Novità in libreria: Henri Verneuil “Le Bugatti di Marsiglia”

Traduzione di Letizia Leonardi Edizioni Terra Santa, Milano 2020

296 pagine 18,00 € e-book ISBN: 978-88-6240-726-7

Data di pubblicazione: 20 febbraio 2020 


Comunicato stampa

Antonia Arslan: «L’avventura di una famiglia armena scampata al genocidio. Un racconto di grande intensità»

Al capezzale della morente mayrig, «mammina» in armeno, un figlio scampato all’orrore – ormai adulto e professionista affermato – torna alla sua vita di bimbo e di adolescente, rievocando i sentimenti e le emozioni, le fatiche e le speranze di un piccolo apolide che ha combattuto per crescere e affermare la propria identità in un Paese straniero. È l’incipit di Le Bugatti di Marsiglia in uscita per Edizioni Terra Santa, scritto da Henri Verneuil, alla nascita Achod Malakian (1920-2002), celebre regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese di origine armena (Prix César 1996 alla carriera), fuggito da bambino con tutta la famiglia a Marsiglia per scampare a pericoli e persecuzioni subite nello spazio ottomano in via di disfacimento. Autore di film celebri, come Quando Torna l’inverno o Il clan dei siciliani, diresse due pellicole ispirate a questo romanzo autobiografico: Mayrig (1991) e Quella strada chiamata paradiso (1992), entrambi interpretati da Omar Sharif e Claudia Cardinale. Il romanzo uscì in Francia con il titolo Mayrig. Scrive l’autore nel primo capitolo, che dà il via all’intera narrazione: «Fuori, le luci della città si sono accese. Ora so che nessuno mi metterà più in guardia contro il freddo delle notti, nessuno mi tenderà più quell’inutile maglioncino di lana che mi ha sempre infastidito tanto. E io resto solo, con il rimorso delle mie stupide collere, suscitate da quegli eccessi di premura. Nei grandi dolori, talvolta tornano alla mente sciocchezze che diventano via via sempre più grandi. Il nostro teatro interiore finisce per mettere in scena una pièce di sofferenza e lacrime ed è facile montare in groppa al dolore e cavalcare con lui. Ma questa sera, il mio dolore è come un tarlo. Ho chiuso il mio teatro per lutto… o quasi. Il tempo delle lacrime verrà più tardi. Realizzo, tornando indietro nel tempo, che durante tutti questi anni nei quali ci siamo tanto amati, non ci siamo mai detti quanto ci volevamo bene. Forse per un pudore comune, o forse per il timore di sottolineare uno stato di fatto che era evidente, permanente, irrevocabile. Il ricorso alle parole sembrava superfluo: ci si amava di nascita. Tutto il resto diventava un inutile corollario. Questo amore mi ha insegnato anche l’angoscia, al pensiero di ciò che poteva capitare a qualcuno di noi. Ho imparato a stare male, fisicamente male, nello stesso momento in cui stava male un altro della famiglia». In fuga dal genocidio del loro popolo, arrivano a Marsiglia dopo un avventuroso viaggio in mare cinque fragili sagome: un padre, una madre, il figlioletto di soli quattro anni, Achod, e le sue due zie. Per bagaglio, un piccolo fagotto e, come unico patrimonio, otto bottoni rivestiti di stoffa cuciti sul vestito della mamma: otto monete d’oro. Tre donne e un uomo completamente indigenti, che non parlano francese, e che hanno un solo scopo: vivere e prosperare per amore del piccolo Achod. Un racconto intimo e poetico, ricco di squarci e di aneddoti che lasciano spazio al sorriso, all’umorismo e alla speranza. Uno struggente inno alla lotta per la sopravvivenza e agli affetti familiari. Un’acuta riflessione sul valore delle proprie radici. Chi ha amato La masseria delle allodole si innamorerà di questo romanzo forte e vero come la vita di chi l’ha scritto.

L’Autore
Henri Verneuil, alla nascita Achod Malakian (Tekirdağ, Turchia, 15 ottobre 1920 – Bagnolet, Francia, 11 gennaio 2002), è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico di origine armena, fuggito da bambino con la famiglia a Marsiglia per scampare alla persecuzione. Il romanzo uscì in Francia con il titolo Mayrig. Nel 1996 Verneuil ha vinto il Premio César alla carriera.


  

Anche il Parlamento Siriano riconosce il Genocidio Armeno.

“Nella seduta di giovedì 13 febbraio 2020 Il Parlamento della Repubblica Araba della Siria ha riconosce e condanna il genocidio armeno pianificato e messo in atto da parte dell’Impero Ottomano ad inizio del 20 secolo”. E’ quanto si legge nella risoluzione approvata dal Parlamento della Repubblica Siriana in data 13 febbraio 2020.

Il Parlamento condanna anche ogni tentativo di negazione del genocidio e di mistificazione della storia è conferma che il Genocidio Armeno è uno dei peggiori crimini perpetrati contro l’umanità.

Il Parlamento condivide il dolore del popolo armeno amico e afferma che  armeni, assiri,siriaci e altri popoli che fanno parte del popolo siriano sono stati vittime  del genocidio progettato e perpetrato dal parte dei turchi ottomani.

Il Parlamento si appella a tutti i parlamenti del mondo e alla comunità internazionale per riconoscere e condannare il Genocidio Armeno.

Venezia – Agosto 2020 – Corso estivo intensivo di lingua e cultura armena

La 35ma edizione del corso estivo intensivo di Lingua e Cultura Armena, promosso dall’Associazione culturale Padus-Araxes in collaborazione con lo “Studium Generale Marcianum” di Venezia, si svolgerà dal 3 al 19 agosto; gli esami avranno luogo il 19 agosto.

ARRIVI: 2 agosto (check in); PARTENZE: 20 agosto (check out).

Per partecipare, compilate il modulo che trovate sul nostro sito:  www.padusaraxes.com/SummerCourse/ApplicationForm

Novità editoriale: Pubblicazione del libro “La leggenda del Platano di Vrisi” del Prof. Franco Fruci.

Sinossi dell’opera:

“Il Caso, che tutto governa, conduce Wadiah, il grande miniatore, dalle montagne dell’Hayastan al monastero basiliano di Corda sulla collina di Curinga.

La vicenda si svolge nella Calabria istmica, sulle terre della circoscrizione bizantina di Maida e dintorni, a cavallo tra la prima e la seconda metà dell’XI secolo quando la storia del meridione sta rapidamente mutando.

Inizia la rekatolisierung, un processo destinato a smantellare il monachesimo orientale sostituendolo con quello latino e a consolidare il potere dei normanni attraverso l’introduzione di un sistema feudale simile a quello dei grandi regni europei.

Sullo sfondo di questi cambiamenti c’è la vita dei villani, servi della gleba, che passano di mano da un padrone all’altro come le bestie e le cose.

In questo clima il pellegrinaggio terreno del protagonista, vissuto con il cuore stracolmo di sehnsucht e abbagliato da un amore asincrono accolto in nome della bellezza che per lui ha potere divino, si conclude in un posto dal quale si può vedere il mare, accanto a uno stecco grigiastro che tutti oramai chiamano il platano di Vrisi.”

 

Biografia dell’autore:

Franco Fruci, all’anagrafe Giuseppe Rosario, è nato a Curinga (CZ) il 25 aprile del 1946. Laureato in materie letterarie, ha insegnato per 35 anni nella locale scuola media. La passione per la politica, intesa come servizio alla propria comunità, ha segnato la sua vita fin da ragazzo. Ha più volte ricoperto cariche elettive e amministrative nel comune di Curinga di cui è stato sindaco. Dal 2005 è stato segretario provinciale della FLC-CGIL di Catanzaro e, per un breve periodo, presidente regionale dell’Associazione professionale “Proteo Fare Sapere”.

Attualmente è in pensione, libero di curare le passioni di sempre: ascoltare musica, leggere e scrivere, ma anche pescare e coltivare cavoli con le sue mani.

 

“Nei primi capitoli il libro descrive il protagonista e la sua terra, l’Armenia. Si raccontano gli usi, la vita quotidiana delle famiglie armene di un piccolo villaggio. Si parla di cantori, gli ashugh, che con le loro storie allietavano adulti e bambini; si fa riferimento alla tradizione culinaria armena, alla zuppa di agnello, bozbash, al pane tradizionale di quella regione, il lavash, alle bevande, come il than o l’areni. Il racconto ci porta lontano, in un’epoca diversa, il medioevo, e in una terra straniera, dilaniata dalle lotte per la conquista portate avanti da turchi e bizantini, nel cui contesto si inserisce un tema antropologico molto importante, oltre che attuale: la migrazione. Vediamo sia il viaggio del protagonista del racconto, animo inquieto senza dimora, sia lo spostamento in quanto flusso migratorio dei monaci che dopo la perdita d’indipendenza dell’Armenia, costretta sotto il dominio dei bizantini, sbarcarono sulla costa ionica della Calabria in cerca di luoghi di culto in cui sostare. E così, dall’altro lato, raggiungiamo un luogo che conosciamo bene, la Calabria, in particolare la zona del lametino e di Curinga, ancora non altro che un piccolo agglomerato appena nato. Ma nemmeno la Calabria era un luogo di pace. I signori locali erano perennemente in conflitto fra loro e le lotte interne devastavano la regione, già teatro di incursioni distruttive da parte degli arabi musulmani. I normanni, poi, furono ancora più sanguinari dei precedenti padroni. La loro dominazione contribuì ad accrescere, nelle genti assoggettate, il fatalismo e la rassegnazione, due sentimenti che hanno intriso la vita del meridione e la cultura popolare da lì e nei secoli successivi.

Guidati dal percorso di vita del protagonista, un monaco e un miniatore di estrema bravura, entriamo nel contesto del monachesimo armeno e poi, più tardi nel racconto, anche del monachesimo basiliano del Sant’Elia di Corda, nome con il quale si fa riferimento, nel testo, all’eremo di Sant’Elia Vecchio, situato poco distante da Curinga e di cui tutti, ancora oggi, possiamo ammirare la sopravvivenza. Nei monasteri armeni, Wadiah, protagonista della storia, impara l’arte della miniatura di cui diviene, col tempo, maestro. Il suo spirito irrequieto, però, non gli consente di stare per troppo tempo nello stesso posto, il suo peregrinare lo conduce lontano dalla sua terra natale e lo spinge sulle coste di Curinga, dalle quali raggiungerà il monastero di Corda, la sua ultima casa” (tratto dalla recensione della Dott.sa in Antropologia culturale, Felicia Fruci).

IN RICORDO DI HRANT 19 gennaio 2007- 19 gennaio 2020

 

IN RICORDO DI HRANT

19 gennaio 2007- 19 gennaio 2020

Sono passati tredici anni dal barbaro assassinio di Hrant Dink. Di quel 19 gennaio del 2007. Il suo messaggio però rimane sempre attuale anche se la società turca sembra ormai sempre più un sultanato dove le regole democratiche hanno lasciato spazio all’autoritarismo e alle persecuzioni.

La morte di Hrant ha cambiato il volto della Turchia. Da quel giorno niente più è stato come prima.

Se l’intento era quello di far tacere una voce. Sono state elevate altre centomila voci. Se l’intento era quello di soffocare la verità… altri centomila erano pronti a difenderla. Se l’intento era quello di limitare la libertà… hanno fallito.

Hanno ucciso un uomo ma non le sue idee. Hanno assassinato un giornalista ma non il suo sogno, non la sua libertà.

HRANT DINK vive!

AUGURI DI BUON ANNO

Il Consiglio per la comunità armena di Roma

AUGURA DI CUORE A TUTTI

un 2020

pieno di successi.

È Natale ogni volta che sorridi a un fratello…


È Natale 

È Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
È Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
È Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

Madre Teresa di Calcutta.

BUON NATALE

Il Congresso degli Stati Uniti riconosce genocidio del popolo armeno. (Rassegna stampa 13.12.19)

Il Congresso degli Stati Uniti riconosce genocidio del popolo armeno. Dopo la Camera ok del Senato (Rainews.it 12.12.19)

Una mossa destinata a scatenare l’ira di Ankara che aveva già convocato l’ambasciatore americano.  “E’ appropriato che il Senato sia dalla parte giusta della storia… viene riconosciuta la verita’ sul genocidio armeno”, ha commentato il senatore Bob Menendez, che ha chiesto di approvare la risoluzione, passata all’unanimità Tweet Genocidio armeno, ira di Erdogan dopo la risoluzione USA. La Turchia convoca ambasciatore americano Usa, Camera vota risoluzione che riconosce genocidio armeno 12 dicembre 2019 Con il via libera anche del Senato, il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto il genocidio armeno da parte dell’impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale. Una mossa destinata a scatenare l’ira di Ankara che aveva gia’ convocato l’ambasciatore americano dopo l’approvazione da parte della Camera lo scorso ottobre. “E’ appropriato che il Senato sia dalla parte giusta della storia… viene riconosciuta la verita’ sul genocidio armeno”, ha commentato il senatore Bob Menendez, che ha chiesto di approvare la risoluzione, passata all’unanimita’. Anche alla Camera il consenso era stato praticamente totale, con 405 voti a favore e 11 contrari. Su pressioni della Casa Bianca, 3 senatori Gop si erano inizialmente opposti alla misura, sostenendo che avrebbe compromesso le relazioni con la Turchia, gia’ minate dall’acquisto da parte di Ankara del sistema missilistico russo.


Stati Uniti, il senato riconosce il genocidio armeno (Euronews 13.12.19)

Un nuovo stress test è in arrivo nelle altalenanti relazioni tra Ankara e Washington: dopo le schermaglie sulla Siria del nord, l’oggetto del contendere ora è il Genocidio armeno, finito al centro di una mozione ufficiale del senato statunitense, che pure Donald Trump aveva tentato di bloccare sul nascere, per non incancrenire ulterioremente i rapporti con Erdogan, ormai sempre pIù vicino all’orbita russa.

Ma il senato, seppur controllato al momento dai repubblicani, ha approvato la risoluzione già votata il mese scorso dalla Camera dei rappresentati, sottolineando il bisogno e l’intenzione di dare, quanto prima, un riconoscimento ufficiale alla campagna di sterminio patita dagli armeni durante le deportazioni di massa nella prima guerra mondiale, quando un milione e mezzo di uomini e donne furono barbaramente massacrati duranti le marce forzate verso l’Anatolia interna e la Siria.

“Questo è il primo genocidio registrato nel secolo” ha detto il senatore democratico Bob Menendez. “Sappiamo fin troppo bene come questi orrori si siano poi ripetuti nel corso del ventesimo secolo con l’Olocausto e altri genocidi in tutto il mondo. Così oggi, qui al Senato, ci uniamo alla Camera che ha votato una risoluzione che afferma il riconoscimento dei fatti del genocidio. Oggi, noi mostriamo la stessa determinazione”.

L’iniziativa ha colpito un nervo scoperto nelle relazioni con l’alleato Nato: da sempre, Ankara continua a negare il carattere sistematico dei decessi avvenuti nel corso delle deportazioni, e dunque il loro carattere genocidiario.

In pochi, tra organizzazioni intellettuali e politici si sono discostati dalla posizione ufficiale del governo,

Lo stesso contenzioso la Turchia lo ha già avuto con diversi stati europei: l’ultima volta è accaduto con la Francia di Macron, che a febbraio ha sancito Giornata in memoria del genocidio armeno. Finora comunque, solo 32 paesi nel mondo hanno riconosciuto ufficialmente questa enorme tragedia


Turchia, il Parlamento condanna voto Usa sul genocidio armeno (Tgcom24 13.12.19)

Il Parlamento turco ha approvato una dichiarazione di condanna della risoluzione del Senato Usa che ha riconosciuto il genocidio armeno, come fatto in precedenza dalla Camera dei rappresentanti americana. La Turchia non riconosce la morte di centinaia di migliaia di armeni durante la Prima guerra mondiale come un genocidio, sostenendo che sia avvenuta nell’ambito del conflitto, con perdite da entrambe le parti, e che non fu pianificata.


Turchia-Usa: Ankara convoca ambasciatore Usa dopo risoluzione Senato su genocidio armeno

Ankara, 13 dic 17:11 – (Agenzia Nova) – La Turchia ha convocato oggi l’ambasciatore degli Stati Uniti ad Ankara a seguito della risoluzione del Congresso degli Stati Uniti per riconoscere come genocidio il massacro degli armeni del 1915. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa turca “Anadolu”, il viceministro degli Esteri turco, Sedat Onal, ha condannato la risoluzione in un colloquio con l’ambasciatore statunitense David Satterfield. La risoluzione del Senato degli Stati Uniti per riconoscere formalmente il genocidio armeno è stata criticata questa mattina dal ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu. In un messaggio su Twitter, il responsabile della diplomazia turca ha sottolineato che la mossa “non è altro che uno spettacolo politico”, osservando che “non ha alcuna validità giuridica”.


Usa e Turchia ai ferri corti: riconosciuto il genocidio armeno (Il Giornale 13.12.19)

Il Senato degli Stati Uniti ha adottato, all’unanimità, una risoluzione che riconosce come “genocidio” lo sterminio di un milione e mezzo circa di armeni, praticato dai turchi ottomani nel primo ventennio del ventesimo secolo.

“Approvando la mia risoluzione sul genocidio armeno il Senato si è finalmente deciso a confermare la storia”, ha dichiarato il senatore democratico Bob Menendez, che è stato uno dei coautori del testo adottato.

La Camera dei rappresentanti Usa, a guida democratica, aveva approvato la risoluzione con un voto schiacciante lo scorso ottobre.
Il voto al Senato, invece, dove i repubblicani del presidente Donald Trump detengono la maggioranza dei seggi, è stato bloccato più volte fino ad arrivare alla decisione approvata venerdì 12 dicembre.

Il riconoscimento come “genocidio” delle uccisioni degli armeni, avvenute all’inizio del XX secolo, come già era accaduto con la Germania e con Papa Francesco, ha scatenato le immediate reazioni della Turchia.

Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha affermato che il voto degli Usa “non è giuridicamente vincolante e non ha alcuna validità”. Il ministro ha definito il voto uno “spettacolo politico” per i social, ha rigettato l’accusa di “genocidio” ed ha affermato che armeni e turchi sarebbero morti a seguito della Prima Guerra mondiale.

In realtà, come oramai è storicamente accertato, lo sterminio e l’espulsione sistematica di massa di 1,5 milioni di armeni all’interno dell’Impero ottomano avvenne dal 1914 al 1923. La data di inizio è convenzionalmente fissata per il 24 aprile 1915, il giorno in cui le autorità ottomane radunarono, arrestarono, deportarono da Costantinopoli (ora Istanbul) verso la regione di Angora (Ankara) e uccisero centinaia di intellettuali e leader della comunità armena. Il genocidio armeno è stato realizzato sia durante che dopo la Prima Guerra mondiale e, in particolare, fu attuato in due fasi: l’uccisione in blocco della popolazione maschile e la deportazione di donne, bambini, anziani e malati verso il deserto siriano.

Questa nuova coraggiosa decisione degli Stati Uniti probabilmente non aiuterà a migliorare le relazioni con la Turchia. I due alleati della Nato sono già alle prese con diverse questioni, tra cui l’acquisto da parte di Ankara dei sistemi di difesa missilistica russi e la politica sulla Siria portata avanti da Erdogan.


Il Senato americano riconosce il genocidio armeno (Gariwo 13.12.19)

Dopo la Camera a ottobre, ieri anche il Senato americano ha riconosciuto il genocidio armeno. L’ha fatto con un voto all’unanimità destinato a fare storia. Questo nonostante, in precedenza, la risoluzione fosse stata bloccata tre volte da tre diversi senatori repubblicani. Nonostante l’opposizione di Trump e della sua amministrazione oltre, naturalmente, agli sforzi e ai tentativi di Erdoğan e del suo governo di farla deragliare. E a dispetto, soprattutto, di una lunga tradizione di reticenza (o di negazionismo, se si preferisce) da parte del governo americano rispetto a questo tema. Non un solo presidente statunitense, è bene ricordarlo – con la sola eccezione di Reagan in una sola occasione – ha mai pronunciato la parola genocidio riguardo allo sterminio degli armeni avvenuto nell’Impero Ottomano nel 1915.
Una battaglia su e per la memoria che, a oltre un secolo da quei tragici eventi, non pare ancora conclusa. Il voto di ieri porta a 32 il numero dei Paesi che abbiano riconosciuto questo genocidio, spesso solo negli ultimi anni. Mancano ancora all’appello Paesi come la Gran Bretagna (nonostante il riconoscimento ufficiale di Galles, Scozia e Irlanda del Nord) e Israele, dove i tentativi di riconoscimento hanno avuto una storia travagliata, nonostante la generosità con cui molti ebrei – ieri come oggi, dentro e fuori Israele – si siano battuti per questa causa. Un bel volume del 2015 edito da Giuntina, Pro Armenia, a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti, risulta una testimonianza potente in tal senso.

E la memoria – dopo il voto americano di ieri, la cui notizia è giunta in Italia in serata – è andata subito a una delle figure affrontate in questo libro. Una «figura cruciale e troppo spesso dimenticata della riflessione politica e umanistica del ventesimo secolo», come scrive Antonia Arslan nella prefazione del volume. Ci riferiamo al giurista ebreo polacco Raphael Lemkin. Un Giusto di cui racconto spesso quando sono invitato a parlare nelle scuole. Per un motivo ben preciso: sono convinto che quella di Lemkin sia una parabola universale sul potere dell’ingegno umano e del linguaggio. Un uomo – piuttosto chiuso e introverso, come ci raccontano gli storici – che da solo ha inventato un termine capace di segnare la storia, ben oltre la scomparsa del suo stesso autore. Di far tremare ancora oggi tiranni e eserciti, di essere un veicolo potente di prevenzione alla violenza, in contesti storici e geografici diversissimi. Pietra d’inciampo e, insieme, per chi abbia il coraggio di riconoscere la memoria e le colpe del passato, strumento di riconciliazione per il futuro.
La parola genocidio, infatti, usata e a volte abusata da molti (si pensi a certe retoriche su un presunto “genocidio” degli italiani da parte di forze politiche che si oppongono all’immigrazione), non esisteva in nessuna lingua del mondo prima che Lemkin, che già da studente iniziò a interessarsi alla questione armena, coniasse questo neologismo che porterà, proprio su sua iniziativa, alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio adottata dalle Nazioni Unite nel 1948.

Tornando alla risoluzione di ieri: come non pensare al genio di questo Giusto, a questa sua intuizione terminologica e giuridica oggi citata da tutti, quando consideriamo come la Turchia, stando ai dati riportati dal Center for Responsive Politics, abbia speso 6 milioni di dollari (solo nel 2018 e solo per gli Stati Uniti) in attività di lobby per prevenire il riconoscimento del genocidio armeno? Ebbene, non sono bastati: l’abbiamo visto ieri. Non sono bastate le pressioni diplomatiche, gli interessi economici e militari di altissima importanza per Washington, per fermare una sola parola inventata da un solo uomo, assetato di pace e giustizia.
La storia di Raphael Lemkin dovrebbe essere insegnata in tutte le scuole, come quella di Alessandro Magno o Napoleone, come Leonardo o Cartesio. Gli studenti di oggi e gli uomini di domani dovrebbero sapere come le loro idee possano cambiare il mondo, anche in questo contesto storico in cui l’uomo, come scriveva il filosofo Günther Anders, appare sempre più marginalizzato, persino inutile, di fronte allo strapotere della tecnologia e a un potenziale distruttivo (dalla sfera militare ai mutamenti climatici) che sembra andare spesso oltre le nostre potenzialità stesse di comprensione, per non parlare di quelle di intervento.
Lemkin, citato non a caso nella risoluzione americana, è stato un gigante della storia del Novecento, secolo di cui, come pochi, comprese per intero il lascito di orrore, avvertendo al contempo l’urgenza di prevenire, in futuro, che si riproponessero tragedie come il genocidio armeno e la Shoah. Lo sanno bene, in questo nuovo millennio, gli yazidi e i rohingya, che molto investono nell’intuizione di Lemkin per ritrovare dignità e pace. Lo sanno i sopravvissuti di Srebrenica, alla Cambogia dei Khmer, al genocidio del Ruanda. Lo sanno bene anche gli armeni, naturalmente: il silenzio secolare sul genocidio è stato, e in parte è ancora, una ferita aperta nella coscienza di una intera nazione.
Se anche un solo uomo come Lemkin nascerà in questo nuovo millennio, con le sue capacità di leggere il passato, di credere e incidere – grazie alla forza delle sue idee – sul futuro, l’umanità intera, anche se solo in piccolissima parte, sarà senza dubbio diversa.


USA – Il Senato riconosce il genocidio armeno (Assadakah 13.12.19)

Letizia Leonardi – Nonostante il tentativo del presidente Trump di guadagnare tempo per le questioni ancora in sospeso con la Turchia, il Senato americano ha approvato all’unanimità la risoluzione che ha riconosciuto il genocidio armeno. Ha prevalso la giustizia, nonostante la contrarietà del presidente degli Stati Uniti Trump. Giovedì 12 dicembre un importante passo è stato fatto e la Turchia appare sempre più isolata nel portare avanti con ostinazione la tesi del negazionismo. La notizia è stata pubblicata da “Usa Today”. Attendiamo adesso le reazioni di Ankara e di Erdogan che, sicuramente, non si faranno attendere.

Il senatore Robert Menendez ha dichiarato: “Non ho dubbi che Erdogan esprimerà la sua profonda opposizione alla risoluzione del genocidio”. Per anni, la Turchia ha infatti continuato a fare pressioni per fermare ogni tentativo di riconoscimento, da parte degli Usa, nonostante le richieste della grande Comunità Armena residente in America. Tutti questi tentativi però sono crollati di fronte alla determinazione di Menendez che ha presentato al voto la mozione che nessuno ha esitato ad approvare. Il democratico del New Jersey , dopo il voto unanime del Senato, è scoppiato in lacrime e ha raccontato gli orrori di questo genocidio che ha colpito un popolo antico e glorioso durante la Prima Guerra Mondiale e anche oltre. “L’uccisione è stata fatta con asce, mannaie, pale e forconi. Era come un macello”- ha narrato Menendez- “I bambini sono stati scagliati contro le rocce davanti agli occhi delle loro madri.

Era chiaro che l’obiettivo finale della Turchia era quello di eliminare gli armeni”. Probabilmente dietro questo importante passo c’è stata l’indignazione per la decisione della Turchia di attaccare i curdi in Siria. Curdi che hanno aiutato le forze statunitensi a sconfiggere il gruppo terroristico dello Stato Islamico. Azioni che hanno ricordato ciò che avevano subito gli armeni anni prima.

“I membri della mia famiglia sono stati tra quelli uccisi. I miei genitori sono fuggiti con i miei nonni in America”, ha spiegato Anna Eshoo, durante il dibattito in aula. “Tutti i perseguitati avevano in comune il fatto che erano cristiani”. E ha raccontato la storia che le ripeteva la zia. Sua madre aveva cucito delle monete nell’orlo della gonna e disse a lei e alle sue sorelle di fuggire mentre il loro villaggio veniva attaccato. Mentre correvano, guardavano dietro di loro e vedevano l’intero villaggio in fiamme. Hanno perso tutto e soprattutto i genitori. Menendez aveva già tentato tre volte di presentare la mozione in Senato ma, ogni volta, qualche senatore repubblicano obiettava per volere della Casa Bianca che non voleva scontentare Ankara.

Il 13 novembre scorso il rappresentante della Camera, della Carolina del Sud, Lindsey Graham, un feroce critico sull’invasione della Siria da parte della Turchia, ha bloccato il riconoscimento del genocidio dopo che la Casa Bianca aveva espresso preoccupazione al riguardo. Per anni infatti, i funzionari turchi hanno sostenuto che il Congresso avrebbe gravemente danneggiato le relazioni USA-Turchia approvando tale risoluzione. In una comunicazione del 25 ottobre, l’ambasciatore turco presso gli Stati Uniti, Serdar Kilic, aveva avvertito i legislatori che il riconoscimento del genocidio armeno avrebbe potuto compromettere la futura cooperazione economica e creare ostilità tra i due alleati NATO.

Questa decisione dunque è sicuramente un duro colpo per la Turchia e per Trump e rappresenta anche l’indebolimento della posizione negazionista della Turchia. Nel corso di tutti questi anni anche gli altri presidenti americani sono intervenuti per impedire al Congresso di approvare la risoluzione del genocidio armeno. “Abbiamo interessi significativi in questa regione travagliata del mondo”, aveva scritto alla fine del 2000 il presidente Bill Clinton in una lettera all’allora presidente della Camera Dennis Hastert.

“L’esame della risoluzione in questo momento delicato influenzerà negativamente quegli interessi e potrebbe minare gli sforzi per incoraggiare il miglioramento delle relazioni tra Armenia e Turchia”. Ora queste argomentazioni sono state superate. L’alleanza USA-Turchia si è fortemente deteriorata negli ultimi mesi, non solo a causa dell’invasione della Siria da parte della Turchia, ma anche perché Erdogan ha portato avanti la decisione della Turchia di acquistare un sistema missilistico russo, nonostante le obiezioni di Washington.

Menendez, alla luce dei recenti comportamenti del regime di Ankara, ha criticato l’abbraccio di Trump a Erdogan e ha ribadito che il genocidio è stato perpetrato dall’Impero ottomano. Non era la Turchia moderna e quindi dovrebbero essere in grado di riconoscere quel fatto storico e andare avanti. In attesa di ulteriori sviluppi intanto gioiamo per questo importante e significativo traguardo e speriamo che prima o poi anche la Turchia farà i conti con la propria pagina nera del passato. (fonte: Deirdre Shesgreen USA TODAY)


Novità in libreria: I mendicanti nobili, Hagop Baronian (A cura di Kegham Boloyan)

I mendicanti nobili’ (Medzabadiv Muratsganner) è un romanzo satirico sull’avarizia e la vanità umane, caratteristiche possedute da tutti i personaggi della storia che si rivelano degli idioti, dei bugiardi o, a volte, entrambe le cose. Il protagonista dell’opera – già tradotta in arabo, inglese e francese – è Apisoghom Agha (‘signore’ o ‘padrone’); gli fa da corollario un vasto assortimento di ciarlatani, editori, giornalisti, poeti, medici, preti, avvocati, che si recano da lui per offrirgli aiuto, ma soprattutto per ricevere in cambio i suoi favori. Questi personaggi rappresentano l’intellighenzia armena caduta nella povertà spirituale a causa delle condizioni socio-politiche e ridotta ad adulare uomini come Apisoghom Agha, ricco, provinciale e ignorante. Nell’Armenia del XIX secolo, così come nel mondo odierno, tutto ruota intorno al denaro e al tornaconto personale. Quest’opera quindi, sebbene rappresenti una società ben precisa, ha un carattere universale.