Avvenire – Armeni, il cinema accusa il Male (01 apr 2015)
Un epico viaggio dal Medioriente agli Stati Uniti per raccontare guerra e migrazione, amore e speranza, sullo sfondo di un dramma storico che per molti decenni è rimasto un tabù: il genocidio degli Armeni, che coinvolse circa un milione e duecentomila cristiani deportati attraverso le tristemente note “marce della morte” verso i campi di sterminio. Per concludere la sua trilogia su Amore, Morte e Diavolo, cominciata con La sposa turca e proseguita con Ai confini del Paradiso, il regista turco tedesco Fatih Akin, ospite il 15 aprile del Festival del Cinema Europeo di Lecce, ha scelto un tema di grande attualità, sul quale gli storici hanno cominciato a indagare solo di recente e che gli permette di fotografare luci e ombre dell’essere umano, i labili confini tra bene e male, la sofferenza che siamo in grado di infliggere al nostro prossimo.
La storia de Il padre, che la Bim distribuisce nelle sale il 9 aprile, comincia nel 1915 a Mardin, nella Mesopotamia nord-orientale, dove il fabbro armeno Nazaret Manoogian (l’attore franco-algerino Tahar Rahim) vive con la moglie e le figlie gemelle. Una notte i gendarmi turchi arrestano tutti gli uomini della città riducendoli ai lavori forzati, uccidendo chi si ribella e graziando solo chi rinuncia alla fede cristiana per convertirsi all’Islam. Continua