ARMENIA: Trent’anni di indipendenza e sentirli tutti (Eastjournal 21.09.21)
Il 21 settembre 2021, l’Armenia festeggia i trent’anni d’indipendenza. In seguito ad una risoluzione approvata dal Consiglio Supremo il 23 agosto 1991, un referendum storico sanciva l’indipendenza dell’Armenia dopo settant’anni di dominio sovietico. A novembre dello stesso anno, Levon Ter-Petrosyan veniva eletto primo presidente della Repubblica Armena indipendente.
Da allora, il 21 settembre è diventato una data storica per gli armeni in tutto il mondo, con celebrazioni e parate per l’anniversario dell’indipendenza organizzate in Armenia, e non solo. Questo perché anche le nuove generazioni sono consapevoli di quanto questo traguardo sia stato raggiunto dopo secoli caratterizzati da una storia difficilissima. Una storia che ha visto gli armeni diventare le vittime del primo genocidio del ventesimo secolo, vedere svanire l’esperienza di una prima repubblica tra il 1918 e il 1920 e, infine, vivere sette decenni come parte dell’Unione sovietica.
Tirare le somme
Trent’anni si fanno una volta sola e, alla luce dei recenti avvenimenti politici e militari che stanno colpendo il paese, chiedersi quale bilancio possano trarre gli armeni da questo trentennio di indipendenza risulta doveroso. Proviamo a farcene un’idea qui.
Nonostante il clima di euforia e di entusiasmo iniziale, la strada dell’indipendenza si è rivelata per l’Armenia insidiosa e ricca di ostacoli. Il paese risentiva ancora delle conseguenze del terremoto dello Spitak, che aveva colpito le regioni settentrionali nel 1988 con una intensità di 7 gradi magnitudo della scala Richter. Oltre ad aver provocato decine di migliaia di vittime, feriti e sfollati, il sisma aveva danneggiato, o in alcuni casi annientato, alcune delle infrastrutture chiave del paese.
La carenza di risorse energetiche e la conformazione montuosa del territorio armeno hanno fatto sì che l’economia armena si sia sviluppata su una base produttiva limitata. Ciò ha portato ad un fenomeno di migrazione di massa, nonché a sua volta ad una estrema vulnerabilità dell’economia al peso delle rimesse provenienti dall’estero.
Sebbene alcune riforme economiche supportate dal Fondo monetario internazionale nella seconda metà degli anni Novanta abbiano promosso una certa crescita economica, con il PIL armeno in crescita a tassi annui medi del 13% tra il 2002 e il 2007, non tutti hanno beneficiato di questo trend positivo. Basti pensare che, secondo i dati della Banca mondiale, nel 2010 il 36% della popolazione armena viveva sotto la soglia nazionale di povertà.
È sul fronte della politica estera che però l’Armenia ha vissuto e vive le maggiori difficoltà. Il crollo dell’Unione Sovietica ha trascinato il paese in un conflitto tutt’ora irrisolto con il vicino Azerbaigian. L’oggetto del contendere è stata la regione del Nagorno-Karabakh; un territorio montuoso abitato da una maggioranza armena, ma riconosciuto internazionalmente come parte dell’Azerbaigian. Erevan e Baku si sono scontrate in due guerre; la prima, combattuta tra il 1989 e il 1994 e vinta dall’Armenia, e la seconda, durata 44 giorni nella seconda metà del 2020 e vinta dall’Azerbaigian.
Dopo lo scoppio del primo conflitto, l’Armenia si è ritrovata con due dei suoi cinque confini, quello azero e turco, chiusi. Un ulteriore scacco alla già ristretta connettività del paese.
Le clausole dell’accordo di pace del 9 novembre 2020, firmato tra le due parti con la mediazione del presidente russo Vladimir Putin hanno imposto a Erevan diverse concessioni. Duemila peacekeeper russi sono stati schierati nel corridoio di Lachin, la strada che collega l’Armenia con il Nagorno-Karabakh, con un incarico di cinque anni prorogabile di altri cinque. L’Azerbaigian ha ottenuto che venga costruita anche una strada di collegamento, attraverso il territorio armeno, con l’enclave del Nachicevan e con la Turchia. Gli armeni si sono dovuti ritirare dai sette distretti che circondano la regione contesa, nonché da molte aree del Nagorno-Karabakh stesso. Tra le perdite maggiori vi è la storica città di Shushi/Shusha, ora sotto controllo azero. Secondo le stime governative, i soldati armeni morti durante la Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh sono oltre tremila, ma altre stime sostengono che le vittime potrebbero raggiungere anche le cinquemila unità.
Le ostilità tra le due parti non si sono limitate alla regione contesa e continuano tutt’ora.
L’alleato russo
Nonostante l’istanza indipendentistica sia stata in Armenia più sentita rispetto ad altre ex repubbliche socialiste sovietiche, il periodo di transizione non ha allontanato Erevan dalla sfera di influenza politica e militare della Russia. Al contrario, l’Armenia partecipa nelle principali organizzazioni regionali promosse dal Cremlino per mantenere la sua influenza nei paesi dello spazio post-sovietico; Dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza all’Unione Economica Eurasiatica. Mediante la concessione di prestiti a fondo perduto, aiuti militari, acquisizioni di compagnie statali e infrastrutture strategiche ottenute grazie ad una serie di rapporti di favore con una parte della politica armena, Mosca si è assicurata il pieno controllo dell’economia del paese. Non è un caso che, a seguito della crisi del rublo russo del 2014, anche il dram armeno ha subito una forte svalutazione.
Dopo essere salito al potere nella primavera del 2018, attraverso la cosiddetta rivoluzione di velluto, Nikol Pashinyan ha tentato di promuovere riforme radicali per rilanciare l’economia armena e combattere la corruzione, guadagnandosi un ampio sostegno popolare. Sebbene con il disastro militare del 2020, il suo consenso si sia ridimensionato, Pashinyan è riuscito a vincere le elezioni anticipate straordinarie tenutesi nel giugno 2021. La situazione è più che mai complicata, ed è difficile immaginare una via di uscita ora.
Il 21 settembre non sarà quindi un giorno come gli altri per l’Armenia. Sia perché trent’anni si fanno una volta sola, sia perché la situazione economica e politica del paese senza precedenti ha lasciato l’intera popolazione in uno stato di sgomento e incertezza. Non a caso, quando il governo ha annunciato piani per le celebrazioni dell’anniversario all’inizio di settembre, l’opinione pubblica ha risposto in maniera critica. Soprattutto i familiari dei soldati uccisi nella guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 hanno ritenuto inappropriati i festeggiamenti. Al posto della parata, questi ultimi hanno proposto un incontro al cimitero di Yerabur, luogo di sepoltura dei soldati armeni che hanno perso la vita durante il conflitto del Nagorno-Karabakh.