Artsakh, dopo un mese di isolamento la crisi umanitaria «è gravissima» (Tempi 13.01.23)

«Siamo in piena crisi umanitaria, l’obiettivo è costringerci a lasciare la nostra terra, ma noi armeni dell’Artsakh siamo intenzionati a combattere per i nostri diritti». Così Ruben Vardanyan, ministro di Stato dell’Artsakh, ha dichiarato in una conferenza stampa organizzata ieri a Stepanakert a un mese dall’inizio del blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbaigian. Impedendo il transito lungo l’unica strada che collega i 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh all’Armenia, Baku sta di fatto impendendo l’arrivo in Artsakh di cibo, benzina e medicine, oltre che di tutto ciò che è necessario alle imprese per lavorare.

«Centinaia di bambini senza medicine»

Il risultato è una crisi senza precedenti su tutti i fronti. Gravissima la situazione sanitaria: tutti i pazienti sottoposti a cure mediche specialistiche in Armenia (dalla dialisi alla chemioterapia) non hanno più accesso ai trattamenti. Nell’ultimo mese la Croce rossa internazionale ha trasferito 16 pazienti dall’Artsakh all’Armenia perché in fin di vita, ma non può fare di più.

Le 50 operazioni chirurgiche che in media ogni mese venivano fatte nelle cliniche dell’Artsakh sono state sospese «perché dobbiamo preservare i medicinali per i casi di emergenza», ha spiegato Mher Musryelyan, direttore esecutivo del centro medico di Stepanakert. «Abbiamo centinaia di bambini con problemi cronici che non possono più curarsi. Ci sono macchinari fuori uso perché necessitano manutenzione, ma non ci arrivano più i pezzi di ricambio. Tanti medici erano in Armenia quando è iniziato il blocco e non possono tornare indietro: così non abbiamo abbastanza personale nelle nostre cliniche».

«Scaffali nei supermercati vuoti»

Dopo un mese di blocco è grave anche la crisi alimentare: verdura e frutta fresca sono introvabili, le patate un lusso, l’agricoltura è ferma e il cibo razionato. Ai residenti in Artsakh sono state distribuite tessere annonarie perché le scorte possano durare il più a lungo possibile, «ma gli scaffali nei supermercati sono ormai vuoti», ha spiegato Gegham Stepanyan, responsabile della difesa dei diritti umani in Artsakh.

Preoccupa anche la situazione economica del paese, illustrata da Mesrop Arakelyan, consigliere del ministro di Stato. Prima dell’inizio del blocco, il governo dell’Artsakh aveva approvato il budget statale per il 2023, prevedendo 50 miliardi di dram di entrate. «Ma è chiaro che non raggiungeremo mai quella soglia a causa del blocco», ha affermato. «Molte aziende non possono più produrre, quindi avremo meno entrate dalle tasse e c’è anche un problema riguardante le famiglie, visto che l’interruzione della produzione ha già causato mille licenziamenti».

Genitori in Armenia, figli in Artsakh

Il problema più drammatico, tuttavia, è quello riguardante le famiglie. Sono al momento bloccati in Armenia circa 1.000 armeni del Nagorno-Karabakh, i quali non possono tornare indietro. Tra questi ci sono 270 bambini. Inoltre, duemila tra stranieri e cittadini dell’Armenia sono al contrario bloccati nel Nagorno-Karabakh senza la possibilità di tornare alle loro case. Particolarmente drammatici i casi di genitori fermi in Armenia da un mese che non possono tornare dai figli piccoli, i quali vengono accuditi dai vicini e dai servizi sociali.

«Parliamo ogni giorno con queste famiglie e soprattutto con i bambini», ha illustrato la situazione Eleonora Ayanesyan, parlamentare dell’Artsakh. «Ci occupiamo di loro per soddisfare innanzitutto i bisogni materiali, ma il problema più grave è rappresentato dal disagio psicologico, specialmente dei bambini. Tanti di loro cominciano a essere depressi. È una situazione drammatica».

«120 mila armeni hanno diritto a vivere»

«Siamo di fronte a una colossale violazione dei diritti umani. Questi appena descritti sono crimini contro l’umanità e la comunità internazionale deve intervenire perché l’Azerbaigian rispetti il diritto alla vita di 120 mila armeni. Non si può permettere a Baku di affamare un intero popolo», ha denunciato il difensore dei diritti umani dell’Artsakh.

Nelle ultime settimane si sono espressi pubblicamente per la riapertura del Corridoio: il segretario generale delle Nazioni Unite, papa Francesco, il Parlamento europeo, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Usaid e molte organizzazioni per i diritti umani, tra le quali Human Rights Watch, Freedom House, Unicef e Genocide Watch. Ma non è cambiato nulla.

Le strade sono solo tre, ha spiegato il ministro di Stato Vardanyan: «O veniamo occupati dall’Azerbaigian e ci sottomettiamo alle loro leggi o diventiamo profughi e abbandoniamo le nostre case, oppure ci battiamo per il nostro diritto a vivere nella nostra terra. Questa terza per noi è l’unica opzione percorribile. Siamo ovviamente aperti al dialogo con Baku, ma finora non hanno voluto ascoltare ragioni». Poche ore dopo la fine della conferenza stampa, l’Azerbaigian ha tagliato la connessione a internet in tutto il Nagorno-Karabakh.

@LeoneGrotti

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