Arzu Abdullayeva: donna di pace tra Azerbaijan e Armenia (Osservatorio Balcani E Caucaso 02.01.19)
Originaria di Baku, Arzu Abdullayeva ricorda ancora quando aveva vicini di casa e amici armeni. Tuttavia, dopo una generazione di conflitto sul Nagorno-Karabakh, questa storica attivista per la pace sta diventando sempre più pessimista.
“Hanno detto che sono pro-armena, che ho sangue armeno, che mio padre, mia madre e mio nonno erano armeni. Non era abbastanza per loro: mi hanno minacciata, hanno tenuto una dimostrazione di fronte al mio ufficio e volevano che mi suicidassi. Tutto questo perché sono un’attivista per la pace”, racconta Arzu Abdullayeva, che guida la Helsinki Citizens Assembly a Baku.
La guerra per il Nagorno-Karabakh, la cui fase più intensa è stata tra il 1991 e il 1994, si è conclusa con un cessate il fuoco. Tuttavia, la pace è rimasta precaria: mentre Armenia e Azerbaijan negoziavano per porre fine al conflitto sono continuati combattimenti sporadici.
L’atteggiamento del governo azero nei confronti della costruzione della pace è cambiato nel corso degli anni, afferma Azra Abdullayeva.
“La situazione era migliore sotto l’ex presidente Heydar Aliyev. Non molto tempo dopo il suo insediamento ho fatto appello direttamente a lui e, come risultato, sono stati liberati 38 prigionieri armeni. Più tardi, la situazione è peggiorata. Ora è arrivata al punto che non possiamo attuare alcun progetto di pace”, dice.
Arzu Abdullayeva sostiene che le persone più difficili da raggiungere sono quelle che vogliono la guerra senza rendersi conto della profondità del dolore che porta e i politici che vedono il conflitto del Nagorno-Karabakh come un gioco.
Progetti di pace
Tuttavia, Arzu afferma di aver avuto una buona esperienza nell’attuazione di progetti di costruzione della pace con colleghi dell’Armenia, della vicina Georgia e di altri paesi.
“Certo, abbiamo ottenuto buoni risultati in questo settore. Abbiamo tenuto molti incontri ed eventi”.
Arzu Abdullayeva aggiunge che lei e i suoi colleghi hanno avuto un ruolo importante nel lavoro sui “Principi di Madrid”, uno degli accordi di pace proposti per il conflitto, oltre ad aiutare i familiari di 500 fra le circa 4.000 persone scomparse durante il conflitto.
Nonostante i successi, Abdullayeva vorrebbe poter fare di più.
“Fa male. Forse, se avessimo più esperienza, potremmo salvare più persone”, dice.
Gli stretti rapporti con i colleghi armeni nel Nagorno-Karabakh sono stati di vitale importanza per ogni successo, sottolinea, perché tutti credono nella pace, nell’umanità e nell’agire con coscienza.
“Attraverso di loro siamo riusciti a raggiungere quelle persone scomparse. Se non avessimo creduto nelle stesse cose e condiviso gli stessi sentimenti, nessuno dei nostri successi sarebbe stato possibile”.
Nel 2005, Arzu Abdullayeva ha ampliato il proprio attivismo per la pace e ha contribuito a creare un gruppo internazionale per la risoluzione del conflitto.
La sua organizzazione, insieme all’olandese IKV PAX Christi e alla Finnish Crisis Management Initiative, ha creato il Consiglio pubblico di esperti sulla soluzione del conflitto del Karabakh.
Il gruppo comprende peacekeeper, politologi, sfollati interni, giornalisti e altre figure, ma nessuno di nazionalità armena. Il gruppo sta lavorando su percorsi di risoluzione del conflitto.
“Ci riuniamo e discutiamo notizie e sviluppi relativi al problema del Karabakh e valutiamo la situazione. Poi condividiamo le nostre riflessioni con i nostri colleghi armeni. [La cooperazione] è piuttosto difficile, perché gli armeni non possono venire in Azerbaijan e viceversa”, dice Abdullayeva.
La guerra dell’aprile 2016 ha sottolineato la fragilità degli sforzi del gruppo per la costruzione della pace. Conosciuta anche come “Guerra d’aprile” o “Guerra dei quattro giorni”, è stata la peggior fiammata dal cessate il fuoco del 1994 e ha provocato la morte di almeno 200 persone. Giornalisti, politici e alcuni attivisti pacifisti da entrambe le parti sono diventati temporaneamente propagandisti di guerra online durante i combattimenti.
Abdullayeva rimane filosofica in merito: “La vera natura di una persona emerge in una crisi”, dice.
Durante i quattro giorni di intensi combattimenti, ha lanciato un appello pubblico, esortando entrambe le nazioni a porre fine al conflitto.
“Ho chiesto alle persone di controllare le emozioni, di pensare e agire razionalmente. La guerra non va a vantaggio delle persone in Armenia o in Azerbaijan”, dice Abdullayeva.
Donne e conflitto
Da attivista, Arzu Abdullayeva ha pagato un prezzo pesante per i propri sforzi per portare la pace nel suo paese.
A livello internazionale, tuttavia, il suo lavoro le ha portato elogi e riconoscimenti. Nel 1992 insieme alla collega armena Anahit Bayandur ha ricevuto il premio Olof Palme per la pace per gli sforzi volti a facilitare gli scambi di prigionieri di guerra e promuovere il dialogo durante le fasi più intense del conflitto.
Le due donne hanno anche scritto un libro sul peacekeeping, “Gender and Peace”, ora utilizzato nei corsi di formazione incentrati sui conflitti nel Caucaso meridionale.
Arzu Abdullayeva crede che le donne possano svolgere un ruolo importante nel costruire la pace, ma osserva che “non ci sono molte attiviste nel settore della costruzione della pace”.
“Penso che qualsiasi persona pacifica e gentile possa essere coinvolta nella costruzione della pace tra le comunità”.
Abdullayeva è ancora in lutto per Bayandur, scomparsa diversi anni fa.
“Non è riuscita a vedere la pace che desiderava così tanto. Era una persona giusta e gentile”.
La sua amicizia con Bayandur, in qualche modo, ha fatto eco ai suoi ricordi d’infanzia, ma ha anche sottolineato i legami culturali che i due paesi hanno perso a causa della guerra.
Essendo cresciuta a Baku prima dell’inizio dei combattimenti, Abdullayeva aveva molti amici e vicini armeni.
“Ho avuto molti amici armeni durante i miei anni di scuola. Nel nostro condominio c’erano due famiglie armene che vivevano al nostro piano. Siamo cresciuti insieme ai loro figli. Una di loro, Eliza Mahmutyan, era la mia migliore amica. Non avrei mai immaginato che ci potessero essere scontri tra queste due nazionalità a Baku. Ma è successo. Quando sono tornata a casa da Mosca, dove studiavo, loro [gli armeni che vivevano nell’edificio] non c’erano più”.
Oggi, armeni e azeri hanno contatti limitati. Abdullayeva non ha potuto nemmeno partecipare ai funerali di Bayandur in Armenia.
Ma la reputazione di Abdullayeva e il suo impegno a stringere legami con gli armeni hanno ispirato alcuni armeni etnici che vivono ancora in Azerbaijan a rivolgersi a lei per avere aiuto quando affrontano pregiudizi e ingiustizie, ad esempio essere licenziati, cacciati dalle proprie case e non poter riscuotere le pensioni statali.
“Ho dichiarato che queste persone sono fedeli all’Azerbaijan. Non sono andate da nessuna parte, sono rimaste qui. In cambio, dobbiamo difendere i loro diritti e sostenerli”, dice.
“La mia dichiarazione è stata accolta molto male. Ma stavo difendendo l’umanità”.
Tutti hanno colpa
Sia l’Armenia che l’Azerbaijan hanno perso molto tagliando i loro legami, dice Arzu Abdullayeva, affermando poi che entrambe le parti sono responsabili della rottura, anche se i pogrom degli anni ’80 hanno esacerbato le tensioni.
“È successo in Armenia e in Azerbaijan. È stato un processo doloroso. La nostra gente pensa che solo gli armeni abbiano perseguitato gli azerbaijani lì [in Armenia]. Ma non è vero; anche persone sconosciute in Azerbaijan hanno organizzato queste cose”, dice.
“Quindi, quando lavoriamo con le persone, diciamo sempre che nessuna parte è innocente. Entrambe hanno grandi colpe”.
Sottolinea che entrambi i paesi hanno molte cose in comune e le persone dovrebbero concentrarsi su questo, invece di contendersi la titolarità degli elementi della cultura che condividono.
Abdullayeva nota che la cronologia del conflitto – 26 anni di durata ormai – rappresenta un’intera generazione.
Con il passare del tempo, afferma, sta perdendo l’ottimismo.
“Ho passato tutta la vita a cercare di costruire la pace. Abbiamo cercato di riconciliare armeni e azerbaijani per anni. Sfortunatamente, non è stato possibile. Ecco perché sono delusa. In generale sono ottimista, ma con il tempo sto diventando anche pessimista”.