Il ricordo di Hrant Dink, tra commemorazione e negazionismo

Il 19 gennaio 2007 il giornalista turco-armeno Hrant Dink, direttore del settimanale bilingue “Agos”, venne assassinato sotto la redazione a Istambul da un giovane nazionalista turco.

Le vicende processuali e il dibattito politico che seguì all’interno della stessa società turca a seguito della morte di un “testimone del dialogo” sono note.

Nell’ottavo anniversario della morte il «Consiglio per la comunità armena di Roma» ricorda ancora una volta il giornalista e il suo sacrificio.

Il 2015 è un anno cruciale nella storia delle relazioni fra turchi e armeni perché il prossimo 24 aprile cadrà il centenario del genocidio armeno.

Purtroppo, ad oggi, la speranza armena di un passo importante della Turchia verso l’analisi della propria storia passata e il riconoscimento di quanto accaduto rimane vana.

Denunciamo l’ininterrotta politica di negazionismo del governo turco, i proclami anti armeni del presidente Erdogan, la recente “pagliacciata” di far coincidere la data del ricordo della battaglia di Gallipoli con l’anniversario del genocidio armeno (24 aprile) nel puerile tentativo di distogliere l’attenzione dell’opinione mondiale dal ricordo di un milione e mezzo di morti.

Denunciamo l’arroganza di un sistema politico che continua ad arroccarsi nel suo nazionalismo fine a se stesso, teso solo alla restaurazione dell’orgoglio ottomano, incapace di sviluppare un aperto dibattito democratico interno per guardare al passato con l’animo rivolto a un futuro di convivenza e stabilità.

«Il Consiglio per la comunità armena di Roma» ancora una volta si appella all’informazione affinché il sacrificio del collega Hrant Dink non sia stato vano.

Il Comitato organizzatore del «Riconoscimento giornalistico italiano Hrant Dink» ha ritenuto opportuno nell’anno del centenario della Memoria del Metz Yeghern assegnare il riconoscimento 2015 alla Memoria dei tanti giornalisti che negli ultimi anni hanno perso la vita nell’adempimento del loro lavoro, perseguendo la verità.

Le recenti vicende parigine ci dimostrano come libertà di informazione ed espressione siano purtroppo ancora concetti di difficile comprensione per molti individui e molti sistemi di governo; la battaglia per la libera diffusione delle idee e delle notizie e contro l’oscurantismo e il negazionismo è ancora lunga e difficile.

Nei prossimi giorni una dichiarazione di assegnazione del «Riconoscimento giornalistico Hrant Dink» sarà recapitata alle principali associazioni di categoria del giornalismo italiano.

Consiglio per la comunità armena di Roma

Comitato organizzatore «riconoscimento giornalistico italiano Hrant Dink»

19.01.2015

Ennesimo affronto alla Memoria del popolo armeno da parte del Presidente Turco Erdogan

In data 16 gennaio 2015 il Presidente Turco Erdogan ha invitato il Presidente Armeno Sarkissian a partecipare il prossimo 24 aprile 2015 alla cerimonia del centenario della battaglia di Gallipoli.

L’invito ovviamente oltre ad essere inopportuno suona come una provocazione ed un ulteriore presa in giro dal momento che quest’anno ricorre il centenario del genocidio ed il 24 aprile si sa, è internazionalmente riconosciuta come la data della commemorazione del genocidio del 1915 perpetrato dal governo turco di allora di cui Erdogan non è altro che legittimo erede.

Il Presidente Armeno ovviamente non ha ritardato la sua risposta a questo ennesimo affronto alla Memoria del popolo armeno.

Di seguito pubblichiamo la lettera del Presidente Sarkissian tradotta a cura del Prof Gergorio Zovighian con un breve commento dello stesso.

COMMENTO DEL PROF ZOVIGHIAN

Non so se il presidente turco, Erdogan, sia più sfacciato o più arrogante. Ecco perché.

Nel corso della prima guerra mondiale gli anglo-francesi fecero uno sbarco a Gallipoli, presso i Dardanelli, in Turchia. Vi furono cruente battaglie nel corso delle quali un armeno , Sarkis Torossian, capitano di artiglieria nell’esercito turco, affondò una nave nemica e per questa ragione il ministro della guerra turco, Enver pascià (uno dei triumviri dei Giovani Turchi), presentandolo a degli ufficiali tedeschi, lo definì “l’eroe armeno”.

Orbene, Erdogan, , al chiaro scopo di offuscare le commemorazioni del centenario del genocidio armeno, ha invitato i capi di stato di tutto il mondo, fra cui l’Armenia, a partecipare alla cerimonia commemorativa della battaglia di Gallipoli; cerimonia che, guarda caso, è stata indetta per il 24 aprile 2015!

Anche la sfacciataggine dovrebbe avere un limite, ma ormai il presidente turco non ha più freni. Basti vedere il palazzo presidenziale che si è fatto costruire: mille stanze! Evidentemente non voleva più stare nel vecchio palazzo presidenziale che, fra le altre, sorge su un terreno requisito alla famiglia armena Kassabian.

Comunque quest’ennesima uscita del presidente turco deve far meditare tutti coloro che, senza fare i conti con la dura realtà,chiedono agli armeni di tendere una mano alla Turchia.

In allegato invio la traduzione della risposta del presidente dell’Armenia all’invito di Erdogan a presenziare alla commemorazione della battaglia di Gallipoli. Dopo la sua lettura non viene che da dire: “Bravo, presidente !”.

Gregorio Zovighian

Traduzione della lettera del Presidente Sarkissian

Egregio signor Presidente,

Ho ricevuto il Vostro invito, a me diretto, per partecipare alle manifestazioni in ricordo del centenario della battaglia di Gallipoli. Effettivamente la prima guerra mondiale è una delle pagine più terribili della storia dell’umanità, che fu causa di milioni di perdite di uomini innocenti e di destini rovinati.

Alla battaglia di Gallipoli partecipava anche un artigliere armeno delle forze armate dell’Impero Ottomano, il capitano Sarkis Torossian,un ufficiale che si era dedicato a difendere e a tutelare la sicurezza dell’Impero(Ottomano) e che, per il suo fedele servizio ed il coraggio (dimostrati), si meritò delle ricompense militari, da parte dell’Impero Ottomano. Mentre, nello stesso periodo l’ondata di massacri di massa e di deportazioni -precedentemente pianificati ed attuati nei confronti degli armeni da parte dell’Impero Ottomano- giunta al culmine, non risparmiò persino Sarkis Torossian. Nel novero del milione e mezzo di armeni vittime del genocidio vi erano i suoi genitori che furono ferocemente uccisi, mentre la sorella morì nel deserto di Siria. Ed è proprio in seguito a questo eccidio senza precedenti che Raphael Lemkin creò il termine “genocidio”, ed è stata la sua impunità che preparò il terreno all’Olocausto ed ai genocidi di Ruanda, Cambogia e Darfur.

Secondo Voi la battaglia di Gallipoli è un particolare esempio, non solo per la Turchia, ma anche per il mondo intero, dei rapporti d’amicizia sorti dalle guerre; mentre il campo di battaglia è un monumento di pace e di amicizia, che ricorda l’amara eredità della guerra. Tralasciando l’importanza, a tutti ben nota, della battaglia di Gallipoli, oppure la discutibile condotta della Turchia nel corso della prima e della seconda guerra mondiale, è necessario ricordare che la pace e l’amicizia devono innanzitutto basarsi sul coraggio di confrontarsi con il proprio passato, sulla giustizia storica, come pure sul riconoscimento totale, e non selettivo, della memoria dell’intera l’umanità.

Ahimé , la Turchia continua la sua tradizionale politica negazionista e di anno in anno “perfezionando” il suo strumentario di mistificazione storica, quest’anno ricorda il centenario delle battaglie di Gallipoli, per la prima volta il 24 aprile, mentre quelle sono iniziate il 18 marzo del 1915 e sono proseguite fino alla fine di gennaio del 1916 e lo sbarco degli alleati ed i combattimenti di terra sono iniziati il 25 aprile.

Che fine persegue tutto ciò, se non il banale scopo di deviare l’attenzione del pubblico mondiale dalle manifestazioni del centesimo anniversario del genocidio armeno?!.

Mentre, prima di intraprendere iniziative commemorative, la Turchia aveva un dovere molto più importante, nei confronti del proprio popolo e dell’intera umanità, cioè il riconoscimento e la condanna del genocidio armeno.

Quindi Vi consiglierei di non dimenticare, nei Vostri appelli ad una pace mondiale, di inviare al mondo un invito al riconoscimento del genocidio armeno, evocando il ricordo di un milione e mezzo di vittime innocenti.

E’ il dovere di ciascuno di noi trasmettere, alle generazioni future,la vera storia, scevra da mistificazioni; così prevenendo la ripetizione di delitti e preparando il terreno all’avvicinamento ed alla successiva cooperazione fra le nazioni, in particolar modo fra le nazioni vicine

P.S. Vostra eccellenza, ancora alcuni mesi fa Vi avevo invitato a Yerevan, per onorare assieme,il 24 aprile 2015, la memoria delle innocenti vittime del genocidio armeno. Presso di noi non è norma essere ospitati dall’invitato, senza aver ricevuto la risposta all’invito.

L’Italia condanni l’agressione Azera

L’abbattimento dell’elicottero armeno privo di munizioni delle forze armate del Nagorno Karabakh da parte dell’esercito azero lungo la linea di demarcazione tra l’Azerbaigian e la repubblica del Nagorno Karabakh non è stata solo una gravissima violazione dell’accordo di cessate il fuoco del 1994 e un atto vile costato la vita a tre aviatori armeni, ma rappresenta una pericolosissima scintilla nella polveriera del Caucaso.

Solo una dittatura come quella azera poteva arrivare ad abbattere un velivolo avversario dopo che negli ultimi mesi si è più volte sfiorata la ripresa di quel conflitto armato che agli inizi degli anni Novanta insanguinò la regione.

I video postati sulla rete hanno stroncato il puerile tentativo degli azeri di giustificare l’atto come la difesa da una aggressione armena.
Nel filmato realizzato dallo stesso gruppo di soldati azeri che hanno sparato il missile terra aria che ha abbattuto l’elicottero si vedono due elicotteri che procedono lontani, molto lontani, in parallelo lungo la linea di confine. Distanza e lontananza testimoniano che non avevano alcun intento aggressivo ma solo dimostrativo dal momento che si stavano svolgendo esercitazioni su vasta scala come spesso durante l’anno si effettuano da una parte e dall’altra.
I soldati azeri sono eccitati alla vista dei due elicotteri, peraltro la lontananza degli stessi rende difficile all’inizio l’inquadratura video. Il missile colpisce il secondo mezzo che si schianta al suolo nella terra di nessuno che separa le postazioni armene da quelle azere.
Per tutto il pomeriggio gli azeri hanno bersagliato con armi di medio calibro quell’area per impedire i soccorsi.
In un altro video realizzato dalla sponda del Nagorno Karabakh si vede l’apparecchio che sta precipitando in fiamme al suolo, vicinissimo alle postazioni armene e sempre con traiettoria parallela alla linea di confine.

L’abbattimento dell’elicottero è un atto gravissimo che, dopo la tempestiva condanna dell’UE, l’Italia deve condannare con fermezza per evitare le conseguenze di una nuova guerra regionale che avrebbe effetti devastanti non solo su tutta l’area caucasica ma anche per il nostro continente soprattutto da un punto di vista energetico.

Chiediamo alle istituzioni, ai partiti, alle associazioni italiane di solidarizzare con il popolo armeno in difesa della libertà del Nagorno Karabakh- Artsakh e per la sicurezza e stabilità dell’intera regione.

Fermate il dittatore Azero!

Oggi (12/11/2014), alle 13,45 (ora locale) un elicottero “Mi-24” delle forze armate della repubblica del Nagorno Karabakh è stato abbattuto al suolo in conseguenza di una violazione azera del cessate il fuoco.

Il velivolo stava compiendo una missione di addestramento nell’ambito delle manovre “Unità 2014” svolte congiuntamente con le forze armate della

repubblica di Armenia e stava sorvolando la zona prossima alla linea di demarcazione tra repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh ed Azerbaigian.

A bordo del velivolo tre membri dell’equipaggio, deceduti nell’impatto. Dopo la caduta al suolo le forze azere hanno continuato a sparare con armi di medio calibro impedendo ai soccorritori di avvicinarsi ai rottami.

 

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” denuncia l’ennesima gravissima violazione azera che conferma la volontà della dittatura Aliyev di perseguire la strada dello scontro invece che quella del dialogo e della pace, vanificando di fatto tutti gli sforzi dei negoziatori internazionali.

 

L’abbattimento dell’elicottero costituisce un nuovo grave attentato alla pace ed alla democrazia del popolo armeno del Nagorno Karabakh.

 

A proposito dei profughi del Qarabag.

Ci sia consentito un diritto di replica a quanto alcuni giornali, sportivi e non, hanno scritto a riguardo la squadra azera del Qarabag, avversaria dell’Inter in Europa League.

La squadra di una città fantasma, è stata descritta: ed è vero giacché la città di Agdam è oggi pressoché abbandonata dopo il conflitto del Nagorno Karabakh agli inizi degli anni Novanta.

Ma quella guerra, non dimentichiamolo, fu scatenata proprio dagli azeri in risposta al processo democratico degli armeni della piccola enclave del Nagorno Karabakh che nel rispetto della legislazione sovietica dell’epoca scelsero la strada dell’indipendenza.

Al voto referendario il corrotto Azerbaigian rispose con i bombardamenti e la successiva guerra che, nonostante il maggior numero di uomini e mezzi a disposizione, perse.

Piangere le vittime umane è un dovere, commiserare coloro che sparavano missili contro gli armeni no.

È come se dopo la seconda guerra mondiale i tedeschi si fossero lamentati per le distruzioni subite…

Condannare con fermezza la distruzione in Siria da parte dell’ISIS della Chiesa Armena innalzata nel luogo del martirio delle vittime del genocidio

La chiesa armena di Deir el-Zor, eretta nel 1990 a ricordo delle centinaia di migliaia di armeni che in tale località trovarono la morte al termine della marcia di deportazione imposta dal governo turco nell’ambito del piano genocidiario del 1915, è stata fatta saltare in aria dai miliziani dell’Isis. Il crimine è stato perpetrato il giorno 21 settembre, anniversario della indipendenza della repubblica di Armenia.

Ne ha dato notizia il ministro degli Affari Esteri dell’Armenia, Edward Nalbandian che ha definito tale azione una “orribile barbarie”.

Il crimine commesso da miliziani fondamentalisti dell’Isis è ancor più grave giacché avviene proprio alla vigilia dell’anniversario del centenario del genocidio.
A Deir el-Zor (anche Deir ez-Zor, Dayr az-Zawr, Deir al-Zur), in pieno deserto siriano, terminavano le carovane della morte del 1915; i sopravvissuti o furono gettati vivi nelle cavità carsiche del luogo o vennero lasciati morire di fame e di malattie nel deserto.

L’opinione pubblica armena ha chiesto alla Turchia, recentemente accusata di “sostenere” l’Isis, di condannare la devastazione della chiesa, ma ad oggi nessun comunicato ufficiale è pervenuto da Ankara.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma nel denunciare l’ennesimo atto di violenza contro il popolo armeno, chiede ai media ed alle istituzioni italiane di condannare con fermezza la distruzione della chiesa (dedicata ai “Santi Martiri”) edificata in quella che è stata definita la “Auschwitz degli armeni”, meta di pellegrinaggio ogni anno, il 24 aprile, in occasione della commemorazione del Metz Yeghern (il “Grande Male”).

FONTI

http://www.armradio.am/en/2014/09/22/armenia-condemns-the-destruction-of-the-saint-martyrs-church-in-deir-el-zor/

http://www.tempi.it/siria-stato-islamico-distrugge-la-chiesa-che-commemorava-il-genocidio-a-deir-ezzor-auschwitz-degli-armeni#.VCF_dBZ0YxI

http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/22/siria_lis_distrugge_chiesa-memoriale_delleccidio_armeno/1107052

http://armenpress.am/eng/news/777252/if-turkey-is-not-behind-deir-ez-zor-church-explosion-it-should-condemn-terrorism-vigen-sargsyan.html

Visita di Aliyev in Italia

COMUNICATO STAMPA

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO MATTEO RENZI IN OCCASIONE DELLA VISITA IN ITALIA DEL PRESIDENTE AZERO ILHAM ALIYEV

 

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” ha inviato al presidente del consiglio Matteo Renzi il seguente messaggio in occasione della prossima visita in Italia del presidente della repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev.

 

 

Signor Presidente del Consiglio,

tra pochi giorni sarà in Italia per una visita ufficiale di stato il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. Leggiamo dalle anticipazioni di stampa che giungerà nel nostro Paese per firmare importanti contratti economici. Quello del petrolio e del denaro è d’altronde l’unico strumento a disposizione dell’Azerbaigian per ottenere una ribalta internazionale. Da sempre, infatti, “pecunia non olet”.

E noi non ci permettiamo certo di discutere le opportunità economiche dell’Italia, anche se riguardano il controverso progetto TAP.

Ricordiamo però a noi stessi che l’Azerbaigian è agli ultimissimi posti nelle classifiche mondiali sulla libertà di informazione, che decine di giornalisti ed intellettuali azeri sono rinchiusi nelle carceri, che la tutela dei diritti umani è costantemente in peggioramento come evidenziato dagli ultimi drammatici rapporti delle organizzazioni internazionali, che l’Azerbaigian è indicato tra i paesi più corrotti e corruttori al mondo (al punto che il suo presidente è stato insignito nel 2013 dalla Organized crime and corruption reporting Project del titolo di “corrotto dell’anno”).

Non dimentichiamo come la cosiddetta “Politica del caviale” (sinonimo di corruzione e malaffare azero) si sia introdotta purtroppo, in maniera spesso subdola, anche in Italia.

E non dimentichiamo soprattutto come l’Azerbaigian continui ad infiammare il Caucaso meridionale cercando una soluzione bellica al problema del Nagorno Karabakh, spendendo miliardi di dollari per acquistare armi, continuando ad uccidere ragazzi armeni lungo il confine con l’Armenia e con la repubblica del Nagorno Karabakh contro la quale, a venti anni di distanza dalla firma del cessate il fuoco (dopo la guerra scatenata  e persa dagli azeri stessi) non cessa l’azione violenta per annullare il suo democratico diritto di avere un futuro di pace e libertà.

E, soprattutto, signor Presidente del Consiglio, non possiamo dimenticare come il Suo prossimo interlocutore abbia ripetutamente additato gli armeni, in ogni parte del mondo, come “un nemico principale da abbattere”.

Ecco, come italiani di origine armena, chiediamo che le nostre istituzioni ci siano vicine e non facciano da cassa di risonanza al nazionalismo guerrafondaio, razzista, armenofobo ed antidemocratico del dittatore Aliyev.

Gli affari sono affari, ma libertà, democrazia e diritti umani sono ben altro. E l’Italia non può dimenticarlo.

Grazie per la Sua attenzione e buon lavoro.

Con i migliori saluti

 

Consiglio per la comunità armena di Roma

COMUNICATO STAMPA: LACRIME (TURCHE) DI COCCODRILLO

La turchia di Erdogan non si smentisce…negazionista è, e negazionista rimane.

Alla vigilia del 99° anniversario del Genocidio armeno il premier turco Erdogan ha rilasciato un comunicato,  diramato in ben sette lingue, armeno compreso, nel quale si lascia andare a talune considerazioni sugli “accadimenti della prima guerra mondiale”.

La stampa internazionale ha dato ovviamente molta enfasi alle suddette dichiarazioni che taluni, molto affrettatamente, hanno giudicato una apertura turca sulla questione armena.

In realtà una attenta lettura del testo evidenzia, accanto a qualche timida frase di circostanza, la consueta impostazione negazionista della Turchia.
Che anzi esce rafforzata proprio dalle frasi del leader turco condite dai soliti distinguo e prese di circostanza.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma”
si associa alle reazioni negative che giungono dagli armeni di tutto il mondo ed invita a vigilare contro il negazionismo turco che, a pochi mesi dal centenario del Genocidio armeno, continua a caratterizzare la politica di Ankara.

Il messaggio di Erdogan, a parte le “condoglianze ai nipoti” degli armeni, rafforza ancor di più l’antistorica posizione turca, cerca di mettere sullo stesso piano un milione e mezzo di armeni trucidati con alcune decine di migliaia di soldati turchi
caduti nel corso delle avventate campagne militari dei generali ottomani;
addita, inequivocabilmente, agli armeni la responsabilità se ancora oggi la questione del Grande Male non è risolta e getta nello stesso calderone della Grande Guerra un popolo sterminato dalla ferocia dei Giovani Turchi e tutti coloro che hanno perso la vita nel corso della guerra. Guerra che diviene, ancora una volta, una cortina fumogena dietro alla quale celare la grande strage armena.
Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” rifiuta con fermezza ogni atto
che non sia un pieno e formale riconoscimento di responsabilità per il genocidio del popolo armeno.
Nessun tentativo di “depistaggio” diplomatico potrà mai arrestare il diritto alla Memoria  che gli armeni in ogni angolo del mondo reclamano a gran voce; il 24 aprile ed ogni giorno dell’anno.

www.comunitaarmena.it


 

Limes Oggi

Il messaggio di Erdoğan agli armeni sugli eventi del 1915 (testo integrale)

“The 24th of April carries a particular significance for our Armenian citizens and for all Armenians around the world, and provides a valuable opportunity to share opinions freely on a historical matter.

It is indisputable that the last years of the Ottoman Empire were a difficult period, full of suffering for Turkish, Kurdish, Arab, Armenian and millions of other Ottoman citizens, regardless of their religion or ethnic origin.

Any conscientious, fair and humanistic approach to these issues requires an understanding of all the sufferings endured in this period, without discriminating as to religion or ethnicity.

Certainly, neither constructing hierarchies of pain nor comparing and contrasting suffering carries any meaning for those who experienced this pain themselves.

As a Turkish proverb goes, “fire burns the place where it falls”.

It is a duty of humanity to acknowledge that Armenians remember the suffering experienced in that period, just like every other citizen of the Ottoman Empire.

In Turkey, expressing different opinions and thoughts freely on the events of 1915 is the requirement of a pluralistic perspective as well as of a culture of democracy and modernity.

Some may perceive this climate of freedom in Turkey as an opportunity to express accusatory, offensive and even provocative assertions and allegations.

Even so, if this will enable us to better understand historical issues with their legal aspects and to transform resentment to friendship again, it is natural to approach different discourses with empathy and tolerance and expect a similar attitude from all sides.

The Republic of Turkey will continue to approach every idea with dignity in line with the universal values of law. Nevertheless, using the events of 1915 as an excuse for hostility against Turkey and turning this issue into a matter of political conflict is inadmissible

The incidents of the First World War are our shared pain. To evaluate this painful period of history through a perspective of just memory is a humane and scholarly responsibility.

Millions of people of all religions and ethnicities lost their lives in the First World War. Having experienced events which had inhumane consequences – such as relocation – during the First World War, should not prevent Turks and Armenians from establishing compassion and mutually humane attitudes among towards one another.

In today’s world, deriving enmity from history and creating new antagonisms are neither acceptable nor useful for building a common future.

The spirit of the age necessitates dialogue despite differences, understanding by heeding others, evaluating means for compromise, denouncing hatred, and praising respect and tolerance.

With this understanding, we, as the Turkish Republic, have called for the establishment of a joint historical commission in order to study the events of 1915 in a scholarly manner. This call remains valid.

Scholarly research to be carried out by Turkish, Armenian and international historians would play a significant role in shedding light on the events of 1915 and an accurate understanding of history.

It is with this understanding that we have opened our archives to all researchers. Today, hundreds of thousands of documents in our archives are at the service of historians.

Looking to the future with confidence, Turkey has always supported scholarly and comprehensive studies for an accurate understanding of history. The people of Anatolia, who lived together for centuries regardless of their different ethnic and religious origins, have established common values in every field from art to diplomacy, from state administration to commerce.Today they continue to have the same ability to create a new future.

It is our hope and belief that the peoples of an ancient and unique geography, who share similar customs and manners will be able to talk to each other about the past with maturity and to remember together their losses in a decent manner.

And it is with this hope and belief that we wish that the Armenians who lost their lives in the context of the early twentieth century rest in peace, and we convey our condolences to their grandchildren.

Regardless of their ethnic or religious origins, we pay tribute, with compassion and respect, to all Ottoman citizens who lost their lives in the same period and under similar conditions.”

Traduzione non ufficiale dal turco. Fonte: Today’s Zaman

La Turchia continua nella Politica di aggressione contro gli armeni in Siria. FERMIAMOLA!

Con il pretesto della guerra civile in Siria il governo turco (peraltro alle prese con gli scandali ed una crisi politica senza precedenti) prosegue, ora come cento anni fa, la politica di aggressione contro le locali comunità armene.

E’ notizia di questi giorni attacchi e bombardamenti turchi nei confronti della cittadina armena di Kessab (Siria nord orientale) che si trova prossima al confine con la Turchia stessa nella zona del Mussa Dagh, il massiccio reso celebre dal capolavoro letterario di Franz Werfel. Gruppi paramilitari turchi hanno attaccato la zona popolata quasi esclusivamente dai discendenti di quegli armeni che sfuggirono all’orrore del genocidio del 1915.

Un sacerdote armeno, parroco in Kessab, attraverso la sua pagina Facebook ha postato oggi la notizia che due giorni fa, alle 6 del mattino, la città è stata bombardata da parte di gruppi paramilitari turchi e la popolazione del paese (1500 anime) è fuggita verso Latakia (a circa 60 km da Kessab). Mentre scriviamo Kessab è nelle mani delle milizie turche.

A quasi un secolo di distanza i turchi non perdono il vizio di considerare gli armeni il loro nemico principale e non hanno alcuna remora ad attaccare i pacifici residenti di questi villaggi di confine.

Le comunità armene di tutto il mondo si stanno muovendo per denunciare questa ennesima aggressione che risulta essere oltretutto alquanto pericolosa alla luce della grave situazione siriana.

L’abbattimento dell’aereo siriano avvenuto oggi  può essere collegato a queste azioni turche di aggressione dal momento che, stando a fonti ufficiali, il velivolo dell’aviazione siriana si sarebbe spinto fino alla zona prossima al confine con la Turchia proprio per cercare di contrastare le attività paramilitari turche di infiltrazione nel territorio della Siria.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma nell’esprimere la sua enorme preoccupazione per l’accaduto, vuole unirsi agli armeni di altri paesi denunciando con fermezza la politica turca di aggressione e chiedendo anche alla stampa italiana di dare risalto a quanto sta accadendo nella regione, al fine di scongiurare lo sterminio dell’inerme popolazione armena della zona

Si allega a riguardo anche l’appello della “Kessab Educational Association of Los Angeles” rivolta al Segretario Generale dell’ONU.

Consiglio per la comunità armena di Roma

ALLEGATI:

APPELLO AL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, BAN KI-MON

March 22, 2014

Mr. Ban Ki-Moon,

Secretary General of the United Nations

UN Headquarters

New York, NY 10017

Dear Mr. Secretary General:

The Kessab Educational Association of Los Angeles is seeking United Nations immediate intervention in Syria to protect the Christian Armenian minority living in their ancestral homeland in Kessab, Syria.

At the present time, there is a battle in northwestern Syria, at the border of Turkey. The ancient Christian-Armenian town of Kessab and its surrounding villages (population of 3,500) came under attack on Friday, March 21, as sniper gunfire and bombs from the hilltops surrounding Kessab hailed down on Kessab and its environs, damaging buildings, destroying streets and shattering windows. The Kessab Armenians were forced to flee from their ancestral homes and lands in the morning hours of March 21 and sought refuge in the nearby port city of Lattakia.

We are told from eyewitnesses in northern Syria that Turkey gave right of passage through their mountainous border with Syria to rebel forces that are battling the Syrian government troops. We also were told by eyewitnesses that external Turkish border troops have joined in the attack against the Syrian army.

Christian Armenians have lived peacefully in the northern Syrian region of Kessab for over four centuries, creating a beautiful agricultural eden in the foothills of the mountains that divide Syria and Turkey. During and after the Genocide of Armenians by the Turks in 1915, Syria took in tens of thousands of Armenian refugees, and Armenians have been law-abiding and productive citizens in Syria with no incident until today. It is a tragedy to see Armenians victimized yet again because of the indiscriminate violence and humanitarian calamity in Syria.

Various relief organizations in Lattakia are assisting the Armenians of Kessab, providing those with no family or friends in Lattakia with shelter and food at the Armenian Church and school facilities and Greek Orthodox Church. Many of the refugees were forced to flee with nothing more than their night clothes, unable to take with them official identification papers such as passports.

The principles of international humanitarian law require that all parties to the conflict, including opposition forces, promote conditions that would allow civilian populations to remain in their homes. All parties to an armed conflict must refrain from deliberate and indiscriminate attacks or strikes against civilians, should protect all civilians living in areas under their authority, including members of religious minorities, and facilitate the delivery of humanitarian assistance to them.

International humanitarian law also prescribes that all sides to an armed conflict have a responsibility not to intentionally attack, seize or cause damage to religious buildings, institutions or cultural property that are not being used for military purposes.

In the spirit of peace, international humanitarian law and respect for human rights, including those of religious minorities, we respectfully request:

  • That the United Nations call for the immediate cessation of the bombardment of the Kessab region and the indiscriminate attack on its peaceful civilian population by rebels and Turkish border troops, which is in blatant violation of international human rights and humanitarian law;
  • That the United Nations and its affiliated agencies intervene or otherwise ensure the physical safety and legal protection of the Kessab Armenians and of all Armenians and other religious minorities in Syria caught in the crossfire of this humanitarian calamity;
  • That the United Nations provide humanitarian assistance to the displaced persons of Kessab and its surrounding villages (Karadouran, Sev Aghpiur, Baghjaghas, Eckez-Oloukh, Eskiuran, Dooz Aghach, and Chinarjek) who have been forcibly displaced from their ancestral homes, lands and livelihoods as a result of these bombardments and armed attacks;
  • That the United Nations assist in the peaceful return and resettlement of Kessab Armenians to their ancestral homes, lands and livelihoods.

Respectfully,

Board of Directors

Kessab Educational Association of Los Angeles

Esther Tognozzi, chairperson

Vartan Poladian

Haig Chelebian

Anahit Yaralian

Hrach Marjanian

Soghomon Poladian

Krikor Terterian

Su Khojaly la versione armena. Agccomunication.eu

ITALIA – Roma. 28/02/14. Riceviamo e pubblichaimo.

«In riferimento all’articolo “Khojaly: 39 alla sbarra pe genocidio” apparso su AGC Communication  il 24 febbraio 2014 a nome di Graziella Giangiulio,  a norma della Legge 416/1981, l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia con la presente chiede gentilmente la pubblicazione della seguente rettifica».
«Gentile Redazione, prendo atto che nel vostro articolo “Khojaly: 39 alla sbarra pe(!) genocidio” di Graziella Giangiulio del 24 febbraio, oggi è stata aggiunta la fonte, cioè il portale azero www.trend.az (fonte del regime azero) che, sempre il 24, pubblicava un articolo identico in lingua inglese ( http://en.trend.az/news/karabakh/2245424.html). Il lettore può considerare attendibili informazioni veicolate da un regime agli ultimi posti di indici internazionali per libertà politiche e di espressione e il cui presidente, nel 2012, è stato nominato “Uomo dell’anno per la corruzione” dall’OCCRP?

Ed è inaccettabile che nell’articolo gli armeni, vittime del primo genocidio del ‘900, siano accusati essi stessi di genocidio. Da fonti esclusivamente azere emergono le responsabilità criminali delle autorità azere a Khojaly, sia in termini di violazione del diritto umanitario internazionale (shield policy Ginevra 1977, Art. 51) che per quel che riguarda la fucilazione di centinaia di civili azeri da parte delle formazioni paramilitari del Fronte Popolare Azero.

All’inizio dell’invasione azera del Nagorno-Karabakh, Khojaly era un avamposto dei lanciarazzi Grad dell’esercito azero puntati contro la popolazione civile armena. Le forze di autodifesa del Nagorno-Karabakh avevano lo scopo di neutralizzare i lanciarazzi e da settimane informavano sia le autorità azere che la popolazione civile dell’imminenza di un attacco e dell’esistenza di un corridoio umanitario per l’evacuazione dei civili. Nel volume “Khojaly: chronicle of genocide” (Baku, 1993), a pagina 31, Salman Abbasov, abitante di Khojaly, dice: ”Gli armeni hanno ripetutamente annunciato via radio che sarebbero avanzati nella nostra direzione e ci chiedevano di lasciare la città (…). Infine quando fu possibile evacuare donne, bambini e anziani, loro, gli azeri, ce lo vietarono”. Ramiz Fataliev, Presidente della Commissione di indagine sugli eventi di Khojaly (fonte  http://www.azadliq.org/content/article/1818751.html) dichiara: “Il 22 febbraio, alla presenza del Presidente, del Primo Ministro, del capo del KGB e di altri, ebbe luogo una sessione del Consiglio di sicurezza nazionale (azera) durante la quale venne presa la decisione di non evacuare i civili da Khojaly”. E ancora, in un’intervista alla Nezavisimaya Gazeta dell’aprile 1992, il deposto presidente azero Mutalibov afferma: “Gli armeni avevano lasciato un corridoio per la fuga dei civili. Quindi perché avrebbero dovuto aprire il fuoco? Specialmente nell’area intorno ad Agdam, dove, all’epoca c’erano abbastanza forze (azere) per aiutare i civili”. Sempre Mutalibov, in un’intervista alla rivista “Novoye Vremia” del marzo 2001 ribadisce: “Era ovvio che qualcuno aveva organizzato il massacro per cambiare il potere in Azerbaijan”, alludendo così al Fronte Popolare Azero, che nei giorni successivi alla tragedia di Khojaly aveva condotto un golpe a Baku. Il regime Aliyev ha confezionato una “verità” armenofoba e finora i dissidenti azeri che hanno contestato tale “verità” sui fatti di Khojaly sono stati arrestati o uccisi.

Solidalmente con la comunità internazionale, l’Armenia è determinata, a differenza del governo azero, ad arrivare a una soluzione negoziata del conflitto che escluda l’utilizzo dello strumento militare. Concludo dichiarando il mio più profondo disgusto, da discendente di sopravvissuti al genocidio armeno, per la manipolazione dei fatti architettata a Baku – di tragedie umanitarie ed esprimendo il mio cordoglio per tutte le 35 mila vittime civili della guerra imposta dall’Azerbaijan».

Khojaly, 22 anni dopo 26Feb2014 

AZERBAIJAN – Baku 26/02/2014. Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio è ricorso il XXII anniversario del massacro di Khojaly. Fonte ambasciata Azera. 

 

Piccola città nel Nagorno-Karabakh, a 14 km a nordest dal capoluogo Khankendi, con una superfice totale di 94 kmq, Khojaly aveva una popolazione di 6.300 abitanti.

Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992, le forze militari armene attaccarono la città. La popolazione cercò la fuga tra la neve, costretta ad abbandonare ciò che gli apparteneva. Nessuno fu risparmiato dalla milizia, o dal ghiaccio. Khojaly venne saccheggiata e poi rasa al suolo. Il resoconto delle vittime del massacro è di 613 persone, tra cui 106 donne, 83 bambini e 70 anziani; 56 persone vennero uccise con particolare crudeltà. Otto famiglie totalmente sterminate. 25 bambini persero entrambi i genitori e 130 bambini un genitore. Come conseguenza di questa tragedia, 487 persone furono rese invalide. 1.275 civili, incluse donne e bambini, vennero catturati e subirono violenze, umiliazioni, gravi ferite fisiche, durante la loro prigionia. Tra questi, 150 prigionieri sparirono senza lasciare traccia.

Human Rights Watch ha descritto il massacro di Khojaly come «il più grande e orribile massacro del conflitto» del Nagorno Karabakh tra Armenia ed Azerbaigian.

Di grande attualità, oggi, ricordare le radici del conflitto del Nagorno-Karabakh, che risale agli inizi del XIX secolo. Nel 1828, dopo una lunga guerra tra la Russia e la Persia, l’Azerbaigian venne diviso in due parti. La parte settentrionale divenne parte della Russia, la parte meridionale territorio persiano. Secondo un trattato firmato da Russia, Turchia e Persia, la Russia trasferì da questi paesi al territorio del Nagorno-Karabakh 120.000 armeni, al fine di creare una roccaforte nei territori dell’Azerbaigian appena occupati.

Dopo la rivoluzione russa, il 28 maggio 1918, l’Azerbaigian del Nord ottenne l’indipendenza dalla Russia, e, con la denominazione di Repubblica Democratica dell’Azerbaigian, venne riconosciuto da molti paesi dell’Europa. L’indipendenza durò solo quasi 2 anni a causa di una nuova invasione sovietica.

Dopo la riconquista dell’Azerbaigian da parte dell’Armata Rossa e la sua incorporazione nell’Unione Sovietica, al Nagorno-Karabakh venne concesso un elevato grado di autonomia all’interno dell’Azerbaigian. Il popolo armeno nel Nagorno-Karabakh  godeva di tutti i diritti delle minoranze, che potevano coltivare  la loro lingua e cultura attraverso numerose scuole, teatri, università, chiese ecc.

Nel 1988, con l’Urss in declino, diversi movimenti ultra nazionalisti armeni promuovevano pretese territoriali contro l’Azerbaigian, chiedendo l’annessione del Nagorno-Karabakh all’Armenia.

Da qui l’inizio di una guerra non dichiarata dell’Armenia contro il paese confinante. Da oltre 20 anni, con l’occupazione militare da parte dell’Armenia del Nagorno Karabakh, regione dell’Azerbaigian, e delle sette regioni azerbaigiane circostanti, l’Armenia ha invaso, in cifre, il 20% del territorio dell’Azerbaigian, causando distruzioni e rovina.

Tale occupazione ha causato la morte di 30 mila cittadini dell’Azerbaigian e ha costretto la comunità azerbaigiana del Nagorno Karabakh, regione dell’Azerbaigian, e delle 7 regioni circostanti,  ad abbandonare le proprie case.

Oggi in Azerbaigian vive oltre un milione di rifugiati e di profughi interni: 250 mila azerbaigiani che vivevano in Armenia prima del 1988 (ora rifugiati), quando sono stati oggetto di una vera pulizia etnica da parte dell’Armenia, e oltre 750 mila provenienti dai territori dell’Azerbaigian occupati dall’Armenia (ora profughi interni), di cui 50.000 dallo stesso Nagorno Karabakh, dove risiedevano fino al 1992, e 700 mila provenienti dai territori circostanti. Quando si parla del conflitto del Nagorno Karabakh tra Armenia ed Azerbaigian è importante ricordare che ci sono quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, n.822, 853, 874 e 884 del 1993, che invocano il ritiro delle forze armate armene dai territori dell’Azerbaigian occupati, che sono state ripetutamente ignorate, così come altri documenti dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa, dell’Unione Europea, del Parlamento Europeo, di Osce, della Nato, etc. Ultima in ordine temporale la Risoluzione del Parlamento Europeo del 23 ottobre 2013, in cui nel paragrafo 16 si dice che la risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh tra Armenia ed Azerbaigian dovrebbe essere conforme alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e ai principi fondamentali del Gruppo di Minsk dell’Osce sanciti nella dichiarazione comune del G8 dell’Aquila del 10 luglio 2009.

Il massacro di Khojaly è stato riconosciuto e commemorato a vari livelli in Honduras, Messico, Colombia, Repubblica Ceca, Turchia, Bosnia Erzegovina, Pakistan, Perù e 15 stati americani.

http://www.agccommunication.eu/component/content/article/89-regoledingaggio/6630-khojaly-massacro-azerbaijan-armenia

Khojaly: 39 alla sbarra pe genocidio  24Feb2014 By Graziella Giangiulio

 

AZERBAIJAN – Baku. 24/02/14. La procura militare dell’Azerbaigian ha adottato la decisione di avviare un procedimento penale contro i 39 autori del genocidio Khojaly. Fonte: vice procuratore generale, Khanlar Veliyev, in una conferenza stampa durante la 22esima giornata internazionale dedicata all’anniversario del genocidio Khojaly.

«Non sono solo gli armeni, tra gli imputati, ma anche militari della fanteria del 366 ° reggimento delle truppe sovietiche» ha riferito Veliyev. Il vice procuratore Veliyev ha aggiunto che l’ufficio del procuratore aveva condotto un’indagine, seguendo tre filoni a partire dal 1988, connessa con i genocidi, crimini e deportazioni per mano  dalle forze armate armene contro l’Azerbaijan. Il primo filone d’indagine è riguardato i crimini commessi contro la nazione azera a Khojaly, Meshali, Garadagli e altri insediamenti. La seconda direzione ha seguito le indagini sui crimini commessi da armeni in veicoli, anche in metropolitana e in altri luoghi e la terza direzione è quella seguita per i reati in materia di prigionieri e ostaggi.

Ad oggi sono state identificate 2089 persone colpevoli di questi crimini. Il 25 e il 26 febbraio del 1992, le forze di occupazione armene insieme alla fanteria del 366 ° reggimento delle truppe sovietiche di stanza in Khankendi hanno commesso un atto di genocidio contro la popolazione della città azera di Khojaly.

613 persone sono state uccise, di questi 63 erano bambini, 106 donne e 70 anziani. Otto famiglie sono state completamente sterminate, 130 bambini hanno perso uno dei genitori e 25 bambini hanno perso entrambi. 1.275 abitanti innocenti sono stati presi in ostaggio, mentre il destino di 150 rimane sconosciuto.

Il conflitto tra i due paesi del Caucaso meridionale ha avuto inizio nel 1988, quando l’Armenia ha rivendicato alcune aree territoriali nei confronti Azerbaijan. Le forze armate armene hanno occupato il 20 per cento del territorio azero dal 1992, compresa la regione del Nagorno- Karabakh e sette distretti circostanti.

Azerbaigian e Armenia hanno firmato un accordo di cessate il fuoco nel 1994. Attualmente sono in corso i negoziati di pace con i co – presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, Russia , Francia e Stati Uniti. L’Armenia non ha ancora attuato quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla liberazione del Nagorno- Karabakh e le regioni circostanti.