Azerbaijan: stessa repressione, nomi diversi (Osservatorio Balcani e Caucaco 13.12.23)
Una recente serie di arresti in Azerbaijan, rivolti contro i pochi media rimasti indipendenti, ha riportato la mente ai giorni dell’ondata di repressione di 10-15 anni. Ma si è mai interrotta la persecuzione della società civile dell’Azerbaijan?
La serie di arresti che hanno preso di mira, nelle ultime due settimane, ciò che resta dei media indipendenti dell’Azerbaijan e il loro pugno di giornalisti ha riportato alla memoria gli asini blogger del 2008 e la repressione senza precedenti (all’epoca) della società civile iniziata nel 2013 e continuata l’anno successivo. Si è mai fermata la persecuzione della società civile dell’Azerbaijan? La risposta è relativamente semplice. L’ambiente ostile nei confronti dei gruppi civici in Azerbaijan non è mai cambiato. E nemmeno la persecuzione. Potrebbero esserci state delle pause nella repressione, ma non c’è stato alcun miglioramento nelle condizioni e nell’ambiente affinché la società civile potesse prosperare. È un modello fin troppo familiare in un paese in cui la vita delle persone non è altro che merce di scambio.
Rete di spie
Il motivo della recente ondata di arresti, che finora ha preso di mira almeno sei giornalisti condannati alla custodia cautelare per una serie di accuse che vanno dal contrabbando all’edilizia illegale, al teppismo e alla resistenza alla polizia, è una presunta rete di spionaggio. I media filo-governativi e statali sostengono che gli Stati Uniti abbiano costruito nell’ombra una rete di spie attraverso i loro programmi di formazione, iniziati negli anni ’90. Nessuno degli articoli pubblicati fornisce alcuna prova.
L’agenzia di stampa statale dell’Azerbaijan, in un articolo pubblicato il 22 novembre, ha accusato USAID di essere la “sottostruttura della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti”, sostenendo finanziariamente le ONG e altre iniziative per scopi esterni al mandato di USAID, ovvero rovesciare la leadership in Azerbaijan, i valori della famiglia e di essere solidale con l’Armenia. Lo stesso articolo prendeva di mira anche le organizzazioni LGBTQ, il collettivo femminista del paese e altre piattaforme mediatiche online, tra cui Abzas, per aver ricevuto fondi da USAID.
Il 18 novembre, il canale televisivo statale AzTV ha pubblicato un video intitolato “U.S. smascherati gli agenti in Azerbaijan: quando inizierà la caccia?”. “Ora l’Azerbaijan, per rafforzare il suo successo militare, deve vincere la guerra ideologica anti-Azerbaijan degli Stati Uniti. Perciò deve smantellare la rete di spionaggio statunitense; le organizzazioni americane create in Azerbaijan devono essere seriamente indagate; le attività di USAID devono essere fermate e sottoposte a indagine”.
Stranamente, nessuno dei due organi di informazione si è preso la briga di guardare l’investimento totale che USAID ha fatto nel paese dal 1993. Secondo il sito web dell’organizzazione americana, tale importo ammonta a 431 milioni di dollari in programmi, tra cui aiuti umanitari, settore sanitario, riforme economiche e di governance.
Il ministero degli Affari Esteri ha convocato anche i diplomatici delle ambasciate americana, tedesca e francese. Secondo il comunicato successivamente diffuso, i diplomatici sono stati informati “che il portale di notizie Abzas Media ha effettuato operazioni finanziarie illegali con la partecipazione di organizzazioni registrate in questi paesi” e che “le ambasciate [di Stati Uniti, Francia e Germania] sono state coinvolte anche in questa attività”. La dichiarazione afferma anche che il ministero ha espresso “serie obiezioni a tale attività”.
Le ambasciate hanno prontamente respinto le accuse. In un’intervista con Voice of America, l’ambasciata americana ha affermato che queste accuse sono “false e fondamentalmente travisano lo scopo di [USAID]”. L’ambasciata tedesca ha dichiarato di essere “preoccupata per le accuse contro [Mahammad] Kekalov”, che l’ambasciata ha sostenuto nel dicembre 2021, “in relazione ad una sfilata di moda, organizzata da Kekalov Adaptive, in occasione della Giornata internazionale delle persone con Disabilità”.
Le rivendicazioni antiamericane e antioccidentali non sono nuove in Azerbaijan. La più nota è stata guidata da Ramiz Mehdiyev, che nel 2014 ha pubblicato una diatriba di 60 pagine contro le istituzioni occidentali e i loro partner in Azerbaijan, lanciando accuse a destra e a manca. “Oggi, mascherando le loro vere intenzioni, vari organismi internazionali di controllo dei diritti, think tank americani ed europei (che agiscono in collaborazione con gli Stati Uniti) e semplici organizzazioni non governative fingono di lavorare sui diritti umani, sui valori democratici e sull’economia di mercato e hanno stabilito una forte rete in tutto il mondo. Queste sono la nuova quinta colonna”, ha scritto Mehdiyev.
Quasi dieci anni dopo, tutto è rimasto uguale. Come ha affermato l’esperto e commentatore politico Camil Hasanli in una recente intervista a Meydan TV, nel dopoguerra il presidente Ilham Aliyev continua a perseguitare le persone che chiedono conto del suo operato, mentre il rapporto con l’Occidente ha preso questa piega: “Vi vendo petrolio e compro Boeing. Non potete chiedere libertà e democrazia, questi sono affari nostri”. L’obiettivo della più recente campagna diffamatoria è screditare i valori occidentali agli occhi della popolazione locale.
Lavoro rischioso
Denunciare la corruzione statale in Azerbaijan è sempre stato un lavoro rischioso. Decine di giornalisti sono stati presi di mira per il loro lavoro investigativo. Quindi non è affatto sorprendente che sia arrivato il turno di Abzas Media. Questa piattaforma di notizie online indipendente ha scoperto numerose transazioni poco trasparenti, iniziative imprenditoriali e appalti statali discutibili collegati direttamente al governo o ai suoi affiliati.
Soprattutto negli ultimi due anni, ha indagato diligentemente gli investimenti effettuati nel Nagorno Karabakh da quando l’Azerbaijan si è assicurato la vittoria dopo la guerra di 44 giorni combattuta nel settembre 2020. Come la storia della costruzione di un aeroporto a Fizuli e l’assenza di informazioni su come le società coinvolte nella costruzione si siano aggiudicate le gare d’appalto o dettagli sul budget stanziato. O la storia delle società affiliate allo Stato che hanno beneficiato degli appalti di costruzione a Lachin e altrove nei territori riconquistati durante la Seconda Guerra, senza rivelare l’importo dei fondi statali stanziati. Oppure come un’azienda notoriamente impegnata nel settore delle fognature, dei serbatoi d’acqua e delle condutture dell’acqua potabile ha rilevato la costruzione di case a Terter e molto altro ancora.
A novembre, il direttore di Abzas Media Ulvi Hasanli e il caporedattore Sevinc Vagifgizi sono finiti in custodia cautelare con una falsa accusa di contrabbando. Anche un altro collaboratore e partner di Abzas Media, l’attivista per i diritti dei disabili Mahammad Kekalov, sta affrontando le stesse accuse ed è ora in custodia cautelare. Poco dopo è stata arrestata anche la giornalista Nargiz Abusalamova. Il 6 dicembre la social media manager della piattaforma è stata interrogata dalla polizia. Secondo quanto riferito , anche i conti bancari dei dipendenti sotto inchiesta e dei loro familiari sarebbero stati congelati.
Sogni del dopoguerra contro realtà
Dopo la seconda guerra del Karabakh, la disillusa società civile dell’Azerbaijan sperava che la guerra avrebbe posto fine ad anni di repressione dei diritti umani. Questa transizione non è mai avvenuta. Al contrario, la paura e l’impunità hanno continuato a crescere. Leggi restrittive e intimidazioni nei confronti dei membri della società civile (compresi coloro che avevano apertamente sostenuto lo Stato durante la guerra) sono tornate la norma. Nel frattempo, dopo la vittoria in guerra lo Stato si è sentito più incoraggiato, e ciò che una volta avrebbe potuto funzionare (come le campagne internazionali di sostegno ai diritti umani o la strategia “name and shame”) non funziona più. Nel frattempo, coloro che si sono schierati a sostegno dello Stato osservano ignavi la continua repressione.
La repressione rimane la stessa, l’unica cosa che cambia sono i nomi di coloro che vengono sbattuti dietro le sbarre e di coloro che ne chiedono il rilascio.