Blocus. Con Melkonyan uno sguardo sulle ferite, passate e presenti, dell’Armenia (Lanouvellevague 26.01.21)
Il Trieste Film Festival continua a guidarmi lungo un sottile filo rosso in queste prime proiezioni: dopo il docufilm sull’ artista franco-armeno Aznavour, proietta ancora una testimonianza legata a quei luoghi.
A raccontarla al pubblico è Hakob Melkonyan con il suo Blocus/Blockade, al Festival in anteprima internazionale.
Blockade, in gara nel concorso dedicato ai documentari, racconta la vita quotidiana di Alik e della sua famiglia; nonchè le ferite di Chinari, nell’enclave armena del Nagorno Karabagh.
OGGI UNA CITTÀ FERITA, SILENZIOSA, CON CASE CHE BRUCIANO ANCORA
Dopo il cessate il fuoco gli abitanti hanno infatti dato fuoco alle case e si sono trasferiti altrove e “il fumo si vede ancora da lontano” e ricorda tristemente i “Papier d’Armenie”, come afferma nell’introduzione il regista Melkonyan.
Melkonyan è un autore armeno e il passato, come il presente del suo paese, l’Armenia restano al centro delle mie preoccupazioni.
Così, dal suo esilio, in Germania e poi in Francia, cerca di lasciare il segno di film in film,per testimoniare il dramma di questa regione del mondo.
L’Armenia esce da una guerra terribile con l’Azerbaijan per l’enclave del Karabagh cominciata più di 30 anni fa, quando era bambino.
Questa è la tragedia che ha voluto mostrare nel suo film Blockade.
“Ti sei fatto un bel fucile, eh, per giocare alla guerra”
Chinari è un territorio di confine e in quanto tale a scuola tra le lezioni figurano anche le lezioni con argomento il “conoscere il funzionamento di armi e munizioni”
Poichè nella visuale di perenni bombardamenti armeni i bambini sono i soldati di domani, anzi, in effetti, sono già soldati!
Tutti, indipendentemente dall’età e dallo status, devono essere sempre pronti e in grado, se necessario, di usare queste armi.
Chinari è quel luogo dove qualsiasi attività, dal lavoro dei campi a una mattinata di scuola o asilo può essere interrotta bruscamente dai bombardamenti azeri e costringere chiunque a una rapida evacuazione nei rifugi.
Bambini e bambine che non solo la vivono la guerra, ma a cui anche giocano quando si ritrovano. Sognando però, alla vista di un aereo, di andare a vedere cosa fanno i loro coetanei azeri, se giocano come loro o meno.
IO VORREI ANDARE A PARLARE CON UNO DI LORO. FORSE ANCHE LORO VOGLIONO LA PACE.
E’ anche un luogo dalle forti radici e nazionalismo, in cui ad esempio ai bambini e alle bambini vengono insegnate filastrocche che serviranno loro per ricordare il forte legame con la propria terra e le loro pietre.
Perché non lasciamo il villaggio? Perché restiamo sotto i colpi di cannone? chiede Alik a sua madre durante il documentario
“Abbiamo costruito questa casa superando tante difficoltà e continuiamo a ricostruirla ogni volta. Come potremmo dimenticare i nostri sacrifici e abbandonare tutto?”
Ecco in questo scambio di battute e in queste poche frasi si può riassumere il legame di qualche riga sopra tra Armeni e il proprio territorio.
La vita scorre, ignorando come si può le cannonate, e dimostrando di non aver paura.
Anche se non si sa se e quando la guerrà finirà. Si può solo sperare che un giorno succeda.