Il comune di Agnone esprime solidarietà al Popolo Armeno nella sua battaglia per la verità storica e per la difesa dei diritti umani.

Il Consiglio Comunale di Agnone, nella seduta del 8 marzo u.s., a seguito di azione proposta dal Presidente dell’Associazione Culturale “Viva la Solidarietà”, ha deliberato una mozione nella quale si esprime  piena solidarietà al popolo armeno vittima del “genocidio” di cui in narrativa, nella sua battaglia per la verità storica e per la difesa dei diritti umani.

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Novità in libreria: Colofoni armeni a confronto. Le sottoscrizioni dei manoscritti in ambito armeno e nelle altre tradizioni scrittorie del mondo mediterraneo

E’ in fase di pubblicazione il volume

“Colofoni armeni a confronto. Le sottoscrizioni dei manoscritti in ambito armeno e nelle altre tradizioni scrittorie del mondo mediterraneo”

curato da

Anna Sirinian, Paola Buzi e Gaga Shurgaia.

Il libro esce come volume 299 della collana “Orientalia Christiana Analecta” del Pontificio Istituto Orientale di Roma

e raccoglie i contributi presentati a un colloquio internazionale organizzato sotto l’egida dell’AIEA e tenutosi a Bologna il 12 e 13 ottobre del 2012.

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Armenia: Intervista a S.E. Victoria Bagdassarian, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia (Agenparl 22.02.17)

(AGENPARL) – Roma, 22 feb 2017 – Armenia, Intervista a S.E. Victoria Bagdassarian, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia: la propaganda azera è una strategia mirata, se la tua bugia è grossa e la ripeti a oltranza, tutti ci crederanno

Domanda. Ambasciatrice Bagdassarian, 25 anni fa nella città di Khojaly si verificarono dei tragici eventi su cui ancora oggi ci sono diverse interpretazioni. Può raccontarci il punto di vista armeno?

S.E. Victoria Bagdassarian. Per consentire ai lettori di capire cosa accadde veramente a Khojaly, bisogna innanzitutto dare delle informazioni storiche sul Nagorno-Karabakh. Nel 1921, su iniziativa di Iosif Stalin, questa regione, storicamente armena e a maggioranza armena, veniva annessa come enclave all’allora repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan con tutte le conseguenze in termini di discriminazioni di Baku nei confronti degli armeni nel Nagorno-Karabakh.

E Khojaly, piccola città dell’ex enclave autonoma del Nagorno-Karabakh, è stata interamente popolata da armeni fino al 1935, quando vi arrivò la prima famiglia azera. Nel 1969 l’ultima famiglia armena lasciò Khojaly. Dal 1988 fino al 1990 le autorità dell’allora Repubblica socialista Sovietica dell’Azerbaijan popolarono massivamente Khojaly con i turchi mescheti dalla valle di Fergana dell’Uzbekistan.

Durante la guerra scatenata dall’Azerbaijan contro la pacifica popolazione armena del Nagorno-Karabakh, Khojaly divenne una roccaforte militare, da cui si bombardava Stepanakert – capitale del Nagorno-Karabakh – con i sistemi di lanciarazzi multipli da combattimento “Alazan”, “Kristal” e “Grad”, il cui uso è vietato contro i civili. Dal 1991, per un intero anno la popolazione armena di Stepanakert subì pesanti bombardamenti. In aggiunta a ciò, Khojaly era l’unico luogo provvisto di aeroporto, particolare importante per rompere il blocco del Nagorno-Karabakh imposto dall’Azerbaijan. La regione era stata isolata da ogni possibilità di rifornimento di cibo, acqua, elettricità e combustibili. La situazione era critica, la gente del Nagorno-Karabakh stava affrontando un disastro umanitario e un’operazione militare, per fermare gli attacchi dell’artiglieria azera, e mettere fine al blocco era vitale.

So bene che la propaganda azera usa in maniera distorta quegli eventi, come ha fatto qualche giorno fa l’ambasciatore dell’Azerbaijan in un’intervista alla vostra agenzia. D’altronde, se la tua bugia è grossa e la ripeti a oltranza, tutti ci crederanno. Tornando a Khojaly, voglio ribadire che l’operazione venne effettuata nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario. Due mesi prima del 26 febbraio del 1992, data di inizio dell’operazione militare, i comandanti dell’esercito di autodifesa del Nagorno-Karabakh avevano annunciato pubblicamente, attraverso vari canali, l’esistenza di un corridoio umanitario e l’inizio delle operazioni. Cosa questa confermata da molte organizzazioni internazionali nei loro rapporti, così come da molte altre fonti tra cui anche fonti azere. Più tardi alcuni residenti di Khojaly furono trovati a 12 chilometri di distanza da Khojaly, nella zona vicino alla città di Agdam che fino al 1993 era stata sotto l’effettivo controllo del Fronte nazionale azero. Durante l’operazione militare a Khojaly, le forze di autodifesa del Nagorno-Karabakh liberarono 13 ostaggi armeni, tra cui un bambino e sei donne, e presero come trofei due strutture per il lancio di razzi Grad MM-21, quattro strutture Alazan, un obice da 100 mm, e tre unità di attrezzature corazzate. Il servizio di soccorso della Repubblica del Nagorno-Karabakh recuperò 12 corpi di civili in Khojaly e nella sua periferia. C’erano anche circa 700 abitanti in città perché le autorità azere avevano impedito loro l’evacuazione.

Domanda. Lei ha parlato di fonti. Può farci qualche esempio di fonti e di prove?

S.E. Victoria Bagdassarian. Certamente. È un ulteriore atto di ipocrisia il modo in cui il governo azero abusa dei sentimenti umani con la sua propaganda e le sue bugie. Quando Ambasciatore dell’Azerbaijan parla di Khojaly e delle stragi della sua popolazione, non riesce a ricordare che gli abitanti di Khojaly sono state le vittime predestinate di una politica criminale interna tra le autorità azere e il Fronte Nazionale dell’Azerbaijan, un movimento ultra-nazionalista che all’epoca lottava per prendere il potere. I fatti di Khojaly rientravano nella strategia del Fronte Nazionale dell’Azerbaijan per rovesciare il presidente Ayaz Mutalibov e arrivare così al controllo del paese. Ciò fu confermato dallo stesso Presidente Mutalibov, un mese dopo le sue dimissioni, in un’intervista alla giornalista ceca Dana Mazalova, pubblicata dalla Nezavisimaya Gazeta.

E ci sono altre testimonianze di giornalisti ed ex funzionari. Come quella di Chingiz Mustafaev, un corrispondente che ha riportato una versione dissenziente dalla propaganda azera di regime e che in seguito è stato ucciso in circostanze misteriose. O la testimonianza di Tamerlan Karaev, l’allora presidente del Soviet Supremo della Repubblica azera, che ha dichiarato: “La tragedia fu opera delle autorità azere, in particolare di un alto funzionario” (Mukhalifat, quotidiano azero, 28 aprile 1992). In un’intervista al “Russian Mind” il 3 marzo 1992, l’allora sindaco di Khojaly Elman Mamedov, oggi membro del Parlamento azero, confermò l’esistenza del corridoio umanitario, dichiarando tra l’altro di averlo utilizzato in modo sicuro, assieme ad altri i civili, per fuggire dalla città. Fu lo stesso Heydar Aliev, ex leader e padre dell’attuale presidente azero, ad ammettere che «l’ex dirigenza dell’Azerbaijan è colpevole” per gli eventi Khojaly. Salvo poi, nel mese di aprile del 1992 secondo l’agenzia di stampa Bilik-Dunyasi Agency, esprimere un’idea di un cinismo allarmante: “Trarremo beneficio dallo spargimento di sangue. Non dobbiamo interferire col corso degli eventi “.

Molti sono ancora i fatti che potrebbero essere raccontati – e, per inciso, sto citando solo fonti azere – che vanno in direzione opposta all’attuale sprezzante propaganda azera a cui siamo stati abituati. Naturalmente è impossibile presentare in modo esaustivo tutto il materiale documentario all’interno di questa intervista. E, purtroppo, la propaganda ufficiale azera si adopera con ogni mezzo per incolpare degli eventi la parte armena e instillare così nuovo odio verso gli armeni nelle menti della sua generazione più giovane. Senza dimenticare che la diffusione di queste informazioni mendaci è stata un ulteriore tentativo per distogliere l’attenzione dalle atrocità che hanno perpetrate contro le popolazioni armeni nelle città azere di Baku, Sumgait, Kirovabad e altri luoghi ancora.

Domanda. Come vede la risoluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh? Cosa può dirci a proposito?

S.E. Victoria Bagdassarian. Quando si parla del conflitto tra l’Azerbaijan e la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in generale, e prima di considerare l’Azerbaijan come una vittima in quel conflitto, si deve ricordare che il Nagorno-Karabakh non ha mai fatto parte dell’Azerbaijan indipendente e che, nel momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica, si sono formati due soggetti indipendenti e legalmente uguali. Alla richiesta, pacifica e legittima, per l’auto-determinazione, l’Azerbaijan avviò pogrom e uccisioni sistematiche della popolazione armena, come ho detto prima, nelle città “tolleranti” di Baku, Kirovabad e Sumgait e scatenò un’offensiva militare contro la popolazione pacifica del Nagorno-Karabakh. Ancora oggi gli armeni del Nagorno-Karabakh stanno lottando per la loro esistenza e per il diritto a vivere liberamente sulla terra dei loro padri. Nel moderno e progredito Azerbaijan uccidere un armeno è una gloria e si viene incoraggiati e promossi ai più alti gradi militari. È stato il caso dell’ufficiale azero Ramil Safarov che decapitò con un’ascia nel sonno il collega armeno Gurgen Margaryan durante i corsi della Nato a Budapest. Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev non solo ha promosso quel criminale al rango di eroe nazionale ma gli anche corrisposto un altissimo premio in denaro.

Anche la guerra del 4 aprile 2016 è stata scatenata dall’Azerbaijan. L’offensiva azera è stata lanciata all’alba, con bombardamenti pesanti di insediamenti civili e villaggi, scuole e asili. Durante i bombardamenti uno studente è stato ucciso e un altro è stato ferito. A seguire c’è stato un attacco sovversivo e un intero plotone è penetrato nel villaggio di confine di Talish. Durante le diverse ore dell’occupazione del villaggio tre anziani, che non erano riusciti a fuggire, sono stati uccisi e i loro corpi mutilati. La fallita guerra lampo dell’Azerbaijan è stata caratterizzata da atrocità in stile ISIS, con decapitazioni e mutilazioni di cadaveri di soldati armeni. E anche questa volta coloro che hanno commesso siffatti crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati promossi e premiati da Aliyev in persona. Come può quindi la popolazione del Nagorno-Karabakh fidarsi dell’Azerbaijan? È ormai chiaro che non è possibile un “ritorno al futuro”: è fuori da ogni logica presentare la causa del conflitto come una soluzione dello stesso.

Domanda. Secondo l’ambasciatore dell’Azerbaijan ci sono 4 risoluzioni ONU sul conflitto…

S.E. Victoria Bagdassarian. Vorrei ricordare all’ambasciatore Ahmadzada che le 4 risoluzioni ONU sul conflitto tra Azerbaijan e Nagorno-Karabakh sono state adottate in un determinato periodo di tempo e con lo scopo specifico di fermare la violenza. L’esigenza primaria e incondizionata di tutte e quattro le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione del Karabakh del 1993 era infatti la cessazione delle ostilità e delle attività militari. Ma, a causa dell’inadempienza dell’Azerbaijan al requisito principale (cessazione delle ostilità e delle attività militari), l’attuazione delle risoluzioni è stata resa impossibile. Inoltre è doveroso sottolineare che nessuna delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riferisce all’Armenia come parte del conflitto. L’Armenia è chiamata in causa solo “per continuare a esercitare la sua influenza ” sul Nagorno-Karabakh ed è quest’ultimo a essere riconosciuto come parte del conflitto, cosa che l’Azerbaijan continua pervicacemente a ignorare. L’Azerbaijan ha anche respinto un altro requisito delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul ripristino delle relazioni economiche, del sistema dei trasporti e dell’energia nella regione. Come se non bastasse, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU esortavano ad astenersi da qualsiasi azione che potesse ostacolare una soluzione pacifica del conflitto e di esercitare sforzi per risolvere il conflitto nel quadro del gruppo di Minsk. E che cosa ha fatto l’Azerbaijan? Assolutamente il contrario: dopo ogni risoluzione ha lanciato nuove attività militari su larga scala.

È perciò più che mai ridicolo che l’Azerbaijan continui a fare riferimento a quelle risoluzioni, quando è lo stesso governo di Baku a disattenderle.

Parlando alla risoluzione del conflitto, poi, l’ambasciatore azero minaccia di invocare l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, cioè minaccia il ricorso alla guerra, mentre, allo stesso tempo, parla di negoziati di pace nel quadro dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE. Direi che questo è un chiaro esempio della posizione distruttiva e della tattica ricattatoria dell’Azerbaijan. I copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE in una recente dichiarazione del 16 febbraio scorso hanno ancora una volta ribadito che “… non c’è alternativa ad una soluzione pacifica del conflitto e che la guerra non è un’opzione, e ha invitato le parti alla moderazione sul terreno, come pure nelle loro comunicazioni pubbliche e a preparare le loro popolazioni alla pace e non alla guerra. I copresidenti hanno anche sollecitato le parti a rispettare rigorosamente gli accordi di cessate il fuoco del 1994/95 che costituiscono il fondamento della cessazione delle ostilità “.

Io nutro una profonda speranza che il buon senso prevalga un giorno in Azerbaijan, anche se al momento i segnali provenienti da quel paese sono allarmanti e spaventosi.

Anche il nome del comune di Cave sarà inserito nell’elenco dei Giusti per gli Armeni

Solo pochi giorni fa abbiamo ricevuto la delibera del Consiglio Comunale di Cave con la quale, in occasione del centenario del genocidio armeno, si esprimeva all’unanimità solidarietà al popolo armeno.

La proposta di deliberazione era stata messa a votazione il 7 aprile 2016 e protocollata nel mese di maggio dello stesso anno.

Nel testo approvato all’unanimità si legge:

  • vista la richiesta del “Consiglio per la Comunità Armena di Roma” per un atto ufficiale di riconoscimento del genocidio del popolo armeno in occasione delle commemorazioni del centenario di tale tragedia;
  • considerato che tale dramma storico è stato riconosciuto come genocidio dalla Sottocommissione per i diritti umani dell’ONU nel 1973 e 1986, dal Parlamento Europeo nel 1987, dal Parlamento Italiano (da tutti i gruppi parlamentari) in data 17 novembre 2000 e financo dalla stessa Corte Marziale ottomana nel 1919;
  • ricordato che il Tribunale Permanente dei Popoli ha riconosciuto fra l’altro che “lo sterminio delle popolazioni armene con la deportazione e il massacro costituisce un crimine imprescrittibile di genocidio ai sensi della convenzione del 9/12/1948 per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio
  • tenuto conto che lo stesso Parlamento Europeo il 15 novembre 2000 ha approvato a larga maggioranza una risoluzione sulla relazione periodica 1999 della Commissione Europea sui progressi della Turchia verso l’adesione e che tale risoluzione affronta questioni che riguardano il popolo armeno in paragrafi significativi, invitando al riconoscimento del genocidio ai danni della minoranza armena commesso anteriormente alla nascita della moderna Repubblica Turca;
  • rilevato che il genocidio è il più feroce e disumano fra i crimini in quanto tende all’eliminazione di tutto un popolo, della sua identità, della sua cultura, della sua storia e della sua religione;
  • riconosciuta la necessità che l’opinione pubblica approfondisca il dramma del popolo armeno affinché tali tragedie della storia siano di monito soprattutto alle giovani generazioni;  “Grande Male”.

  Esprime la propria piena solidarietà al popolo armeno in occasione dell’anniversario del  “Grande Male”.

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Il Consiglio per la comunità armena di Roma esprime la propria gratitudine a tutti i membri del Consiglio comunale

ed a tutti coloro che si sono adoperati affinché la Memoria del genocidio del 1915 rimanga viva.

Grazie di cuore.

 

 

ROMA – 31 gennaio 2017 – “Concerti Specchi del tempo” con il Maestro George Pehlivanian

COMUNICATO STAMPA

Martedì 31 gennaio, alle ore 20.30, l’appuntamento al Costanzi è con la musica sinfonica. L’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma torna ad essere protagonista nel primo dei cinque “Concerti Specchi del tempo” della Stagione 2016/17. Anche quest’anno la suggestiva collocazione della buca al centro della sala garantisce al pubblico una straordinaria resa acustica e visiva. Per la prima volta salirà sul podio dell’Opera di Roma il Maestro George Pehlivanian, di origini armene, nato a Beirut ma americano di adozione. Ospite d’eccezione, anche lui al debutto al Costanzi, il violinista Nemanja Radulović, giovane talento serbo, classe 1985, che sta entusiasmando il mondo musicale con il suo virtuosismo.

Il programma della serata prevede l’esecuzione di tre brani, scritti da altrettanti compositori di epoche diverse: il Concerto per violino e orchestra Op. 35 di Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893); L’oiseau de feu (seconda suite) di Igor Stravinskij (1882-1971); infine, in prima italiana, la Sinfonia n.3 di Stepan Rostomyan (1956), per ensemble e nastro magnetico scritta nel 1989, che riflette la sintesi tra la tradizione europea e quella orientale, tipica del compositore armeno. Ai suoni degli strumenti si uniscono infatti quelli (registrati) di antichi canti cristiani della Chiesa Armena.

Anche quest’anno, quindi, viene riproposta la serie di concerti “Specchi del tempo”, con una nuova programmazione che andrà da Mozart ai nostri giorni. La formula però rimane la stessa, anche perché è stata accolta con molto successo dal pubblico nella scorsa stagione. Accostare nella stessa serata mondi e linguaggi diversi significa metterli in comunicazione, rivelare i punti di contatto o la discontinuità di una ricerca sul “suono” che si è andata sviluppando dal Settecento al nostro secolo XXI. I programmi di ogni concerto si riflettono in immagini diverse, e allo stesso tempo costituiscono per il pubblico l’occasione di una “riflessione” sulla pluralità del linguaggio musicale.

Ciascun programma sarà introdotto dal filosofo e musicologo Stefano Catucci.

Dopo il primo concerto di martedì 31 gennaio, la programmazione proseguirà fino a giugno 2017: venerdì 17 febbraio (20.30) Brahms / Šostakovič / Ives, direttore il Maestro Ingo Metzmacher, violoncello Narek Hakhnazaryan; domenica 12 marzo (ore 18) Čajkovskij / Haydn / Bowie / Sollima, direttore e violoncello solista Giovanni Sollima; giovedì 4 maggio (ore 20.30) Beethoven / Prokof’ev, direttore il Maestro Daniel Smith, violino Vincenzo Bolognese, voce recitante Toni Servillo; giovedì 1 giugno Mozart / Ravel / Widmann, direttore il Maestro Peter Rundel, clarinetto Jörg Widmann.

Il costo dei biglietti per singolo concerto è di euro 20, per i giovani euro 10. È possibile sottoscrivere un abbonamento ai cinque concerti al costo di euro 90, per i giovani euro 45.

Per informazioni: operaroma.it

La ricerca di nuovi Giusti continua. Di Victoria Baghdassarian (Gariwo 30.01.17)

Pubblichiamo di seguito il discorso di Victoria Bagdassarian, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia, al convegno “Dalla memoria della Shoah ai Giusti del nostro tempo” tenutosi alla Camera dei deputati il 26 gennaio 2017

Cari amici, sono lieta di essere qui, alla vigilia delle commemorazioni per la Giornata della Memoria, e di condividere con tutti voi l’importanza dei Giusti. Ringrazio la Vice Presidente della Camera Marina Sereni per l’ospitalità. Ringrazio gli organizzatori dell’evento, l’Onorevole Milena Santerini e Gabriele Nissim per Gariwo. Saluto la Presidente Noemi Di Segni dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane e tutti gli altri relatori.

Oggi siamo qui per ricordare e siamo qui per tramandare. Non è facile né l’una né l’altra cosa. Ci affidiamo perciò a quegli uomini di buona volontà che hanno fatto delle scelte “nonostante tutto”, i Giusti, coloro che nel corso della storia, di fronte a genocidi e omicidi di massa hanno difeso la dignità umana e salvato vite a rischio della propria.

Dal 1962, anno in cui fu istituita in Israele la Commissione per il conferimento dell’onorificenza di Giusto tra le Nazioni, sono più di 26.000 i Giusti tra le Nazioni onorati dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah.

E questo vuol dire che sono più di 26.000 le storie che dobbiamo preservare e raccontare. Come quella di Giorgio Perlasca che a Budapest si finse un diplomatico spagnolo riuscendo così a salvare dallo sterminio nazista migliaia di ungheresi di religione ebraica. O quella di Gino Bartali che trasportò, all’interno della sua bicicletta, dei documenti falsi per aiutare gli ebrei ad avere una nuova identità. Altre storie possiamo trovare a Gerusalemme: qui, tra gli alberi del Monte della Rimembranza e il Muro d’Onore del Memoriale, ci sono i nomi di quegli armeni che durante l’Olocausto salvarono ebrei, meritando così il titolo di “giusti tra le nazioni”.

Il Parlamento Europeo già nel 2012, con il suo sostegno all’istituzione della Giornata europea in memoria dei Giusti, prendeva l’impegno solenne di ricordare il 6 marzo di ogni anno quanti si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e contro i totalitarismi.

La proposta di legge dell’Onorevole Santerini, dell’Onorevole Fiano e di altri ancora, per l’Istituzione della Giornata in memoria dei Giusti dell’umanità, è il prosieguo dell’impegno europeo. Non è un semplice atto amministrativo ma – come ha scritto Gabriele Nissim in un bellissimo articolo – una libera scelta. Ogni singolo può, attuando una libera scelta, opporsi alla barbarie collettiva.

Abbiamo bisogno dei Giusti per imparare dal loro esempio, dalle loro azioni ad affrontare temi come l’immigrazione, i terrorismi, le guerre, le derive estremiste, i nazionalismi. Abbiamo bisogno dei Giusti per evitare che si ripetano i crimini contro l’umanità.
Credo, e da armena lo credo ancora di più, che questo sia lo scopo di tutti i nostri sforzi.

Della Presidente Di Segni che domenica ha organizzato la RUN FOR MEM – la maratona attraverso i luoghi della memoria; dell’Onorevole Santerini che sostiene lo strumento legislativo come mezzo di sensibilizzazione; di Gabriele Nissim e di Pietro Kuciukian che con Gariwo fanno in modo che nei giardini non crescano solo alberi ma esseri umani coscienti; di Françoise Kankindi che non è mai stanca di raccontare dei tragici fatti del Rwanda.

Dalla sua indipendenza l’Armenia si impegna strenuamente in una politica di prevenzione dei genocidi, di lotta contro i crimini contro l’umanità, promuove mozioni e organizza forum a livello internazionale. Lo ha fatto nel 2013 alla sua prima presidenza del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, dichiarando tra le sue priorità la lotta al razzismo e alla xenofobia.

È su iniziativa armena che nel Marzo del 2015 a Ginevra il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ha adottato la risoluzione sulla Prevenzione del genocidio. È grazie a questa risoluzione che la proposta di istituire il 9 dicembre (data dell’adozione della Convenzione della “Prevenzione del crimine del genocidio”) come il giorno della commemorazione delle vittime del genocidio è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Lo fa quotidianamente nelle scuole: come riporta l’UNESCO, l’Armenia è infatti l’unico Paese dell’area in cui i programmi scolastici prevedono l’insegnamento dell’Olocausto.

Lo ha fatto ancora nel 2015 quando l’Armenian Genocide Centennial – che ha coordinato gli eventi commemorativi del centenario del genocidio degli armeni in tutto il mondo – ha sottolineato l’importanza della gratitudine, del riconoscere il profondo valore morale di chi ha salvato una, decine, centinaia o migliaia di vite umane. Perché, voglio ribadirlo con forza, ricordare il bene ricevuto, è un atto di prevenzione.

L’Armenia è grata a tutti i curdi e i turchi che segretamente salvarono i loro vicini armeni. È grata agli arabi e agli ebrei che diedero rifugio a coloro che riuscirono a sopravvivere alle marce della morte verso la Mesopotamia, così come ai russi, agli americani e agli europei che accolsero e si presero cura degli orfani armeni. È grata ai religiosi, ai missionari, ai diplomatici, alle personalità pubbliche e a quelle nazioni che hanno partecipato agli sforzi umanitari. È grata agli studiosi, ai ricercatori, agli intellettuali in genere che hanno impiegato – e proseguono a farlo – le loro forze per fare luce su un crimine commesso più di cento anni fa.

E sulla gratitudine di tutti gli armeni – in patria come in diaspora – si basa anche l’azione dell’Aurora Humanitarian Initiative – l’iniziativa umanitaria nata nel 2015 e ispirata ad Aurora Mardiganian sopravvissuta al genocido armeno – il cui board è costantemente impegnato a condividere le storie dei sopravvissuti e dei salvatori e di celebrare la forza dello spirito umano. Tra le loro attività vorrei ricordare l’Aurora Prize for Awakening Humanity che premia quell’individuo le cui azioni hanno avuto un impatto eccezionale nel preservare la vita umana e nel promuovere cause umanitarie.

Ogni anno viene assegnata – tra centinaia di candidature presentate – una donazione di 100.000 dollari a nome dei sopravvissuti del genocidio armeno. Il premiato ha a sua volta l’opportunità di nominare un’organizzazione che possa beneficiare di un ulteriore premio di 1.000.000 di dollari. Nell’aprile 2016 a Yerevan, alla presenza di George Clooney – che, con i premi nobel Oscar Arias, Shirin Ebadi, Leymah Gbowee, l’ex presidente dell’Irlanda Mary Robinson, l’attivista per i diritti umani Hina Jilani, l’ex primo ministro australiano e presidente emerito dell’International Crisis Group Gareth Evans, l’ex presidente del Messico Ernesto Zedillo, il presidente della Carnegie Corporation of New York Vartan Gregorian e il compianto Elie Wiesel, fa parte del comitato di selezione – c’è stata la prima vera cerimonia ufficiale di assegnazione dell’Aurora Prize a Marguerite Barankitse “per aver salvato migliaia di vite ed essersi presa cura di orfani e rifugiati durante la guerra civile in Burundi”.

Per il 2017 sono state presentate 558 candidature da 66 diverse nazioni.

La ricerca di nuovi salvatori, di nuovi Giusti da ricordare, continua.

Abbiamo bisogno di altri Fridtjof Nansen e Henry Morgenthau come durante il genocidio degli armeni. O di altri Irena Sendler e Raoul Wallenberg come durante la Shoah. O di un nuovo Paul Rusesabagina come durante il genocidio ruandese. O di un nuovo Van Chhuon durante il geocidio cambogiano.

E che dire di un altro Ambasciatore Barbarani – qui presente e che saluto – che tanto fece durante la dittatura in Cile?

Grazie a tutti e buon lavoro.

Analisi di Victoria Bagdassarian – Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia

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L’Altra Memoria per una “MEMORIA” condivisa – Il Consiglio per la comunità armena per la giornata della Memoria

L’Altra Memoria per una MEMORIA condivisa. E’ questo lo slogan che è stato scelto dal Consiglio per la comunità armena di Roma che  come negli anni passati si appresta anche  quest’anno a fornire il proprio contributo agli eventi organizzati per la commemorazione della giornata dedicata alle vittime dell’Olocausto, il prossimo 27 gennaio. 

Partendo dalla testimonianza dell’immane tragedia del “genocidio” che la popolazione armena subì per prima nel lontano 1915 ad opera dell’impero ottomano,  il Consiglio per la comunità armena con la propria partecipazione agli incontri organizzati in occasione della Giornata della Memoria, intende lanciare un monito affinché la “Memoria” non venga mai manipolata o sminuita e non si limiti solo ad una giornata celebrativa, ma diventi un esercizio quotidiano, per ricordare e condannare , e far si che le atrocità della storia non abbiano mai più a ripetersi.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma, che esprime vicinanza e solidarietà al popolo ebraico ed a tutte le vittime dei genocidi, al di là della loro appartenenza razziale, politica o religiosa, è stato invitato per l’occasione a presiedere ed a partecipare a vari incontri organizzati dalle scuole e/o dai circoli culturali al fine di rendere testimonianza delle atrocità subite dalla popolazione armena, di quel Medz Yeghern – Grande Male, il genocidio che tanti storici definiscono “il padre” di tutti gli altri genocidi che hanno caratterizzato il XX secolo e che ahinoi continuano a caratterizzare il secolo appena iniziato.

L’Altra Memoria per una MEMORIA condivisa.

L‘Altra Memoria per ricordare e condannare.

L’Altra Memoria per credere ancora in un mondo migliore.

19 gennaio 2007 – 19 gennaio 2017 – In memoria di Hrant Dink a dieci anni dal suo assassinio

IN MEMORIA DI HRANT DINK

In occasione della decima ricorrenza del barbaro assassinio di Hrant Dink (19 gennaio 2007- 19 gennaio 2017) nel rendere omaggio alla memoria di questo grande intellettuale, che è stato “vittima delle verità”, riproponiamo di seguito il comunicato stampa pubblicato subito dopo la notizia del suo assassinio insieme all’ultimo articolo scritto da Dink e pubblicato post-mortem sul giornale da lui diretto.

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«Quello che voglio è vedere i turchi che parlano di quanto è successo. Bisogna che turchi e armeni inizino a dialogare.

C’è una sola strada percorribile ed è quella del dialogo. Sempre».

Hrant Dink


 

COMUNICATO STAMPA

Comunità armene in lutto per il barbaro assassinio del giornalista armeno Hrant Dink  19.01.2007

L’uccisione di un giornalista rappresenta sempre un fatto tragico, legato al tentativo dei criminali di limitare la libertà di parola e di pensiero.

L’assassinio di Dink, giornalista armeno in Turchia, assume ancora più tragica rilevanza se solo si considera il suo impegno da sempre profuso a favore del dialogo e della tolleranza.

Nato il 15 settembre 1954, dopo aver frequentato le scuole armene, si laureò in zoologia pur continuando a dedicarsi agli studi di filosofia.

Dal 1996 è stato direttore responsabile di Agos , giornale bilingue della comunità armena di Istambul, dalle colonne del quale si è sempre battuto per la ricerca del dialogo tra turchi ed armeni e tra Turchia ed Armenia.

Nonostante questo suo impegno, non è sfuggito alle mire del famigerato art. 301 del codice penale turco ed è finito sotto processo e condannato a sei mesi di prigione (con la condizionale) nell’ottobre del 2004 con l’accusa di “lesa turchicità”.

Il suo carattere mite è evidenziato dalle parole che pronunciò, a caldo, dopo la sentenza: “ se la mia condanna verrà confermata significherà che ho insultato questa gente e sarà un grande disonore per me restare nello stesso paese. Quello che è successo è inconcepibile”.

La sua morte è frutto della cultura dell’odio verso gli armeni che ancora resiste nelle frange estremiste della società turca; un odio alimentato dal potere di Ankara, da una mentalità ancora troppo nazionalista, da un orgoglio turco che non si piega  neppure davanti alle pagine più tragiche della storia come il genocidio degli armeni.

Ma l’assassinio di Dink è, purtroppo,  anche il frutto di quell’opportunismo politico, di quegli interessi economici, di quella indifferenza che alberga in taluni settori della società europea ed italiana.

Il Consiglio per la Comunità armena di Roma nel mentre piange Hrant Dink, si augura che il suo sacrificio non sia vano; che i suoi assassini siano prontamente assicurati alla giustizia, che il governo turco abbia la forza morale di condannare l’episodio e di cancellare immediatamente – logica risposta alla violenza – quel mostruoso art. 301 in nome del quale ogni giorno si celebrano processi…  e ora ammazzano persone.


 

“Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Perchè qui non si fa male ai colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti come me, ma come me liberi.” Hrant Dink.

 

Ultimo articolo di Hrant Dink pubblicato su Agos una settimana prima della sue morte.

All’inizio il processo aperto contro di me dal procuratore capo di Sisli non mi aveva preoccupato. Non era il primo. Sono sotto processo a Urfa, dal 2002 per aver detto di non essere turco, ma armeno di Turchia. Mi hanno accusato di aver offeso l’identità turca. Quando sono andato a testimoniare a Sisli l’ho fatto senza troppa preoccupazione. Perché ero sicuro che ciò che avevo scritto non poteva essere male interpretato. Il procuratore, ho pensato, non crederà che io abbia voluto offendere l’identità turca. Sono stato rinviato a giudizio. Non ho perso la speranza. A chi mi accusava di aver insultato il popolo turco, ho detto che non avrebbe potuto gioire: non mi avrebbero condannato. Se fossi stato condannato avrei lasciato il paese. Gli esperti chiamati a giudicare i miei scritti hanno detto che non c’erano in essi elementi di offesa. Ero tranquillo: il torto sarebbe stato riparato, tutto sarebbe finito in una bolla di sapone. Ma così non è stato. Mi hanno condannato a sei mesi di carcere. La speranza che mi aveva accompagnato e sostenuto durante tutto il processo è crollata. Ma mi ha anche dato nuova forza. Prima della sentenza, al termine di ogni udienza venivano date in pasto all’opinione pubblica notizie false su di me. Dicevano che avevo dichiarato che il sangue dei turchi è avvelenato, mi dipingevano come nemico dei turchi. Queste cattiverie hanno cominciato a fare breccia nel cuore di tanti miei connazionali. Alle udienze adesso venivo aggredito dai nazionalisti, si inscenavano violente manifestazioni nei miei confronti. Ho cominciato a ricevere telefonate e mail di minaccia, a centinaia. Ma io continuavo a dire, pazienza, la decisione finale renderà giustizia di tutto ciò e saranno loro a vergognarsi. L’unica mia arma era la mia onestà. Ma mi hanno condannato. Il giudice aveva deciso in nome del popolo turco che avevo offeso l’identità turca. Posso tollerare tutto, ma non questo. Mi trovavo a un bivio: lasciare il paese oppure restare. Alla stampa ho detto che mi sarei consultato con i miei avvocati, che avrei fatto ricorso in appello e anche alla Corte europea per i diritti umani. Ho detto anche che se la condanna fosse stata confermata avrei lasciato il paese perché una persona condannata per aver discriminato suoi connazionali non ha diritto di continuare a vivere con loro. E’ chiaro che le forze profonde che operano in questo paese vogliono darmi una lezione. Così per aver detto alla stampa queste cose è stato aperto contro di me un nuovo procedimento penale. Mi hanno accusato di aver cercato di influenzare la corte d’appello. Mi vogliono isolare, far diventare un facile obiettivo. Mi processano perché, imputato, cerco di difendermi. Devo confessare che ho perso la mia fiducia nello stato turco e nella giustizia di questo paese. La magistratura non è indipendente, non difende i diritti del cittadino ma quelli dello stato. La condanna che mi è stata comminata non è stata pronunciata in nome del popolo turco, ma in nome dello stato turco. Abbiamo fatto ricorso. Il capo procuratore del processo di appello ha detto che non c’erano gli estremi per confermare la condanna. Ma il consiglio superiore ha deciso in maniera diversa. E anche in appello mi hanno condannato. E’ chiaro che mi vogliono isolare, indebolire, lasciare privo di difese. Hanno ottenuto quello che volevano. Oggi sono in tanti a pensare che Hrant Dink sia uno che insulta i turchi. Ogni giorno mi arrivano sull’email e per posta centinaia di lettere di odio e minacce. Quanto sono reali queste minacce? Non si può sapere. La vera e insopportabile minaccia, però, è la tortura psicologica cui mi sottopongo. Mi tormenta pensare che cosa la gente pensa di me. Ora sono molto conosciuto «Guarda, non è l’armeno nemico dei turchi?» Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito. Che cosa diceva il ministro degli esteri Gul? E il ministro Cicek? «Suvvia, non esagerate con questo articolo 301. Quanta gente è finita in prigione?» Ma pagare è solo entrare in carcere? Signori ministri, sapete che cosa vuol dire imprigionare il corpo e la mente di un uomo nella paura di un colombo? In questo momento, così difficile anche per la mia famiglia, mi sento sospeso tra la morte e la vita. Ci sono giorni in cui penso di lasciare il mio paese, specie quando le minacce sono rivolte ai miei cari. Mi dicono che mi seguiranno se deciderò di andare, resteranno se deciderò di restare. Posso resistere, ma non posso mettere i miei cari a rischio. Ma se andiamo, dove andremo? In Armenia? Io che non tollero le ingiustizie, sarei forse più sicuro lì? L’Europa non fa per me. Tre giorni in occidente e il quarto voglio tornare a casa. Lasciare un inferno che brucia per un paradiso già confezionato? Dobbiamo cercare di trasformare l’inferno in paradiso. Spero che non saremo mai costretti ad andarcene. Farò ricorso alla Corte di Strasburgo. Quanto durerà questo processo non lo so. Ma mi conforta un po’ il fatto che fino al termine del processo potrò continuare a vivere in Turchia. Il 2007 sarà un anno molto difficile. Vecchi processi continueranno, nuovi processi si apriranno. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Posso vedere la mia anima nella titubanza di un colombo ma so che in questo paese la gente non osa toccare i colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti, come me, ma come me liberi.


 

>> Foto di archivio della cerimonia del 26.01.2007 in memoria di Dink 

 

 

La rivista “LEA – Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente” dedica una sezione al ricordo di Gabriella Uluhogian

L’ultimo numero della rivista  “LEA – Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente” contiene una sezione intitolata “Armenia nelle pieghe della memoria e nel laboratorio delle idee. In ricordo di Gabriella Uluhogian” con diversi articoli sulla storia e la cultura armene. (Vai al sito)
Armenia nelle pieghe della memoria e nel laboratorio delle idee. In ricordo di Gabriella Uluhogian
La doppia salvezza di Noemi Khardiashian (racconto-saggio) PDF
Antonia Arslan 77-80
Un selfie alla cultura armena del settimo secolo: l’“Autobiografia” di Anania Širakacci PDF
Alessandro Orengo 81-102
Re-readings of the epic Sasna Tsrrer (Daredevils of Sassoun) in contemporary Armenian prose: from epic to novel PDF
Hayk Hambardzumyan 103-116
Il cerchio del ritorno. A proposito dell’arte di Mikayel Ohanjanian (con riproduzioni) PDF
Vazgen Pahlavuni-Tadevosyan (Vazo) 117-124
Narrating the Armenian Genocide: an Italian Perspective PDF
Sona Haroutyunian 125-138
Cento anni di Metz Yeghern, tra silenzio e speranza. A proposito del volume di Yeghiayan Vartkes, Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti (2015) PDF
Diana Battisti 139-159
L’Armenia, la diaspora, gli altri: questioni aperte ed urgenze culturali. A proposito del volume a cura di Stefan Nienhaus e Domenico Mugnolo Questione armena e cultura europea (2013) PDF
Diana Battisti 161-178
Viaggio nei luoghi della memoria armena in Turchia e Azerbaigian PDF
Aldo Ferrari 179-192
Occasioni perdute. Frammenti di letteratura sulle tracce dell’utopia? PDF
Giampiero Bellingeri 193-204
Dal giornale Agos alla riscoperta del patrimonio culturale armeno in Turchia PDF
Francesca Penoni 205-216
Nei luoghi della spiritualità armena (lavoro fotografico) PDF
Andrea Ulivi 217-227
Interview with Contemporary Armenian Writer and Translator Diana Hambardzumyan PDF
Beatrice Tottossy 229-235

Novità in Libreria: “Armenian – Aryans” di Enrico Ferri – Ebrei, Armeni e Razzisti – Il Mito del Sangue

Negli anni Trenta furono promulgate, prima in Germania (1935) e poi in Italia (1938), una serie di leggi in “difesa della razza”. Partendo dall’ipotesi di un’originaria lingua indoeuropea, s’immaginava un altrettanto ancestrale popolo ariano con caratteristiche psico-fisiche ed una visone del mondo tipici di una razza guerriera fondata su valori come il senso dell’onore, l’amore del rischio, la voglia di affermarsi e il rispetto della gerarchia; valori e stili di vita che ne avrebbero legittimato il primato. Tale popolo si sarebbe poi diviso in varie etnie, che ne conservavano i caratteri originari presenti in gran parte dei popoli europei. Negli anni trenta dello scorso secolo, partendo da questi fragili presupposti, attraverso una serie di pseudo-scienze, come la frenologia e la fisiognomica ed altrettante mal definite “dottrine della razza”, si stabilirono criteri di appartenenza o di esclusione alla “razza ariana” e, di contro, alle razze semite e non arie, tesi che costituirono le premesse ideologiche per la discriminazione, la segregazione e la persecuzione di interi popoli e comunità, come gli ebrei e i rom. Nello studio si ricostruisce questo complesso quadro in riferimento alle vicende della comunità armena in Italia e in Europa, esponendo ed analizzando i vari argomenti che furono presentati a favore e contro il carattere ariano del popolo armeno ed il contesto storico in cui questo dibattito si svolse.

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