NERSĒS ŠNORHALI, Con fede ti confesso. Ventiquattro preghiere, Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo CRIMELLA, Prefazione di Boghos Levon
ZEKIYAN (Padri orientali), Qiqajon, Magnano (BI) 2021, pp. 194, € 20.
Il volume intende far conoscere al pubblico italiano le Ventiquattro preghiere di Nersēs Šnorhali, per secoli vero e proprio manuale di orazione del popolo armeno.
Il libro consta di tre parti: un’introduzione (pp. 11-40), il testo delle ventiquattro preghiere (pp. 41-91), il commento teologico (pp. 93-190).
Nell’introduzione viene presentata la figura di Nersēs Šnorhali (1100/2 1173) nel contesto del suo tempo, ovverosia il momento in cui viene a formarsi il regno di Cilicia. Particolare risalto è dato alla discussione fra gli armeni e i greci, cioè fra Nersēs Šnorhali e l’imperatore Emanuele Comneno (e il suo teologo Theorianos). Alcuni passi della corrispondenza fra i due sono tradotti, così da rendere conto, con documenti di prima mano, del livello della discussione, incentrata su questioni cristologiche, ma riguardante pure usanze e tradizioni ecclesiali. V’è poi un’introduzione storico-letteraria alle Ventiquattro preghiere di Nersēs Šnorhali. Il testo delle preghiere affianca l’originale armeno (seguendo l’edizione dei Mechitaristi) e la versione italiana. La traduzione è volutamente abbastanza letterale, nello sforzo di rendere il più possibile la ricchezza dell’originale armeno.
V’è poi il commento ad ogni strofa, quasi parola per parola. L’intuizione di fondo è la seguente: Nerses non cita mai né la Scrittura, né la liturgia, ma allude in continuazione sia alla Scrittura, sia al patrimonio liturgico della Chiesa cui appartiene. Concordanze alla mano il commentatore ha intenso mostrare il mondo che sta dietro il testo di Nersēs Šnorhali. I riferimenti alla Bibbia armena sono stati esplicitati e i passi sono stati tradotti abbastanza letteralmente; anche le allusioni alla grande tradizione liturgica sono state chiarificate, così che il lettore italiano (che solitamente non conosce la liturgia armena) possa cogliere i nessi fra il testo di Nersēs e il patrimonio eucologico. Le ventiquattro preghiere di Nersēs Šnorhali appaiono essere un vero e proprio tessuto composto dalla trama della Bibbia con l’ordito della liturgia e mostrano la loro immensa ricchezza, la quale riflette la statura teologica e spirituale del loro autore, uno dei giganti della spiritualità armena
PREFAZIONE
La traduzione e il commento che l’amico don Matteo Crimella porge oggi al pubblico italiano della grande preghiera, in ventiquattro strofe, di san Nersēs Šnorhali, catholicos ed esimio dottore della chiesa armena, nella sua semplicità e profondità di significati, nella sua unzione e trasparenza di un’esperienza mistica per quanto sublime altrettanto accessibile a tutti i fedeli, è uno dei capolavori della letteratura spirituale cristiana. Tradotta in non meno di trentasei lingue, sparse sull’intero pianeta, e pubblicata in numerose edizioni, essa ha avuto, a seconda dei tempi, una notevole diffusione in diversi ambienti culturali oltre ai paesi dell’Europa occidentale. Quanto al suo congenito ambiente armeno, questa preghiera faceva parte fino a tempi recenti – praticamente fino alla grande convulsione delle patrie
tradizioni e abitudini provocata dal genocidio del Metz Yeghern nel 1915 – della devozione quotidiana dei credenti armeni: moltissimi la conoscevano a memoria, per intero o in buona sua parte.
L’importanza e la singolare grandezza di san Nersēs Šnorhali deriva anzitutto dalla profonda originalità della sua spiritualità, che si è espressa nella più assoluta semplicità, ma al tempo stesso con una forza di risonanza quasi travolgente, tanto nella vita interiore del santo quanto nei suoi comportamenti pubblici come monaco, presbitero, vardapet (dignità gerarchica particolare nella chiesa armena, riconosciuta ai presbiteri celibi rivestiti del ruolo di “maestri di teologia”), vescovo e infine catholicos (la dignità gerarchica suprema nella chiesa armena). Originalità che è attestata altresì da tanti episodi, simili ai fioretti del Poverello d’Assisi, tramandati dalla devozione popolare e trascritti dai discepoli e ammiratori più fedeli del santo, come nel caso di san Francesco. Il carisma, quasi irripetibile, che Šnorhali rappresenta nel firmamento della santità e della dottrina cristiana universale deriva al tempo stesso dal fatto che abbiamo in lui un precursore assoluto del movimento ecume nico contemporaneo, di cui san Paolo VI non esitava ad affermare espressamente che è “una cosa nuova” nella vita della chiesa1.
Infatti lo sforzo sublime in cui Nersēs Šnorhali s’impiegò, avendo come interlocutore il grande imperatore bizantino Manuele Comneno (1143-1180), offre il modello e le linee “direttrici” fondamentali, come si esprimeva un grande studioso della storia della chiesa armena,il mechitarista padre Paolo Ananian, di ogni eventuale unione fra le chiese. Di lui scriveva infatti l’Ananian che, nonostante il mancato compimento dell’obiettivo di unione con i greci, egli “tracciò, pur
tuttavia, le direttrici di un’unione ecclesiastica, che rimarranno per sempre valide”2.
Il nocciolo della questione può essere riassunto nella seguentefrase: la medesima fede cristiana può essere espressa in varie formulazioni secondo categorie concettuali diverse, purché quelle categorie siano chiaramente definite nella loro portata filosofica e teologica, per esprimere la sostanza della fede che si vuole tradurre nel linguaggio umano. Tale principio suppone una coscienza profonda, raramente evidenziata nella storia cristiana, della fragilità e della convenzionalità del linguaggio umano, coscienza e consapevolezza che Šnorhali aveva ereditato e interiormente assimilato dal suo modello e maestro di santità e di dottrina, san Gregorio di Narek, elevato da papa Francesco alla dignità di dottore universale della chiesa cattolica. Infatti, è uno dei punti cruciali della mistica narekiana il
“naufragio”, inevitabile, del linguaggio umano, per cui di Dio non 1 Citato da G. Pattaro, Corso di teologia dell’ecumenismo, Queriniana, Brescia 1985,
p. 4.2 P. Ananian, s.v. “Narsete IV Klajetzi”, in Bibliotheca sanctorum IX, Città Nuova, Roma 1967, coll. 746-759. possiamo né dire né non dire, ma di fronte alla sua inaccessibile grandezza cadiamo per terra privi di parole e “ammutoliti”. Ancora una volta è giocoforza pensare al Poverello d’Assisi che, nell’ultima fase della sua vita, si prostrava a terra sul monte della Verna escla mando continuamente: Deus meus, quis es tu et quis sum ego?,
“Dio mio, chi sei tu e chi sono io?”.
Mi congratulo di cuore con don Matteo Crimella per questo lavoro di traduzione e commento assai utile, con l’auspicio che il devoto e pio lettore trovi in questa semplice ma sublime preghiera un denso nutrimento per la sua vita spirituale.
✠ Boghos Levon Zekiyan
arcieparca degli armeni cattolici
di Istanbul e di Turchia
delegato pontificio
per la congregazione mechitarista