Arte, a Pesaro un “kachcar” dell’artista armeno Aslan Mkhitaryan che ricorda le vittime del genocidio armeno (Viverepesaro 19.04.21)
Pesaro è una città dalle architetture preziose e uniche; architetture romane, medievali, rinascimentali, barocche, neoclassiche, liberty, eclettiche, moderne. Vi sono edifici, mura, orti e complessi architettonici da recuperare e valorizzare, perché sono parti fondamentali della storia della città.
A Pesaro sta per nascere anche il Parco urbano di scultura, un percorso nell’arte monumentale contemporanea che ha pochi uguali nel nostro paese. Il Parco presenterà in un percorso culturale – e contemporaneamente turistico – le sculture di artisti contemporanei di primo piano disseminate per la città, dopo una serie di interventi di restauro, ricollocamento, valorizzazione.
Farà parte del Parco (che sarà suddiviso in due itinerari) anche un’opera che non tutti i pesaresi conoscono, e che pure è un monumento rappresentativo della migliore arte urbana, realizzato da uno dei più importanti artisti e architetti armeni del nostro tempo: Aslan Mkhitaryan (Yerevan, 1947). Nel 2017 l’opera di Mkhitaryan è stata donata dal sindaco di Yerevan, capitale dell’Armenia, a quello di Pesaro, per sancire l’amicizia tra le due città, resa possibile anche grazie all’azienda Renco, che è presente in Armenia come una delle più importanti società di costruzione del paese.
Per l’occasione l’artista ha realizzato un imponente “kachkar”, parola che in armeno significa “croce di pietra”. I “kachkar” di Aslan Mkhitaryan sono opere moderne, ma si collegano storicamente a una forma d’arte che ha origini antichissime; i primi che conosciamo risalgono al IX secolo. Sono monumenti urbani che hanno la funzione di cippi funerari o di commemorare eventi di grande rilievo. Il “kachcar” di Pesaro, dedicato alle vittime del genocidio armeno, è stato collocato nel verde del Parco Miralfiore. L’artista è celebre per importanti opere di arte urbana monumentale in Armenia e altre nazioni, fra cui l’enorme, ammiratissima Cascata di Yerevan.
Foto di Fabio Patronelli