Armenia e Azerbaijan, colloqui in bilico mentre si avvicina la COP29 (Osservatorio Balcani e Caucaso. 18.10.24)

A meno di un mese dalla conferenza ONU sui cambiamenti climatici a Baku, il tempo stringe per un accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan. Molti rimangono scettici, ma la pressione internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti, continua

18/10/2024 –  Onnik James Krikorian

Sia Yerevan che Washington probabilmente sperano nella firma di un accordo prima delle presidenziali statunitensi del 5 novembre e in particolare entro la COP29 [la conferenza ONU sulla convenzione quadro sui cambiamenti climatici, prevista dall’11 al 22 novembre a Baku, n.d.r.], pochi giorni dopo.

Anche se la linea politica statunitense potrebbe cambiare se l’amministrazione in carica dovesse perdere la tornata elettorale, l’Armenia sembra ancora desiderosa di continuare il suo allontanamento da Mosca.

Il 31 agosto, le guardie di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo (FSB) hanno lasciato l’aeroporto internazionale Zvartnots di Yerevan.

All’inizio di ottobre, dopo un incontro bilaterale a Mosca tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente russo Vladimir Putin, è stato anche annunciato che l’anno prossimo saranno ritirate dal posto di blocco al confine iraniano.

Fondamentale, tuttavia, è che le guardie di frontiera russe non saranno ritirate dai confini iraniani e turchi, ma saranno affiancate da un numero imprecisato di guardie del Servizio di sicurezza nazionale armeno (NSS).

Permane il disaccordo tra Yerevan e Baku sullo sblocco dei trasporti e delle comunicazioni regionali, in particolare il ripristino del collegamento di epoca sovietica tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Nakhchivan, così come la rivalità tra Mosca e Washington su questa rotta, nonostante sia stata rimossa dal trattato stesso.

Rimandata tale questione, la scadenza non ufficiale della COP29 per un accordo per normalizzare le relazioni tra Armenia e Azerbaijan è stata considerata realistica.

In effetti, il 12 ottobre, il presidente armeno Vahagn Khachaturyan si era espresso ai media fiducioso in tal senso. I segnali da Baku, tuttavia, non sono così promettenti, visto il permanere del disaccordo  sul numero di articoli o punti che dovrebbero essere contenuti nel trattato.

L’Azerbaijan sottolinea l’importanza di includerne 17, mentre Yerevan afferma che potrebbero esserne firmati 13 o 16, rimandando gli altri al futuro.

Baku sostiene inoltre che Yerevan deve cambiare la sua costituzione, rimuovendo un controverso preambolo che fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del 1990 e a una Dichiarazione congiunta del 1989 sulla “Riunificazione della RSS armena con il Nagorno Karabakh”, la regione etnica armena dell’Azerbaijan che ha visto quasi tutta la sua popolazione fuggire in massa in Armenia nel settembre dell’anno scorso.

Sebbene Pashinyan abbia riconosciuto l’anno scorso quanto tutto ciò abbia complicato le relazioni sia con l’Azerbaijan che con la Turchia, nelle ultime settimane ha cambiato posizione, sostenendo che è la costituzione azera a rivendicare il territorio armeno.

Tuttavia, all’inizio di questo mese la Corte costituzionale armena ha stabilito che uno storico accordo sui regolamenti per demarcare il confine tra Armenia e Azerbaijan non viola questa disposizione. Baku però non è d’accordo.

L’opposizione armena, tuttavia, sostiene che nonostante i suoi commenti pubblici Pashinyan sia pronto a firmare qualsiasi cosa dettata da Baku. Alcuni sostengono persino che anche gli Stati Uniti e l’Unione Europea siano favorevoli ad un accordo rapido.

Nonostante il movimento anti-Pashinyan – guidato dal religioso revanscista arcivescovo Bagrat Galstanyan – abbia ripreso le proteste a inizio settembre, è riuscito a malapena a radunare 1.900 persone nella centrale Piazza della Repubblica di Yerevan. Marciando sulla TV pubblica armena, Galstanyan ha costretto la stazione a mandare in onda il suo invito al pubblico ad unirsi alla prossima manifestazione, ma senza successo.

Con gli armeni che dovrebbero recarsi alle urne entro la metà del 2026, se non prima, la situazione potrebbe peggiorare a meno che non si raggiunga una svolta entro l’anno prossimo.

Ci sono già dubbi sul fatto che il paese possa davvero emanciparsi dalla Russia senza almeno un confine aperto con la Turchia, altro elemento apparentemente subordinato alla firma di un accordo con l’Azerbaijan.

A fine settembre, a margine della riunione dell’Assemblea generale a New York, Pashinyan ha tenuto colloqui bilaterali con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
I negoziati, però, continuano. Oggi18 ottobre, all’ultimo incontro della piattaforma regionale 3+3 (di fatto 3+2 con Tbilisi che si rifiuta ancora di partecipare), i ministri degli esteri armeno, azero, iraniano, russo e turco si incontrano a Istanbul.

Nel frattempo, il 15 ottobre, il governo armeno ha rivelato che, mentre si trovava a Mosca per l’incontro dei leader della Comunità degli stati indipendenti (CIS) una settimana prima, Pashinyan aveva proposto che i ministri degli Esteri armeno e azero si incontrassero per due giorni di colloqui per concordare alcuni dei punti in sospeso in un accordo bilaterale prima della COP29 a Baku.

Prima di allora, Aliyev, Erdoğan, Pashinyan e Putin dovrebbero partecipare al vertice BRICS a Kazan, Russia, la prossima settimana. Ciò rende i giorni e le settimane a venire prima della COP29 davvero molto critici.

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Armenia tra monumenti record e proteste (Evangelici 17.10.24)

In Armenia sarà difficile non notare una nuova statua dedicata a Cristo: con i suoi 77 metri supererà in altezza alcuni tra i monumenti più noti al mondo, come lo stesso Cristo di Rio.

Per non rischiare che qualcuno se la perda, la statua verrà posta in cima a una montagna (“sarà visibile da ogni angolo della piccola repubblica”, riferiscono i media con toni forse un po’ eccessivi) e sarà ricoperta di fosforo per brillare anche di notte.

L’opera, finanziata da uno stravagante oligarca locale, ha fatto discutere da subito perché sulla cima prescelta per l’installazione sarebbe già stato devastato un sito archeologico; i lavori comunque procedono e il finanziatore ha gioco facile nel dire che la conclusione «dipenderà dal volere di Dio».

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Morte di Garbis Aprikian, figura emblematica della musica armena in Francia (Entrevue.fr 16.10.24)

Garbis Aprikian, compositore e direttore d’orchestra armeno, è morto all’età di 98 anni il 15 ottobre 2024, nella sua casa in Francia. Noto per la sua opera dedicata alla diffusione della musica armena, ha diretto per più di cinquant’anni il coro armeno Sipan Komitas. Suo figlio, Ara Aprikian, ha confermato la triste notizia, segnando la fine di una carriera che ha influenzato profondamente la scena musicale armena e francese.

Nato ad Alessandria nel 1926, Aprikian è cresciuto in una comunità armena nel cuore dell’Egitto multiculturale. Questa infanzia ha forgiato la sua passione per la storia e la cultura del suo popolo. Si trasferì in Francia nel 1953 grazie ad una borsa di studio e si iscrisse alla Scuola Normale di Musica, poi al Conservatorio Nazionale Superiore. Sotto l’influenza di maestri come Olivier Messiaen, ha sviluppato uno stile unico che combina l’armonia occidentale e la melodia armena. Il suo lavoro, La nascita di David di Sassoun, ne è l’esempio emblematico, mescolando elementi oratoriali ed elementi folcloristici.

Nel settembre 2024, durante le Giornate Armene alla Philharmonie de Paris, Garbis Aprikian è stato premiato dalla Città di Parigi che gli ha conferito, attraverso i suoi figli, la medaglia Grand Vermeil in riconoscimento del suo impegno. Per tutta la sua vita ha lavorato per preservare e trasmettere il patrimonio musicale armeno, attraverso le sue composizioni e il suo ruolo di direttore d’orchestra.

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Storico prestito del British Museum per la mostra sulla dea madre Anahit in Armenia (Viaggiare.net 16.10.24)

Grazie a uno storico prestito del British Museum vengono esposte per la prima volta in Armenia la testa e la mano sinistra della statua bronzea della dea armena Anahit, di epoca ellenistica. Questi pezzi saranno il fulcro della mostra “Dea Madre: da Anahit a Maria”, ospitata dal Museo Nazionale di Storia dell’Armenia, che esporrà anche sessanta reperti della propria collezione, per rappresentare il concetto di divinità madre dal Neolitico fino ai giorni nostri. La mostra, inaugurata il 21 settembre in concomitanza con il Giorno dell’Indipendenza dell’Armenia, durerà fino al 21 marzo 2025.

L’esposizione, realizzata con il supporto del Ministero dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica d’Armenia, è frutto della cooperazione a lungo termine tra il Museo di Storia dell’Armenia e il British Museum. È uno degli eventi principali dell’offerta culturale dell’Armenia, che comprende oltre 40 tra gallerie e musei a Yerevan e nel resto del Paese, aperti tutto l’anno.

Il culto della Dea Madre

Il culto della Dea Madre negli altopiani armeni ebbe inizio nell’età della pietra e attraversò un lungo processo di cambiamenti, a seconda delle diverse concezioni del mondo e delle caratteristiche estetiche. Fin dall’inizio, incarnando la natura di una donna “genitrice e riproduttrice,” veniva rappresentata come simbolo della continuità della stirpe. In seguito, si formarono una serie di altre funzioni della “Dea Madre”: simbolo dell’agricoltura, dispensatrice del benessere familiare, guaritrice, e altro ancora. Particolare enfasi veniva posta sulla sua natura “creatrice”, che derivava dall’idea di identificare la donna con la “Madre Terra” nella mitologia.

Nel periodo ellenistico, il simbolo della maternità era la dea Anahit. Era la dea della fertilità, della fecondità, del parto e, in un periodo iniziale, anche della guerra, ed era considerata una delle principali divinità della mitologia armena. La chiamavano Madre Dorata, Madre Nutriente, Grande Signora, Dorata, Dita d’Oro. In Armenia, il culto di Anahit iniziò a diffondersi almeno dal IV secolo a.C., seguendo la sua diffusione nell’Asia Minore e in Siria. Santuari della dea Anahit sono menzionati anche in Iran.

Nel periodo ellenistico e soprattutto in quello romano, si crearono condizioni più favorevoli per le comunanze culturali e il processo di sincretizzazione delle divinità. Anahit veniva paragonata ad Artemide, Nanae, Afrodite, Atena, Maia, Cibele, Tyche, Nike e altre. Questo fenomeno si manifesta più chiaramente dal I secolo a.C., quando le statue delle divinità greche vennero portate dall’Asia Minore e da altri paesi in Armenia e collocate nei templi.

La statua bronzea di Anahit

La statua di bronzo di Anahit fu scoperta nel 1871 a Satala (oggi Sadak, Erzurum, Turchia) da un contadino mentre arava. Risalente al II-I secolo a.C., è tradizionalmente associata ad Afrodite, la dea greca dell’amore e della bellezza, ma gli esperti l’hanno collegata alla sua controparte armena, Anahit, dea della fertilità, guarigione, saggezza e acqua. Il suo principale tempio era a Yeriza, nella regione di Yekeghyats (attuale Erzurum, Turchia).

Il tempio di Anahit a Yeriza fu saccheggiato nel 34 a.C. durante un’invasione guidata dal generale romano Marco Antonio. I suoi soldati distrussero la statua d’oro di Anahit, portando i frammenti a Roma. I frammenti della statua di bronzo passarono attraverso vari mercanti d’antiquariato prima che il commerciante d’arte italiano Alessandro Castellani vendesse la testa al British Museum nel 1873 e successivamente donasse la mano sinistra nel 1875. È la prima volta che questi frammenti vengono esposti in Armenia. Una replica della statua è conservata nel Museo di Storia dell’Armenia. I biglietti della mostra “Dea Madre: da Anahit a Maria” sono in vendita sul sito www.museumsarmenia.am/en.

L’offerta di arte e cultura dei musei armeni

Tra i musei più interessanti di Yerevan, oltre al Museo Nazionale di Storia dell’Armenia che ospita la mostra, segnaliamo il Matenadaran, l’istituto dei manoscritti che espone migliaia di testi antichi di valore inestimabile, il Museo di Erebuni, sul sito urarteo dove fu fondata la città nel 782 a.C., la casa-museo del regista Sergej Parajanov, che conserva le sue opere d’arte, il Centro d’Arte contemporanea Cafesjian, il Museo del Brandy Ararat, dove si degusta il famoso distillato, e la fabbrica di tappeti Megerian, per scoprire l’arte della tessitura diffusa in Armenia fin dall’antichità. Fuori dalla capitale, non perdete il Museo della Storia del Vino, che ripercorre la storia millenaria della vinificazione in Armenia, e il Museo Nazionale di Architettura e Vita Urbana di Gyumri, la seconda città più importante dell’Armenia.

Yerevan è facilmente raggiungibile con i voli diretti (durata 3 ore e mezza circa) da Milano, Roma e Venezia di WizzAir, e quelli di FlyOne Armenia da Malpensa.

www.armenia.travel

www.facebook.com/ArmeniaTourismCommittee

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Una chiesa armena nel cuore di Brancaleone Vetus, una scoperta che arricchisce di nuovi tasselli la storia della Calabria (Lacnews24 15.10.24)

La recente scoperta di una chiesa armena nell’area grecanica di Bracalone Vetus ha suscitato grande interesse tra gli storici e gli archeologi. Questa piccola chiesa, risalente probabilmente al XII secolo, testimonia la presenza di una comunità armena in Calabria durante il Medioevo. L’esistenza dei forni sul pavimento e delle incisioni raffiguranti la fenice, simbolo di rinascita e associata spesso a Gesù non lasciano dubbi alla presenza armena nel luogo.

L’edificio, seppur in rovina, conserva ancora tracce di affreschi e iscrizioni in lingua armena. La sua architettura, caratterizzata da una cupola centrale e absidi semicircolari, riflette lo stile tipico delle chiese armene dell’epoca. Questa scoperta getta nuova luce sulla complessità culturale dell’area grecanica, già nota per la sua commistione di influenze greche, latine e normanne. La presenza armena aggiunge un ulteriore tassello alla ricca storia multiculturale della regione.

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L’Armenia verso l’Ue, senza tirare troppo la corda con Mosca. Un percorso da accompagnare (Haffington Post 15.10.24)

Nel centro di Erevan un’imponente costruzione ospita una fabbrica di cognac. Un tempo, al suo posto sorgeva una fortezza millenaria, ma nel Novecento i sovietici ne hanno cancellato ogni traccia nell’intento di “modernizzare” l’Armenia, considerando le vestigia del passato un ostacolo al progresso. “Come se prima dell’Urss, noi armeni avessimo vissuto sugli alberi”, commentano con amarezza nella capitale.
Il destino della piccola Armenia, orgogliosa della sua storia e della sua specificità culturale e religiosa nel Caucaso, si intreccia da tempo con la presenza ingombrante della Russia, dall’epoca zarista a oggi, e la miscela è evidente. Negli anni del comunismo, Erevan era sinonimo di allineamento fedele alle direttive di Mosca e gli armeni erano sovrarappresentati rispetto alle altre repubbliche sovietiche nei gangli del potere centrale, anche se la morsa era stretta. Ne soffrì, tra  gli altri, la Chiesa ortodossa, a lungo interdetta e perseguitata. Poi, dissolta l’Urss, Mosca si pone come garante del fragile equilibrio con l’Azerbaigian, sempre più a favore di Baku, attraverso i ripetuti scontri per l’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh culminati con l’esodo forzato a settembre 2023 dei suoi centoventimila abitanti armeni, terrorizzati dal dispiegamento di truppe azere. È un punto di svolta nei rapporti tra Erevan e Mosca. Il contingente militare russo di interposizione volta le spalle agli armeni minacciati dal vicino nemico, il garante prende di fatto le parti degli azeri e il risentimento armeno contro la Russia si diffonde.
Anche per questo, il primo ministro Nikol Pashinyan, confermato alla guida del governo nonostante la sconfitta subìta dagli azeri nel 2020, guarda a una collaborazione con l’Europa, pur procedendo con cautela per evitare contraccolpi dal lato russo. Da Mosca non sono mancati avvertimenti e minacce per scoraggiare un riposizionamento dell’Armenia in senso filo-occidentale e a Erevan sono consapevoli del rischio di tirare troppo la corda. D’altra parte, un graduale avvicinamento all’Ue è in atto, come dimostrano le due missioni di Pashinyan a Strasburgo e Bruxelles a distanza di pochi mesi (ottobre 2023, aprile 2024) e le aperture europee. Anche se poco graditi a Mosca, c’è da dire che quei passi non hanno provocato reazioni russe particolarmente dure: dopo una manifestazione ufficiale di contrarietà, è sembrato prevalere un certo pragmatismo, forse perché in questa fase l’attenzione della Russia è assorbita dalla guerra contro l’Ucraina.
Per gli armeni, la parola d’ordine è la moderazione, avanti con giudizio. Il profilo resta basso, ma la direzione di marcia verso l’Ue è univoca, in linea con l’orientamento maggioritario dell’opinione pubblica e della diaspora armena in Europa e Usa. Qualcosa si muove, senza strappi. Sul piano interno, ora a spingere il governo interviene un cartello di forze filo-europee, con la raccolta di firme per iscrivere i rapporti con l’Ue all’ordine del giorno del Parlamento armeno e per un possibile referendum. L’iniziativa popolare, non osteggiata da Pashinyan, vanta già un risultato preliminare incoraggiante per i promotori.
Resta da definire il conflitto asimmetrico con l’Azerbaigian: l’Armenia, priva di risorse naturali e di accesso al mare, ha confini chiusi con Turchia e Azerbaigian e conta meno di tre milioni di abitanti; l’Azerbaigian ha gas e petrolio, si affaccia sul Caspio, con dieci milioni di abitanti e un tasso di crescita notevole. Il negoziato per il trattato di pace è a buon punto, ma deve ancora sciogliere due nodi, una disposizione costituzionale armena e il collegamento dell’Azerbaigian con l’exclave del Nakhicheyan attraverso il corridoio di Zangezur. Non sono difficoltà insormontabili. L’Europa, e l’Italia coi i suoi buoni uffici, sono impegnate a ridurre la distanza tra le parti per suggellare la pace e una stabilizzazione della regione.
Se è scontata la sensibilità della Russia per la propaggine meridionale dell’ex-Urss, insieme all’importanza dell’assetto della confinante Georgia e del mercato energetico azero, la politica di Mosca del divide et impera con finalità di controllo mostra i suoi limiti. Negli ultimi giorni, a sorpresa, con una mossa apparentemente distensiva, Vladimir Putin si è detto pronto a ritirare il suo presidio militare dall’Armenia. In prospettiva, il Caucaso potrebbe trasformarsi, da terreno di contrasto di influenze tra Russia, Turchia e Iran, in un’area di integrazione e tolleranza. Per l’Armenia, che ha sospeso la sua partecipazione alla Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), nata venti anni fa per forte volontà di Mosca, l’aggancio europeo rappresenta una garanzia di sicurezza e sviluppo e dimostra – specie a chi lo contesta e lo contrasta – che il progetto comunitario è studiato anche lontano dalla vecchia Europa con attenzione e speranza. E da parte nostra, sarebbe un errore ignorarlo.

Armenia-Turchia: incontro presidenti Parlamento a Ginevra su normalizzazione relazioni (AgenziaNova 15.10.24)

Erevan, 15 ott 09:32 – (Agenzia Nova) – Si è svolto a Ginevra un incontro tra il presidente dell’Assemblea nazionale armena, Alen Simonyan, e l’omologo della Grande assemblea nazionale turca, Numan Kurtulmush, durante il quale le parti hanno discusso un’ampia gamma di questioni relative alla normalizzazione delle relazioni bilaterali. Secondo quanto riferisce dall’ufficio stampa della presidenza del Parlamento di Erevan, Simonyan ha presentato alla parte turca gli ultimi sviluppi nel processo di negoziazione del trattato di pace tra Armenia e Azerbaigian e ha riaffermato la disponibilità della parte armena al processo di pace. Simonyan ha anche presentato al suo partner turco il progetto “Crocevia della pace” avviato dal governo armeno. Al termine dell’incontro le parti hanno raggiunto un accordo per proseguire i contatti.
(Rum)

Ad Antonia Arslan il premio Voci della Storia (Primamonza 15.10.24)

Il premio Voci della Storia ad Antonia Arslan, autrice del libro “Un genocidio culturale dei nostri giorni. Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena”, una delle voci più autorevoli nella narrazione del genocidio armeno e nella preservazione della memoria culturale armena.

Ad Antonia Arslan il premio Voci della Storia

La consegna è avvenuta all’auditorium Disarò di Cesano Maderno, durante uno degli incontri del Festival Voci della Storia 2024, la rassegna culturale curata da Eva Musci e Antonio Zappa e organizzata in collaborazione con il Centro Culturale Europeo Palazzo Arese Borromeo.

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Eva Musci, direttrice artistica di Voci della Storia, consegnando il Premio 2024 all’autrice ha commentato:

“A distanza di vent’anni dalla pubblicazione della “Masserie delle allodole”, che ha portato a conoscenza di un vastissimo pubblico – in Italia e in numerosi paesi del mondo – l’immane tragedia storica del genocidio armeno del 1915, la voce di Antonia Arslan mantiene con assoluta evidenza il suo ruolo fondamentale nella preservazione di una memoria attiva e rivolta alla costruzione di un futuro più umano”.

I temi affrontati nel corso della serata

Nel corso della serata, Antonia Arslan ha illustrato l’importanza storica di Nakhichevan per l’Armenia e ha denunciato la cancellazione sistematica del patrimonio culturale armeno nella regione. L’altro ospite, Aldo Ferrari, professore ordinario all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha invece presentato il suo “Storia di un impero eurasiatico”, un’analisi approfondita della storia russa, esaminando la natura multietnica del Paese, l’influenza bizantina e mongola sulla sua struttura politica e le attuali politiche neo-imperiali della Russia in rapporto con la Cina.

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Quando la guerra diventa un’abitudine (La Regione 15.10.24)

Spesso ci si dimentica che l’essere umano è un mammifero, troppo impegnati a discutere sulle distinzioni che ci rendono, erroneamente, superiori agli animali in quanto specie. Bisognerebbe differenziare quello che conosciamo da quello che abbiamo assimilato in quanto, se parliamo dell’etica e del senso di responsabilità, siamo ancora ben lontani dal poterci definire liberi dai comportamenti primitivi e bestiali.

A supporto di quest’opinione ‘Sr’, di Lea Hartlaub (mercoledì 16 ottobre alle 20.45 al cinema Iride), che narra in voce fuori campo avvenimenti umani che hanno come leitmotiv la giraffa, viaggiando attraverso gli archivi e le immagini di paesi sparsi in tutto il mondo. Un documentario caleidoscopico interessante nel suo voler essere contemplativo, ma eccessivamente televisivo e soprattutto prolisso nell’esposizione e nella struttura filmica; talvolta brillano frammenti di quotidianità anche piacevoli e profondi nella loro implicità, ma non bastano a tenere in vita l’interesse dello spettatore, assoggettato a una visione dispersiva e poco convincente.

Intanto, molto lontano, laggiù in quell’area dimenticata tra il Mar Nero e il Mar Caspio, gli animali non esistono, eccezione fatta per qualche uccello che riesce a sorvolare le bombe al fosforo. ‘The Black Garden’, di Alexis Pazoumian, ci costringe a distogliere un attimo lo sguardo e spostarlo verso l’Armenia, in particolare la regione a sud del Nagorno Karabakh, ora Azerbaijan, teatro di una guerra che si protrae da generazioni, dove i cani e i gatti sono sostituiti dalle bombe a mano e i kalašnikov. Abcasia, Ossezia del sud, in Georgia, l’ormai ex Repubblica dell’Artsakh – territorio dove si svolge il film – e persino l’Armenia stessa: questa la lista degli stati a riconoscimento limitato di quel triangolo delle Bermuda di esseri umani, quel giardino nero dove una lunga serie di guerre si è svolta fino a oggi. Avo e Samvel sono due bambini del Nagorno Karabakh, costantemente bombardati da una propaganda bellica che non riescono veramente a comprendere, persino a scuola, dove imparano inni patriottici, a utilizzare fucili e a prendersi cura di loro, come se fossero fedeli animali da compagnia. Altrove, Erik, che ha perso una gamba nell’esplosione di una granata, attende solo il ritorno della sua richiamata alle armi, anche perché a una parte di lui manca il compagno carrarmato, con cui ha passato due anni a difendere i confini dagli attacchi azeri. Un giovane pieno di vita, artigiano che lavora microsculture e cantante in un gruppo popolare, ma quel dolore fantasma gli ricorda costantemente il suo destino: tenersi sempre pronto per combattere e morire nell’eterno conflitto.

‘The Black Garden’ (mercoledì 16 ottobre alle 18 al cinema Iride) è un diario intergenerazionale che riesce a esse drammatico senza essere tragico; ripercorre la lunga serie di eventi scatenanti l’esodo della popolazione presente nella regione del Nagorno Karabakh, solo un anno fa, ma soprattutto che hanno progressivamente normalizzato il conflitto in tutti gli abitanti. Il lato tecnico impeccabile e la capacità di catturare l’apatia e la rassegnazione dei personaggi, si agganciano al senso di impotenza veicolato dal messaggio, portando a chiederci a cosa servono la Nato, l’Onu, l’Oms e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quando i diritti umani vengono calpestati impunemente, e a quale scopo essere uniti, se non si impiega quella forza per difendere chi viene oppresso.

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Da Yerevan a Zvartnots tour tra luoghi dalla storia millenaria (IlSole24ore 14.10.24)

Ogni angolo del Paese racconta una storia millenaria, offrendo un’esperienza unica tra antichi monasteri, paesaggi spettacolari e una calorosa ospitalità. Parliamo dell’Armenia, una meta facilmente accessibile per i viaggiatori italiani. Grazie ai voli diretti da Milano, Roma e Venezia, si può raggiungere la destinazione in meno di quattro ore, aspetto che la rende ideale per un tour di 4-5 giorni. Questo itinerario propone una visita ai principali siti Unesco e permette di esplorare la straordinaria architettura medievale, le bellezze paesaggistiche e le tradizioni della piccola repubblica caucasica facendo base a Yerevan, la vibrante capitale armena, che funge da porta d’accesso ai siti disseminati sul territorio

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