#ArtsakhBlockade. È in corso la pulizia etnica contro gli Armeni di Nagorno-Karabakh. Che domani nessuno possa dire “non lo sapevo” (Korazym 25.01.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.01.2023 – Vik van Brantegem] – L’Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia, S.E. la Signore Tsovinar Hambardzumyan, ha partecipato, ieri 24 gennaio 2023, alle audizioni presso la Commissione Esteri della Camera del Deputati della Repubblica Italiana sulla situazione nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh e ha risposto alle domande dei parlamentari. Riportiamo di seguito il video dell’audizione e il testo integrale dell’intervento dell’Ambasciatore. Colgo l’occasione per esprimere anche il gradimento con la conclusione del suo discorso di alto respiro, ringraziando «i media italiani che stanno scrivendo in questi giorni numerosi articoli per sensibilizzare il pubblico italiano sulla crisi umanitaria in atto. Hanno fatto un ottimo lavoro di preallarme, per segnalare che una pulizia etnica su larga scala è in corso contro gli Armeni di Nagorno-Karabakh. Che domani nessuno possa dire “non lo sapevo”». E mi compiace anche notare che quanto esposto stiamo scrivendo dal 27 settembre 2020 in questo spazio, dal primo giorno della guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian contro l’Artsakh.
“Il Nagorno-Karabakh non è un territorio.
Il Nagorno-Karabakh è un popolo, è la sua gente.
Gente come noi”.
È con vivo piacere che ho accettato l’invito a rivolgermi agli onorevoli componenti di codesta Commissione. È un doppio onore per me avere l’opportunità di parlare a questa rispettabile Commissione poco tempo dopo la sua formazione. Naturalmente conosco già alcuni di voi, e sono fiduciosa che potrò collaborare con molti di voi nel prossimo futuro.
Sono qui come rappresentante di una nazione amica dell’Italia. Di un Paese che come il vostro può vantare antichissime radici, valori comuni e secolari relazioni bilaterali. E su questa solida base nel corso dei secoli si è rafforzata la nostra amicizia, sulla quale si fondano le attuali relazioni di fiducia tra i nostri due Stati.
Oggi Armenia e Italia godono di un alto livello di dialogo politico, con intense visite reciproche e collaborazioni multilaterali. Anche le nostre relazioni economiche si sono sviluppate in modo dinamico. Gli investimenti italiani in Armenia crescono di anno in anno e secondo i dati dei primi undici mesi del 2022, l’interscambio tra i nostri Paesi è aumentato del 15 percento. Attribuisco grande importanza al programma di gemellaggio recentemente concluso tra i Parlamenti di Armenia e Italia che ha visto una intensa rafforzata collaborazione tra le due Assemblee nazionali. Lasciatemi dire che per noi, giovane democrazia parlamentare, era molto importante che proprio l’Italia fosse il nostro partner in questo programma, perché i nostri Paesi sono vicini per costituzione, sistemi politici, mentalità. Quindi, il trasferimento dell’esperienza parlamentare italiana è stato molto importante per l’Armenia.
Colgo altresì l’occasione di questo incontro per rinnovare il sentito ringraziamento alla Camera dei deputati per aver riconosciuto e condannato, nella precedente legislatura, il genocidio armeno. La mia profonda gratitudine va al Vicepresidente Paolo Formentini, in qualità di primo firmatario della mozione e alla vicepresidente Lia Quartapelle, nonché a Laura Boldrini per la vicinanza al popolo armeno e alla giustizia dimostrata anche in questa occasione; una sensibilità che va oltre qualsiasi divergenza politica all’interno dell’aula parlamentare.
Nonostante la condanna della Storia, dobbiamo purtroppo constatare come una politica e una metodologia di persecuzione da parte di Turchia e Azerbajgian verso gli Armeni sia ancora pienamente in atto. Dallo scorso 12 dicembre, la regione del Nagorno-Karabakh è bloccata dall’Azerbajgian. Al momento, i cosiddetti “attivisti ambientalisti” su istruzione del governo azero stanno bloccando il Corridoio di Lachin, l’unico collegamento del Nagorno-Karabakh con l’Armenia e il resto del mondo.
La crisi umanitaria in Nagorno Karabakh peggiora ogni giorno che passa. La scarsità di beni di prima necessità, cibo e medicinali si fa sempre più evidente. Il pericolo della carestia è tangibile. Infatti, 120.000 persone sono diventate prigioniere. La situazione è aggravata dal taglio del gas (in pieno inverno), della rete elettrica e della connessione a Internet operato dall’Azerbajgian. Asili nido e scuole sono chiuse, gli ospedali hanno sospeso le operazioni chirurgiche, non c’è più latte in polvere per i bimbi.
Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Segretario Generale delle Nazioni Unite e più di una dozzina di Paesi hanno già chiesto all’Azerbajgian di sbloccare la strada per il Nagorno-Karabakh. Da ultimo il Parlamento Europeo a larghissima maggioranza ha votato una risoluzione in tal senso. In risposta a queste sollecitazioni internazionali, il Presidente azero non ha esitato a confermare che gli “attivisti” che hanno bloccato il collegamento lo hanno fatto su sua istruzione aggiungendo ironicamente che chi non vuole essere cittadino dell’Azerbajgian può tranquillamente andarsene e il blocco verrà aperto per loro.
Il conflitto del Nagorno-Karabakh, da 30 anni costituisce la sfida principale per la sicurezza e per la stabilità della nostra regione e ora presenta una serie di minacce, di natura politica e militare per l’Armenia propria, per l’intera regione e di conseguenza per l’Europa e l’Italia stessa.
Le radici di questo conflitto risalgono all’epoca sovietica. Il Nagorno Karabakh o Artsakh, storicamente armeno, fu incluso con la forza nella Repubblica dell’Azerbajgian come una regione autonoma, per decisione del dittatore sovietico Iosif Stalin nel 1921. In questi 70 anni sovietici, l’unico lasso temporale in cui il Nagorno-Karabakh ha fatto parte dell’Azerbajgian è stato segnato da massacri, deportazioni, discriminazioni e altre forme di intolleranza nei confronti degli Armeni. Basti solo pensare che nel 1920 nel Nagorno-Karabakh abitavano circa 300 mila persone, oltre il 95% delle quali erano Armeni; nel 1988 vi erano rimasti solo 140.000 Armeni, e oggi ne sono rimasti solo 120.000.
Nel 1988, nell’ultimo periodo dell’Unione Sovietica, gli Armeni del Nagorno-Karabakh iniziarono a protestare e a rivendicare i diritti che furono loro sempre negati. L’Azerbajgian, non gradendo quelle proteste pacifiche, rispose con massacri ai danni degli armeni che vivevano a Sumgait, e dopo a Baku e Kirovabad. Furono proprio i massacri di Sumgait ad avere un ruolo decisivo nello scoppio del conflitto del Nagorno-Karabakh. Nel febbraio del 1988 bande armate degli Azeri, in pieno giorno, sotto gli occhi delle autorità, inneggiando odio anti-armeno, fecero irruzione nelle case scatenando una “caccia all’uomo” per giorni. Un contesto che tristemente evocava il nostro passato segnato dal genocidio. Le atrocità commesse dagli Azeri causarono decine di vittime innocenti, centinaia di feriti e disabili. Questi avvenimenti fecero crescere la tensione tra le due popolazioni e cambiarono la natura del conflitto.
Qui desidero ricordare un grande intellettuale e scrittore azero Akram Aylisli che ha coraggiosamente descritto i pogrom compiuti dagli Azeri contro gli armeni a Sumgait nel suo libro Sogni di pietra. Inviso per questo al governo, tutti i suoi premi e titoli come scrittore furono ritirati e i suoi libri furono pubblicamente bruciati, suo figlio e sua moglie furono licenziati dal lavoro e fu promesso un “premio” di 13.000 $ a chi avesse tagliato l’orecchio dello scrittore. Akram Aylisli infatti faceva solo un appello per una pacifica convivenza.
In pratica, l’Unione Sovietica crollò con lo scoppio del conflitto del Nagorno-Karabakh. Secondo alcuni esperti quest’ultimo ne fu addirittura la causa. L’Armenia dichiarò l’indipendenza il 21 settembre 1991. Il 10 dicembre 1991, anche il Nagorno-Karabakh proclamò la sua indipendenza a seguito di un referendum indetto e condotto in conformità con le norme del diritto internazionale, nonché con le leggi dell’epoca dell’Unione Sovietica. Il 29 dicembre del 91 anche l’Azerbajgian ufficialmente dichiarò indipendenza, tre giorni dopo la caduta dell’URSS.
Al posto dell’ex repubblica sovietica azera, dunque, si formarono due entità statali separate: la Repubblica dell’Azerbajgian e la Repubblica del Nagorno-Karabakh. Pertanto, il Nagorno-Karabakh non ha mai fatto parte dell’Azerbajgian indipendente. Anzi, l’Azerbajgian dichiarò la sua indipendenza 19 giorni dopo il Nagorno-Karabakh.
In risposta all’esercizio del diritto all’autodeterminazione da parte del popolo del Nagorno-Karabakh, l’Azerbajgian lanciò una guerra su larga scala che durò dal 1992 al 1994, in cui morirono più di 30.000 persone da entrambe le parti. Gli Armeni, nella lotta in difesa della libertà, riuscirono a resistere, a mantenere l’indipendenza del piccolo Stato appena formatosi e a garantirne la sicurezza dello stesso prendendo il controllo di alcuni territori circostanti.
A coloro che portano avanti la narrativa azerbajgiana dell’occupazione armena di parte del loro territorio, che parlano di migliaia di profughi, di campi minati, di vittime e distruzione, bisogna porre loro una domanda: chi ha lanciato i pogrom anti-Armeni in risposta delle pacifiche proteste? Chi ha iniziato la prima guerra del Karabakh e quelle successive, che hanno causato devastazioni, perdite umane, destini stravolti, migliaia di profughi? Non certo la piccola Armenia con la sua popolazione di 3 milioni di abitanti. Infatti, Azerbajgian è diventato vittima della sua stessa aggressione dopo la prima guerra del Karabakh.
L’Armenia è diventata indipendente in condizioni terribilmente difficili, con il crollo dell’Unione Sovietica, l’economia smantellata, il cambiamento del sistema politico, il blocco da parte dell’Azerbajgian e della Turchia. Inoltre, l’intera Armenia settentrionale fu rasa al suolo da un devastante terremoto nel 1988, con 25.000 vittime. Probabilmente ricorderete bene questa catastrofe naturale perché gli Italiani furono tra i primi a venire in aiuto dell’Armenia con la prima missione all’estero della neonata Protezione civile creata dall’onorevole Zamberletti.
C’è qualcuno che crede che la piccola Armenia possa dichiarare guerra alla Turchia e all’Azerbajgian?
La guerra è una cosa amara, terribile in tutti gli aspetti. Personalmente non ho mai vissuto direttamente operazioni militari, ma ricordo tutti i miei giorni da studentessa leggendo un libro a lume di candela a venti gradi sottozero. Non c’era né luce, né gas, né acqua per anni.
Per quanto riguarda la guerra del 44 giorni del 2020 è stata una guerra devastante e molto diversa da quella degli anni ‘90. Sono state usate armi di nuova generazione, vi è stato un coinvolgimento diretto della Turchia con i suoi caccia, e i droni Bayraktar, l’Azerbajgian ha fatto largo uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali come bombe a grappolo e al fosforo bianco; inoltre, la Turchia ha reclutato migliaia di mercenari trasferiti dal medio Oriente in Azerbajgian per combattere contro gli Armeni. La guerra è durata appunto 44 giorni e il 9 novembre 2020 con la mediazione della Federazione Russa è stata firmata una dichiarazione trilaterale che ha fermato la guerra.
La suddetta dichiarazione, tuttavia, non ha portato la pace nella nostra regione. Fino ad oggi l’Azerbajgian approfittando della situazione ancora fragile continua la politica bellica attraverso infiltrazioni anche nel territorio sovrano dell’Armenia, uccisioni e catture di militari armeni, ladrocinio e distruzione del patrimonio culturale e religioso armeno, continue minacce e incitamenti all’odio nei confronti dell’Armenia e del popolo armeno.
Le azioni dell’Azerbajgian sono diventate ancora più incontrollate a patire da febbraio 2022, quando tutta l’attenzione internazionale si è concentrata esclusivamente sulla guerra in Ucraina: così, sono passati quasi inosservati l’ennesima aggressione sul territorio sovrano della Repubblica di Armenia il 13 settembre e il blocco del Corridoio di Lachin.
A settembre scorso, tre giorni di bombardamenti e sparatorie hanno provocato la morte di circa 250 persone; 8.000 persone, per lo più donne, bambini e anziani, sono state costrette a fuggire dalle loro case. Città densamente popolate nel profondo territorio dell’Armenia sono state colpite da attacchi mirati. In flagrante violazione del diritto umanitario internazionale l’Azerbaigian ha catturato, torturato e ucciso membri del personale di servizio armeno. I canali dei media azeri hanno fatto circolare foto e video scioccanti di donne soldato armene, esposte alle barbarie più spregevoli, comprese violenze sessuali, omicidi e mutilazioni estremamente violenti.
Colgo l’occasione in questa sede per ringraziare tutte le forze politiche in Italia, che hanno fermamente condannato l’aggressione dell’Azerbajgian del 13 settembre contro l’Armenia.
Quanto sta accadendo dimostra come la leadership dell’Azerbajgian non sia in alcun modo interessata all’instaurazione della pace e della stabilità nel Caucaso meridionale. Il Presidente del Azerbajgian – forte del riconoscimento di “partner energetico affidabile” per l’Europa – persegue, impunito, una politica di occupazione del territorio sovrano dell’Armenia compreso la capitale Jerevan.
Negli ultimi anni il Governo dell’Azerbajgian ha destinato miliardi di dollari all’acquisto di armi e per corrompere diversi funzionari in tutto il mondo come le inchieste al Consiglio d’Europa hanno dimostrato. Le massime autorità dell’Azerbajgian hanno dichiarato pubblicamente che gli Armeni di tutto il mondo sono il nemico numero uno dell’Azerbajgian nutrendo l’opinione pubblica con l’incitamento all’odio e preparandola per una nuova guerra. Il regime dell’Azerbajgian occupa sempre gli ultimi posti in tutte le classifiche dei diritti umani e delle libertà nel mondo, l’opposizione viene chiamata “quinta colonna” e mandata in galera.
E trovate dunque sorprendente che la popolazione armena del Nagorno-Karabakh non voglia vivere sotto il regime di questo tipo di Paese? Non possono loro, come tutti noi, scegliere di vivere in uno stato democratico? Vorrei sottolineare che per gli Armeni del Nagorno-Karabakh la lotta non è per territori, il conflitto non ha carattere religioso o culturale. Riguarda il diritto alla vita di un popolo che è stato ed è ancora sotto una minaccia esistenziale. Come può un popolo essere costretto a vivere in uno Stato che lo odia etnicamente, in un sistema autocratico retto da oltre trenta anni dalla stessa famiglia?
Il Nagorno-Karabakh non è un territorio. Il Nagorno-Karabakh è un popolo, è la sua gente. Gente come noi. La loro lotta per la libertà è costata migliaia di vite umane, destini stravolti, sogni infranti e infanzie infelici. Il conflitto del Nagorno-Karabakh che dura da più di 30 anni ha già causato decine di migliaia vittime. Perché i nostri vicini vogliono ancora più vittime, più distruzioni, più sofferenze umane. Riuscite a immaginare quanti giovani hanno perso la vita, quanti madri piangono i loro figli? E quante vite sono state spezzate anche dall’altra parte del confine; anch’essi avevano madri, padri, mogli, famiglie, sogni…
L’Armenia ha ripetutamente affermato di essere pronta ad aprire un’era di sviluppo pacifico nella regione. Allo stesso tempo, è chiaro che questi sforzi non possono essere unilaterali e ci aspettiamo un approccio altrettanto costruttivo e passi concreti dai nostri vicini. La nostra non è l’unica regione al mondo in cui i Paesi vicini hanno avuto una storia di guerra tra loro. L’Armenia è impegnata a risolvere tutti i conflitti in modo civile e attraverso negoziati ed è pronta a seguire la formula europea delle relazioni di vicinato. Seminando odio in ogni nuova generazione, ci si allontana ulteriormente dalla soluzione del problema.
Siamo convinti che la comunità internazionale abbia un ruolo importante e debba essere decisa di fronte a pratiche criminali dell’uso della forza per risolvere controversie internazionali. Come disse l’imperatore romano Marco Aurelio: “Spesso si commette ingiustizia non solo nell’agire ma anche nel non agire”. Sottolineando ancora una volta la determinazione della parte armena a costruire la pace e la stabilità nella regione, chiediamo ai partner internazionali, attraverso dichiarazioni e azioni mirate, di obbligare e invitare l’Azerbajgian a:
- porre fine immediatamente al blocco del Corridoio di Lachin e fornire l’accesso al Nagorno-Karabakh alle organizzazioni internazionali;
- rispettare la Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020;
- mettere fine a tutte le dichiarazioni guerrafondaie e minacciose, alla retorica dell’odio;
- ritirare le truppe azere dal territorio sovrano della Repubblica di Armenia;
- rilasciare tutti i prigionieri di guerra.
Colgo questa occasione per ringraziare anche i media italiani che stanno scrivendo in questi giorni numerosi articoli per sensibilizzare il pubblico italiano sulla crisi umanitaria in atto. Hanno fatto un ottimo lavoro di preallarme, per segnalare che una pulizia etnica su larga scala è in corso contro gli Armeni di Nagorno-Karabakh. Che domani nessuno possa dire “non lo sapevo”.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]