Armenia, terra fantasma (National Geographic 05.05.16)
La neve screzia la valle che gli armeni chiamano Jardi Dzor, “gola del massacro”, nell’Armenia settentrionale. Qui i soldati turchi avrebbero ucciso circa 4.000 armeni nel 1920.
Cento anni fa, un milione di armeni (c’è chi sostiene fossero di più, chi di meno) furono uccisi nell’Impero ottomano, l’odierna Turchia.
A Erevan, capitale dell’Armenia, un cenotafio di pietra commemora il Medz Yeghern, il “grande crimine” perpetrato contro il popolo armeno. Ogni anno a primavera – il 24 aprile, data in cui cominciarono i pogrom – migliaia di persone raggiungono la cima della collina su cui si trova il monumento per poi procedere in fila davanti a una fiamma eterna e lasciare un fiore. Circa 100 chilometri a nord-ovest da qui, poche centinaia di metri oltre il confine turco, giacciono le rovine di un monumento più antico, e forse più emblematico, alla terribile esperienza armena: Ani.
Ani era la capitale medievale di un potente regno armeno situato al centro dell’Anatolia orientale – la grande penisola asiatica che oggi costituisce gran parte del territorio turco – a cavallo tra i rami più settentrionali della Via della Seta. Era una metropoli ricca, con 100 mila abitanti e grandi bazar. Protetta da alte mura di pietra, era nota come la “città delle 1.001 chiese” e rivaleggiava per fama con Costantinopoli. Rappresentava l’apice della cultura armena. Oggi Ani si sgretola sotto il sole su un altopiano isolato, le rovine delle sue cattedrali e delle sue strade fagocitate dall’erba e sferzate dal vento. L’ho raggiunta a piedi. Da un po’ di tempo giro per il mondo per ripercorrere le rotte dei primi uomini che abbandonarono l’Africa, diffondendosi nel mondo, e nel mio viaggio non avevo ancora visto un luogo più bello, e più triste, di Ani.
«Gli armeni non sono neppure menzionati», si stupisce Murat Yazar, la mia guida curda.
Ed è vero: sui cartelli disposti dalle autorità turche per i turisti, i fondatori di Ani non vengono nominati. La scelta è voluta: ad Ani gli armeni non ci sono più, neppure nei testi storici ufficiali. Se la collina del Dzidzernagapert a Erevan è un invito a ricordare, Ani è un monumento all’oblio.