#ArtsakhBlockade. L’enigma Vardanyan e la profezia del Molokano (Korazym 21.01.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.01.2023 – Vik van Brantegem] – In un articolo Un enigma chiamato Ruben Vardanyan su Inside Over del 19 gennaio 2023 [QUI], Emanuel Pietrobon osserva, che la guerra della Russia in Ucraina “ha riacceso tensioni mai sopite nei teatri più caldi del pianeta e portato il vento dell’instabilità nello spazio postsovietico”. In particolare, nel “Caucaso, vecchi rancori ribollono e l’aria si appesantisce. Tra Armenia e Azerbajgian è ancora pace, sebbene di piombo, ma una serie di circostanze va rendendo crescentemente fragile il cessate il fuoco siglato nel novembre 2020″.
Sullo sfondo del blocco del Corridoio di Berdzor (Lacin) e l’assedio imposto dall’Azerbajgian all’Artsakh/Nagorno-Karabakh, oggi entrato nel 41° giorno, Pietrobon prosegue che, mentre “cresce il divario tra Erevan e Mosca e si complica la situazione” per il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, “è emersa dall’ombra un’enigmatica figura rispondente al nome di Ruben Vardanyan (…) all’ombra di Mosca (…) la figura del momento in Armenia (…), che da anni è sotto la lente del giornalismo investigativo e che oggi sta protagonizzando la scena nel Karabakh”.
Pietrobon scrive che “questa oscura figura (…) è un grande detrattore del processo di pace tra Azerbajgian e Armenia, del quale sta portando avanti un’agenda di distruzione dello stesso così come dell’integrazione degli Armeni nella popolazione azerbajgiana”. Osserva che Vardanyan “ha dichiarato che gli Armeni avrebbero tre possibilità: abbandonare il Karabakh, integrarsi con la comunità azerbajgiana o combattere. Lui ha scelto di combattere”.
Rilevando “luci e ombre di un aspirante kingmaker”, Pietrobon scrive che Vardanyan, dal novembre 2022 Ministro di Stato (l’equivalente di un Primo Ministro) della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh “è uno dei motivi per cui il lento e difficile processo di normalizzazione armeno-azerbajgiano è rallentato, per poi entrare successivamente in stallo. L’aspirante kingmaker della politica karabakha, al quale si deve peraltro l’internazionalizzazione mediatica” del blocco del Corridoio di Lacin “non è privo di ombre” e che “i dubbi sono molti”.
Pietrobon conclude: “Chi è Vardanyan? Perché è tornato nel Karabakh? Qual è il suo collegamento con il Cremlino? I dubbi, che sono molti, restano”.
Con le sue osservazioni, Pietrobon ha il merito di rilevare una questione seria, inquadrando Vardanyan nel contesto attuale, con lo sguardo al futuro, con un titolo azzeccato.
La domanda dove vuole arrivare Ruben Vardanyan, ovviamente ce lo siamo posti anche noi. Ha solo un esiguo esercito di difesa, senza possibilità di rifornimenti e se Aliyev lo volesse, in un blitz si prenderebbe tutto il resto dell’Artsakh, senza aver paura che Armenia, Russia, o chiunque muovesse un dito, non dico missile o carrarmato.
Mi ricordo quanto scritto da Renato Farina il 18 novembre 2022 (Il Molokano su Tempi – Il formichiere turco nel formicaio. Voi Europei non avete occhi per vedere il piano diabolico in atto contro gli Armeni). Penso che il Molokano-Farina aveva ragione ed è stato pure profetico:
«Perché gli invasori turchi e azeri si sono fermati nel, novembre dei 2020, e non hanno affondato il colpo? Non è stato per obbedire a Putin o per generosità, volendo evitare una strage di civili inermi. Ma per tenere aperta la strada a ben altra conquista. Una sorta di pit-stop per riaccreditarsi come ragionevoli pretendenti. Indi mandare a monte le trattative. Cercare un nuovo casus belli, e partire stavolta alla conquista dell’intera Repubblica d’Armenia. (…)
Ho letteralmente visto, non immaginato, ma contemplato, il piano diabolico in corso d’opera. Ilham Aliyev, dittatore degli Azerbajgiani, e Recep Tayyip Erdoğan, sultano turco, quando nel settembre del 2020 sono partiti con l’offensiva dei 44 giorni per occupare l’Artsakh (la Repubblica indipendente del Nagorno-Karabakh), l’8 novembre, dopo aver conquistato la fortezza di Shushi, la Gerusalemme armena, erano a 15 chilometri dalla capitale Stepanakert, con uno schiocco di dita (e di droni ottomani e israeliani) in un battibaleno avrebbero stretto in pugno tutto il territorio primigenio dell’Armenia (…).
Ed ecco il colpo di mano del 2020. Lasciato a metà. Perché? Intervenne Putin e interpose duemila caschi blu russi per difendere gli Armeni che restavano in Artsakh. Dopo di che, a trattative in corso, non più gestite dai Russi ma dall’Unione Europea, dopo che Ursula von der Leyen e i ministri del Governo Draghi andarono a pietire il gas azero a Baku, Aliyev ruppe gli indugi. Non attaccò in Nagorno-Karabakh, non gli importava più. Ha sfondato i confini dell’Armenia, con i soldati russi rimasti a guardare [come adesso rimangono a guardare mentre Baku metto sotto assedio quello che è rimasto dell’Artsakh in mano armena. V.v.B.]. (…)
Avete lasciato e lasciate, con tanto di salamelecchi, che agli Armeni e ai loro capi sia puntata una pistola alla tempia. Invece di disarmare l’aggressore, gli fornite proiettili di piombo e sorrisi angelici».
Quindi, anche se non si capisce quale gioco faccia un personaggio ambiguo come Vardanyan, con un ruolo determinante nel governo della Repubblica di Artsakh, che è reputato essere amico di Putin e non amico di Pasynyan, che a sua volta non è amico di Putin, comunque questo non deve diventare un alibi per ignorare un nuovo genocidio. Indipendentemente dello scopo di Vardanyan, continuiamo a difendere gli Armeni e riferire uno sviluppo che sta andando verso l’esecuzione di una pulizia etnica e di un nuovo genocidio armeno ad opera azero-turca.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]