Aylisli, un messaggio durissimo (Corriere della Sera 26.04.16)
Ma ve lo vedete un vecchio scrittore ottantenne malato di cuore fare il teppista in un aeroporto e picchiare un giovane e prestante poliziotto proprio il giorno in cui partiva per Venezia (Venezia: il sogno d’una vita!) dove sarebbe stato omaggiato e riverito al festival letterario «Incroci di civiltà»? Non ha senso. Nessun senso.
Ed è quello che Akram Aylisli, l’autore azero del libro «più odiato dell’Azerbaigian», quel Sogni di pietra dove per la prima volta si riconoscono i torti degli Azeri nella mattanza degli Armeni un secolo fa («Speravo di risparmiare alla mia gente l’immagine di un popolo di tagliagole»), scrive in una lettera al presidente della repubblica caucasica, Ilham Aliyev. Una lettera dalle forme rispettose e garbate, che si chiude con un «cordialmente» e offre al capo dello Stato una via d’uscita per trarsi d’impaccio dalle roventi polemiche internazionali seguite al clamoroso arresto dello scrittore mentre stava per imbarcarsi. Se intervenisse per individuare i responsabili e punirli…
Una lettera dura, però. Molto dura. Celebrato un tempo come uno dei maggiori autori viventi, la pubblicazione tre anni fa di Sogni di pietra dove raccontava cercando di riconoscere torti e ragioni, le storie di due ondate di odio tra Azeri (mulsulmani) e Armeni (cristiani), dalla «pulizia etnica» nel secondo decennio del Novecento alla guerra degli anni Novanta per il Nagorno Karabakh, segnò di colpo il passaggio di Aylisli tra gli appestati. Marchiato come un «traditore della patria», bollato come «apostata» dal Gran Muftì, privato della pensione e del titolo di «Autore del Popolo», maledetto dai fanatici col rogo dei suoi libri in piazza, espulso dell’Unione degli scrittori, colpito coi licenziamenti della moglie e del figlio, fu addirittura additato ai «cacciatori di taglie» da un politico nazionalista che offrì tredicimila dollari a chi gli avesse portato un orecchio del «servo degli armeni». «Un incubo».
Accoglierà il presidente azero l’appello e la via d’uscita offertagli da Aylisli? Mah… Originari entrambi di Naxcivan, l’exclave azera circondata ai confini da Iran, Turchia e Armenia, la pensano però all’opposto. Di qua un patriottismo sobrio che riconosce le ragioni altrui, di là un nazionalismo radicale. Eppure il buon senso gli consiglierebbe di chiudere il caso in fretta: il pubblico linciaggio ha fatto dello scrittore, al di là della sua statura letteraria, un simbolo della libertà di parola come non si vedevano dai tempi dell’Unione sovietica, dei Gulag e delle angherie contro Vladimir Bukowsky, Varlam Šalamov o Aleksandr Solženicyn… Non bastasse, l’Azerbaigian è precipitato nella classifica di Transparency International al 119° posto (su 167) dei Paesi meno corrotti e addirittura al 163° (su 180) nel ranking di Reporters sans frontières dei Paesi in cui è garantita la libertà di opinione. Due punti sottolineati (sia pure senza citar le classifiche) dallo stesso Aylisli, durissimo contro tanti funzionari «diversi dai robot solo per via di una corruzione e di una ingordigia insaziabili, mostruose».
Accusa che tocca (si parla a nuora perché suocera intenda) lo stesso presidente Aliyev, figlio di quel Heydar Aliyev che arrivò al potere nel 1969 come segretario dei comunisti azeri e, accusato di corruzione dalla «Pravda» di Gorbaciov, sopravvisse al crollo del comunismo riciclandosi come nazionalista fino alla presidenza dello Stato. La stessa Wikipedia in inglese, infatti, riporta le accuse del «Washington Post» a Ilham Aliyev e alle figlie di un coinvolgimento prima in investimenti milionari a Dubai («nove ville di lusso acquistate per circa 44 milioni, pari a 10.000 anni di stipendio medio di un azero») e oggi nell’affare Panama Papers… E se il «caso Aylisli», parallelo al ritorno degli scontri sulle aree contese e al crollo della moneta, fosse «solo» un diversivo?