian un legame diretto con l’antica lingua albana. La maggior parte degli albani rimasti cristiani entrarono nella sfera ecclesiastica armena sin dall’VIII secolo. La sede episcopale di Gandzasar, nell’Artsakh – che dal XIII secolo cominciò ad essere chiamato Karabakh – mantenne sino al XIX secolo la denominazione di “katholicosato degli albani” pur essendo retto da una famiglia aristocratica armena, gli Hasan-Jalalian. Per alcuni secoli, infatti, nonostante il rafforzamento della presenza di nomadi turchi sul suo territorio, nel Karabakh è sopravvissuta una nobiltà armena rappresentata dai cosiddetti melik, politicamente attivi sino alla conquista russa della regione ai primi dell’Ottocento. Rispetto alla Georgia e all’Armenia, portatrici di una identità storico- culturale caratterizzata da una forte continuità, l’Azerbaigian è in effetti un’entità politica recente e porta addirittura un nome che prima del 1917 aveva designato soltanto il territorio a sud del fiume Arasse, nell’Iran settentrionale. Già in epoca sovietica a Baku si cercò quindi si sforzò di elaborare una identità nazionale al cui interno oltre all’appartenenza al mondo culturale turco si insisteva sull’importanza del rapporto con l’Albània caucasica. Questa teoria fu sviluppata nelle numerose pubblicazioni di Ziya Buniatov (1923-1997), il padre riconosciuto della storiografia azera. Il legame storico con l’antica Albània dell’Azerbaigian è in effetti un dato concreto, che però viene utilizzato in maniera fortemente nazionalista, rivendicando in toto come eredità albana tutto ciò che di cristiano si trova nel suo odierno territorio, inclusi i numerosissimi monumenti armeni del Nagorno-Karabakh. Questa interpretazione si basa tuttavia su una radicale distorsione dei dati storici e culturali, che ha posto le teorizzazioni azere sull’Albània caucasica sostanzialmente al di fuori di ogni validità scientifica. Infatti, secondo la ricostruzione degli “studiosi” azeri, gli armeni sarebbero giunti nel Karabakh solo con la conquista russa del Caucaso, vale a dire agli inizi dell’Ottocento. Questa tesi – evidentemente priva di ogni fondamento – viene sostenuta dall’Azerbaigian attraverso una sistematica falsificazione della realtà storica che comincia purtroppo ad essere recepita anche all’estero grazie ad una capillare opera di ingerenza e finanziamento. Si tratta in effetti di un modus operandi caratteristico di un paese che si trova stabilmente agli ultimi posti di tutte le classifiche globali di libertà politiche e culturali, ma sfrutta abilmente le proprie ricchezze energetiche per conseguire obbiettivi altrimenti impensabili. Non è davvero possibile occuparsi di storia, cultura e politica dell’Azerbaigian prescindendo da questa situazione politica, in particolare per quanto riguarda il suo rapporto con l’Armenia. Recepire acriticamente le ricostruzioni azere sull’Albània caucasica significa in effetti partecipare a un nuovo genocidio culturale ai danni degli armeni, che nel giro di poco più di un secolo sono stati non solo massacrati ed espulsi dai loro territori ancestrali, dapprima nell’impero ottomano e ora in Azerbaigian, ma anche privati della maggior parte del loro patrimonio artistico. I monumenti di una civiltà cristiana che si espandeva una volta dal Caucaso fino al Mediterraneo continuano a correre il rischio di essere annientati. Se un viaggio nella Turchia orientale conduce ad un doloroso itinerario nella memoria di un popolo brutalmente eliminato un secolo fa, ma i cui monumenti continuano in parte a testimoniarne la grandezza, l’Azerbaigian agisce adesso in maniera più sistematica, distruggendo ogni traccia della presenza armena come è purtroppo già successo in Nakhichevan oppure “albanizzandola” come avviene oggi nel Nagorno-Karabakh, dove pure non mancano le distruzioni vere e proprie. Il progetto “albano” delle autorità di Baku è quello della creazione di un’Albania del Caucaso del tutto priva di legami con l’Armenia: un’Albània con chiese senza iscrizioni armene (dovranno essere cancellate), senza i khachkar (da distruggere perché troppo inconfondibilmente armeni), senza cimiteri medievali (le cu lapidi indicherebbero una antica presenza armena che si nega) e così via. Si tratta realmente di un progetto distruttivo e ignobile, al quale non si dovrebbe collaborare in nessuna forma. Tanto più che l’invenzione di questa Albània dearmenizzata non è un fatto isolato nel discorso pubblico di Baku che continua infatti a fare frequente riferimento al territorio della stessa repubblica d’Armenia come “Azerbaigian occidentale”, ponendo quindi in discussione persino l’esistenza di questo Paese (Broers 2019). Come si vede, se nella sfera culturale il fantasma dell’Albània caucasica ha risvolti grotteschi per la sua completa inconsistenza, in quella politica esistono invece implicazioni estremamente pericolose, da non sottovalutare e comunque da affrontare in maniera approfondita, per rispetto della realtà storica e del destino tragico del popolo armeno.

Vai al sito


Qui di seguito la versione cartacea con un titolo poco appropriato che la redazione di Avvenire ha provveduto a modificare di seguito sulla versione on line sopra riportata

A Cappadocia l’oratorio musicale dedicato al Beato Salvatore Lilli (Marsicalive

Cappadocia. L’11 agosto 2024, piazza Colle a Cappadocia sarà il suggestivo scenario di un evento musicale di grande rilievo: l’oratorio musicale “Salvatore Lilli e Compagni Armeni”. Organizzato dal Coro Parrocchiale “Timete Deum” e dall’Orchestra Giovanile Diocesi dei Marsi, questo spettacolo si propone di celebrare la vita del Beato Martire Salvatore Lilli attraverso una composizione per voce recitante, solisti, coro e orchestra.

La serata vedrà la partecipazione di artisti di talento. Valerio Montaldi sarà la voce recitante, mentre Christian Di Fiore suonerà la zampogna. Gianmarco Di Cosimo (baritono), Federica Zangari (contralto) e Federica Livan (contralto) arricchiranno la performance con le loro voci soliste. La direzione del coro è affidata a Luca Bischetti, mentre Massimiliano De Foglio sarà il direttore d’orchestra.

l testo dell’oratorio, scritto da Alessandro Giancola, è liberamente tratto dalla biografia di Don Enzo Massotti e la musica è composta da Massimiliano De Foglio. Questa combinazione di parole e musica mira a evocare e onorare la vita e il sacrificio di Salvatore Lilli, un uomo che ha dedicato la sua vita alla fede e alla comunità armena.

L’evento è a ingresso libero e rappresenta un’occasione unica per immergersi in una serata di musica e spiritualità, ricordando il coraggio e la devozione del Beato Martire. L’appuntamento è per domenica 11 agosto 2024 alle ore 21:00 in Piazza Colle, Cappadocia.

 

 

Trasporti: l’Armenia punta su Iran e India per diventare uno snodo commerciale nel Caucaso (AgenziaNova 07.08.24)

L’Armenia punta sulla collaborazione con Iran e India per tentare di diventare uno snodo commerciale nel Caucaso. Mentre il vicino Azerbaigian sta lavorando per lo sviluppo della Via di trasporto internazionale trascaspica (Titr), il cosiddetto Corridoio di mezzo, Erevan cerca partnership alternative anche a causa dell’assenza di uno sbocco al mare, un fattore geografico che rappresenta un limite. Non sorprende, quindi, che l’agenzia di stampa “Sputnik Armenia”, citando proprie fonti nelle aziende di logistica, riferisca oggi che presto si terrà un incontro fra Armenia, Iran e India incentrato sulla creazione di una rotta commerciale. L’incontro avrà luogo in Iran e coinvolgerà rappresentanti dei settori dei trasporti dei tre Paesi che visiteranno, tra l’altro, il porto di Chabahar, e discuteranno di varie questioni relative al lancio di questa rotta. Secondo il ministero dell’Economia armeno, l’apertura di nuove rotte aumenterà il potenziale commerciale del Paese caucasico: Erevan avrà un accesso affidabile all’India, nonché ai mercati dei Paesi del Sud est asiatico. La rotta servirà a trasportare merci provenienti dai Paesi del Golfo Persico e dall’India verso l’Unione economica eurasiatica e l’Unione europea. Secondo quanto riferisce “Sputnik Armenia”, infatti, dal porto indiano di Mumbai, le merci potranno essere consegnate al porto di Chabahar e poi via terra all’Armenia (su strada o ferrovia), quindi alla Georgia e dal Paese caucasico – attraverso il Mar Nero – ai porti di Bulgaria, Grecia o Russia.

Il fatto che la rotta attraversi il territorio dell’Armenia è importante per l’Iran e l’India: Nuova Delhi, nello specifico, sta cercando di diversificare la propria fornitura di merci viste anche le complicazioni esistenti per le rotte che attraversano il Mar Rosso dove, sebbene con minore entità, permane la minaccia degli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi. Il percorso attraverso il territorio dell’Iran e dell’Armenia consentirà all’India e ai Paesi del Golfo persico di ridurre i costi logistici del 25 per cento, nonché di dimezzare il periodo di transito dai circa 40 giorni necessari al momento per le navi che passano attraverso il Canale di Suez a più o meno 18 giorni. Qualora tale rotta fosse effettivamente avviata l’Armenia potrebbe diventare un importante snodo di transito. L’interesse dell’Armenia nei confronti delle attività di Iran e India risale già allo scorso dicembre, quando il ministro dell’Amministrazione territoriale e delle Infrastrutture armeno, Gnel Sanosyan, aveva visitato il porto di Chabahar per valutare le potenzialità di questo scalo marittimo.

E le potenzialità del porto sono effettivamente notevoli per l’Armenia: Chabahar si trova, infatti, sulla costa sud orientale dell’Iran lungo il Golfo di Oman, ed è ufficialmente designato come zona industriale e di libero scambio dal governo iraniano. Lo scorso 3 giugno l’Indian Ports Global Limited ha firmato un contratto decennale con l’Organizzazione portuale e marittima dell’Iran per lo sviluppo e la gestione del porto di Chabahar. In base all’intesa, l’India dovrà investire 120 milioni di dollari per ammodernare lo scalo e aprire una linea di credito aggiuntiva di 250 milioni di dollari per una serie di progetti correlati all’infrastruttura portuale. Chabahar, oltre ad essere il punto di accesso più vicino all’Oceano indiano, per l’Iran può rappresentare il fulcro delle vie di transito verso l’Asia centrale, la Russia e anche i Paesi europei. Per l’India il vantaggio di investire nel porto di Chabahar ha un valore strategico e politico, visto che lo sviluppo di questo scalo consentirebbe di aggirare i porti pakistani di Karachi e di Gwadar. Storico rivale dell’India, per l’ammodernamento del porto di Gwadar il Pakistan si è affidato alla Cina, altro Paese che rappresenta un competitor per Nuova Delhi e che con l’iniziativa Belt and road ha già in atto un piano per rafforzare il proprio export verso l’Europa.

L’accordo sul porto di Chabahar, quindi, per l’Armenia ha dei risvolti tutt’altro che trascurabili. Lo scorso gennaio l’Iran ha concesso all’Armenia l’accesso ai suoi scali marittimi di Chabahar e Bandar Abbas proprio per facilitare il commercio con l’India. Dopo la guerra con l’Azerbaigian del 2020, il governo di Erevan ha lavorato attivamente per diversificare i suoi partner nel settore della sicurezza e si è rivolta all’India per la cooperazione in materia di difesa e gli acquisti di armi. Lo sviluppo di questa cooperazione trilaterale migliorerà significativamente l’infrastruttura di transito dell’Armenia e accrescerà l’importanza del Paese del Caucaso per quanto concerne i collegamenti fra Mar Nero e Golfo Persico. Su questo fronte, Erevan e Teheran stanno già lavorando per realizzare le infrastrutture necessarie. Lo scorso aprile Iran e Russia hanno siglato per la costruzione del collegamento ferroviario fra le città iraniane di Rasth e Astara, nel nord del Paese: questa tratta si inserisce nel maxi progetto che prevede il collegamento delle reti ferroviarie di Iran, Russia e Azerbaigian, ma Teheran vorrebbe coinvolgere anche l’Armenia e, in questo senso, positiva sarebbe la sigla di un accordo di pace fra Erevan e Baku. Oltre a rafforzare la stabilità della regione, infatti, un’intesa di questo tipo aprirebbe all’Armenia le porte per accedere a diversi progetti infrastrutturali regionali. La cooperazione fra Iran e Armenia, tuttavia, non si ferma qui: lo scorso ottobre i due Paesi hanno firmato un accordo in base al quale le imprese edili iraniane costruiranno una strada di 32 chilometri nella sezione meridionale del corridoio stradale di trasporto Nord-Sud dell’Armenia. Questa strada – che collegherà la città di Kajaran al villaggio di Agarak a Syunik – includerà 920 metri di tunnel, cinque svincoli, sei cavalcavia e 17 ponti. Si stima che la costruzione sarà completata entro il 2026, con il governo armeno che ha preso in prestito 254 milioni di dollari dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e ha concesso un contratto da 215 milioni di dollari a un consorzio di due società iraniane per il progetto. Circa due terzi della strada saranno ampliati e ristrutturati mentre i restanti 11 chilometri dovrebbero essere costruiti nel corso di tre anni.

Il collegamento stradale avrebbe, quindi, un significato strategico per l’Armenia in quanto potrebbe consolidare la sicurezza del Paese e portare stabilità alla regione. Infine, la partecipazione dell’Armenia a questo progetto di transito – soprattutto in un’ottica di rafforzamento della rotta commerciale che coinvolge anche l’India – ne rafforzerà l’importanza geoeconomica lungo le rotte di transito regionali, bilanciandone così il ruolo rispetto all’Azerbaigian. Baku, come detto, sta puntando con i partner dell’Asia centrale, in particolare il Kazakhstan, sul “Corridoio di mezzo”, un progetto di sviluppo che collegherebbe le reti di trasporto merci della Repubblica popolare cinese (Rpc) e dell’Unione europea attraverso le economie dell’Asia centrale, del Caucaso, della Turchia e dell’Europa orientale. Sia l’Unione europea che la Cina hanno espresso la volontà comune di sviluppare il Corridoio di mezzo per affrontare le attuali sfide geopolitiche e rafforzare la sicurezza delle catene di approvvigionamento. In questo contesto, a livello regionale l’Armenia non può permettersi di “restare indietro” rispetto all’Azerbaigian, che resterà comunque nei prossimi anni un Paese esportatore di riferimento per l’Ue, soprattutto nel settore energetico, e la Georgia che, sebbene non dotata di grandi materie prime da esportare, grazie ai suoi porti sul Mar Nero rappresenta già uno snodo logistico nell’area.

Vai al sito

Elina Avanesyan cambia bandiera: da russa ad armena nel circuito WTA (Livetennis 06.08.24)

Sebbene sia nata a Pyatigorsk quasi 22 anni fa, Elina Avanesyan stava lavorando negli ultimi mesi a un cambio di nazionalità all’interno del circuito femminile. Rappresentando la Russia dalla stagione 2017, il cambio di rotta della giocatrice è evidente dopo aver richiesto questo cambio di bandiera e aver iniziato, proprio da lunedì 5 agosto, a competere come tennista professionista armena. Questo è il paese d’origine della sua famiglia, che dovette emigrare in Russia nel 1992 a causa della guerra.

Residente a Valencia e allenata da María José Llorca da un paio d’estati, Avanesyan ha disputato la sua prima finale in singolare nel tour alcune settimane fa, cedendo nel WTA 250 di Iasi contro Mirra Andreeva. Posizionata all’interno della top 60, ora cercherà di ripetere quell’esperienza con un’identità completamente diversa.

Vai al sito


 

Tennis, la russa Avanesyan cambia nazionalità: giocherà per l’Armenia (Sportface 06.08.24

Elina Avanesyan, tennista russa, ha annunciato con un post sui social che d’ora in poi rappresenterà l’Armenia. “Sono orgogliosa di condividere che sono ufficialmente una cittadina dell’Armenia e sono onorata di gareggiare sotto la bandiera armena a partire dal torneo di Cincinnati di lunedì prossimo – si legge – Sono emozionata per questo nuovo capitolo e spero di portare successo alla mia patria ancestrale“.

Continua dunque a perdere giocatori la Russia, che negli ultimi anni ha salutato Alexander Shevchenko (che gioca per il Kazakistan) e Varvara Gracheva (che gioca per la Francia). Tra gli altri nativi russi che rappresentano un’altra nazione, spiccano Elena Rybakina, Alexander Bublik e Yulia Putintseva, tutti naturalizzati dal Kazakistan.

 

Sulle montagne dell’Armenia per esplorare le interazioni tra geodiversità e biodiversità (Aise 06.08.24)

BOLOGNA\ aise\ – Si è conclusa la spedizione sul vulcano Aragats, nella regione di Aragatson, in Armenia, che ha coinvolto una squadra di docenti, ricercatrici e ricercatori, studentesse e studenti dell’Università di Bologna, dell’Università di Milano Bicocca, del CNR-IGAG (Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria) e della National Academy of Sciences della Repubblica Armena (NAS).
La missione – spiega l’Alma Mater – fa parte del progetto “Geodiversity-Biodiversity interactions in forest to steppe habitats across an ecoclimatic gradient in Armenia. A theoretical concept applied to the effects of global warming”, nato nella cornice dell’accordo bilaterale biennale tra il CNR e il Ministero dell’educazione e della scienza della Repubblica Armena (MESRA). Il progetto punta a esplorare le relazioni tra le variazioni della biodiversità e quelle dell’ambiente, con focus sul ruolo dei fattori geologici, climatici e dell’uso del suolo.
A rappresentare l’ateneo bolognese, un team del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali composto da Alessandro Chiarucci, professore di Botanica ambientale e applicata, Bianca Vandelli, titolare di una borsa di studio, e dalle studentesse Martina Neri e Samadhi Cervellin.
“La missione ci ha permesso di completare una raccolta di dati ecologici e di biodiversità lungo un esteso gradiente di quota del Monte Aragats, un vulcano alto 4090 metri che costituisce la vetta più alta del Caucaso minore. Si tratta di un’area importantissima per la biodiversità, grazie alla sua posizione geografica e alla sua complessità topografica. Il progetto porterà importanti risultati in termini di ricerca di base e applicata”, spiega il professor Chiarucci: “Inoltre, è stata avviata una collaborazione con l’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica d’Armenia, che ci ha permesso di discutere sia di nuovi progetti di ricerca congiunta sia di possibili scambi di ricercatrici, ricercatori, studentesse e studenti”.
Gli studiosi hanno realizzato rilevamenti topografici, geopedologici, botanici e zoologici in 84 siti di campionamento distribuiti lungo un gradiente altitudinale di 2700 metri (tra i 1100 e 3850 metri) sul versante meridionale del vulcano. I dati raccolti permetteranno di porre le basi per un’analisi temporale degli effetti sulla biodiversità dovuti al processo di riscaldamento globale iniziato negli anni ‘80 del secolo scorso.
Durante la missione, il professor Chiarucci ha tenuto una relazione su “Le sfide della conservazione della biodiversità nell’Antropocene” presso la sede dell’Accademia Nazionale delle Scienze, nella capitale Jerevan. L’evento, introdotto dal professor Ruben Harutyunyan, Segretario del Dipartimento di Scienze Naturali dell’Accademia, ha visto la partecipazione di rappresentanti delle strutture scientifiche ed educative armene, di giovani scienziate e scienziati, studentesse e studenti. (aise) 

AZERBAIJAN. TENSIONI CON LA FRANCIA: OSPITATO IL “CONGRESSO DELLE COLONIE FRANCESI” (Notizie geopolitiche 06.08.24)

di Giuseppe Gagliano –

Il 17 e 18 luglio scorsi, Baku, capitale dell’Azerbaigian, ha ospitato il primo “Congresso delle colonie francesi”, organizzato dall’Unione Popolare per la Liberazione della Guadalupa con il sostegno del Gruppo d’Iniziativa di Baku. Questo evento ha riunito leader di oltre quindici partiti politici e movimenti indipendentisti provenienti da Corsica, Melanesia, Polinesia, Caraibi e Antille. Al termine della conferenza i partecipanti hanno firmato una dichiarazione per la creazione di un “fronte internazionale di liberazione”. Questa iniziativa riflette la crescente interferenza azera nei territori d’oltremare francesi, evidenziando una strategia di guerra ibrida contro la Francia, sfruttando le fragilità legate al passato coloniale del paese.
Le relazioni tra Parigi e Baku si sono deteriorate significativamente a seguito della guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 e la dissoluzione del Gruppo di Minsk dell’OSCE. La Francia, in qualità di copresidente del Gruppo di Minsk, era tenuta a mantenere una neutralità assoluta. Tuttavia dal novembre 2020 Parigi ha rafforzato il suo sostegno a Erevan, difendendo l’Armenia contro le ambizioni annessioniste dell’Azerbaigian, che ha ripreso il controllo del Nagorno Karabakh sul quale l’Armenia aveva proclamato unilateralmente la Repubblica Armena dell’Artsak, senza riconoscimento internazionale. Questa posizione ha provocato accuse di ipocrisia da parte di Baku, che sottolinea come la Francia non abbia mai denunciato le risoluzioni ONU del 1993 a favore della sovranità azera sul Nagorno-Karabakh.
Di fronte all’incapacità di imporre il proprio punto di vista nei media francesi, il regime azero ha adottato una strategia di guerra ibrida su due fronti: il digitale e il fisico. Sul fronte digitale sono state moltiplicate le operazioni di disinformazione per screditare la Francia, utilizzando falsi account per diffondere notizie false relative alla sicurezza, come il problema delle cimici durante i Giochi Olimpici. Sul fronte fisico si è assistito alla “repressione brutale delle forze coloniali francesi” contro i manifestanti kanaki in Nuova Caledonia.
Nonostante la distanza geografica tra Baku e Nouméa, l’Azerbaigian ha trovato un terreno fertile per la sua propaganda tra i movimenti indipendentisti della Nuova Caledonia. Durante le manifestazioni nazionaliste sull’isola, molti militanti kanaki hanno indossato magliette con il logo del Gruppo d’Iniziativa di Baku e il drappo azero. Questo gruppo ha anche utilizzato i social media per amplificare le rivendicazioni indipendentiste e alimentare il risentimento anti-francese. Inoltre sono state organizzate conferenze online con separatisti d’oltremare e sono stati finanziati i viaggi dei loro rappresentanti a Baku.
Nonostante l’apparente sostegno agli indipendentisti, il governo di Baku deve guardare dentro il proprio paese. Questo è particolarmente evidente nella sua politica nei confronti delle minoranze interne, come i talish e i lezghini, e nella sua gestione della questione del Nagorno-Karabakh. Tuttavia l’Azerbaigian continua a promuovere la sua immagine di campione del “Sud globale”, sfruttando la retorica anticoloniale per guadagnare influenza internazionale e colpire la Francia nei suoi punti deboli.
La strategia azera di interferenza nei territori d’oltremare francesi rappresenta una sfida significativa per Parigi. Utilizzando una combinazione di propaganda digitale, sostegno a movimenti indipendentisti e retorica anticoloniale, Baku cerca di destabilizzare la posizione della Francia e guadagnare influenza nel contesto internazionale. Questo scenario complesso richiede una risposta strategica e coordinata da parte della Francia per proteggere i suoi interessi e sostenere la stabilità nei suoi territori d’oltremare.

Vai al sito