Artsakh – Intervista all’Ambasciatore in Italia Tsovinar Hambardzumyan (Assadakah 04.03.23)

Letizia Leonardi (Assadakah News Agency) – Nessun segnale positivo è emerso dal primo incontro tra i rappresentanti dell’Artsakh e dell’Azerbaijan che che si è svolto il 1° marzo. Gli azeri hanno solo discusso del reinserimento della popolazione armena della regione del Karabakh in Azerbaijan: gli armeni invece erano lì solo per discutere sullo sblocco del corridoio di Lachin, del ripristino della fornitura di gas ed elettricità e, come concessione, dell’organizzazione di un tour azero una tantum alle miniere di Kashen e Drombon. Non è

stato quindi raggiunto alcun accordo, nemmeno sui futuri incontri. In realtà agli azeri interessava solo una resa della popolazione armena, stremata dalla sempre più insostenibile crisi umanitaria, e la conseguente accettazione a diventare cittadini della dittatura di Baku. Intanto, giorni fa, il cancelliere tedesco Scholz ha detto in un briefing con il Primo ministro armeno Pashinyan, in visita in Germania, che è necessario raggiungere una conclusione pacifica dal punto di vista dell’integrità territoriale, nonché dell’autodeterminazione dei cittadini del Nagorno Karabakh. Sempre secondo il cancelliere tutti questi principi sono uguali e lo status quo non può durare a lungo ma deve essere raggiunta una soluzione definitiva a lungo termine a beneficio del popolo armeno. Su questa spinosa e gravissima situazione dell’Artsakh abbiamo intervistato l’Ambasciatore armeno in Italia Tsovinar Hambardzumyan

– Dopo 35 anni dai massacri di Sumgait cosa è cambiato nei rapporti tra la popolazione armena e quella azera? C’è differenza tra l’ostilità del regime azero verso gli armeni e il comportamento della popolazione civile azera nei confronti degli armeni?

Il 27-29 febbraio 1988, in risposta alla lotta pacifica e legittima del popolo del Nagorno Karabakh per esercitare i propri diritti, su istigazione delle autorità azere furono organizzati massacri della popolazione armena a Sumgait (e poi a Kirovabad, a Baku) a seguito dei quali le città un tempo brulicanti di armeni ne furono completamente spopolate, ci furono centinaia di vittime, mezzo milione di armeni divennero profughi. Invece di essere assicurati alla giustizia, i criminali di Sumgait furono trasformati in eroi, o come osservò nel 1988 il Procuratore capo della SSR dell’Azerbaijan Ilyas Ismailov, “I colpevoli che hanno incitato le persone (a Sumgait) ai pogrom, attualmente siedono nel Milli Mejlis.” (“Zerkalo” quotidiano azerbaigiano, 21.02.2003). Sfortunatamente durante i successivi 30 anni, il regime della famiglia del presidente Ilham Aliyev ha costantemente coltivato un’orrenda propaganda di nazionalismo etnico, costruito su fondamenta di armenofobia a tutti i livelli della società azera, espressa nella sua stessa dichiarazione che “Tutti gli armeni del mondo sono il nemico numero uno dell’Azerbaijan”. Sotto il suo regime un’intera generazione è cresciuta con idee razziste contro gli armeni. Fin dalle scuole dell’infanzia agli azeri è stato inculcato lo spirito dell’odio e la gente viene incoraggiata e premiata per tutte manifestazione di violenza contro gli armeni. Nel 1992 Tagiev Shahin Taliboglu, il comandante della squadra e l’autore del massacro della popolazione armena di Maragha, è diventato ufficialmente il primo eroe nazionale dell’Azerbaijan. Nel 2012, l’assassino Ramil Safarov, dopo la sua estradizione dall’Ungheria, è stato dichiarato eroe nazionale in Azerbaijan. I soldati delle forze armate dell’Azerbaijan che ad aprile 2016 durante l’ennesima aggressione, hanno ucciso e mutilato i corpi degli anziani, decapitato in modo plateale, nello stile dell’ISIS, il soldato delle Forze armate del Nagorno Karabakh Karam Sloyan e i suoi due compagni d’armi, sono stati premiati dal Presidente dell’Azerbaijan. Le forze armate azere hanno numerosi precedenti di impunibilità durante gli attacchi militari che l’Azerbaijan contro l’Artsakh, del 27 settembre 2020, e contro il territorio sovrano della Repubblica d’Armenia, nel 2022. Si sono macchiati di crimini particolarmente crudeli, tra cui decapitazioni, profanazione di cadaveri, torture delle persone pacifiche, di prigionieri di guerra e militari armeni, comprese donne. Insieme a ciò, i monumenti storici e culturali armeni furono barbaramente distrutti e i santuari furono profanati. Tutti quei crimini di guerra e barbarie venivano filmati e diffusi sulle piattaforme social dagli stessi azeri. Mi dispiace notare, che nel XXI secolo questi crimini non sono stati condannati dalla società, anzi, a giudicare dalla risonanza che hanno avuto nei social, sono stati appoggiati e incoraggiati. Tali atteggiamenti rendono ancora più difficile mettere in pratica le nostre idee sulla pacifica convivenza di due popoli vicini.

Come pensa che si possa sensibilizzare la comunità internazionale per evitare il protrarsi della crisi umanitaria in Nagorno Karabakh?

Purtroppo, l’Azerbaijan continua a rispondere con l’uso della forza al diritto pacifico e democratico del popolo del Nagorno Karabakh a vivere liberamente e in sicurezza nella propria patria storica. A partire dal 12 dicembre 2022, l’Azerbaijan, sfidando il mondo intero, ha isolato il Nagorno Karabakh chiudendo l’unica strada, nota come Corridoio di Lachin, che lo collega con la Repubblica d’Armenia e con il mondo esterno. Va sottolineato che il libero accesso al Corridoio di Lachin è stato inserito nella dichiarazione trilaterale firmata dal Primo Ministro della Repubblica d’Armenia, dal Presidente della Repubblica dell’Azerbaijan, dal Presidente della Federazione Russa il 9 novembre 2020, al fine di garantire il collegamento tra il Nagorno Karabakh e l’Armenia e garantire la sicurezza di persone, veicoli e merci attraverso tale Corridoio in entrambe le direzioni. Detto ciò, consentitemi, tuttavia, di descrivere la situazione sul campo con i fatti. 120.000 residenti del Nagorno Karabakh sono privati ​​della possibilità di ricevere dall’Armenia cibo, medicine e altri beni essenziali. Solo un numero limitato di pazienti, in caso di situazioni di pericolo di vita, può essere trasportato in Armenia coi mezzi del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Una persona è già morta per mancanza di cure mediche e numerose altre rischiano di avere un destino simile. Ci sono carenze di medicinali essenziali e forniture mediche, il commercio e le imprese sono completamente fermi. Il principale approvvigionamento energetico del Nagorno Karabakh è il gasdotto che parte dalla Repubblica di Armenia e attraversa il Corridoio di Lachin. A partire dal 2022, l’Azerbaijan ha tagliato a intermittenza il gasdotto per il Nagorno Karabakh, lasciando quindi case, ospedali, scuole, imprese e famiglie senza riscaldamento nelle condizioni meteorologiche avverse della stagione invernale montana. La gente è costretta a bruciare legna per riscaldarsi, il che comporterà la deforestazione. Queste azioni provocano non solo una crisi umanitaria, ma anche ambientale nel Nagorno Karabakh. Il blocco di questo collegamento vitale ha avuto un impatto irreversibile sul diritto delle persone all’istruzione, in quanto le scuole, gli istituti e altre strutture educative hanno sospeso le loro attività. 6000 bambini di istituti prescolari, 19000 scolari e 6800 studenti sono privati del proprio diritto all’istruzione. Queste azioni della parte azera sono vividi esempi della politica di odio e ostilità a livello statale nei confronti degli armeni, prendendo di mira persino i bambini. Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, nella sua intervista (Ilham Aliyev was interviewed by local TV channels, 10 January 2023, https://president.az/en/articles/view/58555) con i media azeri, ha affermato che per tutti coloro che non vogliono vivere in Nagorno Karabakh, come cittadini dell’Azerbaijan, la strada è aperta, possono andarsene. Ha anche affermato che “il dovere principale dell’Azerbaijan è quello di espellere gli armeni dalle nostre terre” e “nessuna canzone sarà cantata nella lingua aliena dell’armeno e d’ora in poi la lingua azera dominerà questa terra”. Questa non è altro che la politica ufficiale di pulizia etnica del Nagorno Karabakh della sua popolazione nativa armena. Il comportamento descritto sopra è una grave violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario che richiede una risposta urgente e risoluta da parte della comunità internazionale in tutti i modi possibili, anche nell’ambito delle Nazioni Unite e di altri organismi internazionali e regionali, per assicurare azioni concrete derivanti dal loro mandato e dalle loro funzioni, per porre fine al blocco del Corridoio di Lachin e scongiurare la catastrofe umanitaria. Il blocco e le sue conseguenze umanitarie sono state discusse durante la riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite tenutasi il 20 dicembre 2022. Il 18 gennaio 2023, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione ( https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2023-01-18_EN.html) che denuncia con forza il blocco illegale dell’Azerbaigian del corridoio di Lachin ed esorta l’Azerbaigian a rispettare e attuare la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e a riaprire immediatamente il corridoio di Lachin per consentire la libertà di movimento e garantire l’accesso a beni e servizi essenziali, garantendo così la sicurezza nella regione e salvaguardando il sostentamento dei residenti. Il 22 febbraio 2023, la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha stabilito che «La Repubblica di Azerbajgian, in attesa della decisione finale sul caso e in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, adotterà tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio Lachin in entrambe le direzioni» (https://www.icj-cij.org/public/files/case-related/180/180-20230222-ORD-01-00-EN.pdf). Ci sono state anche numerose dichiarazioni di altre organizzazioni internazionali e non governative che hanno chiesto all’Azerbaijan di sbloccare il Corridoio di Lachin. L’Armenia ritiene inoltre di fondamentale importanza che gli organi competenti delle Nazioni Unite e dell’OHCHR inviino una missione conoscitiva nel Nagorno-Karabakh e nel Corridoio di Lachin per valutare la situazione umanitaria e dei diritti umani sul campo, ciò contribuirà a prevenire altri attacchi o atrocità di massa prima che si verifichino.

– Come immagina il futuro del Nagorno Karabakh?

Crediamo che, nonostante tutto il sangue e l’odio di cui la regione è stata testimone, esista una reale opportunità di pace nel Caucaso meridionale. L’Armenia ha ripetutamente ribadito la sua disponibilità ad aprire un’era di sviluppo pacifico nella regione. Allo stesso tempo, al fine di mantenere la stabilità e la pace nella regione, la risoluzione del conflitto del Nagorno Karabakh è di vitale importanza, il che contraddice le affermazioni dell’Azerbaijan secondo cui il conflitto del Nagorno Karabakh sarebbe terminato dopo la guerra del 2020. È ovvio che gli sforzi armeni volti a stabilire una stabilità a lungo termine non possono essere unilaterali, e ci aspettiamo un approccio altrettanto costruttivo e sinceri passi pratici da parte dell’Azerbaijan verso questa direzione. Il Nagorno Karabakh esiste con la sua popolazione armena, che continua a vivere nella sua terra ancestrale e la cui sicurezza è ora assicurata dalle forze di pace russe, in conformità con la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla devastante guerra. Inoltre, anche le dichiarazioni ufficiali dei nostri numerosi partner e organizzazioni internazionali, compresi i Paesi mediatori, mostrano chiaramente che il conflitto del Nagorno Karabakh necessita ancora di una soluzione finale attraverso i negoziati. Una soluzione che dovrebbe fornire garanzie di sicurezza e protezione di tutti i diritti degli armeni di Artsakh.

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