Azerbaijan: La politica del “caviale” colpisce ancora….

La “diplomazia del caviale” contagia il Parlamento europeo?

Perché Pino Arlacchi ha visto la democrazia laddove, secondo autorevoli indici internazionali – Human Rights Watch, Freedom House – la democrazia è invece la grande assente?

La “diplomazia del caviale” contagia il Parlamento europeo?

Gli aerei che lanciano le bombe a grappolo volano alti e silenziosi. Gli ordigni esplodono a pochi metri da terra sparando pezzi di acciaio che amputano, accecano, feriscono. Questo succedeva nel Nagorno Karabah nel 1992, gli aerei erano azeri, la popolazione armeno-cristiana.
Quando raccontai di quel conflitto pochi sapevano dell’esistenza di una minuscola enclave che si era appena dichiarata indipendente. Un’alzata di testa che l’Azerbaijan non aveva gradito, e continua a mal tollerare visto che dopo 20 anni di negoziati non ha intenzione di firmare un accordo di pace.

Ma questi sono dettagli ignorati dai media internazionali, quello che oggi appare è un Azerbaijan ricco di caviale, gas e petrolio, con cui l’11 agosto scorso abbiamo siglato un accordo per l’esportazione del gas in Puglia. Faremo affari con questo Stato che possiede enormi giacimenti petroliferi, ed ha aumentato la sua spesa militare del 2.300% in pochi anni. Certamente ci conviene avere buone relazioni, senza però ignorare che è governato da due decenni dal regime autoritario della famiglia Aliyev, la quale controlla interamente l’informazione.

Il 9 ottobre 2013 ci sono state le elezioni e il Presidente uscente viene riconfermato con l’85% dei voti e per il terzo mandato consecutivo. Il 10 ottobre Pino Arlacchi, eurodeputato e capo missione di 7 osservatori ufficiali del Parlamento europeo, dichiara che le elezioni sono state “libere, eque e trasparenti.”
Lo stesso giorno il capo della missione Osce/Odihr in Azerbaijan dal 28 agosto, composta da 388 osservatori, dichiara che «queste elezioni non si sono minimamente avvicinate agli standard Osce».
Perché Pino Arlacchi ha visto la democrazia laddove, secondo autorevoli indici internazionali – Human Rights Watch, Freedom House – la democrazia è invece la grande assente? È un mistero.

In Europa le reazioni non si fanno attendere: il 16 ottobre, dopo la discussione preliminare sul Rapporto Arlacchi al Parlamento europeo, Ulrike Lunacek, portavoce affari esteri dei Verdi Europei, parla di elezioni caratterizzate da «ben documentate violazioni dei diritti umani, intimidazione dell’opposizione e restrizione dei fondamentali principi democratici». Werner Schulze, portavoce affari esteri dei Verdi/Alleanza Libera Europea aggiunge che «un piccolo numero di membri del Parlamento Europeo sta minando la reputazione dell’intero Parlamento nella sua lotta per i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto».

Il 18 ottobre Hannes Swoboda, presidente dello stesso gruppo di cui fa parte Pino Arlacchi, dichiara che «il gruppo dei Socialisti e Democratici prende le distanze dai risultati della missione elettorale per le recenti elezioni presidenziali», e aggiunge «in Azerbaijan decine di attivisti e giornalisti, incluso un candidato presidenziale, sono ingiustamente imprigionati per le loro attività politiche».

Il 22 ottobre è la volta di Sir Graham Watson, presidente dei Liberali e Democratici Europei che «sgomento» per le conclusioni della missione Arlacchi dichiara che «il Rapporto degli osservatori del Parlamento Europeo sarebbe ridicolo se non avesse implicazioni così serie, e che la pubblicazione dei risultati elettorali prima della chiusura delle urne dimostra come le elezioni fossero truccate». Il riferimento è a quello che la stampa internazionale ha battezzato come “app-gate”, e cioè al fatto che una app ufficiale per smartphone della Commissione Centrale Elettorale azera ha pubblicato i risultati del voto dando il presidente uscente Alyev per vincente il giorno prima delle elezioni. Infine, il 23 ottobre, è lo stesso Parlamento Europeo ad aprire il dibattito sul rapporto Arlacchi.

Oggi (7 novembre) la capo missione Osce spiegherà le ragioni delle sue critiche al processo elettorale in Azerbaijan. Resta aperta la domanda: perché Arlacchi ha giudicato le elezioni “libere, eque e trasparenti” in un paese che figura al 139° posto (su 167) del Democracy index 2012 dell’Economist Intelligence Unit? Magari la sua è una convinzione genuina, anche perché il regime azero, per sdoganarsi, non risparmia risorse ed energie in grandi campagne d’immagine in Europa finalizzate ad ingraziarsi parlamentari, giornalisti, intellettuali.

Un metodo che a Bruxelles e a Strasburgo chiamano “diplomazia del caviale”, denunciato lo scorso anno da 2 rapporti dell’Esi (European Stability Initiative). Non vorremmo sempre pensare male ma ricordiamo che nel 2001 l’operato di Pino Arlacchi all’Onu come capo dell’agenzia antidroga venne duramente contestato dall’organo di controllo interno delle Nazioni Unite: considerato accentratore di potere e con una gestione poco trasparente, Kofi Annan gli sospende l’incarico.

07 novembre 2013

© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/inchieste/reportime/societa/diplomazia-caviale-baku-bruxelles/1ce1fdf4-470b-11e3-a177-8913f7fc280b.shtml

 


 

 Azerbaijan: Pino Arlacchi imbarazza l’Europa. Panorama.it 28.10.2013

L’eurodeputato del Pd dichiara che il regime di Baku è “libero, giusto e trasparente” e i Socialisti di Bruxelles lo scomunicano chiedendo un’azione disciplinare nei suoi confronti

di Anna Mazzone 

Regime o democrazia “libera, giusta e trasparente”? Le ultime elezioni in Azerbaijan hanno travolto come uno tsunami i piani alti di Bruxelles, mettendo in imbarazzo la Commissione Esteri del Parlamento europeo che si occupa di monitorare i processi elettorali nei Paesi extra-europei. Secondo Pino Arlacchi (europarlamentare eletto in quota Di Pietro e attualmente tra i banchi dei Socialisti), le elezioni presidenziali in Azerbaijan che hanno riconfermato per la terza volta (e senza alcuna sorpresa) il presidente Ilham Alijev con l’85% dei voti, sono state “free, fair and transparent”.

Ma la delegazione “ufficiale” di osservatori OSCE/ODIHR, capeggiata da Tana De Zulueta, ha fornito un rapporto diametralmente opposto , evidenziando pesanti brogli e azioni tipiche di un regime che da diversi anni è nel mirino delle organizzazioni mondiali perché calpesta in modo sistematico i diritti dell’uomo e i più elementari diritti civili.

Il Parlamento europeo ha ascoltato a porte chiuse Pino Arlacchi, chiedendogli il perché di un giudizio così diverso rispetto ai dati forniti dall’OSCE, e l’eurodeputato avrebbe risposto di averlo fatto per “difendere” gli interessi italiani nell’area. L’Azerbaijan siede su un mare di gas e petrolio ed è uno dei principali crocevia del mercato internazionale dell’energia.

L’Italia è presente con L’ENI che detiene il 5% del consorzio dell’oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan), inaugurato nel 2006 e che permette di trasportare il petrolio dall’area del Mar Caspio al Mediterraneo, senza interferire con le petroliere che attraversano il Bosforo. A pieno regime l’oleodotto può trasportare fino a un milione di barili al giorno, dei quali 50 mila sono targati ENI.

Inoltre, Saipem ha completato nel 2007 la costruzione di sei piattaforme per l’estrazione di greggio e due per la produzione, siglando nel 2008 un contratto a lungo termine con BP per la fornitura di servizi sottomarini di manutenzione degli impianti, mentre nel 2011 sono stati siglati dall’azienda italiana altri due contratti in Azerbaijan, per la costruzione e l’installazione di un modello che si affianca a operazioni ingegneristiche già cominciate nell’area.

Ma tutti questi interessi italiani in Azerbaijan al momento non sono affatto minacciati, tanto che durante la sua recente visita a Baku l’11 agosto 2013, il presidente del Consiglio Enrico Letta ha sottolineato i buoni rapporti con il governo azero, basati su “interessi reciproci” come il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline, considerato dal premier “strategicamente importante” per l’Italia, ma anche altrettanto importante per l’Azerbaijan, che con questo progetto potrà consolidare i rapporti con l’Unione europea anche in vista del vertice di novembre tra i paesi del partenariato orientale.

Insomma, non si capisce perché Arlacchi abbia voluto difendere degli “interessi reciproci” che al momento godono di ottima salute e, soprattutto, in quale modo una simile difesa possa passare attraverso il riconoscimento di una democrazia che di fatto non c’è, come dimostrano i dati forniti dal Democracy Index 2012 stilato dalla rivista The Economist, che classifica l’Azerbaijan come “regime autoritario”,  al 139esimo posto nel mondo per libertà economiche e politiche e ben al di sotto degli standard di altri Paesi considerati in deficit di democrazia, come Angola, Swaziland, Burkina Faso e Cuba.

La posizione del capo delegazione degli osservatori del Parlamento di Bruxelles ha creato un forte imbarazzo non solo tra i colleghi italiani, ma anche – e soprattutto – tra i vertici dell’istituzione comunitaria che si sono sempre espressi in modo “trasparente” (loro per davvero) sul regime degli Alijev che ormai da decenni domina l’Azerbaijan, passando lo scettro da padre in figlio. Tanto che a giugno di quest’anno l’Europarlamento ha votato una risoluzione con la quale esprime una “seria preoccupazione” per i rapporti sull’Azerbaijan diffusi dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani, che evidenziano l’incarcerazione di giornalisti e attivisti politici.

Con la medesima risoluzione, l’Europarlamento ha condannato le intimidazioni e le violenze contro i leader dell’opposizione azera che hanno espresso critiche al regime di Baku e ha chiesto all’Azerbaijan di rispettare gli standard internazionali di libertà di stampa e di espressione.

I Verdi europei sono partiti lancia in resta e la loro leader, Ulrike Lunacek, ha usatoparole al vetriolo contro il gruppetto capeggiato da Arlacchi: “I risultati e il rapporto della missione dell’Europarlamento in Azerbaijan sono un inganno e contrastano nettamente con i risultati della missione OSCE/ODIHR e con quelli di numerosi altri osservatori, presenti nel Paese dal 28 agosto scorso”.  “Il rapporto degli Europarlamentari – continua Lunacek – ha totalmente mancato di evidenziare il clima soffocante di queste elezioni, incluse le violazioni ben documentate dei diritti umani, le molestie e le minacce nei confronti dei gruppi di opposizione e le restrizioni ai più elementari principi democratici”.

Il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo ha rigettato il rapporto della delegazione di Pino Arlacchi e ha chiesto alla Commissione di fare chiarezza, perché un fatto del genere non era mai successo a Bruxelles e getta un’ombra pesante anche sul premio Sacharov, che ogni anno viene assegnato a una personalità che si è distinta nella lotta per i diritti civili e umani nel mondo.

Il Sacharov è l’unico riconoscimento mondiale per i Diritti dell’uomo (il Nobel è per la Pace) e il Parlamento europeo non può certo permettersi di sdoganare un regime autoritario come quello azero e poi assegnare un premio magari proprio a chi quel regime lo combatte sacrificando la vita e la libertà.

Ma perché Pino Arlacchi ha visto la democrazia laddove è davvero impossibile trovarla, almeno stando ai numerosi rapporti diffusi da Reporter senza frontiere (che nel 2013 mette l’Azerbijan al quintultimo posto della classifica sulla libertà di stampa nel mondo), da Human Rights Watch e da Amnesty International ? La domanda per ora rimane senza risposta, ma non è la prima volta che l’eurodeputato si ritrova in una situazione “chiacchierata”.

Già nel 2001 non fu riconfermato alla guida dell’UNODC (l’agenzia antidroga delle Nazioni Unite con sede a Vienna) in seguito alle accuse rivoltegli da Maurizio Turco (allora presidente del gruppo dei Radicali italiani al Parlamento europeo) e da Daniele Capezzone, di “sostenere e legittimare il regime dei talebani in Afghanistan, presso cui ha trovato rifugio e ospitalità Osama bin Laden”.

Vengono sollevati numerosi sospetti anche sulla decisione dell’agenzia diretta da Pino Arlacchi di elargire 15 milioni di dollari al Laos, più altri 35 milioni di dollari nei cinque anni a venire. La Repubblica popolare del Laos è uno dei tre maggiori produttori di oppio nel mondo, oltre a essere un regime comunista dove i diritti civili e le libertà individuali sono ridotte al lumicino.

Arlacchi viene “elegantemente” messo alla porta dall’ONU. La decisione dell’allora segretario generale Kofi Annan arriva subito dopo la diffusione di un rapporto dell’OIOS (l’ufficio per il controllo delle pratiche interne dell’ONU) nel quale si esprime “una forte preoccupazione per il modo centralizzato e arbitrario” utilizzato da Arlacchi nella conduzione dell’agenzia antidroga di Vienna.

Secondo l’indagine interna dell’OIOS la direzione Arlacchi “non garantisce il funzionamento di meccanismi di decisione collettivi” e manca di “un sistema di monitoraggio dei programmi nel mondo”, con tutte le decisioni amministrative accentrate unicamente nelle mani del direttore. Inoltre, “il morale dello staff” dell’UNODC all’epoca di Arlacchi risulta “molto basso”, una frustrazione – sostiene l’ufficio di controllo interno – dovuta alla “mancanza di trasparenza nelle decisioni della direzione, soprattutto per quanto riguarda le assunzioni e la carriera del personale”.

Alla fine del rapporto OIOS si pronuncia in maniera netta, dicendo che “la situazione del vertice dell’UNODC non può più essere permessa e non può continuare”. Ma Kofi Annan vuole evitare uno scandalo e così preferisce non licenziare Arlacchi, che intanto è quasi arrivato a fine mandato, bensì “sospenderlo” dalle sue funzioni fino al termine dell’incarico, garantendogli così una pensione d’oro.

L’esperienza all’ONU si conclude male, ma Pino Arlacchi rientra nel consesso internazionale dalla finestra del Parlamento europeo, candidandosi nel 2009 per le liste dell’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. Poi, un anno dopo decide di passare al Partito democratico e si unisce al gruppo dei Socialisti di Bruxelles, che però oggi, dopo le dichiarazioni “ingannevoli” sulla bontà del regime azero, gli voltano le spalle.

La dichiarazione rilasciata da Hannes Swoboda, presidente del gruppo dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento europeo, suona come una scomunica per Arlacchi. “Il gruppo dei Socialisti al Parlamento europeo – dice Swoboda – prende le distanze dalle parole della missione di osservatori EP/PACE (quella guidata da Arlacchi ndr) sulle recenti elezioni in Azerbaijan. Il gruppo – continua Swoboda – crede che le differenze tra le conclusioni della delegazione di parlamentari e quelle dell’OSCE siano così lontane da non poter essere minimamente sostenute”.

“Siamo arrivati a questa decisione basandoci sui fatti: in Azerbaijan ci sono pesanti restrizioni alla libertà di espressione. Decine di giornalisti e attivisti – incluso un candidato nella corsa per le presidenziali – sono detenuti illegalmente solo sulla base delle loro attività politiche”. E la conclusione del presidente dei Socialisti è senza appello per Arlacchi e  gli Arlacchi boys: “E’ deplorevole il fatto che alcuni membri del Parlamento europeo abbiano deciso di condurre una missione parallela a quella istituita per mandato”. Swoboda ricorda poi che “A giugno di quest’anno Bruxelles ha adottato una risoluzione molto dura sulla situazione dei diritti umani in Azerbaijan e il gruppo Socialista crede che questa risoluzione rifletta accuratamente la posizione ufficiale dell’istituzione”.

Prima l’ONU e poi il Parlamento europeo. Pino Arlacchi viene lasciato per la seconda volta a piedi, ma questa volta in molti vogliono andare a fondo e capire il perché di una presa di posizione così  incomprensibile.

A spiegare l’arcano ci pensa European Voice, il giornale fondato dal gruppo dell’Economist nel 1995 che segue tutte le attività delle principali istituzioni europee. In un editoriale velenosissimo  European Voice chiede conto ai parlamentari della delegazione Arlacchi (Filip Kacmarek, Polonia EPP, Joachim Zeller, Germanyia EPP, Evgeni Kirilov, Bulgaria S&D, Norica Nicolai, Romania ALDE, Milan Cabrnoch, Repubblica Ceca, Conservatori e Riformisti europei, e Fiorello Provera, Italia, Europa della Libertà e della Democrazia) della loro missione in Azerbaijan e sostiene che “come tanti altri regimi autoritari della regione anche quello del presidente Ilham Alijev cerca la legittimazione internazionale e invita come osservatori per le sue pseudo-elezioni persone che sono vicine al regime, in modo tale che possano parlarne positivamente”.

“Tali osservatori – prosegue European Voice – possono essere motivati da vari interessi, politici o economici, o persino omaggiati con regali come il famoso caviale azero”, che sembra che a Bruxelles venga distribuito in grande quantità. Insomma, la rivista non va tanto per il sottile e lancia apertamente accuse di corruzione, pur non fornendo una pistola fumante. Il Parlamento europeo assiste imbarazzato e per la prima volta nella sua storia nei prossimi giorni sarà chiamato a decidere per un’azione disciplinare nei confronti di Arlacchi e degli altri sei parlamentari.

Intanto, l’OSCE continua a diffondere i dati sulle elezioni azere: 1 milione e ottocentomila votanti in più rispetto ai registrati e una “curiosa” applicazione per i cellulari che ha inviato i risultati elettorali a giornalisti e osservatori il giorno prima dell’apertura delle urne. E questo è niente rispetto a tutto il resto. Certo che per definirle elezioni “fair, free and transparent” ci vuole davvero una gran bella fantasia

http://news.panorama.it/esteri/Azerbaijan-elezioni-Arlacchi-regime-parlamento-europeo-ONU-scandalo