Armenia: firmato decreto per nomina Srbuhi Galyan come nuova ministra Giustizia (Agenzia Nova 05.11.24)

Erevan, 05 nov 11:20 – (Agenzia Nova) – Il presidente armeno Vahagn Khachaturyan ha firmato il decreto di nomina di Srbuhi Galyan come nuova ministra della Giustizia. Il decreto è stato pubblicato sul sito ufficiale del presidente dell’Armenia. Da settembre del 2020, Galyan ha ricoperto l’incarico di vice procuratrice capo con delega alle attività di confisca dei beni di origine illegale. Il primo ottobre Grigor Minasyan ha presentato le sue dimissioni da ministro della Giustizia, mentre lo scorso 29 ottobre i vertici del partito di governo Contratto civile hanno deciso di nominare Srbuhi Galyan per succedergli all’incarico. (Rum)

“Difendere i diritti del popolo dell’Artsakh”, appello dei leader della Chiesa armena (Vaticanews 04.11.24)

Aram I, Raphael Bedros XXI e Paul Haydostian, leader della Chiesa armena apostolica, cattolica ed evangelista, firmano una dichiarazione congiunta in cui esprimono preoccupazione e protesta per la crisi tra Armenia e Azerbaigian e l’evacuazione forzata di 120 mila persone. A pochi giorni dalla Cop29 di Baku, chiedono il rientro in patria e la sovranità sotto la protezione della comunità internazionale, una sensibilizzazione di ambienti politici e diplomatici, preghiere speciali per i prigionieri

Vatican News

A pochi giorni dalla Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, la cosiddetta Cop29, che si terrà a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre 2024, i leader spirituali della Chiesa armena apostolica, cattolica ed evangelista – rispettivamente Sua Santità Catholicos Aram I, Sua Beatitudine Catholicos-Patriarca Raphaël Bedros XXI, il reverendo Paul Haidostian, presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene nel Vicino Oriente – firmano e diffondono un appello congiunto in cui esprimono “ancora una volta la nostra giusta protesta e preoccupazione per la guerra scatenata dall’Azerbaigian contro gli armeni dell’Artsakh (2020-2023) e di conseguenza, l’evacuazione forzata di 120 mila persone dalla loro patria storica, la distruzione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la detenzione illegale dei leader politici dell’Artsakh”.

“Non possiamo rimanere in silenzio”

Pertanto, in quanto “leader spirituali dediti al servizio di Dio Onnipotente e del nostro popolo”, nonché “impegnati nei principi di giustizia, pace e protezione dei diritti umani”, Aram I, Bedros XXI, Haidostian scrivono di non poter “rimanere in silenzio di fronte alla violazione da parte dell’Azerbaigian dei diritti degli armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale”. Richiamano dunque l’attenzione dei propri rappresentanti spirituali e comunitari su alcune precise azioni.

Ritorno alle proprie terre, sensibilizzazione generale, preghiere speciali

Anzitutto, si legge nel comunicato, “alla vigilia e nel corso della Conferenza internazionale Cop29 a Baku, è di particolare importanza evidenziare la continua ingiustizia contro il popolo armeno dell’Artsakh. Richiedere il loro diritto al ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale”. I tre leader spirituali chiedono poi di “mobilitare tutte le nostre risorse in difesa dei diritti degli armeni dell’Artsakh attraverso la sensibilizzazione degli ambienti politici, governativi e diplomatici, nonché attraverso le relazioni interreligiose e interecclesiastiche, con l’ampio utilizzo di mezzi pertinenti e informativi”. Infine, terza azione richiesta, quella che “durante le funzioni religiose, si tengano preghiere speciali per la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbaigian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa”.

Un’agenda pan-armena

“La nostra nazione – afferma ancora il documento – si trova attualmente in una congiuntura critica e deve affrontare molte sfide. È quindi imperativo unire e riorganizzare le nostre risorse attorno a un’agenda pan-armena. Dobbiamo essere prudenti e lungimiranti. I valori nazionali dovrebbero avere la precedenza su tutte le altre considerazioni esterne e temporanee”. Da qui, una preghiera a Dio di “proteggere la nostra nazione e la nostra Patria da tutti i mali e i pericoli del mondo”.

Preghiera ecumenica per i prigionieri

Intanto domenica prossima, 10 novembre, alle 17, si terrà una preghiera ecumenica “per gli armeni attualmente in prigione in Azerbaigian” presso la Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma. Il momento liturgico è promosso dal Pontificio Collegio Armeno e dal rappresentante della Chiesa Armeno Apostolica presso la Santa Sede; sarà presieduto dall’arcivescovo lan Ernest, rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede. “Tutti gli uomini di buona volontà che credono nella verità e nella giustizia sono invitati ad unirsi”.

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Armenia: appello leader Chiese cristiane “in difesa dei diritti legittimi del popolo dell’Artsakh” e per la liberazione dei prigionieri (SIR 04.11.24)

Alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici COP29 che si terrà a Baku (Azerbaigian) dall’11 al 22 novembre 2024, i tre leader spirituali delle Chiese cristiane hanno lanciato un appello, per esprimere “ancora una volta la nostra giusta protesta e preoccupazione per la guerra scatenata dall’Azerbaigian contro gli armeni dell’Artsakh (2020-2023) e di conseguenza, l’evacuazione forzata di 120.000 persone dalla loro patria storica, la distruzione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la detenzione illegale dei leader politici dell’Artsakh”. L’appello è firmato da Sua Santità Catholicos Aram I (Chiesa Apostolica Armena, Sede di Cilicia), da Sua Beatitudine Catholicos-Patriarca Raphaël Bedros XXI (Chiesa Cattolica Armena), e dal Rev. Dr. Paul Haidostian, presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene nel Vicino Oriente. “In quanto leader spirituali dediti al servizio di Dio Onnipotente e del nostro popolo, nonché impegnati nei principi di giustizia, pace e protezione dei diritti umani, non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla violazione da parte dell’Azerbaigian dei diritti degli armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale”. In particolare i leader cristiani chiedono di rispettare il diritto del popolo armeno dell’Artsakh a fare “ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale”.

Nell’appello le Chiese chiedono di dedicare nelle funzioni religiose “preghiere speciali per la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbaigian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa”. “La nostra Nazione – scrivono i tre leader cristiani – si trova attualmente in una congiuntura critica e deve affrontare molte sfide. È quindi imperativo unire e riorganizzare le nostre risorse attorno a un’agenda pan-armena. Dobbiamo essere prudenti e lungimiranti. I valori nazionali dovrebbero avere la precedenza su tutte le altre considerazioni esterne e temporanee”.

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Armenia: il 10 novembre, alla vigilia della Cop29, preghiera ecumenica a Roma per la liberazione dei prigionieri armeni detenuti in Azerbaigian (SIR 04.11.2024)

Domenica 10 novembre, alla vigilia dell’apertura dei negoziati sul clima (Cop29) in Azerbaigian, il Pontificio Collegio armeno e la Rappresentanza della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede  organizzano  anche a Roma una preghiera ecumenica che si terrà alle ore 17 presso la Chiesa armena di San Nicola Da Tolentino (Via S. Nicola da Tolentino 17), per “pregare il Signore per la liberazione di coloro dei nostri fratelli che sono stati fatti prigionieri”.  “L’attacco militare contro la Repubblica dell’Artsakh (nel settembre-ottobre 2020) – scrivono i promotori dell’iniziativa in un comunicato diffuso oggi -, seguito dal blocco di dieci mesi del corridoio Lachin e dallo sfollamento forzato di circa 120.000 armeni dalle loro terre ancestrali nel settembre 2023, nonché la demolizione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la cattura illegale della leadership politica dell’Artsakh, continua a destare enorme preoccupazione”. La preghiera ecumenica è promossa alla vigilia della conferenza internazionale COP29 che si terrà a Baku (Azerbaigian) dall’11 al 22 novembre 2024,e su invito del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) che ha esortato “tutte le persone di buona volontà” a unirsi alla giornata di preghiera per l’Armenia, “giornata che sarà ricordata in tutto il mondo, dalle comunità armene e non, con una preghiera speciale dedicata ai prigionieri armeni attualmente detenuti illegalmente in Azerbaigian”.

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Clima, inizia la COP29 a Baku e i capi delle chiese cristiane firmano appello per i prigionieri armeni (Il Messaggero 04.11.2024)

«Non possiamo restare in silenzio». Alla vigilia della COP29 sui cambiamenti climatici che si aprirà in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre, i leader religiosi della Chiesa armena, il Catholicos Aram I, il Patriarca Raphaël Bedros XXI, e il reverendo Paul Haidostian, presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene hanno firmato un appello congiunto per «protestare» per le conseguenze della «guerra scatenata dall’Azerbaigian contro gli armeni dell’Artsakh (2020-2023) e di conseguenza, l’evacuazione forzata di 120 mila persone dalla loro patria storica, la distruzione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la detenzione illegale dei leader politici dell’Artsakh».

I religiosi scrivono di non poter «rimanere in silenzio di fronte alla violazione dei diritti degli armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale».

In pratica chiedono «il loro diritto della gente al ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale». Infine chiedono « la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbaigian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa».

«La nostra nazione – si legge nel documento – si trova attualmente in una congiuntura critica e deve affrontare molte sfide. È quindi imperativo unire e riorganizzare le nostre risorse attorno a un’agenda pan-armena. Dobbiamo essere prudenti e lungimiranti. I valori nazionali dovrebbero avere la precedenza su tutte le altre considerazioni esterne e temporanee».

Intanto domenica 10 novembre, alle 17, si terrà una preghiera ecumenica per gli armeni attualmente in prigione in Azerbaigian, presso la Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma. Il momento liturgico è promosso dal Pontificio Collegio Armeno e dal Vaticano.

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Cop29, il rebranding climatico dell’Azerbaijan (Irpimedia 04.11 24)

Alla fine del grande viale che dall’aeroporto conduce fino al centro di Baku, la capitale dell’Azerbaijan, si erge maestoso lo Stadio Olimpico. È qui che dall’11 al 22 novembre 2024, si terrà la Cop29. Durante l’estate azera si sono velocizzati i preparativi per uno degli eventi di maggior rilevanza internazionale mai svoltosi nel Paese dalla sua indipendenza nel 1991. Intorno allo stadio, si sono moltiplicati gli idranti e i giardinieri che curano senza sosta le aiuole e i prati per assicurare che la conferenza sia incorniciata di verde, malgrado il terreno desertico di Baku e il suo clima che si fa di anno in anno sempre più soffocante.

L’inchiesta in breve

  • L’Azerbaijan è l’ennesimo petrol-Stato a ospitare la Cop, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Il Paese cerca di presentarsi come portavoce nella lotta contro i cambiamenti climatici, ma nell’agenda della Conferenza manca l’impegno a eliminare gradualmente i combustibili fossili, il grande traguardo della Cop28
  • All’interno del Paese, le attività estrattive di gas e petrolio devastano il territorio e pongono sfide ambientali enormi, in particolare nella penisola di Absheron, già gravemente contaminata
  • Per il rebranding “green”, Baku cerca di attirare investimenti nel settore delle energie rinnovabili. Tuttavia, secondo molti analisti e ong, questi progetti serviranno unicamente a liberare maggiori risorse fossili per l’export verso l’Europa, e non ridurranno le emissioni
  • Mentre il governo azero ha invocato una tregua mondiale per la Cop29, l’Azerbaigian prosegue le ostilità verso l’Armenia. Investendo in Nagorno-Karabagh per farne una “Green energy zone”, Baku promuove un piano di greenwashing che si intreccia con la pulizia etnica
  • Attualmente sono più di 300 gli accademici, giornalisti e oppositori politici nelle carceri azere. Alla vigilia della Cop, gli attivisti denunciano l’inasprirsi della repressione

La sigla Cop indica la “Conferenza delle parti”, la riunione annuale dei Paesi firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ovvero il principale trattato ambientale internazionale in materia di contrasto ai cambiamenti climatici, entrato in vigore nel 1994.

L’Azerbaijan è il terzo Paese fortemente dipendente dall’estrazione di gas e petrolio a ospitare l’evento, dopo gli Emirati Arabi Uniti nel 2023 e l’Egitto nel 2022. Le fonti energetiche fossili sono la sua principale fonte di introiti, soprattutto per l’élite al potere. Il principale partner internazionale per l’export di beni e risorse è l’Unione europea (l’Italia in particolare è in cima alla lista); per l’import invece la Russia.

La statua in centro a Baku dell’ex-Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Heydar Aliyev, che ha ricoperto la carica di presidente dal 1993 fino alla sua morte, nel dicembre 2003. Gli è succeduto il figlio, Ilham Aliyev © Cecilia Fasciani

Quest’anno la Conferenza avrebbe dovuto svolgersi in Europa orientale, come previsto dal sistema di turnazione tra i gruppi regionali del Unfccc. La Russia aveva però bloccato ogni altra candidatura di Paesi europei a causa del loro coinvolgimento nella guerra in Ucraina, mentre l’Ue non appoggiava la Russia e i suoi alleati. L’Azerbaijan è stato scelto per la sua vicinanza sia con l’Unione europea sia con la Russia.

Un Paese in teoria neutro, «che però in questi processi ha molti interessi dal punto di vista energetico ma anche politico», spiega Francesco Sassi, ricercatore in geopolitica e mercati dell’energia presso il think tank Ricerche industriali ed energetiche (Rie).

Nell’agenda presentata a settembre del 2023 da Baku, tra le priorità compaiono la creazione di fondo che unisca Paesi produttori di combustibili fossili e aziende del settore per iniziative green, l’aumento della capacità globale di stoccaggio di energia e delle reti elettriche e lo sviluppo del mercato dell’idrogeno.

Eppure, c’è un grande assente: l’obiettivo di eliminare progressivamente le fonti fossili, prima causa di emissioni di CO2 a livello mondiale, che era stato un importante traguardo della Cop28 a Dubai.

All’inizio del 2024 è stato annunciato che il ministro dell’Ecologia azero Mukhtar Babayev, personaggio che ha trascorso oltre vent’anni presso la compagnia statale di petrolio e gas Socar, sarebbe stato nominato presidente dei colloqui sul clima delle Nazioni Unite. Tra i partner della conferenza ci sono le principali aziende del Paese tra cui, come “impact partner”, la Pasha Holding, già coinvolta nell’inchiesta #BakuConnection.

Le devastazioni ambientali dei combustibili fossili

Per arrivare al centro di Baku, si percorre un boulevard dal quale è stata ritagliata una corsia di marcia riservata alle auto di chi parteciperà alla conferenza. È intitolata al defunto presidente dell’Azerbaijan. Da quando non è più Unione Sovietica, al palazzo presidenziale di Baku si sono insediati solo degli Aliyev: prima Heydar – fino alla morte negli Stati Uniti nel 2003 – poi il figlio Ilham, al potere ancora oggi.

Ai lati del boulevard, sorgono grattacieli futuristici dalle forme più svariate. Tra questi si innalza sinuosa la Socar Tower, dove ha sede la società nazionale di gas e petrolio della Repubblica azera, fondata nel 1992. Alta quasi 200 metri, la torre ricorda una grande fiamma, simbolo della storia del Paese caucasico, profondamente intrecciata con l’energia fossile.

Le conseguenze ambientali sono lampanti: nella penisola di Absheron, dove vive il 40% della popolazione, già nel 2018 il giornale scientifico Journal of Gynecology and Women’s Health ha pubblicato uno studio sulla regione dove si calcola una superficie inquinata di oltre 33 mila ettari su 222 mila. In questa stessa regione, l’industria petrolifera ha soppiantato qualunque altra impresa, con ripercussioni devastanti:

«Innanzitutto, il terreno diventa inutilizzabile per qualsiasi altro scopo, è solo di scarto. E le persone che vivono lì intorno sentono un odore molto forte, è quantomeno sgradevole vivere lì», spiega in videocall dalla Gran Bretagna, Javid Qara. È il fondatore di Ecofront, l’unico gruppo ambientalista indipendente attivo in Azerbaijan. Per quanto distante, Qara continua a seguirne le attività: «Ci vorrà molto tempo e molti investimenti per bonificare il terreno in futuro, se mai ci sarà la volontà», prosegue.

«Ci sembra assurdo organizzare la Cop in un Paese con una situazione ambientale così compromessa», commenta Aliyev Araz, insegnante universitario di trent’anni e membro di Nida, una delle pochissime organizzazioni del Paese. Nata nel 2011, sulla scia delle primavere arabe, il suo nome significa “esclamazione” in azero, a rappresentare la speranza di una generazione di giovani di risvegliare il proprio Paese e guidarlo verso un sistema democratico. «All’epoca c’era molto fermento, voglia di democrazia – racconta Araz – Negli ultimi dieci anni il governo è diventato sempre più autoritario. Adesso siamo in modalità sopravvivenza».

Un lago contaminato dagli sversamenti nella penisola di Pirallahi, Absheron, non lontano dalla capitale Baku. Per coprirlo alla vista dei passanti, è circondato da grandi cartelli inneggianti all’ambientalismo © Cecilia Fasciani

Come tutti gli esponenti di organizzazioni critiche al governo, Araz conosce bene il carcere: è stato arrestato in precedenza ed è attualmente sottoposto al divieto di espatrio. Acconsente a incontrarci con massima riservatezza nel ristorante di un amico fidato, nel cuore di Baku.

L’arma del clima nel Nagorno-Karabakh

Sul lungomare della capitale, vicino al futuristico Museo del tappeto, si trova il mega-stand di promozione della Cop. Qui delle giovani hostess guidano gli spettatori a scoprire l’immagine del nuovo Azerbaijan “green”: negli ultimi anni, infatti, il governo azero sta facendo grandi sforzi per ripulire la propria reputazione di “Paese fossile”.

Se nel 2023 le energie rinnovabili del Paese ammontano al 7% dell’energia totale, i piani governativi prevedono di portare la percentuale al 30% entro il 2030, grazie ai progetti come il parco fotovoltaico Garadagh, una distesa di pannelli solari da 230 megawatt inaugurata nell’ottobre 2023, e l’impianto eolico da 240 megawatt di Khizi-Absheron, sviluppato insieme alla società saudita Acwa Power.

Tra schermi luminosi e realtà virtuale, si può giocare a calcolare la propria impronta climatica individuale che, per essere compensata, ha bisogno della piantumazione di nuovi alberi. Nella simulazione al mega-stand della Cop29, la regione prescelta per l’operazione è il Nagorno-Karabakh, che dal 2021 è stata indicata da Baku come territorio compromesso dall’inquinamento dove realizzare progetti “verdi”: una “Green energy zone”.

Cartelloni per la Cop29 appesi sui cantieri di grandi palazzi nel centro città della capitale © Cecilia Fasciani

Il Nagorno-Karabakh è la regione che l’Azerbaijan ha occupato militarmente nel settembre del 2023. Il territorio, ex-enclave di cittadini di etnia armena all’interno dell’Azerbaijan, era già stato oggetto di altre incursioni dell’esercito. De facto era governata da un’amministrazione indipendente, la Repubblica dell’Artsakh, sostenuta dall’Armenia. I confini erano sotto la responsabilità delle forze di peacekeeping della Russia. Dal momento in cui Mosca si è impegnata sul fronte ucraino, a febbraio del 2022, l’Azerbaijan ne ha approfittato per completare il suo piano per sconfiggere il governo autonomista dell’Artsakh, ufficialmente dissolto dal gennaio del 2024.

Centoventimila cittadini del Nagorno-Karabakh di etnia armena sono rimasti senza cibo, medicine e beni essenziali dal dicembre del 2022 fino all’occupazione azera. A ostruire l’unica via di fuga in Armenia, il corridoio di Lachin, c’erano decine di manifestanti azeri. Secondo un comunicato delle Nazioni Unite che chiedeva la riapertura del corridoio per motivi umanitari, pubblicato il 16 agosto del 2023, si erano radunati «con il falso pretesto di preoccupazioni per l’ambiente» per lo sfruttamento di alcune miniere della regione. Alcuni di loro sono stati coinvolti nella macchina organizzativa della Cop29. Il processo di pace è ancora in stallo, seppur ci siano state delle aperture di recente.

«È una vittoria per tutti»

Lo stesso governo in guerra con l’Armenia, il 21 settembre del 2024, attraverso la presidenza della Cop, ha lanciato ufficialmente la sua iniziativa “Tregua per la Cop”. Nell’«appello solenne» alla pace nel mondo si legge che «i conflitti aumentano le emissioni di gas serra e devastano l’ambiente, inquinando il suolo, l’acqua e l’aria. La devastazione degli ecosistemi e l’inquinamento causati dai conflitti peggiorano il cambiamento climatico e minano i nostri sforzi per salvaguardare il pianeta».

Lo stesso documento si chiude affermando che «i colloqui sul clima devono unire, con un’attenzione e cooperazione indivisa da parte di tutti», per quanto l’Azerbaijan sia tra i Paesi che non rispettano i vincoli sul clima stabiliti dagli accordi precedenti. Ha aumentato la produzione di gas, di cui l’Unione europea è la prima acquirente, nonostante nel 2023, nell’ambito degli Accordi di Parigi, abbia sottoscritto l’impegno di ridurre le sue emissioni di gas serra del 40% entro il 2050. Lo scriveva nell’aggiornamento dei propri Contributi determinati a livello nazionale (Ndc), le promesse fatte dalle diverse nazioni contro il cambiamento climatico ispirate dagli accordi internazionali.

Il centro informazioni per la Cop29, sul lungomare di Baku, aperto ai visitatori © Cecilia Fasciani

Secondo il primo procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Luis Moreno Ocampo, «Aliyev finge di essere il campione dei diritti umani, mentre ha commesso un genocidio in Nagorno-Karabakh; finge di essere un campione del cambiamento climatico, mentre si basa sull’energia fossile. È una grande operazione di branding», spiega a IrpiMedia. Dalla fine della Repubblica di Artsakh ad oggi, Aliyev ha già messo in programma la costruzione di circa 40 centrali idroelettriche nella regione, oltre alle almeno quattro già costruite in passato.

Per le organizzazioni internazionali, quello di Baku è puro greenwashing. «Affidare a un petrol-Stato, un Paese che si impegna addirittura ad aprire nuovi giacimenti, le redini dei più importanti colloqui sul clima, è davvero scandaloso», commenta Dominic Eagletonsenior campaigner che per la ong internazionale Global Witness si occupa di gas. Climate Action Tracker sottolinea che l’andamento generale dell’Azerbaijan è «gravemente insufficiente» mentre l’impegno per rallentare il cambiamento climatico è troppo modesto e rappresenta un passo indietro rispetto alla versione precedente dell’Ndc.

«L’Azerbaijan non è affatto in linea con i suoi obiettivi climatici», rincara Kate Watters, direttrice dell’ong americana Crude Accountability, secondo cui il Paese «non sostituirà affatto la produzione di gas».

La complicità dell’Europa e delle sue aziende

Complice dell’operazione del governo di Baku è l’Unione europea, che nel 2022 ha stretto accordi con il Paese caucasico per aumentare le forniture di gas a venti milioni di metri cubi entro il 2027. «La retorica è: “Aiuteremo a ridurre le emissioni”, ma in realtà l’energia che verrà creata dall’Azerbaijan con questi progetti “green” verrà usata per il consumo interno», precisa Jeffrey Dunn, ricercatore nella stessa Crude Accountability. Questo significa “liberare” del gas da esportare in Europa, visto che l’obiettivo degli accordi mette alla prova le riserve del Paese. Così mentre l’Azerbaijan potrà dire di avanzare nella transizione energetica, l’Ue potrà continuare a incamerare gas. «È una vittoria per tutti – chiosa Dunn –: questi progetti rinnovabili sposteranno solo le emissioni altrove».

Per fare un esempio: a Jibrail, nel Nagorno-Karabakh, il Progetto Sunrise per la realizzazione del’impianto fotovoltaico di Shafag, di proprietà della British petroleum (Bp), rifornirà il terminal da cui parte gas diretto all’Europa. «Le società che stanno investendo insieme a Baku nello sfruttamento della regione del Nagorno Karabakh potrebbero essere complici dei crimini dell’Azerbaijan», sostiene invece l’ex procuratore della Cpi Moreno-Ocampo in un’intervista a IrpiMedia. Né il ministero dell’Energia azero né quello dell’Ecologia hanno invece risposto alle richieste di commento.

Monumenti e cartelloni in memoria dei soldati azeri caduti durante le guerre del Nagorno-Karabakh sorgono numerosi lungo le strade del Paese © Cecilia Fasciani

Anche importanti aziende italiane sono coinvolte nella supposta svolta “green” dell’Azerbaijan.

A luglio del 2024, l’amministratore delegato di Saipem Alessandro Puliti ha incontrato il ministro dell’Energia azero Parviz Shahbazov al congresso Global Energy Transition (Get) di Milano. Il tema al centro della discussione era l’energia verde, in particolare l’eolico offshore nel Caspio, già discusso a Baku il mese precedente. Contatta da IrpiMedia per conoscere maggiori dettagli della collaborazione, Saipem ha spiegato in una risposta inviata via mail che «per quanto concerne il settore delle energie rinnovabili, incluso l’eolico offshore, nel suo ruolo di contractor Saipem guarda sempre con interesse a tutti i possibili sviluppi di mercato nell’ambito della transizione energetica, che costituisce una delle traiettorie del piano strategico della società».

Eni da tempo collabora con la società nazionale azera dell’oil&gas Socar. L’ultimo protocollo d’intesa tra le due riguarda la filiera di produzione dei biocarburanti, cioè carburanti prodotti da «materie prime di scarto come gli oli da cottura usati e da residui dell’industria agroalimentare», spiega Eni sul suo sito. «In particolare – si legge nell’accordo tra le due imprese – saranno valutati progetti di sviluppo in Azerbaijan e nell’area caucasica di colture energetiche su terreni degradati». Le richieste di chiarimenti di IrpiMedia a Eni riguardo a quali aree fossero coinvolte, e se fosse incluso il Nagorno-Karabakh, sono rimaste senza risposta.

Diversi europarlamentari hanno chiesto di cessare gli accordi con l’Azerbaijan, e nel 2023 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione non vincolante per condannare l’operazione militare nel Nagorno-Karabakh.

Questa la risposta di Hikmet Hajiyev, responsabile del dipartimento Affari esteri dell’amministrazione presidenziale azera raccolta da Politico: «Vorrei consigliare al Commissario europeo per i diritti umani di occuparsi seriamente dei crescenti problemi dei diritti umani nell’Unione europea invece di fare prediche agli altri».

Reprimere e rifarsi l’immagine pubblica

Per ripulire la sua immagine agli occhi del mondo il governo azero ha firmato a giugno un contratto da 4,7 milioni di dollari con Teneo, l’agenzia di pubbliche relazioni americana di area conservatrice che, stando alle parole del suo Ceo Leonard Leo riportate da ProPublica, «vuole distruggere la dominazione liberal». Nel 2019 un suo dirigente aveva affermato che l’organizzazione aveva «molte, molte, molte dozzine» di dipendenti al lavoro per l’amministrazione di Donald Trump.

L’accordo prevede la costante presenza a Baku di un team da cinque a sei dirigenti, tra cui Geoff Morrell, ex capo della comunicazione esterna in Bp ed ex funzionario del governo americano. Nominato da George W. Bush, ha continuato a lavorare anche con l’amministrazione di Barack Obama.

Esiste un legame inscindibile tra lo sfruttamento delle risorse fossili e la repressione delle libertà democratiche nel Paese, sostiene l’attivista di Nida, Aliyev Araz: «Firmando accordi per le forniture di energia con il nostro Paese, l’Europa legittima la dittatura di Aliyev, continuando a fornire il lasciapassare per silenziare le voci dell’opposizione e della società civile».

Grattacieli a forma di fiamma con proiezioni di ispirazone nazionalista spiccano dal lungomare di Baku © Cecilia Fasciani

Negli ultimi due anni, e in particolare nei mesi precedenti alla Cop, la repressione delle libertà politiche e civili ha subito una forte accelerata. I grandi eventi in Azerbaijan sono stati storicamente accompagnati da ondate repressive, prima, dopo e durante. La società civile spera di utilizzarli per portare l’attenzione sulle condizioni in cui vive il Paese, il governo ne approfitta per silenziare le voci critiche in vista della maggiore visibilità.

Sono più di 300 i giornalisti, ricercatori, e attivisti rinchiusi nelle carceri azere, molti in attesa di una data di processo. Tra gli ultimi arresti si conta Bahruz Samadov, ricercatore azero di 29 anni che studiava all’estero, arrestato il 21 agosto 2024 con accuse di tradimento per i suoi articoli critici del regime azero e per aver partecipato a un meeting con colleghi armeni. Secondo quanto scrive, la Europe’s Civic University Alliance (comunità di otto atenei tra i più importanti d’Europa che riunisce 384 mila studenti, ndr), Bahruz Samadov è stato maltrattato psicologicamente e fisicamente, e ha iniziato uno sciopero della fame dopo aver subito violenze. Amici e colleghi di Samadov sono stati fermati e interrogati dalla polizia.

Nel 2012, quando Baku ha ospitato la competizione canora europea Eurovision Song Contest, è stata costruita la sfavillante arena Crystal Hall sul lungomare della capitale. Oltre agli sfratti di chi abitava prima quell’area, le manifestazioni degli oppositori prima dell’evento sono state represse dalla polizia, come denunciato da Amnesty International. Approfittando dell’attenzione internazionale, molti attivisti hanno continuato a organizzare proteste e manifestazioni anche durante l’evento per chiedere la liberazione dei prigionieri politici. La risposta è stata una nuova ondata di arresti.

Gli stessi metodi repressivi si sono visti anche alle ultime elezioni parlamentari, anticipate al 1 settembre scorso per non coincidere con la Cop. Il voto è stato marcato da brogli e molti candidati indipendenti hanno fatto molta fatica a presentarsi, alcuni hanno ricevuto «chiamate e sono state prese misure per dissuaderli», spiegano gli attivisti di Nida. È mancato anche un meccanismo di monitoraggio indipendente delle elezioni, visto che il presidente dell’Election Monitoring and Democracy Studies Center Anar Mammadli è stato imprigionato lo scorso 29 aprile.

Le richieste di commenti inviate da IrpiMedia all’autorità garante per i diritti umani azera sono rimaste senza risposta.

«Cercano di ripulire l’immagine autoritaria e mostrarsi diversi agli occhi del mondo. Ma sotto la realtà rimane, è tutto questo è solo un velo», sostiene Aliyev Araz di Nida. Nonostante la situazione di estrema repressione in cui vivono gli attivisti, rimane per alcuni la speranza che la Cop rappresenti un palcoscenico internazionale su cui denunciare l’ipocrisia di Baku: «È una delle poche volte in cui possiamo pensare a livello globale, approfittiamo di questo evento per cercare di risolvere anche i problemi ambientali locali e mettere il governo sotto pressione», conclude Javid Qara di Ecofront.

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Nell’antica capitale del regno d’Armenia i resti di una delle chiese più antiche al mondo (Renovatio21 03.11.24)

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

Il luogo di culto, del IV secolo, rinvenuto ad Artaxata. Una scoperta frutto del lavoro congiunto di archeologi dell’università di Münster e dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Armenia. Per gli esperti è un evento «significativo» anche perché il regno è stato il primo nella storia «ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale».

Nei giorni in cui papa Francesco nomina nuovo membro del dicastero per le Chiese orientali il patriarca di Cilicia degli Armeni Raphaël Bedros XXI Minassian, un gruppo di studiosi annuncia la scoperta dei resti di una chiesa del quarto secolo ad Artaxata, l’antica capitale del regno d’Armenia. Per gli esperti l’edificio rappresenta uno dei più antichi luoghi di culto rinvenuti al mondo e la più antica dell’area in cui sorgeva il regno che è anche il primo nella storia ad aver abbracciato il cristianesimo come religione ufficiale.

I resti della chiesa, dalla forma ottagonale, sono stati riportati alla luce ad Artaxata, l’antica capitale del regno di Armenia, da una squadra congiunta di archeologi dell’università di Münster e dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Armenia, che hanno lavorato sul sito da settembre. La scoperta «consiste in una struttura con estensioni cruciformi» che «corrisponde a edifici commemorativi paleocristiani» come spiega l’ateneo tedesco in una nota. La costruzione era caratterizzata da “un diametro di circa 30 metri” e aveva “un semplice pavimento in malta e piastrelle di terracotta».

I ricercatori hanno anche trovato frammenti di marmo che indicano quanto fosse «riccamente decorata» con materiali di pregio da importazione. «Nelle estensioni a forma di croce, i ricercatori hanno scoperto i resti di piattaforme di legno che sono state datate al radiocarbonio» e risalirebbero «alla metà del IV secolo d.C.»  prosegue la dichiarazione.

Questa datazione ha permesso ai ricercatori di stabilire che la struttura «è la più antica chiesa archeologicamente documentata del Paese e una prova sensazionale del primo cristianesimo in Armenia» come evidenzia Achim Lichtenberger, docente dell’università di Münster.

La città di Artaxata, ora in rovina, situata su una collina nel sud del Paese lungo il confine con la Turchia, è stata fondata nel 176 a.C. e si è sviluppata nel tempo sino a diventare «una importante metropoli», in particolare durante il periodo ellenistico.

Una crescita consistente, spiegano i ricercatori, tanto da farla diventare la «capitale del regno d’Armenia per quasi sei secoli». La stessa collina, che vanta una vista spettacolare sul monte Ararat, appena al di là del confine turco, ospita Khor Virap, un antico monastero ancora attivo che è anche un luogo di pellegrinaggio.

Interpellata dal Times of Israel l’archeologa classica, biblista e storica delle religioni Jodi Magness, docente all’università di Chapel Hill nella Carolina del Nord (Stati Uniti), parla anche lei di «scoperta significativa».

«La scoperta di questa chiesa – aggiunge – ha senso dal momento che il regno armeno è stato il primo Stato ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale all’inizio del IV secolo». E nello stesso periodo, conclude, gli armeni hanno stabilito «una presenza a Gerusalemme, che hanno mantenuto attuale sino ad oggi».

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Comunità armena: lettera a Tajani sulle dichiarazioni di Cirielli (Notizie Geopolitiche 01.11.24)

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” ha inviato l’allegata lettera aperta al ministro degli Affari esteri Antonio Tajani in merito alle dichiarazioni del viceministro Edmondo Cirielli sul plebiscitario voto del Parlamento europeo che, ancora una volta, ha condannato il regime dell’Azerbaigian per la violazione dei diritti umani, la gestione dei rapporti con l’Armenia e la questione del patrimonio culturale e religioso armeno nel Nagorno Karabakh (Artsakh), nonché la detenzione di prigionieri di guerra armeni in violazione degli accordi e delle convenzioni internazionali.
Il “Consiglio” chiede al titolare del dicastero “se la posizione assunta dal vice ministro Cirielli, così apertamente sbilanciata a favore dell’Azerbaigian e contro il pronunciamento del Parlamento Europeo, sia condivisa dal ministero degli Esteri italiano”.
Nel documento si sottolinea inoltre l’influente azione di alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia (Terzi, Scurria e lo stesso Cirielli fra tutti) che sembrano quasi dettare l’agenda politica italiana per quanto riguarda la regione caucasica.

Illustre sig. Ministro,
lo scorso 24 ottobre il parlamento europeo, ha votato a larghissima maggioranza (453 voti a favore, 31 contrari, 89 astensioni) una risoluzione sulla situazione in Azerbaigian, la violazione dei diritti umani e del diritto internazionale, i rapporti con l’Armenia e la questione del patrimonio culturale e religioso armeno nel Nagorno Karabakh (Artsakh) nonché la detenzione di prigionieri di guerra armeni in violazione degli accordi e delle convenzioni internazionali.
Il viceministro degli Affari Esteri, on. Edmondo Cirielli, ha rilasciato una intemerata dichiarazione stampa criticando fortemente il voto dei parlamentari europei.
Non nuovo a tali esternazioni contro gli armeni e l’Armenia, l’on. Cirielli ha difeso a spada tratta il regime di Baku sorvolando peraltro su tutto il tema dei diritti umani e altre questioni che evidentemente non ritiene importanti.
Poiché si tratta non di un semplice parlamentare ma di un membro del governo in forza al Suo dicastero, gradiremmo sapere se la posizione assunta dal Vice Ministro Cirielli – così apertamente sbilanciata a favore dell’Azerbaigian e contro il pronunciamento del Parlamento Europeo – sia condivisa dal Ministero degli Esteri Italiano e dalla Sua Persona.
In qualità di cittadini italiani di origine armena, riteniamo che l’opportunità di preservare le forniture di gas azero (e non solo azero…) all’Italia non giustifichino i silenzi sulle gravissime violazioni di diritti umani in Azerbaigian che pongono il Paese tra le dieci peggiori dittature al mondo (fonte “Freedom house”).
Sul tema, dobbiamo purtroppo osservare come taluni esponenti di Fratelli d’Italia (su tutti i senatori Terzi e Scurria) sembrano dettare l’agenda della politica estera italiana ignorando quella opportuna posizione di equidistanza che ha contraddistinto l’operato della Farnesina negli anni.
Ringraziandola per l’attenzione che vorrà dare alla presente, voglia accettare i nostri migliori saluti e auguri di buon lavoro.

Consiglio Comunità armena di Roma.

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Lettera aperta sulle inqualificabili dichiarazioni del Viceministro Cirielli (Korazym)

la Repubblica d’Armenia ospiterà il vertice mondiale sulla biodiversità nel 2026. Cop17 (Esgdata 01.11.24)

La decisione è stata presa giovedì sera (31) in seguito a una votazione sulla sede della 17a conferenza delle parti (COP 17) nel 2026. L’Armenia, che era in competizione con l’Azerbaigian, ha vinto con 65 voti contro 58, ha annunciato il ministro colombiano dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile Susana Muhamad, presidente della COP16. Lo scenario descritto riflette un momento critico nei negoziati sulla biodiversità. La scelta dell’Armenia come sede della COP17 dimostra un passo verso la continuità delle discussioni e l’attuazione delle risoluzioni concordate.

Un messaggio di Dio agli armeni e al mondo che li ha scaricati (Tempi 01.11.24)

Non voglio spegnere fiammelle di speranza. Ci pensano da sole a estinguersi (qui da noi in Armenia, specie sui confini orientali, da cui passava l’aspra e dolce via della seta caucasica, lasciandosi alle spalle il lago di Sevan dai cui bordi vi scrivo, fratelli Italiani).

Ce n’è una che però appena si smorza, eccola ravvivarsi e si ostina a scottarmi le dita. La guardo, e provo ad illudermi. La Cop 29, cioè la XXIX Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico quest’anno si tiene dall’11 al 22 novembre, a Baku. Cosa ne penso? Che è uno schifo. È il premio che i Paesi occidentali porgono all’Azerbajgian mentre l’autocrate Ilham Aliyev agita lo scalpo del popolo Armeno e Cristiano cacciato dal nostro caro Artsakh/Nagorno-Karabach con una guerra di conquista in due tempi. Dapprima l’aggressione del settembre-novembre 2020, condotta con droni, missili e scimitarre dei pasdaran al soldo turco (duemila Armeni caduti in battaglia o liquidati a sangue freddo); quindi l’assalto definitivo con un blitz sanguinario il 19 settembre dello scorso anno e la cacciata da case, chiese e abbazie, vigne e tombe, dei 102mila Armeni, dopo che l’assedio di nove mesi, con complicità russa e silenzio europeo, aveva stremato per fame Stepanakert e i villaggi della regione.

Un voto mafioso di scambio. Questo è il mercimonio silenzioso che è intercorso anche in questi ultimi mesi tra Occidente e il duo Azerbajgian-Turchia. La conferma della Cop 29 a Baku dà enorme prestigio e mette in vetrina davanti al mondo la potenza economica e politica di Baku vassalla di Ankara.

Dapprima nel 2020, l’assenso alla prevaricazione azera contro l’enclave armena in Azerbaijan, fu un omaggio ai disegni di ricostituzione dell’Impero ottomano da parte della Turchia con il suo docile vassallo azero. Gas in cambio di silenzio accomodante e pieno di comprensione per la prosecuzione del genocidio contro gli Armeni.

Oh buon Signore, non riesco proprio a ingoiare queste ingiustizie, soprattutto insistite da parte della mia amatissima Italia. I due dittatori ottomani, il citato Azero, della dinastia brezneviana e cechista degli Aliyev, e il Turco Recep Tayyip Erdoğan, il quale – come ho documentato il mese scorso [QUI] – si è impunemente vantato di aver invaso con le sue truppe “il Nagorno”.

E quale sarebbe allora la speranza? La pressione americana su Baku perché accetti una pace che non metta più in discussione l’esistenza stessa dell’Armenia, come continuamente minacciato da documenti storici fasulli e dalla propaganda filo-turca. Un triste trattato di pace sarebbe. In quanto riconosce definitivamente come parte della Repubblica dell’Azerbajgian il nostro Artsakh. Ma lascia margini per una trattativa per il reingresso con garanzie di autonomia degli Armeni nella loro terra oggi occupata, magari in cambio di una via di comunicazione diretta tra Azerbajgian e Turchia, attraverso l’Armenia e il Nakhichevan, l’enclave azera nel nostro territorio.

Una presenza profetico in Libano

Quante cose vorrei dirvi sul Nakhichevan, e sull’estirpazione delle croci dalle tombe, la dispersione dei resti dei nostri cari, con un atto di disumanità che la dice lunga – tremo e temo – sul destino delle memorie cristiane e sui nostri monasteri e cimiteri in Artsakh (umanità viene, secondo l’etimologia proposta da Giovan Battista Vico, dal latino inhumare, seppellire, atto di pietà supremo anche tra nemici).

Fiammella flebile, flebilissima. Speranza mescolata a consapevolezza del nostro essere stati scaricati dai fratelli un tempo Cristiani nella pattumiera della storia, con un nuovo ordine mondiale che assegna il Caucaso meridionale e la sua anomalia Cristiana alla resa dei conti ottomana. Nulla sorride nel mondo alla nostra sorte.

C’è un’altra comunità armena, storicamente e culturalmente e profeticamente importantissima nel mondo: ed è quella che abita gloriosamente il Libano. La guerra, che mentre scrivo è in corso, mette in questione l’esistenza del Paese dei Cedri, che il vostro Papa San Giovanni Paolo II eresse a messaggio reale ed emblematico di una convivenza tra i figli di Abramo. Non tolleranti tra loro, ma capaci di riconoscimento fraterno, collaborando al governo della Nazione divisa in tre nazioni, anzi – se le contiamo tutte – in dodici nazioni. Tra esse quella Armena, e in particolare Armeno Cattolica.

L’ordine mondiale che cosa prevede per il Libano? Aspettiamo le elezioni americane, dicono tutti. Esse ci saranno quando questa mia lettera sarà già nelle vostre mani. Il Libano sarà una dependance ebraico-americana, magari con propaggini verso la Siria? La pace può mai essere – come scrisse Tacito – un deserto, dove conta solo sopravvivere, e al diavolo fede speranza e carità? Certo, Hezbollah è egemonico tra gli sciiti, e vuole la distruzione di Israele, ha spedito mille tra razzi e missili verso Haifa e Tel Aviv tra l’8 ottobre 2023 e il 7 ottobre 2024. Ovvio che lo Stato di Israele abbia il diritto di difendersi e soffocare future minacce esistenziali, ma la devastazione sistematica dei villaggi Cristiani nel Sud del Libano (di cui nessuno parla) da parte delle truppe davidiche non ha giustificazione.

Fiori e benedizioni

Eppure spero nel miracolo: non delle strategie furbe dei potenti, ma della preghiera.  Quella di noi poveri cristi mendicanti, e soprattutto quella in cielo dei nostri santi.

C’è un messaggio che Dio manda agli Armeni e al mondo proprio dal Libano. Vi chiedo di coglierlo nei segni straordinari che hanno accompagnato l’apertura della causa di beatificazione del Cardinale Agagianian. Quando ho visto l’immagine sono piombato, meschino come sono, in ginocchio: dimostra trent’anni e ne aveva 76 alla morte nel 1971 quel corpo incredibilmente intatto (davvero!) quando è stato aperto il sepolcro.

 

Il Servo di Dio Krikor Bedros Agagianian, già XV Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, è stato quindi traslato dalla chiesa armena di San Nicola da Tolentino in Roma alla cattedrale Cattolica Armena di Beirut, dedicata ai Santi Elia e Gregorio Illuminatore. C’è stata una cerimonia di unità nazionale e di dialogo interreligioso in piazza dei Martiri, qualcosa che nel caos degli ultimi anni è parso sorprendente. Il feretro è stato accompagnato alla tumulazione da fiori e benedizioni, portato a spalla da dodici rappresentanti delle dodici confessioni religiose. Fiammella non spegnerti (Di Krikor Bedros, cioè Gregorio Pietro, Agagianian racconterò prossimamente).

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero cartaceo di Tempi di novembre 2024 e sulla edizione online Tempi.it [QUI].

La traslazione del Servo di Dio Agagianian
da Roma a Beirut

Il 12 settembre 2024, al termine del Sinodo della Chiesa Armena Cattolica, è avvenuta la traslazione dalla chiesa di San Nicola da Tolentino adiacente al Pontificio Collegio Armeno, nel cuore di Roma, a pochi passi dal palazzo del Dicastero di Propaganda Fide che guidò dal 1960 al 1970 come Prefetto, a Beirut delle spoglie mortali del Servo di Dio Cardinale Gregorio Pietro (Krikor Bedros) Agagianian, XV Patriarca di Cilicia degli Armeni, figura di spicco della Chiesa armena e simbolo della cultura libanese, morto a Roma nel 1971 in odoro di santità.

 

Il volo proveniente da Roma che trasportava i resti mortali del Servo di Dio Agagianian è stato accolto all’aeroporto internazionale di Beirut da Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni, dal Primo ministro Najīb Mīqātī e dalle massime personalità religiose e politiche.

 

Poi, il feretro nell’urna trasparente portato a spalla da dodici rappresentanti delle dodici confessioni religiose, ha attraversato la città di Beirut, applaudito da migliaia di fedeli che lanciavano petali di rose come al passaggio di un santo, fino alla cattedrale armena dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore, dove è stato sepolto.

 

La cerimonia in piazza dei Martiri a Beirut è parsa una cosa sorprendente nel caos degli ultimi anni. Il Libano ha reso omaggio con profondo rispetto e devozione al compianto porporato, la cui traslazione rappresenta un momento straordinario e storico non solo per la Chiesa e la comunità armena Cattolica, ma per l’intera nazione libanese.

 

Ciò che ha reso straordinaria questa traslazione è che il corpo del Servo di Dio Agagianian, oltre mezzo secolo dopo la sua morte, malgrado non sia stato imbalsamato, durante il trasporto in Libano è apparso incorrotto, senza i tipici segni di decomposizione. perfettamente integro, con il suo volto tranquillo e sorridente.

Marco Mancini, giornalista di ACI Stampa ed esperto del Collegio cardinalizio, autore di una biografia di cardinali del XX secolo dal titolo Usque ad sanguinis effusionem: I Cardinali di Santa Romana Chiesa da Pio X a Francesco, ha affermato che “sebbene i corpi di personalità della Chiesa orientale ricevano solitamente una qualche forma di imbalsamazione, è chiaro che lo stato del corpo del cardinale non può essere definito meno che eccezionale, se non soprannaturale. E questo ha commosso le migliaia di fedeli Armeni che hanno visto il suo corpo in Libano”. Mancini ha aggiunto che la “fama di santità del cardinale era già nota nella Curia romana, tanto che è aperto un solido processo di beatificazione”.

 

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