Arshile Gorky, l’arte prima di ogni altra cosa (Ilbolive 02.07.19)
“Un cavalletto massiccio di fabbricazione straniera, grandi quantità di tele di ampie dimensioni, centinaia di tubetti dei colori più costosi, dozzine di tavolozze coperte con grossi mucchi di vernice, foreste di pennelli fini, pezze di lino per gli stracci da pittura, fusti di olio e trementina. Questa non è un’esagerazione”, così Willem de Kooning descriveva lo studio di Arshile Gorky, sottolineando la sua vocazione artistica, il suo rapporto unico e totalizzante con la pittura, fatto di studio, ricerca e dedizione.
È una straordinaria storia d’arte e vita, di sofferenza e abbandono, speranza e opportunità, quella di Arshile Gorky. Nasce il 15 aprile 1904 a Khorkom, in Armenia, e il suo vero nome è Vostanik Manoug Adoian. Nel 1908, dopo aver lasciato il lago Van, il padre e il fratello partono per l’America ma, nonostante le promesse, i due scompaiono nel nulla. Nel 1915 la madre è costretta a fuggire con i figli rimasti con lei a Erevan e prova a contattare il marito in America, inviando una fotografia sua e del figlio (Gorky) nel tentativo di riunire la famiglia: la donna non riceve risposta e, poco dopo, muore di fame tra le braccia di Gorky stesso. Una perdita che segna per sempre la vita del futuro artista. Qualche mese più tardi, la città viene assediata e, per sfuggire alle persecuzioni (che ricordiamo con il doloroso nome di genocidio armeno), Gorky scappa con la sorella e, a soli 15 anni, riesce a rifugiarsi negli Stati Uniti. Qui inizia la sua seconda vita: studia a Boston, si sposta a New York per insegnare arte e dal 1935 inizia un periodo di crescita e conferme artistiche a partire dal contratto di tre anni firmato con la Guild art gallery. Nel 1941 il San Francisco museum of Modern art ospita la sua prima retrospettiva. I primi anni Quaranta sono costellati di soddisfazioni e successi, nascono anche le sue due figlie, ma la felicità si esaurisce in fretta: a seguito di un periodo di turbamento personale e problemi di salute (un incidente e il cancro), il 21 luglio 1948, a soli 44 anni, si toglie la vita a Sherman in Connecticut.
Arshile Gorky: 1904 –1948 è allestita a Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna (fino al 22 settembre), e riunisce oltre 80 opere dell’artista, precursore dell’espressionismo astratto, dalla National Gallery of Art di Washington, Tate Modern di Londra, Centre Pompidou di Parigi, Whitney Museum of American Art di New York, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington, Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, Calouste Gulbenkian Foundation di Lisbona, Diocesi della Chiesa Armena Americana a New York. “La straordinaria personalità di Gorky, per la prima volta in Italia con una mostra monografica, illuminerà zone ancora in ombra della storia dell’arte del nostro Paese, facendoci esplorare in profondità l’osmosi della pittura europea con quella americana, di cui Gorky fu senza dubbio uno dei più importanti innovatori”, spiega Gabriella Belli, storica dell’arte, direttore della Fondazione Musei civici di Venezia e curatrice della mostra insieme a Edith Devaney, curatrice alla Royal academy of arts di Londra.
“Gli piaceva lavorare in maniera veloce come notoriamente faceva il Tintoretto perché, come disse una volta, quando siamo in sintonia con il nostro tempo facciamo le cose con maggiore facilità. Gorky non solo sentiva di essere un tutt’uno con la propria epoca, ma anche tramite la pittura attingeva all’eterno”, spiega Saskia Spender, nipote di Gorky e presidente di The Arshile Gorky Foundation che, con la Fondazione Musei civici veneziani, ha dato vita alla retrospettiva, proponendo una serie di opere raramente esposte al pubblico. “Gorky è stato un uomo che ha rifiutato confini ed etichette di ogni tipo”, la mostra svela l’evoluzione del suo vocabolario artistico, frutto dell’impegno artistico e intellettuale con i movimenti europei e al tempo stesso della sua indipendenza: Gorky ha studiato, compreso e rielaborato, facendole proprie, le lezioni di Paul Cézanne, Ingres, Paolo Uccello, Picasso, Joan Miró.
“Fu riconosciuto come un protagonista della scena downtown dell’arte di New York molto prima del raggiungimento della maturità artistica. I racconti dei colleghi ai quali fu vicino negli anni Venti e Trenta, prima Stuart Davis e poi Willem de Kooning, descrivono una figura carismatica: un uomo venuto da un Paese rigorosamente taciuto, con un nome inventato, un passato inaccessibile, e un modo del tutto personale di esprimere se stesso con le parole e con gli abiti – spiega Saskia Spender – L’atmosfera era bellissima, disse de Kooning dello splendente studio di Gorky al 36 di Union Square […] L’arte era il pilastro della vita di questo collega; veniva prima del mangiare e del bere, figurarsi se non veniva prima delle spavalderie e della parlata idiosincratica per le quali era noto. Lavorava giorno e notte, notte e giorno. Magro come un chiodo e povero, Gorky investiva solo in materiali di prima qualità e carta fatta a mano”.
Il percorso espositivo veneziano inizia con le figure e i ritratti, tra tutti l’Autoritratto del 1937, che dà il benvenuto al visitatore. Il ritratto della madre, da una fotografia del 1910, che rivela emozioni potenti legate alla memoria e alla perdita, ed è una immagine che commuove e in cui l’artista, ancora bambino, compare accanto a lei. Si passa alle nature morte e ai disegni che precedono i dipinti, in un continuo interrogarsi su Cubismo e Surrealismo, poi agli anni Quaranta e alle ultime opere, capolavori che ne definiscono il percorso artistico: The Liver is the cock’s comb (1944), ovvero Il fegato è la cresta del gallo, e ancora One year the milkweed (1944) e Dark green painting (1948 circa). Ma prima di entrare nella grande stanza dedicata agli ultimi anni, ecco il film The eye-spring realizzato dalla nipote Cosima Spender, breve ma intenso racconto dell’esistenza e del percorso artistico di Gorky, dall’infanzia in Armenia agli anni Trenta a New York, tra ispirazione e incontri, fino alla riconnessione con la natura degli anni Quaranta, a partire dalle estati trascorse in Connecticut e alla Crooked run farm in Virginia. “La molla dell’occhio… Arshile Gorky è per me il primo pittore al quale questo segreto sia stato completamente rivelato – scriveva André Breton nel tema introduttivo del catalogo della mostra Arshile Gorky, Julien Levy Gallery, New York 1945 – L’occhio […] è fatto per trarre un lineamento, un filo conduttore tra le cose più eterogenee”.