Armenia: guardie di frontiera russe lasciano valico di confine con l’Iran (AgenziaNova 30.12.24)

Erevan, 30 dic 2024 16:11 – (Agenzia Nova) – Da oggi il controllo al valico di frontiera di Agarak, lungo il confine armeno-iraniano, è affidato esclusivamente alle guardie di frontiera di Erevan, un significativo cambiamento rispetto alla gestione precedente, che includeva anche l’impiego di truppe russe. Lo ha annunciato il primo ministro armeno Nikol Pashinyan sui suoi profili social. “Ringraziamo le guardie di frontiera russe per il loro servizio svolto sino ad ora, ma la nostra decisione riflette un percorso di maggiore autonomia nella gestione dei confini”, ha dichiarato Pashinyan, ricordando che dal 1992 il controllo al confine era stato condotto con l’assistenza russa. La transizione rientra in una più ampia strategia avviata nel 2024, che ha già visto le truppe armene assumere il controllo dei posti di frontiera all’aeroporto Zvartnots di Erevan. Dal primo gennaio 2025, il personale militare armeno gestirà interamente anche il posto di blocco al confine con l’Iran. Proseguiranno, invece, le attività di protezione congiunta con le guardie di frontiera russe dei confini con Iran e Turchia, mentre in precedenza Erevan aveva chiesto e ottenuto il ritiro dell’esercito e delle guardie di frontiera russe di stanza lungo il confine armeno-azerbaigiano.

Intervista a Ashot Grigoryan, sulla situazione in Est Europa (AdHocnews 29.12.24)

Intervista a Ashot Grigoryan, sulla situazione in Est Europa

Ashot Grigoryan, Presidente del PANAP Club di Vienna, nonché Ashot Grigoryan, Presidente del forum dei sindacati armeni in Europa,ha concesso un intervista sulle prospettive di pace e cessazione del conflitto in Ucraina

Alla luce del tuo lavoro, come valuti la relazione a breve termine tra il Regno Unito, i paesi del Commonwealth e la Russia di Vladimir Putin?

La mia famiglia vive a Londra, vengo qui molto spesso. Ho ottimi collegamenti ai massimi livelli. Camera dei Lord, governo e così via. Sulla base di tutto ciò, posso trasmetterti ciò che vedo e analizzo qui.
Sfortunatamente, il Deep State è molto attivo qui. Ora tutti capiscono già cosa si intende con questo concetto.

Questi sono i servizi segreti, più i gruppi finanziari e i loro interessi. E il Deep State in Gran Bretagna è molto, molto contro la Russia, molto contro Putin.

Il popolo britannico, ovviamente, ha un atteggiamento più moderato, ma è fortemente influenzato dalla propaganda, che è semplicemente colossale.
Dove porta questo?

Se la Russia fa lo stesso, ciò porterà alla terza guerra mondiale, entrambi gli stati dispongono di armi nucleari, il cui utilizzo porterà alla fine di tutta la vita su questo pianeta. A questo proposito, la Russia, guidata da Putin, sta perseguendo una politica più o meno equilibrata nei confronti della Gran Bretagna, e spero davvero che alla fine anche la parte britannica capisca che questa strada non serve, soprattutto se si guida il proprio popolo contro Russia.

Tutto ciò che non gli piace sono i paesi “autoritari” e “dittatoriali”. Questo approccio non funziona oggi, perché il mondo intero vede cosa significa la democrazia occidentale. Come minimo, dobbiamo rispettare i presidenti che hanno superato le elezioni e sono ufficialmente eletti nei loro stati.

Quindi, col tempo, se ne parlerà ovunque, e il vincitore sarà la parte che perseguirà una politica più o meno equilibrata e cercherà con tutte le sue forze di impedire una terza guerra mondiale.

Robert Fico è il primo ministro di un Paese che fa parte della NATO e dell’Unione Europea, anche se mantiene una posizione di forte autonomia; Ritiene che sia il mediatore giusto e più autorevole nei negoziati di pace tra Russia e Stati Uniti?

Ciò significa questo per quanto riguarda la politica di Robert Fico. In qualità di presidente del PANAP Club di Vienna, quest’anno (2024) ho organizzato due simposi. Il primo a febbraio, il secondo a giugno, dove abbiamo presentato la nostra proposta che Bratislava diventasse la capitale del mondo, e il secondo simposio di giugno lo abbiamo chiamato appunto “Bratislava – la capitale del mondo”, nel senso che già a paesi neutrali come la Finlandia – Helsinki, la Svizzera – Ginevra hanno ospitato importanti simposi di livello mondiale, così come l’Austria – Vienna, tutti questi luoghi sono diventati non neutrali, assolutamente non neutrali, ma noi vogliamo affinché in Europa appaia una piattaforma neutrale.

In questo senso, Bratislava, in Slovacchia, è un luogo eccellente per un incontro delle parti, dove c’è tutto il necessario per la loro tenuta e l’opportunità di concordare sulle questioni più importanti.

Oggi la questione più importante, ovviamente, è la guerra tra Occidente e Russia. Il 14 maggio ho presentato per iscritto la nostra teoria al signor Primo Ministro Fico, il 15 c’è stato un attentato alla sua vita, e alla fine solo il 29 agosto ho potuto discutere con lui di questo problema. Il signor Primo Ministro ha detto che è assolutamente unanime con me e posso presentare questa nostra teoria come comune.

La teoria era questa: Bratislava è la città della Pace, dove sarà possibile tenere il terzo simposio con la partecipazione del Presidente Putin e del Presidente Trump. Ciò è possibile, diciamo, a febbraio o marzo 2025.

Per quanto riguarda la politica stessa di Robert Fico, questa è la politica di un funzionario governativo altamente professionale, un funzionario governativo molto anziano. Pensa non solo alla Slovacchia, ma anche alle conseguenze per l’intera Europa, cioè pensa anche al futuro dell’Europa unita.

Riuscirà in ciò che ha iniziato?

Sulla base delle mie profonde convinzioni, posso dire con sicurezza che sì, funzionerà. Ancora più importante, la domanda è: sarà lui la persona che potrà guidare tutto?

Sì, Roberto Fico è la persona che è pronta ad affrontare i problemi dell’Occidente, così come i problemi dell’Europa dell’Est, in modo assolutamente obiettivo e che può assumersi la soluzione di questi problemi.

Ne sono assolutamente sicuro, perché lo conosco bene, da più di 20 anni.
Quindi i nostri simposi hanno dato un risultato fenomenale perché si sono svolti a Bratislava, dove c’è Robert Fico, dove c’è Lubos Blaha, che ha parlato con noi nella persona del vicepresidente del parlamento slovacco, ed è ora membro del Parlamento Europeo a Bruxelles.
Ecco, insomma, la base su cui si può e si deve lavorare, che occorre sviluppare e trasformare pensieri in azioni che possano fermare lo sviluppo della terza guerra mondiale.

L’Occidente è, ovviamente, guidato dagli Stati Uniti, che, tuttavia, con la presidenza Trump potrebbero abbandonare gli impegni europei e concentrare le forze del Pacifico. Come potrebbero evolversi i rapporti tra il resto dell’Occidente e la Russia alla luce di una simile ipotesi?

L’Occidente è certamente guidato dagli Stati Uniti d’America e così via. Risposta – Sì, gli Stati Uniti d’America svolgono un ruolo enorme nello sviluppo della cosiddetta democrazia occidentale, ma non dimenticare che anche il Deep State svolge un ruolo altrettanto importante.

E a questo proposito, è abbastanza rischioso dire qualcosa adesso su come si svilupperanno le relazioni con l’Occidente quando Trump sarà alla guida dell’America e quali saranno le relazioni con la Russia. Ci aspettiamo tutti una politica completamente nuova da Trump, questo chiaramente è già sorprendente, e molto probabilmente cercherà di mantenere tutto ciò che ha promesso durante i suoi incontri elettorali e cambierà molto, come vedremo anche il prossimo mese.

Quindi a questo proposito ho speranza, perché se non riuscirà a mantenere almeno il 90 per cento delle sue promesse, anche per lui diventerà un problema. Ma, d’altra parte, tutti questi suoi nuovi annunci, il Canada è il 51esimo stato, la Groenlandia dovrebbe essere l’America e così via.

Tutto ciò è allarmante, quindi nonostante le mie aspettative assolutamente ottimistiche, potrebbero esserci delle brusche svolte.

Quali saranno le reali prospettive concrete della presidenza di Donald Trump ed è possibile una distensione permanente con la Federazione Russa?
Per quanto riguarda le relazioni dirette tra Trump-Putin e Stati Uniti-Russia, vedo cose più positive lì, e penso che Putin e Trump potranno ancora incontrarsi, capirsi e accettare di sospendere la guerra in Europa.

E influenzano anche punti caldi molto pericolosi nel mondo, questo è il Medio Oriente, lì c’è una catastrofe, lì è necessario fermare lo sviluppo della terza guerra mondiale.

Quindi, lo ripeto, noi in Slovacchia, in Europa, abbiamo annunciato che Bratislava sarà la capitale del mondo, cioè la città dove verranno firmati i trattati di pace.

Manterremo la nostra linea affinché, a Bratislava, venga firmato il primo accordo, il primo passo per la pace con la partecipazione di Putin e Trump, e tra sei mesi un altro secondo passo, un altro simposio in cui il futuro, un futuro pacifico, sarà chiaramente definito.
Questo è il nostro piano e credo fermamente che Trump sarà pronto a sostenere Putin in questo senso.

Per quanto riguarda il ruolo che l’Armenia potrebbe assumere alla luce delle nuove prospettive di riequilibrio internazionale, quale percorso crede che prenderà questo Paese per riequilibrare le potenze mondiali e le loro zone di influenza?

L’Armenia ha sempre avuto un peso notevole nel Caucaso meridionale e ha rappresentato una forza.

Nel 2018 lì è stata organizzata una rivoluzione colorata, che è diventata semplicemente un disastro per l’Armenia, nel senso che le persone della strada, così come ovunque durante le rivoluzioni colorate, sono diventate capi di stato, in particolare un giornalista senza successo che non si è nemmeno laureato in Università. Non poteva, Nikol Pashinyan, laurearsi all’università. È diventato primo ministro.

Ebbene, cosa aspettarsi da una persona simile?

Approcci assolutamente poco professionali, da un lato, e atteggiamenti ostili nei confronti dei loro alleati Russia, Eurasia e così via.

Ciò ha portato a un grande disastro.
L’Armenia non è isolata perché i partner comprendono che si tratta di un fenomeno temporaneo, come ai tempi di Saakashvili in Georgia. E i partner Russia e Bielorussia aspettano che il popolo armeno si liberi da questo fenomeno catastrofico.

Naturalmente, senza un aiuto esterno è difficile capirlo, perché l’Occidente sostiene fortemente Nikol Pashinyan, ma d’altra parte questa regione è esplosiva e dobbiamo sicuramente trovare una soluzione rapida lì.

Dopotutto, questo è il Grande Medio Oriente, dove Iran, Israele e altri hanno problemi irrisolvibili. Gli armeni hanno acquisito forza attraverso la loro diaspora. Circa 10 milioni di armeni vivono in tutto il mondo. In Armenia vivono circa 2,7 milioni di armeni.

E attraverso i nostri collegamenti con la diaspora, eccomi qui, come presidente del forum dei sindacati armeni in Europa, lavoriamo molto duramente come lobbisti armeni e cerchiamo di salvare l’Armenia, perché se non aiutiamo tutti insieme l’Armenia, allora paesi come Azerbaigian e Turchia, che hanno una politica aggressiva e hanno piani aggressivi contro l’Armenia che possono danneggiare il paese.

Questo da un lato, dall’altro, sì, l’Armenia, attraverso la sua diaspora, a volte risolve i problemi mondiali, quindi spero che prenderemo tutto nelle nostre mani, l’Armenia diventerà quello che dovrebbe essere, sarà un paese molto grande amico intimo, fratello dei paesi L’Unione Eurasiatica, con tutti, avrà un grande futuro.

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La Nona di Beethoven all’Auditorium. Tjeknavorian e l’inno alla fratellanza (Il Giorno 29.12.24)

Per il mondo della musica è lui il personaggio dell’anno, per la nostra città, per chi ama la classica Emmanuel Tjeknavorian è un cambiamento importante. Con lui la musica non sarà più quella di prima. Violinista acclamato nel mondo, direttore d’orchestra, ora guida l’Orchestra Sinfonica di Milano. Nato a Vienna nel 1995 in una famiglia di musicisti armeni, dirige la Sinfonica nella Nona di Beethoven; oggi all’Auditorium alle 16, lunedì, martedì alle 20 e mercoledì alle 16. Con l’Orchestra Sinfonica, il Coro Sinfonico di Milano diretto da Massimo Fiocchi Malaspina; Elisabeth Breuer soprano, Caterina Piva mezzosoprano, Katleho Mokhoabane tenore, Jusung Gabriel Park basso. Talentuoso, empatico, Tjeknavorian si racconta.

Maestro cosa significa, per lei, eseguire per la prima volta a Milano, la Nona?

“Dirigerla al giro di boa dell’anno assume un significato profondo. La Sinfonia è un viaggio – dall’oscurità alla luce, dal caos all’unità – e rispecchia la speranza universale che portiamo con noi per il nuovo anno. Quando ci lasciamo alle spalle un passato e ci avviamo al nuovo, la Nona diventa meditazione condivisa su resilienza, rinnovamento e l’inesauribile capacità umana di gioia. Non è solo musica, ma una dichiarazione spirituale, un invito a riflettere su ciò che ci lega come comunità globale”.

E nel momento di passaggio fra un anno e l’altro?

“In questi tempi, in cui il mondo sembra fratturato da divisioni e incertezza, la Nona porta con sé un messaggio senza tempo di solidarietà e pace. Beethoven ha composto il capolavoro in mezzo alle sue lotte, ma è andato oltre la disperazione personale per creare una visione di armonia universale. Questo risuona profondamente oggi: ci ricorda che in mezzo alle turbolenze possiamo immaginare e lavorare per un futuro migliore. Eseguirlo ora significa risvegliare il suo appello alla fratellanza e affermare i valori che uniscono”.

In anni di conflitti cosa comunicano i versi di Schiller?

“Ascoltare l’Inno alla Gioia nel contesto del suo ruolo di Inno europeo aggiunge strati di significato. Simboleggia un patrimonio condiviso e l’aspirazione all’unità tra le nazioni. Al di là delle sue associazioni politiche, trascende confini, culture e ideologie. Oggi possiamo considerarlo non solo come un ideale europeo, ma come inno universale, che ci ricorda che la gioia e la fraternità non sono limitate a un continente o a un popolo, ma sono il diritto di nascita di tutta l’umanità”.

Papa Francesco ha aperto il Giubileo nel segno della speranza. Cosa significa sperare?

“Per me è un atto di coraggio e fede, la convinzione che, nei momenti più bui, c’è una luce. È l’energia che ci spinge avanti, la forza che ci porta a creare, a guarire e a connetterci. La speranza non è passiva; richiede di impegnarci con il mondo e gli altri. Nella musica trovo la metafora della speranza: ogni nota anticipa la successiva, ogni risoluzione un nuovo inizio”.

Cosa darà e cosa pensa di ricevere dalla Sinfonica?

“Questa nomina è un onore e una responsabilità. Spero di portare la mia visione, la passione e la dedizione. Darò il massimo per onorare la tradizione dell’Orchestra, e ispirare nuove vie. Quel che riceverò sarà altrettanto grande: l’energia creativa di musicisti straordinari, il calore del pubblico e la possibilità di crescere insieme attraverso l’arte. Questa collaborazione non riguarda solo l’esibizione, ma la costruzione di qualcosa di duraturo per Milano e non solo”.

Come vive queste giornate di festa?

“Dalle mie origini armene traggo il senso della famiglia, della resilienza e della gratitudine, valori celebrati in rituali che ci collegano ai nostri antenati. Da quelle austriache l’amore per la musica, la riflessione. Amo queste festività: sono una sinfonia di gioia, memoria e attesa”.

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Yerevan, porta tra Oriente e Occidente, la meta da vedere nel 2025 (Eventinews 27.12.24)

Yerevan, porta tra Oriente e Occidente, la meta da vedere nel 2025

Yerevan, porta tra Oriente e Occidente, la meta da vedere nel 2025

È una delle Capitali più antiche del mondo e, solo ultimamente, il numero di voli diretti dall’Italia, anche low cost, si è moltiplicato in modo esponenziale rendendo Yerevan (o Erevan) una città facilmente raggiungibile e che merita davvero di essere visitata. Bellissime le sue strade e le sue ampie piazze, animate di giorno e di sera. Sontuosi i palazzi e i monumenti che raccontano la lunga storia di questa città, e di un Paese, l’Armenia, porta d’accesso tra Oriente e Occidente. Tantissimi anche i parchi e i giardini che regalano ampio respiro ai lunghi viali trafficati dove passeggiare. L’abbiamo visitata e ne siamo rimasti affascinati. Ecco perché la riteniamo una delle città da visitare al più presto, non soltanto per la sua ricca varietà di modernità, di storia e di tradizione (anche enogastronomica), ma proprio perché è la porta d’accesso a un Paese meraviglioso, non ancora battuto dal turismo di massa, che deve assolutamente essere inserito nella vostra wish list, prima che ci vadano tutti.

Cosa vedere a Yerevan

Molto si concentra nella centralissima piazza della Repubblica, considerata una delle piazze più raffinate del XX secolo. Circondata da bei palazzi governativi e da hotel di lusso ricavati in edifici di tufo rosa proveniente dalle montagne dell’Armenia e da ampie fontane che, ogni sera, si animano con uno show di suoni e luci che attira una gran folla. Completamente ridisegnata alla caduta dell’impero sovietico negli Anni ’90, un tempo ospitava anche una grande statua di Lenin che venne rimossa.

Musei da non perdere

Sulla piazza s’affaccia uno dei musei più importanti del Paese, la Galleria nazionale d’Armenia con il Museo nazionale di storia, che, tra le sale, espone alcuni degli oggetti più preziosi che esistano sulla faccia della Terra: la scarpa di pelle più antica del mondo, realizzata ben 5.500 anni fa e scoperta all’interno di una grotta nella provincia di Vayotz Dzor, dove sono state trovate anche delle antiche giare appartenenti a quella che gli esperti hanno definito la cantina più vecchia del mondo, “Areni 1 Cave” che risale a 6.000 anni fa.

Fonte: Ufficio stampa

Il profilo del Monte Ararat visto da Yerevan

Non si può visitare Yerevan senza tenere conto della triste storia recente dell’Armenia visitando il Memoriale del genocidio armeno con il suo museo, che si trovano a una ventina di minuti d’auto dal centro. La costruzione comprende una stele di 44 metri che svetta sulla spianata della collina di Dzidzernagapert e un cerchio di pietre al centro del quale arde la fiamma eterna in ricordo delle vittime del genocidio. Il monumento si può visitare anche di sera a museo chiuso. All’interno del museo sotterraneo sono esposti cimeli e documenti storici.

Complesso Cascade

Non lontano dalla piazza c’è quello che è considerato il simbolo di Yerevan, la Cascata o Complesso Cascade, una scalinata monumentale realizzata in pietra calcarea con giardini alla base – abbelliti da opere d’arte di grande valore, tra cui alcune sculture di Botero, – e su ogni livello con giardini terrazzati da cui godere di una bella vista sulla città fino al Monte Ararat e da molte altre installazioni artistiche. La costruzione iniziò quando ancora l’Armenia si chiamava Repubblica Socialista Sovietica Armena, ma fu interrotta a causa del terribile terremoto che colpì la città nel 1988. Solo negli Anni 2000 l’area fu ceduta al magnate statunitense di origine armena Gerard Cafesjian, che fece concludere la scalinata e donò le proprie opere che ancora oggi si possono ammirare nel Cafesjian Center for the Arts.

Abovyan Street

La via dove si concentrano hotel, ristoranti, locali e negozi di artigianato armeno è Abovyan Street. Questa strada centralissima è molto animata a qualunque ora del giorno e della sera ed è un piacere passeggiare e fare una sosta ristoratrice osservando la vita degli abitanti di Yerevan. Qui si trova anche la piazza intitolata a Charles Aznavour, uno dei più influenti musicisti di tutti i tempi che, oltre a essere un’icona della cultura francese, lo è soprattutto di quella armena. La madre dell’artista, infatti, era una delle sopravvissute al genocidio armeno (la Aznavour Foundation, creata dallo stesso Charles insieme al figlio Nicolas, ancora oggi realizza progetti sociali tra la Francia. dove c’è la più grande comunità armena, e l’Armenia).

Fonte: Ufficio stampa

Un negozio di artigianto armeno a Yerevan

Vernissage Market

Non solo per fare acquisti, ma anche solo per farsi un’idea della produzione artigianale armena, questo grande mercato all’aperto lungo Aram Street e Buzand Street espone manufatti di ogni genere, dai gioielli ai tappeti fatti a mano, dai dipinti ai souvenir. Un viaggio nella cultura e nei tesori dell’Armenia nel cuore della Capitale. È aperto tutti i giorni dalle 9 alle 18.

Altri mercati

Oltre al Vernissage, vale la pena visitare anche uno dei mercati coperti di Yerevan, dove vendono una delle più importanti specialità armene, la frutta essiccata. Se non siete fan di questo tipo prodotto, merita comunque una visita per ammirare le bancarelle stracolme di coloratissima frutta essiccata disposta in modo perfetto sugli scaffali. Dall’ananas ai pomodori, dalle mele alle pere, dai kiwi alle barbabietole, dalle albicocche alle arance, ogni frutto qui viene conservato con questa tecnica che serve a prolungare la durata degli alimenti.

Quartiere Kond

Segni del terremoto sono ancora ben visibili in uno dei quartieri più interessanti della città, che sta pian piano attirando turisti: Kond. Situato leggermente in collina, questo crocevia di antiche strade dissestate e di edifici rattoppati ma molto suggestivi è davvero pittoresco per i bei murales che colorano le pareti, per le abitazioni ricavate ovunque, anche nella vecchia moschea, e per i baretti che spuntano dove meno ci si aspetta.

Fonte: Ufficio stampa

Il quartiere Kond a Yerevan

Le esperienze enogastronomiche

La cucina armena è perfetta per chiunque, anche per vegetariani e vegani perché è ricca di verdure cucinate nei modi più disparati. Tipicamente, quando ci si siede in un ristorante o in una trattoria armena, vengono serviti tantissimi piatti tutti assieme che comprendono insalate di pomodori, cetrioli, olive, melanzane e involtini di cavolo chiamati tolma, accompagnati dal pane lavash. Da provare è la pizza armena”, lahmacun, condita con carne macinata, cipolle tritate, aglio e pomodori pelati schiacciati, il tipico ghapama, un piatto a base di zucca svuotata e riempita con riso cotto, uvetta, frutta secca, cannella, zucchero o miele e le grigliate di carne.

Ottimo è anche il vino armeno. La tradizione vitivinicola qui è molto antica, come dimostra la Areni 1 Cave di cui abbiamo parlato, tanto che l’Armenia viene considerata uno dei Paesi “culla” del vino e nel 2024 ha ospitato la Conferenza globale sul turismo del vino di UN Tourism. In Armenia ci sono oltre 500 vitigni autoctoni e i più diffusi includono l’Areni noir e il Lalvari, usato nella spumantizzazione. Molte delle uve prodotte in Armenia vengono impiegate per la produzione di brandy. Proprio a Yerevan si può visitare la Ararat Brandy Factory che produce questo distillato fin dal 1887 prendendo parte a un tour guidato del museo con tanto di degustazione.

La vicinanza geografica e la comodità dei collegamenti aerei rendono Yerevan, e l’Armenia, una meta perfetta per un city break senza allontanarsi troppo dall’Italia, ma immergendosi in un affascinante viaggio culturale di tre-quattro giorni. In una settimana si possono anche visitare alcuni siti fuori città, ma questo è un altro viaggio.

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Mkhitaryan eletto miglior giocatore dell’Armenia per la 12esima volta (FcInter1908.it 27.12.24)

Mkhitaryan è stato proclamato, per la dodicesima volta, miglior giocatore dell’Armenia. La Federcalcio armena ha pubblicato i risultati della votazione per il miglior calciatore del Paese nel 2024 in una nota stampa pubblicata sul sito ufficiale. 

Mkhitaryan eletto miglior giocatore dell’Armenia per la 12esima volta- immagine 2

“Il centrocampista dell’FC Inter Milan  Henrikh Mkhitaryan  è al primo posto con 87 punti. Il centrocampista della nazionale armena e dell’SK Slovan  Tigran Barseghyan  è al secondo posto con 62 punti. Il centrocampista della nazionale armena e dell’FC Krasnodar  Eduard Spertsyan  (24 punti) si è classificato al terzo posto”, si legge sul sito ufficiale.

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La Russia arretra in Armenia e con la caduta di Assad si rischiano contraccolpi anche in Africa (AgenziaNova 26.12.24)

Dall’Armenia alla Siria, con potenziali contraccolpi sull’Africa: la Russia è chiamata a guardare oltre il conflitto in Ucraina per riuscire a mantenere la sua influenza in alcuni territori storicamente vicini. La Russia sta progressivamente perdendo la sua posizione di alleato strategico in Armenia. La recente riluttanza di Mosca a intervenire nel conflitto del Karabakh – culminato con la vittoria dell’Azerbaigian – ha suscitato profonda insoddisfazione a Erevan. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha chiaramente preso le distanze dall’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), l’alleanza militare guidata dalla Russia. L’Armenia, in passato uno dei più fedeli alleati di Mosca, oggi valuta alternative per garantirsi sicurezza e stabilità. Secondo la rivista statunitense “Newsweek”, l’abbandono dell’Armenia rappresenta un ulteriore esempio della crescente incapacità di Mosca di mantenere l’influenza in regioni storicamente considerate nella sua sfera d’interesse. L’inerzia russa ha dato spazio a nuovi equilibri geopolitici, con Erevan che guarda con maggiore interesse verso partner occidentali, come dimostrato dal progressivo rafforzamento dei legami con l’Unione europea.

Per la Russia, poi, c’è la questione siriana. La caduta del regime di Bashar al Assad rappresenta una grave battuta d’arresto per la Russia. Dopo aver investito risorse militari e finanziarie per sostenere Assad, Mosca si ritrova ora con una perdita sia strategica che simbolica. Come si legge in un’analisi di Chatham House, il fallimento della Russia nel garantire la sopravvivenza del regime siriano mette in discussione il suo ruolo di “garante della stabilità” per altri regimi autoritari. Dal 2015, l’intervento militare russo in Siria aveva consolidato la presenza di Mosca come potenza regionale. Tuttavia, la caduta di Assad ha inferto un colpo alla reputazione della Russia come alleato affidabile e ha compromesso la sua posizione nel Mediterraneo orientale. Le basi di Tartus e Khmeimim, fondamentali per l’accesso russo alle rotte logistiche verso l’Africa, sono ora a rischio. Insomma, si tratta di una fase di evidente difficoltà per il presidente Vladimir Putin. La perdita di Damasco non solo indebolisce l’influenza russa nel Medio Oriente, ma impatta anche le operazioni militari e logistiche in Africa, un continente in cui Mosca aveva recentemente cercato di espandere la propria presenza.

L’instabilità siriana rischia di avere un effetto a catena. La base aerea di Khmeimim era un tassello cruciale nella strategia russa per proiettare potenza verso l’Africa. La perdita di questa infrastruttura obbligherà Mosca a ristrutturare le sue operazioni logistiche, un processo che richiederà tempo, risorse finanziarie e un ripensamento strategico. Tuttavia, secondo Chatham House, la Russia potrebbe considerare la situazione in Siria come un’opportunità per ritirarsi da un conflitto ormai insostenibile. Con l’attenzione focalizzata sulla guerra in Ucraina, Putin difficilmente avrebbe potuto permettersi di continuare a finanziare il regime di Assad. In questo contesto, il crollo del regime siriano permette a Mosca di evitare un impegno finanziario e militare simile a quello sovietico in Afghanistan.

L’incapacità della Russia di mantenere il controllo su alleati chiave come l’Armenia e la Siria riflette un più ampio declino della sua influenza geopolitica. La perdita di questi partner non è solo un problema strategico, ma rappresenta anche un colpo alla narrazione russa di essere un’alternativa affidabile all’Occidente. L’influenza di Mosca, peraltro, risulta minacciata anche in altri Paesi, come la Moldova e la Georgia, dove il sentimento antirusso sta crescendo. Le recenti proteste in Abkhazia – regione georgiana occupata dal 2008 – contro l’aumento della presenza russa sono un’ulteriore spia del malcontento nelle ex spazio sovietico.

L’indebolimento della posizione russa in Armenia e in Siria evidenzia le crescenti difficoltà di Mosca nel mantenere il controllo geopolitico. La perdita di Assad non solo mina la sua influenza in Medio Oriente ma ostacola anche le ambizioni africane del Cremlino. Parallelamente, l’allontanamento dell’Armenia dimostra come la leadership di Putin stia perdendo terreno anche nelle regioni storicamente vicine alla Russia. Se queste tendenze dovessero continuare, le mire del Cremlino di formare un fronte alternativo alla comunità occidentale potrebbero essere messe in seria discussione: dall’invasione dell’Ucraina, infatti, Mosca cerca con il sostegno di Paesi come Cina e India di fare fronte comune contro l’isolamento cui è stata sottoposta sulla scena globale.

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Il ruolo dell’oro nella resistenza della Russia alle sanzioni (InsiderOver 25.12.24)

Mentre il dibattito pubblico si concentra sulle sanzioni economiche e sulle implicazioni geopolitiche del conflitto russo-ucraino, un elemento cruciale passa spesso inosservato: l’importanza strategica dell’oro nelle dinamiche economiche e militari della Russia. Questo metallo prezioso, oltre a essere una risorsa economica, è diventato una leva fondamentale che il Cremlino utilizza per aggirare le sanzioni occidentali, mantenere il funzionamento della macchina bellica e consolidare la propria influenza geopolitica, soprattutto in Africa.

L’oro come ancora economica

Secondo il World Gold Council, la Russia è il secondo produttore mondiale di oro, con 324,7 tonnellate estratte nel 2023, una quantità che rappresenta una risorsa di enorme valore economico e strategico. Grazie a un sistema di commercio sofisticato e al supporto di Paesi amici come Emirati Arabi, Cina e Turchia, Mosca riesce a utilizzare l’oro per ottenere valuta forte, beni strategici e armi, aggirando in modo efficace le restrizioni imposte dalle sanzioni internazionali.

Il legame tra il rublo e l’oro, stabilito dal Cremlino, rafforza ulteriormente la resilienza economica della Russia, consentendo al governo di mantenere un minimo di stabilità interna e di finanziare le operazioni militari in Ucraina. Ogni tonnellata d’oro vale circa 65 milioni di dollari, una cifra che permette al Cremlino di accedere a risorse critiche senza dipendere dai tradizionali circuiti finanziari occidentali.

Hub globali e il ruolo dell’Africa

La strategia russa si estende ben oltre i confini nazionali. Paesi come l’Armenia e il Sudan svolgono un ruolo centrale nel traffico di oro russo. L’Armenia, ad esempio, funge da snodo logistico fondamentale, importando ingenti quantità di oro russo per poi riesportarlo negli Emirati Arabi e in Cina, aggirando così i divieti imposti dal G7. Tra gennaio 2023 e marzo 2024, l’Armenia ha movimentato 111 tonnellate d’oro, un volume pari a un terzo del suo PIL, evidenziando la portata globale di questa rete commerciale.

In Africa, la presenza russa è ancora più radicata. Nel Sudan devastato dalla guerra, l’oro è diventato una delle principali risorse per finanziare conflitti e accordi con Mosca. I mercenari del Gruppo Wagner, ormai sotto il controllo diretto dell’intelligence militare russa, gestiscono attività estrattive e accordi con signori della guerra locali, utilizzando l’oro come moneta di scambio per armi e influenza geopolitica. Questo modello si ripete in altri Paesi africani, come il Mali, dove i mercenari russi hanno preso il controllo di diverse miniere d’oro, rafforzando il legame tra risorse naturali e geopolitica.

Un’arma silenziosa contro le sanzioni

La capacità della Russia di utilizzare l’oro per sostenere la propria economia e finanziare la guerra dimostra l’efficacia delle strategie alternative adottate da Mosca per resistere alle pressioni internazionali. Le sanzioni occidentali, sebbene estese e pervasive, non sono riuscite a bloccare del tutto le entrate russe grazie a questa rete di commercio parallelo. Inoltre, il controllo di miniere in Africa e l’espulsione di aziende occidentali dai mercati locali rafforzano la posizione russa nel continente, a discapito delle ex potenze coloniali come la Francia.

Le implicazioni globali

La crescente dipendenza della Russia dall’oro evidenzia una trasformazione nelle dinamiche economiche globali. Il metallo prezioso non è solo una risorsa economica, ma anche un mezzo per costruire alleanze strategiche, aggirare le restrizioni internazionali e consolidare l’influenza geopolitica. Tuttavia, questa strategia solleva interrogativi significativi: fino a che punto le potenze occidentali possono ignorare il ruolo dell’oro nel finanziare le operazioni russe? E quale impatto avrà questa corsa all’oro sulla stabilità politica ed economica dei Paesi coinvolti, soprattutto in Africa?

Conclusione

L’oro è una delle risorse più sottovalutate nel dibattito sulle relazioni internazionali e sulle strategie economiche della Russia. La sua importanza va ben oltre il semplice valore economico: rappresenta una leva geopolitica che Mosca utilizza con grande abilità per mantenere il controllo interno e rafforzare la propria presenza globale. Ignorare questa dimensione significa trascurare un elemento fondamentale per comprendere la resilienza della Russia e il futuro degli equilibri geopolitici globali.

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Israele Ha Tradito gli Armeni del Nagorno Karabagh. Non Ripeta l’Errore con i Curdi. Michael Rubin, 1945. (Stilum Curiae 24.12.24)

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, una amico e collega, Vasilios Meichanetsidis, ci segnala questo interessante articolo di Michael Rubin, a cui va il nostro grazie. Buona lettura e condivisione.

Di immediato interesse per il resto di noi in Grecia e nella terraferma di Cipro.

 

 

Il noto analista americano di origine ebraica Michael Rubin avverte Israele di non ripetere con i curdi l’errore/tradimento commesso con gli armeni dell’Artsakh/Nagorno Karabakh e di mantenere le alleanze…

Il 27 settembre 2020 è iniziato come una tranquilla domenica mattina nel Nagorno-Karabakh , una regione montuosa popolata da armeni che, a prima vista, sembra la Svizzera : campi verdi, fattorie ondulate e montagne innevate con chiese e monasteri che punteggiano i pendii. Erano passati solo pochi giorni dal 100° anniversario dell’invasione ottomana dell’Armenia indipendente alla fine del genocidio armeno, ma quell’anniversario era trascorso con il minimo clamore da parte dei turchi e degli azeri.

Poi è iniziata l’esplosione, mi hanno descritto gli armeni del Nagorno-Karabakh quando sono andato a trovarli settimane dopo. Utilizzando droni e munizioni israeliani, l’Azerbaijan ha lanciato un attacco a sorpresa all’enclave armena autonoma, il primo di molti attacchi nei tre anni successivi in cui l’Azerbaijan ha violato i cessate il fuoco fino a completare la pulizia etnica del Nagorno-Kabarakh.

La rabbia verso Israele resta profonda tra i rifugiati del Nagorno-Karabakh, l’Armenia vera e propria e la comunità armena in generale.

Francamente, hanno ragione. Israele è uno dei pochi paesi occidentali che non riconoscono il genocidio armeno. Questa rabbia è persistita mentre l’Azerbaijan ha iniziato sistematicamente a smantellare le chiese armene e a sabbiare le iscrizioni sui monasteri, alcuni vecchi di oltre un millennio. È stata una strategia a breve termine e controproducente da parte di Israele, poiché il sostegno di Israele alla pulizia etnica degli armeni del Nagorno-Karabakh e alla distruzione del patrimonio culturale da parte dell’Azerbaijan ha creato un precedente che potrebbe essere usato contro gli ebrei che vivono in Cisgiordania, specialmente tra i palestinesi che negano qualsiasi legame ebraico con la terra.

Gli israeliani, come il commentatore Mordechai Kedar, ad esempio , potrebbero sostenere che l’Azerbaijan è un paradiso per gli ebrei, ma questo è sempre più falso. Le argomentazioni di Kedar si basano su numeri obsoleti e ripetono le stesse tattiche usate dai partigiani iraniani per sostenere che la Repubblica islamica era semplicemente anti-Israele, non antisemita. La realtà è che l’Azerbaijan ha perso i suoi ebrei per un motivo. Quando le statistiche sulla popolazione rimangono invariate per decenni, è un segno che quelle statistiche sono obsolete se non false.

Né reggono gli argomenti realisti di Israele per giustificare le armi israeliane per l’Azerbaijan. L’Azerbaijan potrebbe essere stato un tempo una fonte di energia cruciale per Israele, ma gli Accordi di Abramo hanno aperto nuovi canali in assenza del bagaglio morale insito nell’aiutare un dittatore razzista a eliminare una comunità minoritaria. In privato, tutti tranne coloro che vogliono qualcosa Il presidente azero Ilham Aliyev riconosce quanto Aliyev sia diventato repressivo e squilibrato; Aliyev stesso non cerca di nascondere il suo programma . Né Israele si mostra consapevole del vero ruolo dell’Azerbaijan quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan pianifica apertamente la violenza contro Israele e rafforza l’industria militare interna della Turchia ma usa l’Azerbaijan per continuare a commerciare con lo stato ebraico. Israele deve rimuovere i suoi paraocchi strategici: ogni consegna israeliana a Baku fornisce tecnologia che Ankara può usare contro Gerusalemme.

La complicità di Israele nella pulizia etnica del Nagorno-Karabakh rappresenta una macchia difficile da rimuovere, ma può anche fornire una lezione da non ripetere: gli accordi a breve termine con gli avversari ideologici di Israele non portano la pace; al contrario, incoraggiano i nemici. La Turchia può presentare un volto ai turisti a Istanbul, Bodrum o Antalya, ma ideologicamente, lavora per sradicare le minoranze mediorientali, siano esse cristiani armeni o caldei, curdi siriani, yazidi, alawiti o ebrei.

I curdi siriani ora affrontano un pericolo esistenziale mentre l’esercito turco si fa duro. L’accusa della Turchia che i curdi rappresentino una minaccia terroristica è una sciocchezza; piuttosto, la Turchia si oppone al liberalismo dei curdi, al loro autogoverno e al loro rifiuto dell’Islam ispirato dalla Fratellanza Musulmana di Erdogan, un’interpretazione dell’Islam storicamente estranea alla regione.

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I Parlamentari Europei di Fratelli d’Italia votano contro il rispetto dei diritti umani!!! (Politicamentecorretto 23.12.24)

Lo scorso 19 dicembre il parlamento europeo ha votato una risoluzione che ancora una volta condanna l’Azerbaigian per la terribile situazione dei diritti umani in quel Paese. Non solo per gli oppositori politici ma anche per i prigionieri di guerra armeni illegalmente detenuti dal regime di Aliyev.

La risoluzione è passata a larghissima maggioranza: 434 voti a favore, 89 astenuti e solo 30 contrari.

I voti contrari provengano purtroppo per buona parte dall’Italia (19) e specificatamente dal gruppo di Fratelli d’Italia.

E’ incredibile come una risoluzione di tal importanza morale, che si esprimeva a difesa dei diritti umani, abbia potuto avere il voto contrario di rappresentanti del popolo italiano.

Il gruppo che ha votato contro è capitanato dal ministro della Difesa, Crosetto, insieme ai parlamentari del suo partito, a differenza di quasi tutto il resto del parlamento europeo, ha ritenuto assolutamente necessaria l’opposizione a una mozione sui diritti umani non si sa se per vendere più armi al regime di Aliyev o con la improbabile scusa di salvaguardare le forniture di gas.

Ovviamente c’era anche la scelta diplomatica di astenersi, però con il voto espresso risulterebbe palese che Fratelli d’Italia preferisce stare dalla parte di un regime che è considerato tra i dieci peggiori e oppressivi al mondo, alla faccia dei diritti umani e del rispetto della dignità di ogni essere umano..

Finché c’è guerra c’è speranza, recitava il titolo di un vecchio film con Alberto Sordi.

I moderni mercanti preferiscono che gli oppositori politici e i prigionieri di guerra pacifici rimangano in galera, pur di non scontentare il cliente dittatore.

C’è solo da indignarsi di fronte a tale scenario.

Consiglio per la Comunità Armena di Roma

www.comunitaarmena.it

 

PER COMPLETEZZA DELL’INFORMAZIONE QUESTA E’ LA LISTA DEI DEPUTATI ITALIANI CHE HANNO VOTATO CONTRO IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

Berlato, Ciccioli, Crosetto, Donazzan, Fidanza, Fiocchi, Gambino, Gemma, Inselvini, Magoni, Mantovani, Nesci, Picaro, Polato, Razza, Squarta, Torselli, Ventola, Vivaldini

Testi approvati – La continua repressione della società civile e dei media indipendenti in Azerbaigian e i casi di Gubad Ibadoghlu, Anar Mammadli, Kamran Mammadli, Rufat Safarov e Meydan TV – Giovedì 19 dicembre 2024

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“Lo Schiaccianoci”: la magia armena del Balletto di Tchaikovsky al Carlo Felice. La recensione (Goamagazine 22.12.24)

GENOVA – Quando Hoffmann pubblicò nel 1816 il racconto  “Lo schiaccianoci e il re dei topi” (“Nussknacker und Mausekönig”) non avrebbe mai saputo che la storia del soldatino che schiaccia le noci con la bocca e di Marie/Clara/Masha sarebbe divenuto uno dei balletti più iconici e amati di sempre:una fiaba che ha conquistato il pubblico mondiale, in particolare durante le festività natalizie. Il soldatino nasce in un paesino della Germania al confine con la repubblica Ceca come forma di protesta pacifica contro le tasse che venivano imposte dai militari; l’idea funzionò e da allora è un giocattolo tradizionale, una sorta di nume tutelare della casa, magicamente la custodisce e la protegge. Nel 1892,Ciajkovskij compose la musica per “Lo Schiaccianoci” su libretto di Marius Petipa e Lev Ivanov, adattato da Alexandre Dumas padre, un balletto commissionato dal Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in cui andò in scena il 18 Dicembre del medesimo anno. La rappresentazione a cura dell’Armenian National Ballet (direttore Karen Durgaryan) andata in scena ieri al Carlo Felice riprende la coreografia (Georgy Kovtun)voluta da Petipa ma in chiave più dinamica con tratti ironici (basti pensare al grande topo telecomandato che percorre la scena) che per concetto controintuitivo sottolineano la capacità di Tchaikovsky di trasmettere emozioni profonde attraverso la musica, tra cui la melanconia di cui è permeato “Lo Schiaccinoci”, differenziandosi dagli altri coevi compositori connazionali, come Mussorgsky, Rimsky-Korsakov e Borodin, che si concentravano sullo sviluppo della tradizione popolare russa, e di avvicinarsi ad un linguaggio musicale più universale, che univa il retaggio ruteno alla musica tedesca e francese (vedi l’introduzione della Celesta, o l’intuizione di usare sonagli e trombette simboli dell’infanzia) dando vita a opere che, pur mantenendo una forte identità nazionale, erano apprezzate a livello internazionale. La musica di Ciaikovskiè emotivamente complessa, meno interessata alla ricerca del puro stile: e’ focalizzata sull’espressione di sentimenti personali, rendendolo più vicino al linguaggio sinfonico del romanticismo europeo, ma con una “firma” unica. Nell’edizione dell’Armenian il fil rouge della storia è tenuto da Drosselmeyer (scoppiettante esecuzione di Grigor Grigoryan) che nel sogno di Marie veste come l’apprendista stregone di Fantasia e ci porta, prima nell’ intimità casalinga di una festa di natale, con giochi, bambini, danze e regali, poi nel mondo di fiaba dove tutto è ignoto e magico. La prima rappresentazione de “Lo Schiaccianoci” non ebbe successo, la sua popolarità crebbe negli anni, diventando un ever green natalizio e non solo; presente dei cartelloni annuali di tutti i teatri mondiali grazie anche alla duttilità degli stili di danza (dalla classica a alla moderna,a quella di popolare), ha mantenuto intatta la sua capacità di emozionare e di affascinare. Molte delle grandi compagnie di balletto internazionali, tra cui il Balletto Bolshoi, il Royal Ballet e il New York City Ballet, lo includono regolarmente nel loro repertorio sia per la possibilità di utilizzare diversi stili che per la tipica combinazione di narrazione e danza che ne acuiscono la spettacolarità:in un’atmosfera onirica i ballerini raccontano una storia di magia (il soldatino, il bravissimo Vahe Babajanyan che diventa un principe, l’appaluditissimo Yura Martirosian), mutazione (Il pas de deux tra Clara, appaludita calorosamente, Anahit Vasilyan e lo Schiaccianoci che rappresenta la trasformazione della protagonista da bambina ad adulta) e trionfo del bene sul male (la lotta contro i soldatini di Fritz, il prepotente, e il duello tra Lo schiaccianoci e il re dei topi, il frizzante Armen Zakaryan). “Lo Schiaccianoci” è molto più di un semplice balletto, è diventato un vero e proprio evento culturale globale superando i confini temporali e nazionali, entrando a far parte della cultura collettiva mondiale: l’Atto II del balletto, che si svolge nel “Regno dei Dolci” (bellissime scenografie di Vjaceslav Okunev, dove il regno di Fata confetto è una sorta di palazzo d’inverno con uova di Fabergè ricolme appunto di confetti) presenta una serie di danze tipiche di diverse nazioni, come la “Danza Spagnola o del cioccolato”, la “Danza Cinese o del tè”, la “Danza Araba o del caffè”, la danza russa” (basata sul teprak russo e ucraino) e “la danza degli agnelli e del pastore”, al carattere pedagogico della fiaba si unisce così l’intento ecumenico il tutto sulle ali di quella fantasia, che fa volteggiare nell’omonimo film di Walt Disney cardi, funghi, carpe, fiori, motore imperituro della mente umana.

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